Stagione 4 - Episodio 9 (2)
Per settimane il resto del mondo ha osservato con sorpresa e timore quanto accadeva in Cina, convincendosi che il contagio non ne avrebbe oltrepassato i confini in quelle dimensioni e addirittura a volte ipotizzando che l'epidemia potesse essere la fine del grande sviluppo cinese dei vent'anni precedenti, con un riallineamento favorevole agli Stati Uniti e all'Occidente in generale.
Quando è successo il contrario, e il virus si è diffuso nel resto del mondo, più o meno da febbraio, una dopo l'altra quasi tutte le nazioni occidentali hanno adottato restrizioni e misure considerate fino a poco tempo prima impensabili, provocando un collasso dell'economia globale le cui dimensioni fanno impallidire la grande crisi del 2008. Alcune nazioni hanno chiuso le loro economie in risposta a un contagio di cui non si erano accorte, e che era diventato così vasto da portare al collasso del sistema sanitario; altre nazioni lo hanno fatto per evitare di trovarsi in quella situazione. Gli Stati Uniti rientrano purtroppo nella categoria di chi si è mosso in ritardo. E quando gli Stati Uniti hanno cominciato a muoversi, in Cina nel frattempo la quarantena dava già i suoi frutti, e le cose iniziavano a migliorare.
Dovendo fare i conti con un'epidemia ormai largamente contenuta mentre gli Stati Uniti affrontavano il momento peggiore, e dovendo riscattare la propria immagine internazionale dopo la problematica – per usare un eufemismo – gestione iniziale del contagio, il governo di Xi Jinping ne ha approfittato per andare all'attacco. Si calcola che dal primo marzo al quattro aprile la Cina abbia spedito in giro per il mondo circa quattro milioni di mascherine. Non passa più un giorno senza che ci siano notizie di carichi di aiuti partiti dalla Cina verso l'Europa, e medici e consulenti cinesi sono stati accolti in tante nazioni portando consigli e istruzioni sul contenimento dell'epidemia.
[SFX Cina Italia]
Badate, non sono regali: nella maggior parte dei casi sono prodotti che la Cina vende a prezzo di mercato. E la qualità di queste merci è stato oggetto di critiche e discussioni, in Italia ma non solo. I Paesi Bassi hanno dovuto richiamare 600.000 mascherine ricevute dalla Cina, perché difettose. I test che la Cina ha inviato in Spagna, in Slovacchia e in Repubblica Ceca erano di pessima qualità. Ma in un momento in cui è difficile reperire questi dispositivi, il loro prezzo si è impennato, e i paesi si tengono strette le loro forniture, la disponibilità cinese è stata vista come un gesto di grande generosità. Il presidente della Serbia ha accolto gli aiuti personalmente all'aeroporto, ha esposto la bandiera cinese e ha detto che la solidarietà europea in confronto non esiste.
[SFX SERBIA]
I media di stato cinesi raccontano queste attività con grande solennità ed entusiasmo, descrivendole come la più grande operazione umanitaria dalla rivoluzione del 1949, e con il megafono di un apparato informativo in inglese nel quale sono stati investiti miliardi di euro. La partenza verso Madrid di un carico da 110.000 mascherine e 800 tute protettive, per un valore di 50.000 euro, è stata descritta dai media cinesi come un “punto di svolta” per la Spagna. Diplomatici e ambasciatori cinesi in Europa sono diventati ancora più attivi su social network come Facebook e Twitter – irraggiungibili in Cina – per comunicare questi trasferimenti e amplificare il ruolo globale della Cina nel corso di questa epidemia. È chiaro che lo scopo del governo riguarda anche la politica interna: Xi Jinping deve riscattare la sua immagine anche agli occhi dei suoi cittadini. Ma il vero obiettivo è il soft power: usare questa posizione di vantaggio per correre in soccorso di paesi che hanno grande bisogno d'aiuto, e così facendo costruire rapporti più stretti con quei governi, vincere la diffidenza delle popolazioni europee e aumentare la propria influenza.
