Stagione 4 - Episodio 2
A settembre del 1997 c'è un giornalista che ha tra le mani la notizia dell'anno, come minimo, ma secondo alcuni anche del decennio o del secolo. Questo giornalista, che si chiama Michael Isikoff e lavora per Newsweek, era venuto a sapere di una lunga relazione extra coniugale tra il presidente degli Stati Uniti e una stagista molto più giovane di lui. Poteva sembrare una di quelle storie da tabloid basate sul nulla, ma non lo era: esistevano delle registrazioni, dei nastri, nei quali si poteva ascoltare la stagista in questione parlare a lungo della sua relazione con Bill Clinton, l'allora presidente degli Stati Uniti, peraltro già sotto indagine per molestie. E non finisce qui: Isikoff aveva addirittura una copia di questi nastri. Isikoff era un giornalista investigativo, viveva per queste storie: arrivato in redazione cominciò a scrivere, ma il suo direttore decise di non pubblicare niente. Come facciamo a sapere se ti hanno preso in giro?, gli disse. Come facciamo a sapere di chi è la voce dei nastri? Stiamo parlando del presidente degli Stati Uniti. Lasciamo stare. Troppo rischioso. La storia, insomma, fu affossata. Qualche mese dopo, il 17 gennaio del 1998, un rudimentale sito di notizie che si chiama Drudge Report pubblicò una notizia clamorosa: Newsweek ha le prove della relazione extra-coniugale di Bill Clinton ma non vuole scriverne. La notizia era uscita. Lo scoop di Isikoff era stato bruciato, e lui ci aveva fatto pure una pessima figura. La delusione era gigantesca. Il New York Times qualche tempo dopo lo intervistò e gli chiese se avesse in quel momento avuto dei pensieri suicidi. Isikoff rispose: “No, nessun pensiero suicida. Ma non posso negare di aver avuto qualche pensiero omicida”.
Il 2020 sarà, tra le altre cose, l'anno dell'impeachment di Donald Trump. Per la terza volta nella storia degli Stati Uniti, infatti, un presidente è stato messo formalmente in stato d'accusa. Nel caso di Trump, queste accuse si devono all'ormai acclarato ricatto che ha rivolto al governo ucraino per cercare di spingerlo ad aprire un'indagine contro un suo rivale politico, Joe Biden; ricatto portato avanti bloccando con una mano una tranche di aiuti economici e militari, e promettendo con l'altra mano una visita ufficiale alla Casa Bianca. Insomma, un ricatto portato avanti utilizzando tutta la forza e gli strumenti dell'istituzione che oggi occupa Trump, la presidenza degli Stati Uniti.
Nel momento in cui vi parlo il processo al Senato è appena iniziato, ma salvo sorprese clamorose sappiamo come andrà a finire: il Partito Repubblicano, il partito del presidente, ha una comoda maggioranza al Senato, e il quorum dei due terzi dei senatori richiesto per rimuovere il presidente dalla Casa Bianca è così alto che mai nella storia del paese una procedura di impeachment è andata a buon fine.
Detto questo, non sappiamo tutto. Al di là dell'esito finale di questo processo, infatti, non sappiamo come si svolgerà questo processo. La Costituzione americana non fornisce grandi indicazioni su come vada portato avanti un procedimento di impeachment contro il presidente. Nei fatti, molto dipende dai rapporti di forza al Congresso e dalla prassi. E quando si parla di prassi, in questi casi, non è che ci siano molti episodi a cui guardare. Solo due presidenti prima di Trump sono stati messi formalmente in stato d'accusa. Il primo è stato Andrew Johnson, ma nel 1868: è passato così tanto tempo, e sono cambiate così tante cose, che è inutile guardare al suo caso in cerca di prassi che possano essere riprodotte oggi. Il secondo è stato Bill Clinton, nel 1998. In una storia che è diventata pubblica con quel titolo di Drudge Report di cui parlavo nell'apertura di questo episodio e con le “tendenze omicide” di Isikoff, una storia peraltro che è esemplare dei cambiamenti politici e mediatici avvenuti negli Stati Uniti negli ultimi vent'anni.
