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Il Rosso e il Nero - Stendhal, V. Una contrattazione

V. Una contrattazione

Cunctando restituit rem.

ENNIO

«Rispondimi senza mentire, se ci riesci, cane di un mangialibri; come hai conosciuto la signora de Rênal, quando le hai parlato?»

«Non le ho mai parlato – rispose Julien, – e l'ho vista solo in chiesa.»

«Ma l'avrai guardata! Brutto sfacciato!»

«Mai! Voi sapete che in chiesa io non vedo che Dio» aggiunse Julien, con un'arietta ipocrita, la più adatta, secondo lui, ad evitare altre botte.

«Eppure c'è sotto qualcosa – replicò quel contadino malizioso, e tacque per un istante. – Ma da te non saprò niente, maledetto ipocrita. Comunque sto per liberarmi di te, e la segheria non avrà che da guadagnarci. Sei riuscito a incantare il curato, o qualcun altro che ti ha procurato un buon posto. Prepara il tuo fagotto, ti porterò da Rênal, sarai il precettore dei suoi figli.»

«E cosa mi daranno?»

«Il vitto, il vestiario e trecento franchi di paga.»

«Non voglio fare il servitore.»

«Animale, e chi ti dice di fare il servitore? Credi che manderei mio figlio a fare il domestico?»

«Ma, con chi mangerò?»

Questa domanda sconcertò il vecchio Sorel. Si rese conto che parlando avrebbe potuto commettere qualche imprudenza; si arrabbiò con Julien, lo coprì d'improperi, lo accusò di ingordigia, e se ne andò per consultare gli altri suoi figli.

Julien li vide poco dopo che tenevano consiglio, ognuno appoggiato alla sua scure. Li guardò a lungo, ma accorgendosi che non poteva indovinare nulla, andò a mettersi dall'altra parte della sega, per evitare di essere sorpreso. Voleva riflettere su quell'annuncio improvviso che cambiava il suo destino, ma si sentì incapace di farlo con saggezza; la sua immaginazione era tutta intenta a raffigurarsi ciò che avrebbe visto nella bella casa del signor de Rênal.

«Devo rinunciare a tutto questo – si diceva, – piuttosto che ridurmi a mangiare con la servitù. Mio padre vorrà costringermi, ma preferisco la morte. Ho quindici franchi e otto soldi di risparmi; scappo stanotte. In due giorni, seguendo vie secondarie per non incontrare i gendarmi, arrivo a Besançon; lì mi arruolo e, se necessario, passo in Svizzera. Ma allora niente carriera, niente ambizioni. Dovrò rinunciare a quello stato ecclesiastico che può condurre ovunque.»

L'orrore che provava all'idea di mangiare con i domestici non era naturale in Julien, che si sarebbe sottoposto a umiliazioni peggiori, pur di avere successo. Aveva attinto questa ripugnanza dalle Confessioni di Rousseau. Era il solo libro attraverso il quale si raffigurasse il mondo. La raccolta dei bollettini della grande armata e il Memoriale di Sant'Elena completavano il suo corano. Si sarebbe fatto uccidere per queste tre opere. Non credette mai in nessun'altra. Seguendo ciò che diceva il vecchio chirurgo militare, considerava tutti gli altri libri menzogneri, e scritti da astuti truffatori desiderosi di successo.

Oltre a un'anima ardente, Julien possedeva una di quelle memorie eccezionali che tanto spesso si accompagnano alla stupidità. Per ingraziarsi il vecchio curato Chélan, dal quale, lo capiva bene, dipendeva il suo futuro, aveva imparato a memoria tutto il Nuovo Testamento in latino, e anche il libro Del papa di de Maistre, e credeva poco sia all'uno che all'altro.

Come per un reciproco accordo, Sorel e suo figlio evitarono quel giorno di parlarsi. All'imbrunire, Julien andò dal curato per la lezione di teologia, ma non ritenne prudente parlargli della strana proposta che avevano fatto a suo padre. «Forse è un tranello – si diceva, – e occorre fingere di averlo dimenticato.»