Anche per questo motivo, i media di stato cinesi non criticano mai la gestione dell'epidemia degli altri paesi, o i governanti degli altri paesi. O meglio: fanno così con tutti tranne che con un paese ben preciso.
Come avete ascoltato in questo servizio del New York Times, gli Stati Uniti sono l'unico paese del mondo che viene regolarmente criticato dai media di stato cinesi per come sta gestendo l'epidemia. E questo ci porta ad affrontare la questione dall'altro lato. [Musica Prize Fight]
Stando ai numeri ufficiali, che come sapete vanno letti con enorme cautela, oggi gli Stati Uniti sono alle prese con l'epidemia più vasta al mondo: hanno il maggior numero di contagiati e il maggior numero di morti. L'amministrazione Trump è stata ondivaga e a lungo ha minimizzato la reale minaccia del virus. Ad aprile sia il governo federale che i governi statali sono stati colti fatalmente impreparati. Gli Stati americani si stanno muovendo in ordine sparso, e di fatto oggi in America non esiste una strategia nazionale ma cinquanta diverse strategie: la decisione di riaprire o non riaprire si basa sulle pressioni politiche di questa o quella parte, e non su una valutazione della diffusione del contagio.
In tutto questo, Donald Trump vede la sua rielezione in pericolo e quindi è ancora più indisciplinato del solito: e soprattutto è più interessato a spostare la discussione su questioni che non siano la sua gestione dell'emergenza. Per esempio, appunto, la Cina. Trump ha chiamato a lungo “chinese virus” il coronavirus, ha accusato Joe Biden di essere debole con la Cina e ha addirittura deciso, nel mezzo di una pandemia, di tagliare i finanziamenti americani all'Organizzazione Mondiale della Sanità, accusata di essere condizionata dalla Cina. [SFX Trump chinese virus]
La reazione della Cina è stata, ovviamente, donare all'OMS altri 30 milioni di dollari, una tantum, per generosità. Si può discutere sul fatto che l'OMS sia o no condizionata dalla Cina, sia chiaro, non è una discussione infondata: ma un governo che volesse contrastare questo fenomeno dovrebbe aumentare il proprio coinvolgimento e il proprio peso, e non ridurlo lasciando campo libero al proprio avversario. La politica estera, come la natura, rifiuta il vuoto.
Un atteggiamento ancora più rivelatore da parte di Trump è arrivato quando si è parlato di aiuti internazionali, lo strumento di soft power per eccellenza. Sentite come Trump ha annunciato la partenza di un carico diretto proprio verso l'Italia.
Quando il 30 marzo Trump ha annunciato la spedizione di un carico di “cose” verso l'Italia, si è premurato di specificare che si trattava di “cose” che agli Stati Uniti non servono, cose che gli sono superflue. È una puntualizzazione anomala per un paese con la storia e la posizione internazionale degli Stati Uniti, e fa il paio con un'altra decisione con cui a marzo gli Stati Uniti hanno cancellato la prevista spedizione in Africa di materiali medico-sanitari, perché quei materiali servivano in patria. Nel frattempo, proprio in Africa il governo cinese sta approfittando di questa crisi per rafforzare ulteriormente i profondi legami già costruiti in questi anni, per esempio alleviando le condizioni per il pagamento del debito che questi paesi hanno nei confronti della Cina.
Ovviamente non scopriamo oggi che Trump vede tutti i rapporti internazionali come un gioco a somma zero, qualcosa in cui c'è sempre qualcuno che vince e qualcuno che perde, qualcuno che frega e qualcuno che viene fregato. Ormai sappiamo abbastanza della sua politica estera. Ma è interessante che Trump abbia cominciato ad adottare la stessa logica anche all'interno degli Stati Uniti, a conferma di un atteggiamento che non riesce a dare valore alla collaborazione e all'aiuto reciproco, nemmeno quando si parla dei suoi concittadini: più volte ha fatto capire di essere disposto ad aiutare solo i governatori che lo trattano bene, e ha parlato delle “nostre” scorte, le scorte del governo, e del fatto che fosse o no il caso di darle a “loro”, cioè i governatori. Trump ha detto persino che se fosse per lui gestirebbe l'epidemia sentendo solo i governatori che lo trattano bene.