Per prima cosa, cerchiamo di capire dove eravamo. Bill Clinton era stato eletto alla presidenza per la prima volta in un modo particolare. Alle elezioni del 1992, infatti, i principali candidati non erano due come al solito, ma tre: c'era il presidente uscente, George Bush padre, candidato per i Repubblicani; c'era Bill Clinton, all'epoca governatore dell'Arkansas, candidato per i Democratici; e poi c'era un ricchissimo imprenditore, Ross Perot, che si era candidato come indipendente anticipando alcune tendenze politiche che sarebbero poi diventate largamente diffuse negli anni a venire. Disprezzo per la classe politica tradizionale, isolazionismo in politica estera, scetticismo verso le cosiddette élite e gli accordi internazionali. Le idee di Perot attecchirono soprattutto a destra, e indebolirono straordinariamente il presidente Bush. Alla fine Perot non vinse in nessun stato ma prese ben il 20 per cento dei voti, abbastanza da impedire a Bush di vincere in diversi stati e quindi da consegnare la vittoria a Bill Clinton, che però a livello nazionale era stato votato solo dal 43 per cento degli americani. Dove voglio arrivare: i Repubblicani – e un po' anche la stampa – considerarono a lungo Bill Clinton un presidente con una legittimazione debole, che era stato eletto senza un vero mandato popolare, visto che era stato votato da una minoranza degli americani. Due anni dopo, nel 1994, i Democratici furono travolti alle elezioni di metà mandato e persero la maggioranza sia alla Camera che al Senato.
Clinton era un politico abile e carismatico, l'economia degli Stati Uniti andava molto bene e nel 1996 i Repubblicani non riuscirono a opporgli un candidato altrettanto forte, mentre di nuovo Ross Perot si candidò ottenendo l'8 per cento dei voti, risultando di nuovo decisivo. Quindi fu rieletto, insomma, ma di nuovo senza ottenere la maggioranza assoluta dei voti, che in un sistema maggioritario e bipolare vuol dire essere un po' azzoppati, come dire. Durante il suo secondo discorso di insediamento, Clinton disse di voler riparare e rammendare il tessuto lacerato della politica statunitense e della civiltà del discorso pubblico. Chi visse quegli anni ricorda che a tutti quel periodo sembrava il più tossico e il più polarizzante che avessero mai sperimentato.
Come spesso accade in questi casi, bisogna dire, l'appello di Bill Clinton a lavorare insieme ed evitare battibecchi meschini ed estreme partigianerie non andò da nessuna parte. Qualche anno prima i Repubblicani al Congresso avevano nominato un procuratore speciale, Kenneth Starr, perché indagasse su un presunto scandalo legato ad alcuni vecchi investimenti immobiliari di Bill e Hillary Clinton. L'indagine di Starr si allargò quando una donna, Paula Jones, si fece avanti sostenendo di essere stata molestata da Bill Clinton, ma anche quel filone di indagine era finito per arenarsi. Starr era un procuratore molto agguerrito e i Repubblicani cercavano in ogni modo di alzare il livello dello scontro e mettere Clinton sotto pressione, ma alla fine tutti questi filoni stavano per esaurirsi senza portare a niente. Nel 1997 Starr era sul punto di lasciare l'incarico di procuratore e andare a insegnare all'università, quando cambiò idea. Per capire cosa accadde, però, dobbiamo fare un passo indietro.
Durante l'estate del 1995 una ragazza di 22 anni laureata in psicologia iniziò un tirocinio alla Casa Bianca. Uno stage non pagato, come molti tirocini estivi. Pensate ai giri della storia, e all'imprevedibilità di quello che ci circonda: a causa dei pessimi rapporti fra Clinton e i Repubblicani, nell'autunno del 1995 ci fu uno shutdown del governo federale. Il Congresso non riuscì a trovare un accordo sul bilancio, proprio come è successo qualche anno fa, e il governo federale dovette interrompere tutte le sue attività non essenziali per mancanza di fondi. Molti dipendenti del governo e quindi anche della Casa Bianca nei giorni dello shutdown restarono a casa, visto che non percepivano lo stipendio. La Casa Bianca quindi continuava a lavorare grazie ad alcuni funzionari anziani e a quello degli stagisti, che non erano toccati dallo shutdown perché non erano pagati in ogni caso.
Proprio a causa della mancanza di personale questa giovane stagista fu assegnata all'ufficio del capo dello staff di Clinton, Leon Panetta, probabilmente la persona più importante alla Casa Bianca dopo il presidente. Questo nuovo incarico in un ufficio così cruciale la portò a entrare e uscire più volte dallo Studio Ovale per consegnare carte e documenti, e quindi a entrare in contatto con il presidente Clinton. Questa ragazza si chiama Monica Lewinsky.