L'indomani, di buon mattino, Rênal mandò a chiamare il vecchio Sorel, il quale, dopo essersi fatto aspettare un'ora o due, finì per arrivare, profondendosi, quand'era ancora sulla porta, in cento scuse, condite da altrettante riverenze. A furia di obiezioni di ogni sorta, Sorel si assicurò che il figlio avrebbe mangiato con il padrone e la padrona di casa, e, quando ci fossero stati degli ospiti, in una stanza a parte, con i ragazzi. Sempre più disposto a creare difficoltà, man mano che notava nel sindaco una vera premura, ed essendo del resto pieno di diffidenza e di stupore, Sorel chiese di poter vedere la camera in cui avrebbe dormito suo figlio. Era una stanza grande, ammobiliata molto decorosamente, ma nella quale stavano già trasportando i letti dei tre ragazzi.

Questa circostanza illuminò il vecchio contadino, che domandò subito con sicurezza di vedere l'abito che avrebbero dato a suo figlio. Rênal aprì il suo scrittoio e prese cento franchi.

«Con questi soldi, vostro figlio andrà da Durand, il negoziante di stoffe, e potrà farsi un completo nero.»

«E se poi decidessi di farlo tornare a casa – disse il contadino, che aveva di colpo dimenticato i suoi modi riverenti, – questo vestito nero rimarrebbe suo?»

«Certo.»

«Va bene! – disse Sorel con voce strascicata – non ci resta dunque che metterci d'accordo su una sola cosa: il denaro che gli darete.»

«Ma come! – gridò Rênal indignato, – siamo d'accordo già da ieri: gli darò trecento franchi; mi sembra che sia molto, e forse troppo.»

«Era la vostra offerta, non lo nego» disse Sorel parlando ancora più lentamente; e con un lampo di genio che potrebbe stupire solo chi non conosce i contadini della Franca Contea, aggiunse, guardando fisso Rênal: «Possiamo trovare di meglio altrove».

A queste parole il volto del sindaco apparve sconvolto. Tuttavia si riprese, e, dopo una sapiente discussione di due lunghe ore, nella quale non una sola parola venne detta a caso, l'astuzia del contadino ebbe la meglio sull'astuzia del ricco, che non ne ha bisogno per vivere. Furono stabiliti i numerosi punti che avrebbero regolato la nuova vita di Julien; non solo il suo stipendio venne fissato in quattrocento franchi, ma sarebbe stato pagato in mensilità anticipate.

«E va bene! Gli darò trentacinque franchi al mese» disse Rênal.

«Per arrotondare la somma, un uomo ricco e generoso come il nostro signor sindaco – disse il contadino con voce carezzevole – potrà ben arrivare a trentasei franchi.»

«E sia! – disse Rênal. – Ma facciamola finita.»

Questa volta, la collera gli diede un tono di fermezza. Il contadino si rese conto che non era il caso di andare oltre. Così toccò a Rênal fare qualche passo avanti. Si rifiutò di versare la prima mensilità di trentasei franchi al vecchio Sorel, che mostrava molta premura di riceverli per il figlio. Rênal stava intanto pensando che sarebbe stato costretto a raccontare a sua moglie la parte che aveva sostenuto durante la trattativa.

«Restituitemi i cento franchi che vi ho dato – disse stizzito. – Durand mi deve qualcosa. Andrò io con vostro figlio a prendere la stoffa.»

Dopo queste parole decise, Sorel tornò con prudenza alle sue formule rispettose, con le quali proseguì per un quarto d'ora. Alla fine, vedendo che ormai non aveva proprio più nulla da guadagnare, se ne andò. Il suo ultimo inchino finì con questa frase:

«Manderò subito mio figlio al castello».

Era così che i cittadini chiamavano la casa del sindaco quando volevano essergli graditi.

Tornato all'officina, Sorel cercò invano suo figlio. Diffidando di ciò che poteva accadere, Julien era uscito nel cuore della notte per mettere in salvo i suoi libri e la croce della Legion d'onore. Aveva portato tutto da un giovane commerciante di legname, un suo amico di nome Fouqué, che abitava sull'alta montagna che domina Verrières.

