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Podcast Italiano (2), Storia della lingua italiana: i documenti più antichi

Storia della lingua italiana: i documenti più antichi

Ciao a tutti, benvenuti e bentornati su Podcast Italiano, il podcast per imparare la lingua italiana attraverso contenuti interessanti e autentici. Questo episodio, di livello avanzato, fa parte di una serie che ho iniziato qualche tempo fa incentrata sulla storia della lingua italiana. Questo è il secondo capitolo del nostro viaggio all'interno della storia dell'italiano. Troverete l'intera trascrizione di questo episodio sul mio sito, podcastitaliano.com. Il link è nella descrizione dell'episodio.

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Iscriviti ad Italki e fai una lezione di prova gratis! La campagna scade il 15 settembre 2020! Assodato: qualcosa che si sa bene, una verità ben nota established, undisputable Prima di affrontare l'argomento di oggi vorrei riprendere alcuni concetti importanti che ho spiegato nel primo capitolo (il quale vi consiglio di ascoltare prima di questo se non lo avete ancora fatto).

Nel primo episodio di questa serie abbiamo parlato del latino volgare, ovvero quell'insieme di lingue (perché non si trattava di una sola lingua unitaria) parlate dal popolo romano, vale a dire dalle persone comuni. Un insieme di lingue che era molto eterogeneo, variegato, in quanto il territorio sotto il controllo di Roma era, come sapete, piuttosto vasto. Nell'episodio di oggi impiegherò nuovamente la parola volgare, ma non riferendomi al latino volgare di cui abbiamo parlato la scorsa volta: dobbiamo infatti fare una distinzione tra “latino volgare e “volgare” tout court. Il termine “volgare” in Italia ha iniziato ad essere impiegato nel medioevo, con il significato di lingua bassa, lingua del popolo; quindi in contrapposizione con la lingua latina conosciuta e utilizzata dai letterati, dagli studiosi, dalle persone dotte. Come abbiamo visto nel corso dei secoli il latino volgare si è distanziato così tanto dalla lingua latina classica che progressivamente è diventato sempre più incomprensibile: una vera e propria lingua straniera, che nessuno parlava da madrelingua e che bisognava studiare, come voi studiate oggi l'italiano. Dicevo, nel medioevo si parlava quindi di “volgari”, al plurale, per indicare grossomodo ciò che noi chiameremmo “dialetti”. Il termine “dialetto” però ha iniziato ad essere impiegato solamente nel periodo del Rinascimento italiano, quindi non prima del Quattrocento..

A proposito, una breve parentesi linguistica. In italiano è comune fare riferimento ai secoli in due maniere: per esempio, per riferirci al periodo che va dal 1401 al 1501 potremmo parlare di “quindicesimo secolo” o anche di “Quattrocento”, omettendo “Mille” e mantenendo solo “Quattrocento”, (e questo vale per tutti i secoli dopo l'anno 1000, quindi Cento, Duecento, Trecento, ecc.). Quando li scrivete, ricordatevi che la prima lettera va maiuscola, grande. Quindi “Quattrocento” e quindicesimo (XVI) secolo sono sinonimi, mentre per fare riferimento a un secolo precedente l'anno 1000, per esempio, quello che va dall'anno 501 all'anno 600 d.C (dopo Cristo) dobbiamo per forza parlare di “sesto secolo” (V).

Dicevo, si è iniziato a parlare di dialetti a partire dal Quattrocento (quindicesimo secolo, quindi). “Dialetto” è un termine preso in prestito dalla lingua greca e che, come “volgare”, denotava una contrapposizione tra lingua alta e di prestigio, ovvero l'italiano (che a quel punto non era più considerato un semplice volgare ma lingua della letteratura a pieno titolo) e la lingua bassa, delle persone comuni, il dialetto.o Insieme: un gruppo, una serie a set, a series

Eterogeneo misto, vario diverse, mixed

In contrapposizione contrapposto, opposto a as opposed to, in contrast to

dotto (agg. qui) colto, erudito learned, erudite

(lettera) maiuscola lettera grande capital letter a pieno titolo (qui) riconosciuta universalmente come tale in its own right Ma “non mettiamo il carro davanti ai buoi”, come diciamo noi, che significa “non anticipiamo i tempi”. Riprendiamo la storia della lingua italiana da dove l'abbiamo lasciata, ovvero da quel periodo successivo la caduta dell'Impero Romano d'occidente, quindi nell'Alto medioevo, ovvero all'incirca nel sesto, settimo, ottavo, nono secolo: la lingua latina volgare sta mutando in ogni zona del territorio che in passato apparteneva a Roma, la cosiddetta Romània (da non confondere con Romanìa che indica il paese che ha come capitale Bucharest).

È ben consapevole di questa differenza Carlo Magno, re dei Franchi, che nell'anno 813, un anno prima della sua morte, convoca il Concilio di Tours. In questa riunione si decide che nei territori che corrispondono alle odierne Francia e Germania , che erano dominate dai Franchi, l'omelia (cioè la parte della messa in cui il sacerdote si rivolge ai fedeli, che si chiama anche predica) non andava più detta in latino, ma nella “rusticam Romanam linguam aut Theodiscam, quo facilius cuncti possint intellegere quae dicuntur”, ovvero “nella lingua romana rustica tedesca, affinché tutti possano comprendere facilmente ciò che viene detto”. Questo era importante affinché le persone potessero capire che diavolo stesse dicendo il sacerdote. La predica era, in un certo senso, la parte più importante della messa in cui i fedeli ricevevano dei consigli morali e di comportamento. Era quindi importante che le persone capissero almeno quella parte della messa. Il resto della messa è rimasto in latino fino al 1965, pensate.