Nessuno sa come i due cominciarono questa sorta di relazione – a dire il vero, io ho persino qualche dubbio sul fatto che si possa chiamare relazione. Una ragazza di 22 anni al primo lavoro della sua vita si ritrovò a lavorare alla Casa Bianca e scoprì che l'uomo più potente del mondo – un uomo particolarmente affascinante e carismatico – le dedicava delle attenzioni particolari. Tratteneva la sua mano un secondo di più, dopo che si salutavano. La fissava da lontano. In un discorso bellissimo che vi consiglio di vedere, durante un TED, Monica Lewinsky l'ha messa così: “Quando avevo 22 anni, mi sono innamorata del mio capo. È stato un errore di cui avrei capito le devastanti conseguenze. Quanti di voi non hanno fatto un errore a 22 anni? !”
Gli altri dipendenti della Casa Bianca notarono la simpatia evidente tra Clinton e Lewinsky. Notarono che lei entrava e usciva spesso dallo Studio Ovale, a volte anche senza un motivo preciso. Non sapevano niente di quello che stava succedendo, ma sospettavano che non fosse niente di buono. Quindi nell'aprile del 1996 Lewinsky venne trasferita al Pentagono. Lavorando al Pentagono, Lewinsky attrasse l'attenzione di una collega più grande, Linda Tripp, che era molto incuriosita dal fatto che una ragazza così giovane avesse lavorato così a stretto contatto col presidente. Nel giro di qualche settimana Lewinsky e Tripp diventarono amiche – Lewinsky era contenta di aver legato così presto con qualcuno in un posto di lavoro impegnativo come il Pentagono – e Tripp le chiedeva spesso dei suoi mesi trascorsi alla Casa Bianca. Lewinsky non ci vedeva niente di male: d'altra parte, anche voi fareste un sacco di domande a un vostro amico o a una vostra amica se sapeste che quella persona ha passato nove mesi a stretto contatto con Barack Obama o con Donald Trump. Quello che Monica Lewinsky non sapeva è che Linda Tripp era una feroce oppositrice di Bill Clinton, che detestava, e sperava di ottenere qualche informazione che potesse passare alla stampa per mettere in difficoltà il presidente. La ottenne, eccome se la ottenne.
Dopo qualche tempo, quando pensava di potersi fidare, Monica Lewinsky confidò a Linda Tripp di aver avuto una relazione con Bill Clinton. Glielo disse peraltro nei modi ingenui e un po' infantili con cui lei all'epoca pensava a quella relazione: diceva di essersi innamorata, diceva che lui le aveva fatto delle promesse, diceva che tra loro c'era qualcosa di speciale, qualcosa che non era finito. Tripp proseguì queste conversazioni con Lewinsky, ma per ragioni di riservatezza la convinse che sarebbe stato meglio non parlarne sul posto di lavoro, al Pentagono, per paura che qualcuno potesse carpire qualcosa. Sentiamoci al telefono, quando siamo a casa.
A settembre del 1997 Tripp e Lewinsky cominciarono a parlare al telefono, quindi. Lewinsky raccontò dei molti momenti fugaci di intimità che aveva avuto con Bill Clinton alla Casa Bianca, e raccontò anche di avergli praticato più volte del sesso orale dentro lo Studio Ovale. Durante queste telefonate, Linda Tripp registrava tutto.
A un certo punto Lewinsky raccontò di aver conservato per ricordo un vestito blu di Gap macchiato dallo sperma di Clinton, e che lo avrebbe portato a un lavasecco per poterlo indossare a una riunione di famiglia. Al contrario di quello che alcuni pensano, Lewinsky non conservò il vestito per incastrare Clinton. All'epoca, Lewinsky tutto voleva meno che rendere pubblica la storia che l'aveva coinvolta col presidente, una prospettiva che evidentemente la terrorizzava. Tripp disse a Lewinsky di non lavare il vestito, perché se le cose fossero andate male quella prova avrebbe potuto proteggerla da ricatti e intimidazioni. Quando Lewinsky disse di non essere convinta e di volerlo indossare ancora le disse che comunque quel vestito le stata male e la faceva sembrare grassa.