Quando riapparve, suo padre gli disse: «Solo Dio sa, maledetto poltrone, se avrai mai l'onore sufficiente per ripagarmi il prezzo del tuo mantenimento, che ti anticipo da tanti anni! Prendi i tuoi stracci, e vattene dal sindaco».

Julien, sorpreso di non essere stato picchiato, si affrettò ad andarsene. Ma non appena fu certo che il padre non lo avrebbe visto, rallentò il passo. Ritenne che una sosta in chiesa sarebbe stata utile alla sua ipocrisia.

La parola vi sorprende? Per arrivare a quest'orribile parola, l'anima del giovane contadino aveva dovuto percorrere una strada molto lunga.

Fin dalla prima infanzia, la vista di certi dragoni del sesto reggimento, con quei lunghi mantelli bianchi e gli elmetti dai lunghi crini neri, che tornavano dall'Italia, e che Julien vide legare i cavalli alle inferriate della casa di suo padre, gli aveva dato un folle entusiasmo per la vita militare. Più tardi aveva ascoltato con trasporto i racconti delle battaglie del ponte di Lodi, di Arcole, di Rivoli, che gli faceva il chirurgo militare. Notava gli sguardi accesi con i quali il vecchio guardava la sua croce.

Ma quando Julien aveva quattordici anni, a Verrières cominciarono a costruire una chiesa, che si può ben dire magnifica per una città così piccola. C'erano soprattutto quattro colonne di marmo la cui vista colpiva Julien; divennero celebri nel paese, per l'odio mortale che suscitarono fra il giudice di pace e il giovane vicario, mandato da Besançon, che passava per essere una spia della Congregazione. Il giudice di pace fu sul punto di perdere il suo posto, o quanto meno era questa l'opinione comune. Non aveva forse osato mettersi in disputa con un prete che, quasi ogni quindici giorni, andava a Besançon, dove incontrava il vescovo, a quanto si diceva?

In questo frattempo, il giudice di pace, padre di una numerosa famiglia, aveva emesso non poche sentenze che sembrarono ingiuste, ed erano tutte contro persone che leggevano il «Constitutionnel». Il partito dell'ordine trionfò. Non si trattava, è vero, che di somme di tre o cinque franchi, ma una di queste piccole ammende dovette essere pagata da un fabbricante di chiodi, padrino di Julien. Incollerito, quest'uomo esclamava: «Che cambiamento! E dire che da più di vent'anni il giudice di pace passava per un vero galantuomo!». Il chirurgo militare, amico di Julien, era morto.

Tutt'a un tratto, Julien smise di parlare di Napoleone; comunicò il suo progetto di farsi prete, e lo si vide costantemente, nella segheria del padre, tutto preso a imparare a memoria una bibbia in latino che gli aveva prestato il parroco. Quel buon vecchio, meravigliato dai suoi progressi, passava intere serate a insegnargli la teologia. Julien, davanti a lui, mostrava solo pii sentimenti. Chi avrebbe potuto immaginare che quel volto di fanciulla, così pallido e dolce, nascondesse la decisione incrollabile di affrontare mille volte la morte, piuttosto che rinunciare a far fortuna?

Per Julien, far fortuna significava innanzitutto uscire da Verrières, che detestava. Tutto ciò che vedeva in quel luogo gelava la sua immaginazione.

Fin dalla prima infanzia aveva avuto dei momenti di esaltazione. Pensava allora, deliziato, che un giorno si sarebbe presentato alle belle donne di Parigi, e avrebbe saputo attirarne l'attenzione con qualche gesto eccezionale. Perché qualcuna di loro non avrebbe potuto innamorarsi di lui, come Bonaparte, ancora povero, era stato amato dalla brillante signora de Beauharnais? Da parecchi anni, Julien non passava forse neanche un'ora della sua vita senza dire a se stesso che Bonaparte, da oscuro sottotenente privo di mezzi, era divenuto padrone del mondo con la sua spada. Questa idea lo consolava delle sue sventure, che gli sembravano grandi, e raddoppiava la sua gioia, quando ne aveva.