Ricapitoliamo. Da una parte c'è la Cina, che viene da vent'anni di crescita economica travolgente e politica estera molto aggressiva, che è stata investita dall'epidemia prima degli altri ma quindi sembra anche esserne uscita prima degli altri, che stava già vedendo crescere la propria influenza internazionale e ora sta approfittando dell'emergenza globale per rinsaldare i rapporti con i governi di mezzo mondo e migliorare la propria immagine. Una strategia che sembra stia già ottenendo dei risultati, anche in Italia. Secondo un recente sondaggio dell'istituto SWG, il 36 per cento degli intervistati italiani pensa che l'Italia debba guardare alla Cina per sviluppare nuove alleanze, contro un 30 per cento che pensa che bisognerebbe guardare gli Stati Uniti. Il numero di italiani che considera la Cina amica dell'Italia, secondo questo sondaggio sarebbe passato dal 10 per cento di gennaio 2020 al 52 per cento di marzo.
Dall'altra parte ci sono gli Stati Uniti, un paese che è stato colpito da una nuova gravissima crisi economica proprio quando aveva cominciato a riprendersi davvero dalla crisi del 2008, che sta reagendo all'epidemia in modo erratico e senza una risposta comune, il cui governo non riesce a imporre decisioni valide per tutto il paese e con un presidente che non sembra interessato a contenere la crescente influenza cinese: e anzi, da prima che arrivasse l'epidemia perseguiva una politica di disimpegno dallo scenario internazionale. Quando sono iniziate a circolare le foto dei primi aerei cinesi che portavano materiale medico-sanitario in Italia e in Europa, i giornalisti americani le hanno commentate dicendo: «Questa cosa qui, una volta, la facevamo noi». Ora non più.
Sulla base di questa situazione, molti esperti e analisti pensano che questa crisi possa accelerare cambiamenti che erano già in corso da anni, e che quindi alla fine dell'epidemia – quando arriverà – gli equilibri di potere del nuovo mondo saranno ribaltati: l'America avrà perso centralità in modo irreversibile e la Cina avrà compiuto una volta per tutte la trasformazione da paese in via di sviluppo, da fabbrica del mondo, a grande potenza globale insostituibile, con la quale tutti dovranno fare i conti da una posizione di subalternità, come era stato con gli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale e per gran parte del Novecento. Un mondo a trazione cinese.
Sentite Bonnie Glaser, politologa esperta di relazioni tra Stati Uniti e Cina e analista di uno dei migliori centri studi al mondo, il Center for Strategic and International Studies.
Per quanto questo scenario sia sicuramente fondato, ed è uno degli esiti possibili di questa pandemia sul piano geopolitico, dobbiamo tenere presente che non è un destino inesorabile. Dobbiamo ricordarci la cosa che vi raccontavo all'inizio di questo episodio: non siamo in grado di guardare ai fatti di questi mesi con gli occhi della storia. Ci sono troppe cose che non sappiamo di quello che stiamo vivendo e di quello che ci aspetta, e lo stesso vale per la Cina. Il virus sembra destinato a farci compagnia purtroppo per un bel po' di tempo e potrebbe riemergere, in Cina come altrove. Quella che oggi sembra una posizione di vantaggio, da parte della Cina, potrebbe non esserlo più tra qualche mese. Potremmo anche scoprire cose che oggi non sappiamo sull'origine del virus, sulla gestione delle primissime fasi dell'epidemia e sui dati ufficiali cinesi, che sembrano davvero troppo bassi a giudicare da quello che è successo nel resto del mondo. Anche la Cina, poi, potrebbe essere investita da una grave crisi economica. Senza contare che Trump potrebbe perdere le elezioni di novembre, e la prossima amministrazione americana potrebbe adottare strumenti diversi per arginare la crescente influenza cinese in giro per il mondo.