Tripp raccontò tutta questa storia a una sua amica, un'agente letteraria che si chiama Lucianne Goldberg e che – anche lei – detestava Bill Clinton. Le due discussero di cosa fare. Scrivere un libro? Cercare di rubare il vestito blu di Monica Lewinsky e farlo arrivare alla stampa? Alla fine, su consiglio di Goldberg, Linda Tripp prese i nastri con le registrazioni di Monica Lewinsky e li consegnò al procuratore speciale Kenneth Starr, quello ingaggiato dai Repubblicani che stava indagando a tappeto su Bill Clinton. Nel frattempo l'agente letteraria amica di Tripp, Goldberg, cominciò ad allertare con cautela qualche giornalista, tra cui il Michael Isikoff con cui abbiamo cominciato questo episodio.
Questa non era Monica Lewinsky, ma Paula Jones, una donna che qualche anno prima aveva accusato Bill Clinton di averla molestata in un hotel di Little Rock, in Arkansas. Clinton ha sempre negato persino di aver mai incontrato questa donna, ma all'epoca il procuratore Starr stava indagando anche su questa accusa. Appreso dell'esistenza delle registrazioni di Monica Lewinsky, Starr la chiamò riservatamente a testimoniare, insieme a Linda Tripp: voleva capire se poter costruire un quadro più ampio e descrivere un comportamento generalmente predatorio da parte del presidente Clinton verso le donne. Lewinsky negò di aver avuto una relazione con Clinton, e chiese a Tripp di mentire durante il suo interrogatorio. Tripp invece disse la verità a Starr e non solo, accettò di incontrare di nuovo Lewinsky indossando un registratore, in accordo con l'FBI. Una registrazione raccolta in quel modo avrebbe avuto molto più peso di quelle fatte autonomanente da Linda Tripp in passato: Monica Lewinsky aveva mentito sotto giuramento, e ora Starr lo sapeva.
Siamo a gennaio del 1998. Starr chiamò a testimoniare Bill Clinton con il suo avvocato. Un giudice disse che Monica Lewinsky nella sua deposizione aveva dichiarato che «non c'è una relazione sessuale in nessuna forma» tra lei e Clinton, e chiese a Clinton di confermare o smentire questa frase. «È assolutamente vero», disse Clinton. Il 17 gennaio il sito Drudge Report pubblicò la notizia con cui abbiamo aperto questo episodio: Newsweek sa di una relazione extraconiugale del presidente, ha le prove, ma non vuole scriverne. Forse fu imbeccato da Goldberg, l'agente letteraria. La notizia fu una valanga e fu la prima, vera dimostrazione globale della potenza di Internet, come ha raccontato poi la stessa Monica Lewinsky.
La storia diventò enorme. La stampa di tutto il mondo non parlava d'altro. Le informazioni cominciarono a trapelare, una dopo l'altra, ora dopo ora. Le espressioni facciali di Hillary e Bill Clinton in ogni apparizione pubblica venivano dissezionate e analizzate. Soprattutto un canale televisivo appena nato, Fox News, cominciò a seguire questa vicenda con straordinaria intensità, mentre i network tradizionali se ne occupavano con fastidio, con reticenza, come si fa con una voce di gossip, una storia futile. Qualcuno cominciò a dire che Clinton aveva mentito sotto giuramento e aveva invitato altri testimoni a mentire sotto giuramento. Cominciò a circolare anche il contenuto delle registrazioni. Una stagista aveva praticato del sesso orale al presidente dentro lo Studio Ovale. Una roba così non si può nemmeno inventare, i giornalisti e le persone uscirono fuori di testa. Ovviamente cominciò a circolare anche il nome dell'amante di Clinton.
Nella società dell'epoca non mancava solo la sensibilità per capire quello che stava succedendo, ma mancavano proprio le parole. Non so se oggi i giornalisti si comporterebbero meglio, ma sicuramente oggi quello che attraversò Monica Lewinsky in quei giorni lo chiameremmo bullismo, violenza. Improvvisamente Monica Lewinsky era la donna più famosa del mondo, ed era famosa per qualcosa per cui nessuno vorrebbe essere famoso. La sua immagine fu completamente devastata, lei fu completamente devastata, umiliata, insultata e derisa a ogni ora del giorno e della notte, in ogni paese del mondo.
Il 26 gennaio, quasi dieci giorni dopo, Bill Clinton parlò per la prima volta in pubblico di questa storia, pronunciando una frase che sarebbe rimasta nella storia.