La costruzione della chiesa e le sentenze del giudice di pace lo illuminarono improvvisamente; ebbe un'idea che lo mandò quasi in delirio per qualche settimana, e infine s'impadronì di lui con l'onnipotenza della prima idea che un'anima appassionata crede di avere scoperto.

«Quando Bonaparte fece parlare di sé, la Francia temeva l'invasione; il valore militare era necessario e di moda. Oggi si vedono preti di quarant'anni con centomila franchi di stipendio, vale a dire il triplo dei famosi generali di divisione napoleonici. Hanno bisogno di gente che sia dalla loro parte. Ed ecco questo giudice di pace, uomo così assennato, così onesto, finora, e così vecchio, che si disonora per paura di riuscire sgradito a un giovane vicario di trent'anni. Bisogna farsi prete.»

Una volta, nel pieno di questa sua nuova religiosità – ed erano già due anni che studiava teologia – Julien fu tradito da un'improvvisa irruzione di quell'ardore che divorava la sua anima. Si trovava da Chélan, a un pranzo di preti durante il quale il buon parroco l'aveva presentato come un prodigio di cultura, quando gli capitò di tessere appassionatamente le lodi di Napoleone. Si legò il braccio destro al petto, sostenne di esserselo slogato spostando un tronco di abete, e lo portò per due mesi in questa scomodissima posizione. Dopo essersi inflitto questa punizione, si concesse il perdono. Tale era il giovane di diciannove anni, ma così fragile in apparenza da dimostrarne tutt'al più diciassette, che, con un fagotto sotto il braccio, stava entrando nella magnifica chiesa di Verrières.

La trovò buia e deserta. In occasione di una festa, tutte le vetrate erano state coperte di stoffa cremisi. Con i raggi del sole, si creava uno splendido effetto di luce, di religiosa imponenza. Julien trasalì. Solo, nella chiesa, si mise nel banco che appariva più bello. Portava lo stemma dei Rênal.

Sull'inginocchiatoio, Julien notò un pezzetto di carta stampata; sembrava esposto perché qualcuno lo leggesse. Vi posò gli occhi e vide: Particolari dell'esecuzione e degli ultimi istanti di Louis Jenrel, giustiziato a Besançon, il…

Il foglio era strappato. Sul rovescio si potevano leggere le prime parole di una riga, ed erano: Il primo passo.

«Chi avrà messo qui questo pezzo di carta? – si chiese Julien. – Povero disgraziato – aggiunse con un sospiro, – il suo nome finisce come il mio…» e accartocciò il foglio.

Uscendo, ebbe l'impressione di vedere del sangue vicino all'acquasantiera. Era un po' d'acqua benedetta versata a terra: per il riflesso dei tendaggi rossi che coprivano le finestre sembrava che fosse sangue.

Julien provò vergogna del suo segreto terrore.

«Sarei forse un vile? – si disse, – all'armi!»

Queste parole, così spesso ripetute nei racconti di battaglia del vecchio chirurgo, erano eroiche per Julien. Si alzò, e si diresse rapidamente verso la casa di Rênal.

Nonostante i suoi bei propositi, non appena la vide a venti passi di distanza, fu preso da una timidezza invincibile. Il cancello di ferro era aperto, e gli sembrò magnifico. Bisognava entrare.

Julien non era la sola persona a sentirsi turbata dal suo arrivo in quella casa. La signora de Rênal, donna timidissima, era sconcertata all'idea dell'arrivo di quell'estraneo, il quale, per le sue mansioni, si sarebbe trovato costantemente tra lei e i suoi figli. Era abituata a farli dormire nella sua camera. Quella mattina aveva pianto a lungo, vedendo trasportare i loro lettini nell'appartamento destinato al precettore. Chiese invano al marito che il letto di Stanislas-Xavier, il più piccolo, fosse riportato nella sua camera.

La delicatezza femminile arrivava in lei all'eccesso. Si era fatta la sgradevole immagine di un essere grossolano e scarmigliato, incaricato di sgridare e forse anche frustare i suoi figli solo perché conosceva il latino, quella lingua barbara.


V. Una contrattazione

Cunctando restituit rem.