Insomma, vedremo quello che ci aspetta. Ma questa è la partita che si sta giocando sul piano internazionale dietro la pandemia da coronavirus. Questa è la prova di forza che alla fine di questa epidemia potrebbe restituirci un mondo dai contorni e dagli equilibri completamente nuovi, com'è accaduto per altri grandi bivi della nostra storia recente, dalla Seconda guerra mondiale alla fine dell'Unione Sovietica. E quindi, comunque vada a finire questa storia, noi cittadini, noi persone curiose del mondo e interessate a quello che ci succede intorno, abbiamo un compito. Quel compito è informarci. Potrebbe sembrarvi strano detto da me, che mi occupo di Stati Uniti, ma se vogliamo capire il mondo in cui abitiamo e quello in cui forse abiteremo, dobbiamo conoscere meglio la Cina. Conosciamo troppo poco un paese che è troppo importante perché sia giustificabile la nostra ignoranza: sulla sua cultura, sulla sua forma di governo, sulla sua storia. Il mio primo consiglio per rimediare è ascoltare Risciò, il podcast di Giada Messetti e Simone Pieranni prodotto da Piano P, che trovate gratis su tutte le piattaforme.[00:00] Messetti ha anche scritto un bel libro sulla Cina, che si intitola “Nella testa del dragone”.[00:00] Ma poi bisognerà anche andarci in Cina, appena sarà possibile.[00:00] Vi lascio con le cose che ha scritto su questo tema sul Post lo storico Lorenzo Ferrari.[00:00] «Se andavi in vacanza in Cina (prima del virus), la domanda che più ti sentivi porre al ritorno era “perché in Cina?” – come se fosse strano decidere di passare un paio di settimane a zonzo nel più grande paese del mondo.[00:00] Nessuno farebbe la stessa domanda al ritorno da un viaggio, che so, a Cuba, in Egitto, o in Vietnam.[00:00] Però invece la Cina fa strano.[00:00] […] Sul volo di ritorno, quello che invece ti chiedi è “perché diavolo non c'ero venuto prima?[00:00] E perché tutti si ostinano a fare le vacanze in Giappone o nel sud-est asiatico, invece di venire qua?”.[00:00] La vera domanda infatti è perché uno non ci dovrebbe andare, in Cina.[00:00] Dove lo trovi un altro paese così vasto, vario, antico, dinamico?[00:00] Un altro stato che ospita le spiagge tropicali ma anche le cime dell'Himalaya, e poi le steppe siberiane e le dune di sabbia con le oasi?[00:00] Un altro impero dalla storia millenaria e dalle decine di minoranze ancora ben visibili, nonostante tutto?[00:00] Un altro mondo che sta cambiando in modo radicale, e che sta cambiando anche noi?[00:00] “C'è voluto COVID-19 per farci conoscere l'esistenza di Wuhan, una delle città più grandi del mondo.[00:00] E almeno questa, conteggiamola tra le conseguenze positive del virus.[00:00] Se andate a vedere l'elenco delle maggiori città del mondo, è probabile che le abbiate sentite nominare quasi tutte, tranne quelle cinesi.[00:00] […] Fa davvero impressione quanto poco conosciamo di quel mondo sterminato e determinante per le nostre società.[00:00] Da turisti, soprattutto davanti ai monumenti, si ha spesso l'impressione di essere privi delle chiavi per capirci qualcosa.[00:00] Ma non è solo un problema di cultura personale, o di mete per le vacanze che ci perdiamo.[00:00] Diventa anche un enorme problema politico ed economico, se ci mancano le coordinate di base per capire una delle superpotenze di questo secolo, in un mondo che non è mai stato tanto interconnesso».