«Voglio dire una cosa al popolo americano. Ascoltatemi bene. Non ho avuto rapporti sessuali con quella donna. La signora Lewinsky. Non ho mai detto a nessuno di mentire, non una sola volta. Queste accuse sono false». Una dichiarazione forte, una dichiarazione falsa, che peraltro non chiuse affatto la vicenda, anzi. La storia montò ulteriormente, occupò completamente il dibattito pubblico e i talk show come niente era riuscito a fare dai tempi del caso Watergate e dalle dimissioni di Nixon. In tutto questo, peraltro, il procuratore Starr stava ancora mettendo assieme la sua inchiesta, e quindi propose un accordo a Monica Lewinsky, che aveva mentito sotto giuramento: la piena immunità in cambio di una piena testimonianza. Lewinsky accettò, confermò il contenuto dei nastri e fornì a Starr il vestito sul quale sosteneva fossero ancora presenti tracce dello sperma di Clinton , cosa che sarebbe stata poi confermata da un test del DNA. Starr convocò allora Clinton per un'altra testimonianza a porte chiuse, e Clinton accettò.
Il 17 agosto del 1998 Clinton testimoniò davanti al gran giurì, e cercò di difendersi dall'accusa di aver mentito sotto giuramento nella deposizione di gennaio. All'epoca a Clinton era stato chiesto di confermare o smentire la frase per cui tra lui e Lewinsky «non c'è una relazione sessuale in nessuna forma». Clinton disse di non aver mentito, o meglio: disse che dipendeva dal significato della parola è. Oggi abbiamo il video di quella deposizione: non è di grande qualità, ma è un documento storico.
Clinton disse che al momento della deposizione la sua relazione con Lewinsky era conclusa, anche se lei continuava a mandargli cartoline e lettere d'amore, e quindi non aveva mentito dicendo che «non c'è una relazione sessuale» con Lewinsky, al presente. C'era, semmai, al passato. Non era una spiegazione così convincente, ma quella non fu la cosa più difficile che Clinton dovette fare quel giorno. Conclusa la sua deposizione, si presentò davanti alla stampa e ammise di aver avuto una relazione inappropriata con Monica Lewinsky.
Clinton si scusò con sua moglie, con la sua famiglia e con gli americani. Disse di aver fatto un grave errore di cui si era pentito, ma ribadì di non aver cercato di ostacolare la giustizia e di non avere intenzione di dimettersi. I Repubblicani intanto erano completamente scatenati: anni e anni di tentativi di mettere in difficoltà Clinton li avevano portati effettivamente a qualcosa di molto grosso. Una storia dalla quale era impossibile togliere gli occhi, e un presidente che aveva mentito sotto giuramento. Clinton provò a continuare a governare, tra molte difficoltà, ma intanto l'indagine del procuratore Starr continuò ad andare avanti e si concluse a settembre. L'imponente rapporto finale di Starr fu reso pubblico dalla Camera e diventò, sempre grazie a Internet, il documento diffuso più rapidamente al mondo. Il contenuto di quel documento, le descrizioni dettagliatissime dei rapporti tra Clinton e Lewinsky erano praticamente pornografia: come ha raccontato Dana Bush di CNN, i giornalisti non sapevano nemmeno come descriverlo, come parlarne.
Il rapporto attirò l'attenzione morbosa di tutto il mondo, ma la sua diffusione pubblica oggi è considerata il primo di una lunga serie di errori dei Repubblicani. Il documento era davvero molto prolisso ed estremamente dettagliato dal punto di vista sessuale. Gli americani inizialmente ne erano attratti come magneticamente, ma dopo un po' cominciarono a stancarsi e cominciarono a trovare tutto questo spettacolo eccessivo, volgare, umiliante per tutte le persone coinvolte. Il vero problema per Clinton era aver mentito sotto giuramento, ma la diffusione del rapporto rendeva impossibile per la stampa e per l'opinione pubblica concentrarsi su questo, e mostrava questa storia in fondo come una banale storia di corna: niente che riguardasse il potere, la politica o la sicurezza nazionale. I Repubblicani, però, avevano la maggioranza alla Camera, e non si fermarono.
Il 5 ottobre – soltanto un mese prima le elezioni di metà mandato – la commissione Giustizia della Camera avviò la procedura di impeachment contro Clinton, accusandolo di aver mentito sotto giuramento e di aver ostacolato le indagini. La procedura fu approvata tre giorni dopo. Tutti si attendevano, a quel punto, una durissima sconfitta per i Democratici alle elezioni di metà mandato: i Repubblicani avevano giocato tutta la campagna elettorale sulla disonestà del presidente, sull'impeachment e sul caso Lewinsky. Le cose, però, andarono in un altro modo.