ENNIO

«Rispondimi senza mentire, se ci riesci, cane di un mangialibri; come hai conosciuto la signora de Rênal, quando le hai parlato?» „Antworte mir, ohne zu lügen, wenn du kannst, ein Futterhund; Wie haben Sie Madame de Rênal kennengelernt, als Sie mit ihr gesprochen haben?

«Non le ho mai parlato – rispose Julien, – e l'ho vista solo in chiesa.»

«Ma l'avrai guardata! Brutto sfacciato!»

«Mai! Voi sapete che in chiesa io non vedo che Dio» aggiunse Julien, con un'arietta ipocrita, la più adatta, secondo lui, ad evitare altre botte.

«Eppure c'è sotto qualcosa – replicò quel contadino malizioso, e tacque per un istante. – Ma da te non saprò niente, maledetto ipocrita. Comunque sto per liberarmi di te, e la segheria non avrà che da guadagnarci. Sei riuscito a incantare il curato, o qualcun altro che ti ha procurato un buon posto. Prepara il tuo fagotto, ti porterò da Rênal, sarai il precettore dei suoi figli.»

«E cosa mi daranno?»

«Il vitto, il vestiario e trecento franchi di paga.»

«Non voglio fare il servitore.»

«Animale, e chi ti dice di fare il servitore? Credi che manderei mio figlio a fare il domestico?»

«Ma, con chi mangerò?»

Questa domanda sconcertò il vecchio Sorel. Si rese conto che parlando avrebbe potuto commettere qualche imprudenza; si arrabbiò con Julien, lo coprì d'improperi, lo accusò di ingordigia, e se ne andò per consultare gli altri suoi figli.

Julien li vide poco dopo che tenevano consiglio, ognuno appoggiato alla sua scure.** Li guardò a lungo, ma accorgendosi che non poteva indovinare nulla, andò a mettersi dall'altra parte della sega, per evitare di essere sorpreso.** Voleva riflettere su quell'annuncio improvviso che cambiava il suo destino, ma si sentì incapace di farlo con saggezza; la sua immaginazione era tutta intenta a raffigurarsi ciò che avrebbe visto nella bella casa del signor de Rênal.

«Devo rinunciare a tutto questo – si diceva, – piuttosto che ridurmi a mangiare con la servitù. Mio padre vorrà costringermi, ma preferisco la morte. Ho quindici franchi e otto soldi di risparmi; scappo stanotte. In due giorni, seguendo vie secondarie per non incontrare i gendarmi, arrivo a Besançon; lì mi arruolo e, se necessario, passo in Svizzera. Ma allora niente carriera, niente ambizioni. Dovrò rinunciare a quello stato ecclesiastico che può condurre ovunque.»

L'orrore che provava all'idea di mangiare con i domestici non era naturale in Julien, che si sarebbe sottoposto a umiliazioni peggiori, pur di avere successo. Aveva attinto questa ripugnanza dalle Confessioni di Rousseau. Era il solo libro attraverso il quale si raffigurasse il mondo. La raccolta dei bollettini della grande armata e il Memoriale di Sant'Elena completavano il suo corano.** Si sarebbe fatto uccidere per queste tre opere. Non credette mai in nessun'altra.** Seguendo ciò che diceva il vecchio chirurgo militare, considerava tutti gli altri libri menzogneri, e scritti da astuti truffatori desiderosi di successo.

Oltre a un'anima ardente, Julien possedeva una di quelle memorie eccezionali che tanto spesso si accompagnano alla stupidità. Per ingraziarsi il vecchio curato Chélan, dal quale, lo capiva bene, dipendeva il suo futuro, aveva imparato a memoria tutto il Nuovo Testamento in latino, e anche il libro Del papa di de Maistre, e credeva poco sia all'uno che all'altro.**

Come per un reciproco accordo, Sorel e suo figlio evitarono quel giorno di parlarsi. All'imbrunire, Julien andò dal curato per la lezione di teologia, ma non ritenne prudente parlargli della strana proposta che avevano fatto a suo padre. «Forse è un tranello – si diceva, – e occorre fingere di averlo dimenticato.»

**L'indomani, di buon mattino, Rênal mandò a chiamare il vecchio Sorel, il quale, dopo essersi fatto aspettare un'ora o due, finì per arrivare, profondendosi, quand'era ancora sulla porta, in cento scuse, condite da altrettante riverenze. A furia di obiezioni di ogni sorta, Sorel si assicurò che il figlio avrebbe mangiato con il padrone e la padrona di casa, e, quando ci fossero stati degli ospiti, in una stanza a parte, con i ragazzi.** Sempre più disposto a creare difficoltà, man mano che notava nel sindaco una vera premura, ed essendo del resto pieno di diffidenza e di stupore, Sorel chiese di poter vedere la camera in cui avrebbe dormito suo figlio. Era una stanza grande, ammobiliata molto decorosamente, ma nella quale stavano già trasportando i letti dei tre ragazzi.

Questa circostanza illuminò il vecchio contadino, che domandò subito con sicurezza di vedere l'abito che avrebbero dato a suo figlio. Rênal aprì il suo scrittoio e prese cento franchi.

«Con questi soldi, vostro figlio andrà da Durand, il negoziante di stoffe, e potrà farsi un completo nero.»

«E se poi decidessi di farlo tornare a casa – disse il contadino, che aveva di colpo dimenticato i suoi modi riverenti, – questo vestito nero rimarrebbe suo?»

«Certo.»

**«Va bene! – disse Sorel con voce strascicata – non ci resta dunque che metterci d'accordo su una sola cosa: il denaro che gli darete.»

«Ma come! – gridò Rênal indignato, – siamo d'accordo già da ieri: gli darò trecento franchi; mi sembra che sia molto, e forse troppo.»

«Era la vostra offerta, non lo nego» disse Sorel parlando ancora più lentamente; e con un lampo di genio che potrebbe stupire solo chi non conosce i contadini della Franca Contea, aggiunse, guardando fisso Rênal: «Possiamo trovare di meglio altrove».

A queste parole il volto del sindaco apparve sconvolto.** Tuttavia si riprese, e, dopo una sapiente discussione di due lunghe ore, nella quale non una sola parola venne detta a caso, l'astuzia del contadino ebbe la meglio sull'astuzia del ricco, che non ne ha bisogno per vivere. Furono stabiliti i numerosi punti che avrebbero regolato la nuova vita di Julien; **non solo il suo stipendio venne fissato in quattrocento franchi, ma sarebbe stato pagato in mensilità anticipate.

«E va bene! Gli darò trentacinque franchi al mese» disse Rênal.

«Per arrotondare la somma, un uomo ricco e generoso come il nostro signor sindaco – disse il contadino con voce carezzevole – potrà ben arrivare a trentasei franchi.»

«E sia! – disse Rênal. – Ma facciamola finita.»**

Questa volta, la collera gli diede un tono di fermezza. Il contadino si rese conto che non era il caso di andare oltre. Così toccò a Rênal fare qualche passo avanti. Si rifiutò di versare la prima mensilità di trentasei franchi al vecchio Sorel, che mostrava molta premura di riceverli per il figlio. Rênal stava intanto pensando che sarebbe stato costretto a raccontare a sua moglie la parte che aveva sostenuto durante la trattativa.

«Restituitemi i cento franchi che vi ho dato – disse stizzito. – Durand mi deve qualcosa. Andrò io con vostro figlio a prendere la stoffa.»

**Dopo queste parole decise, Sorel tornò con prudenza alle sue formule rispettose, con le quali proseguì per un quarto d'ora. Alla fine, vedendo che ormai non aveva proprio più nulla da guadagnare, se ne andò. Il suo ultimo inchino finì con questa frase:

«Manderò subito mio figlio al castello».

Era così che i cittadini chiamavano la casa del sindaco quando volevano essergli graditi.

Tornato all'officina, Sorel cercò invano suo figlio. Diffidando di ciò che poteva accadere, Julien era uscito nel cuore della notte per mettere in salvo i suoi libri e la croce della Legion d'onore. Aveva portato tutto da un giovane commerciante di legname, un suo amico di nome Fouqué, che abitava sull'alta montagna che domina Verrières.