I Democratici tennero botta. Guadagnarono cinque seggi alla Camera, mentre al Senato la situazione rimase la stessa di prima. I Repubblicani capirono che questa vicenda paradossalmente li aveva indeboliti: gli americani avevano trovato divertente e poi imbarazzante l'intera vicenda, ma forse non meritevole di un'indignazione così vasta. Inoltre l'economia americana era in una fase di grande espansione, ed era difficile non vedere una certa ipocrisia puritana da parte dei Repubblicani nella morbosità con cui si erano concentrati su questa storia. Nel frattempo, infatti, vennero fuori innumerevoli casi di infedeltà coniugale da parte degli stessi Repubblicani che accusavano Clinton. Lo speaker della Camera e capo dei Repubblicani al Congresso, Newt Gingrich, si dimise dopo le elezioni di metà mandato e dopo che emerse che anche lui aveva tradito sua moglie. Il suo successore, Bob Livingston, ammise addirittura in aula di aver avuto anche lui una relazione extra coniugale, e rinunciò anche lui all'incarico.
Il processo di impeachment arrivò al Senato e si chiuse rapidamente. I senatori Repubblicani avevano visto gli effetti dell'impeachment sui loro colleghi della Camera e non volevano farsi trascinare nello stesso guaio. Trent Lott, uno dei leader del partito al Senato, disse ai suoi colleghi: «Non ci importa se avete delle foto di Clinton in piedi sopra a una donna morta con una pistola fumante in mano. Io ho 55 senatori Repubblicani, sette dei quali devono essere rieletti il prossimo anno in elezioni molto incerte. Voi della Camera vi siete buttati giù da un dirupo, e noi non vi seguiremo». Il 12 febbraio la mozione per rimuovere Clinton dalla Casa Bianca fu respinta: l'impeachment era fallito.
In quel momento a tutti sembrò che i Democratici avessero vinto e i Repubblicani avessero perso, e per carità, effettivamente fu così. Ma l'eredità, il lascito del caso Lewinsky fu ben più sfaccettato e profondo nella politica americana, in un modo che all'epoca sarebbe stato impossibile da prevedere. Per esempio, molti credono che il caso Lewinsky fu determinante nella successiva sconfitta del Democratico Al Gore, il vice presidente di Clinton, alle elezioni presidenziali del 2000. Al Gore decise di allontanarsi da Clinton, la cui reputazione aveva subito comunque un durissimo colpo, e scelse come suo candidato alla vicepresidenza Joe Lieberman, il Democratico più critico con Clinton. Finì per apparire sleale verso il suo predecessore senza mostrarsi però davvero lontano e indipendente da quella vicenda.
Inoltre, con il caso Lewinsky la politica americana attraversò una specie di punto di non ritorno: la dialettica polarizzante e violenta di quei mesi, in cui ogni mezzo era diventato valido per colpire l'avversario, non ritornò mai alla normalità. Lo vediamo ancora adesso. L'atteggiamento spregiudicato dei media nell'analizzare la vita privata dei politici si era dimostrato estremamente redditizio in termini di spettatori televisivi e copie vendute, e anche questo lo vediamo ancora adesso. Per non parlare della potenza straordinaria e senza precedenti di Internet nel far circolare le notizie, specialmente le più morbose e sensazionali.
Per quanto fallito, poi, l'impeachment restò come una grossa macchia nella carriera presidenziale di Bill Clinton, e indebolì moltissimo il suo profilo soprattutto dopo la fine della sua presidenza. Per quanto riguarda Monica Lewinsky, sicuramente la vera vittima di questa storia, dopo un primo periodo in cui cercò goffamente di sfruttare la popolarità ricevuta suo malgrado, si trasferì a Londra cercando di farsi una nuova vita, e sparì dalla circolazione. È tornata ad avere una presenza pubblica soltanto qualche anno fa, dando diverse interviste e impegnandosi nella sensibilizzazione sui temi della gogna pubblica e del bullismo, e raccontando di essere forse l'unica quarantenne che non vorrebbe avere di nuovo vent'anni. Qualche tempo fa su Twitter intervenne in una discussione sul mondo del lavoro che ruotava attorno alla domanda: qual è il peggior consiglio professionale che hai mai ricevuto? La sua risposta: uno stage alla Casa Bianca starebbe benissimo sul tuo curriculum.