Quando riapparve, suo padre gli disse: «Solo Dio sa, maledetto poltrone, se avrai mai l'onore sufficiente per ripagarmi il prezzo del tuo mantenimento, che ti anticipo da tanti anni! Prendi i tuoi stracci, e vattene dal sindaco».

Julien, sorpreso di non essere stato picchiato, si affrettò ad andarsene. Ma non appena fu certo che il padre non lo avrebbe visto, rallentò il passo. Ritenne che una sosta in chiesa sarebbe stata utile alla sua ipocrisia.

La parola vi sorprende? Per arrivare a quest'orribile parola, l'anima del giovane contadino aveva dovuto percorrere una strada molto lunga.

Fin dalla prima infanzia, la vista di certi dragoni del sesto reggimento, con quei lunghi mantelli bianchi e gli elmetti dai lunghi crini neri, che tornavano dall'Italia, e che Julien vide legare i cavalli alle inferriate della casa di suo padre, gli aveva dato un folle entusiasmo per la vita militare. Più tardi aveva ascoltato con trasporto i racconti delle battaglie del ponte di Lodi, di Arcole, di Rivoli, che gli faceva il chirurgo militare. Notava gli sguardi accesi con i quali il vecchio guardava la sua croce.

Ma quando Julien aveva quattordici anni, a Verrières cominciarono a costruire una chiesa, che si può ben dire magnifica per una città così piccola. C'erano soprattutto quattro colonne di marmo la cui vista colpiva Julien; divennero celebri nel paese, per l'odio mortale che suscitarono fra il giudice di pace e il giovane vicario, mandato da Besançon, che passava per essere una spia della Congregazione. Il giudice di pace fu sul punto di perdere il suo posto, o quanto meno era questa l'opinione comune. Non aveva forse osato mettersi in disputa con un prete che, quasi ogni quindici giorni, andava a Besançon, dove incontrava il vescovo, a quanto si diceva?

In questo frattempo, il giudice di pace, padre di una numerosa famiglia, aveva emesso non poche sentenze che sembrarono ingiuste, ed erano tutte contro persone che leggevano il «Constitutionnel». Il partito dell'ordine trionfò.** Non si trattava, è vero, che di somme di tre o cinque franchi, ma una di queste piccole ammende dovette essere pagata da un fabbricante di chiodi, padrino di Julien. Incollerito, quest'uomo esclamava: «Che cambiamento! E dire che da più di vent'anni il giudice di pace passava per un vero galantuomo!». Il chirurgo militare, amico di Julien, era morto.

**Tutt'a un tratto, Julien smise di parlare di Napoleone; comunicò il suo progetto di farsi prete, e lo si vide costantemente, nella segheria del padre, tutto preso a imparare a memoria una bibbia in latino che gli aveva prestato il parroco. Quel buon vecchio, meravigliato dai suoi progressi, passava intere serate a insegnargli la teologia.** Julien, davanti a lui, mostrava solo pii sentimenti. Chi avrebbe potuto immaginare che quel volto di fanciulla, così pallido e dolce, nascondesse la decisione incrollabile di affrontare mille volte la morte, piuttosto che rinunciare a far fortuna?

**Per Julien, far fortuna significava innanzitutto uscire da Verrières, che detestava. Tutto ciò che vedeva in quel luogo gelava la sua immaginazione.

Fin dalla prima infanzia aveva avuto dei momenti di esaltazione. Pensava allora, deliziato, che un giorno si sarebbe presentato alle belle donne di Parigi, e avrebbe saputo attirarne l'attenzione con qualche gesto eccezionale. Perché qualcuna di loro non avrebbe potuto innamorarsi di lui, come Bonaparte, ancora povero, era stato amato dalla brillante signora de Beauharnais?** Da parecchi anni, Julien non passava forse neanche un'ora della sua vita senza dire a se stesso che Bonaparte, da oscuro sottotenente privo di mezzi, era divenuto padrone del mondo con la sua spada. Questa idea lo consolava delle sue sventure, che gli sembravano grandi, e raddoppiava la sua gioia, quando ne aveva.

**La costruzione della chiesa e le sentenze del giudice di pace lo illuminarono improvvisamente; ebbe un'idea che lo mandò quasi in delirio per qualche settimana, e infine s'impadronì di lui con l'onnipotenza della prima idea che un'anima appassionata crede di avere scoperto.

«Quando Bonaparte fece parlare di sé, la Francia temeva l'invasione; il valore militare era necessario e di moda. Oggi si vedono preti di quarant'anni con centomila franchi di stipendio, vale a dire il triplo dei famosi generali di divisione napoleonici. Hanno bisogno di gente che sia dalla loro parte. Ed ecco questo giudice di pace, uomo così assennato, così onesto, finora, e così vecchio, che si disonora per paura di riuscire sgradito a un giovane vicario di trent'anni. Bisogna farsi prete.»

Una volta, nel pieno di questa sua nuova religiosità – ed erano già due anni che studiava teologia – Julien fu tradito da un'improvvisa irruzione di quell'ardore che divorava la sua anima. Si trovava da Chélan, a un pranzo di preti durante il quale il buon parroco l'aveva presentato come un prodigio di cultura, quando gli capitò di tessere appassionatamente le lodi di Napoleone. Si legò il braccio destro al petto, sostenne di esserselo slogato spostando un tronco di abete, e lo portò per due mesi in questa scomodissima posizione. Dopo essersi inflitto questa punizione, si concesse il perdono. Tale era il giovane di diciannove anni, ma così fragile in apparenza da dimostrarne tutt'al più diciassette, che, con un fagotto sotto il braccio, stava entrando nella magnifica chiesa di Verrières.

La trovò buia e deserta. In occasione di una festa, tutte le vetrate erano state coperte di stoffa cremisi. Con i raggi del sole, si creava uno splendido effetto di luce, di religiosa imponenza. Julien trasalì. Solo, nella chiesa, si mise nel banco che appariva più bello. Portava lo stemma dei Rênal.

Sull'inginocchiatoio, Julien notò un pezzetto di carta stampata; sembrava esposto perché qualcuno lo leggesse. Vi posò gli occhi e vide: Particolari dell'esecuzione e degli ultimi istanti di Louis Jenrel, giustiziato a Besançon, il…

Il foglio era strappato. Sul rovescio si potevano leggere le prime parole di una riga, ed erano: Il primo passo.

«Chi avrà messo qui questo pezzo di carta? – si chiese Julien. – Povero disgraziato – aggiunse con un sospiro, – il suo nome finisce come il mio…» e accartocciò il foglio.

Uscendo, ebbe l'impressione di vedere del sangue vicino all'acquasantiera. Era un po' d'acqua benedetta versata a terra: per il riflesso dei tendaggi rossi che coprivano le finestre sembrava che fosse sangue.

Julien provò vergogna del suo segreto terrore.

«Sarei forse un vile? – si disse, – all'armi!»

Queste parole, così spesso ripetute nei racconti di battaglia del vecchio chirurgo, erano eroiche per Julien. Si alzò, e si diresse rapidamente verso la casa di Rênal.**

Nonostante i suoi bei propositi, non appena la vide a venti passi di distanza, fu preso da una timidezza invincibile. Il cancello di ferro era aperto, e gli sembrò magnifico. Bisognava entrare.

Julien non era la sola persona a sentirsi turbata dal suo arrivo in quella casa. La signora de Rênal, donna timidissima, era sconcertata all'idea dell'arrivo di quell'estraneo, il quale, per le sue mansioni, si sarebbe trovato costantemente tra lei e i suoi figli. Era abituata a farli dormire nella sua camera. Quella mattina aveva pianto a lungo, vedendo trasportare i loro lettini nell'appartamento destinato al precettore. Chiese invano al marito che il letto di Stanislas-Xavier, il più piccolo, fosse riportato nella sua camera.

La delicatezza femminile arrivava in lei all'eccesso. Si era fatta la sgradevole immagine di un essere grossolano e scarmigliato, incaricato di sgridare e forse anche frustare i suoi figli solo perché conosceva il latino, quella lingua barbara.