Il concilio di Tours è in qualche modo l'”atto di nascita delle lingue romanze”, ma in quale anno nasce la lingua italiana? Non è una domanda di facile risposta. Siamo in possesso di diverse testimonianze scritte che risalgono all'Alto medioevo e agli inizi del Basso Medioevo, quindi dopo l'anno 1000, documenti che confermano due cose: la prima è che la lingua parlata dal popolo era qualcosa di diverso dal latino e la seconda è che, in alcuni casi, non sempre, chi scriveva aveva consapevolezza di ciò, c'era quindi una “coscienza linguistica”. Se abbiamo motivo di pensare che l'autore di un documento lo abbia scritto in volgare di proposito allora possiamo parlare di “coscienza linguistica” e di “intenzionalità” nel preferire il volgare al latino (che per diversi secoli dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente è rimasta l'unica lingua in cui abitualmente si scriveva). Come vedremo ci sono casi di autori che, si ipotizza, pensavano di star scrivendo in latino, senza rendersi in realtà conto del fatto che il proprio latino fosse molto scorretto e distante dal latino classico e per molti versi simile alla lingua volgare.

Ed è questo il caso del primissimo documento che è giunto a noi. A proposito, se vi interessa vedere le immagini dei documenti e delle iscrizioni di cui parleremo le potrete vedere seguendo il link nella descrizione di questo episodio che vi porterà al mio sito. mettere il carro davanti ai buoi (frase idiomatica) essere precipitosi, agire in modo prematuro put the cart before the horse odierno di oggi today's, modern day's sacerdote =prete (cattolico) priest testimonianza prova, dimostrazione (in senso figurato) proof, evidence consapevolezza coscienza (da “consapevole”) awareness di proposito volontariamente, intenzionalmente on purpose, intentionally per molti versi per molti aspetti in many ways, in many respects L'INDOVINELLO VERONESE Sto parlando del cosidetto “indovinello veronese”. Un indovinello sarebbe un breve enigma in versi in cui bisogna, appunto, “indovinare” di che si sta parlando: un oggetto, un animale, una persona. L'indovinello veronese fu scoperto nel 1924 nella Biblioteca Capitolare di Verona su un manoscritto datato all'inizio del VIII secolo, scritto in Spagna e giunto a Verona non molto tempo dopo. Il manoscritto era in latino ma al margine superiore della pagina furono aggiunte successivamente alla scrittura del codice due brevi note, probabilmente proprio per mano di una persona di Verona: la prima, che è l'indovinello vero e proprio, in volgare , la seconda in latino corretto. Vediamo l'indovinello originale. L'indovinello è il seguente:

“Se pareba boves Alba pratalia aràba Et albo versorio teneba Et negro semen seminaba”

Come forse avete notato è un indovinello che ha un suono piuttosto latino e non ci sembra poi così tanto italiano. Andiamo ad analizzare verso per verso.

Se pareba boves – spingeva avanti i buoi (o secondo altre interpetazioni “I buoi apparivano”). Cosa sono i buoi? Un bue (al plurale buoi) è un animale, il maschio castrato del toro addomesticato. Pensate anche alla parola “bovino”, che deriva proprio da “bovem” in latino. I buoi tradizionalmente venivano impiegati come animali da soma, cioè animali da lavoro, per trasportare materiali, trainare macchine, come per esempio l'aratro, con cui si aravano i campi, ovvero si preparava il terreno per la sua successiva lavorazione. Torniamo a noi: “se pareba boves”, “spingeva avanti i buoi” (ancora oggi a quanto pare in veneto “parar” significa spingere), oppure secondo un'altra versione “i buoi apparivano”, che sarebbe da interpretare come “ecco i buoi”, una formula impiegata a quanto pare spesso proprio negli indovinelli. Proseguiamo.

alba pratalia aràba – arava bianchi prati – arava, “arare” significa come ho detto un attimo fa lavorare con l'aratro, preparare il terreno per la nuova coltivazione. Notiamo l'aggettivo “alba”, da “albus” in latino che significava “bianco”. “Bianco” è una di quelle parole germaniche che sono entrate in italiano (e in tante lingue romanze), che probabilmente non era ancora impiegata ai tempi dell'autore di questo indovinello. Quindi: spingeva avanti i buoi, arava i bianchi prati. Bianchi prati?! Ma voi conoscete prati bianchi?

et albo versorio teneba – teneva un bianco aratro, o in italiano diremmo “reggeva”, quindi “teneva con le mani”.

et negro semen seminaba – e un nero seme seminava.

Ricapitolando: l'oggetto dell'indovinello spingeva (forse) dei buoi, arava bianchi prati, reggeva un bianco aratro e seminava un seme nero. Qualche idea? Che cosa può essere? Probabilmente nessuno di voi ha indovinato, ma la risposta è… uno scrittore! Sì, lo scrittore viene paragonato a una persona che spinge avanti i buoi (che sarebbero le sue dita), ara prati bianchi (ovvero il foglio bianco della pergamena su cui scrive, che “ara” metaforicamente), regge un aratro bianco (la penna d'oca, che era bianca) e semina un seme nero (ovvero l'inchiostro nero della penna). Come dicevamo prima, benché la lingua sia piuttosto latina per molti aspetti contiene comunque alcuni tratti marcatamente volgari. Per esempio, in latino per indicare l'oggetto diretto diremmo “nigrum”, non “negro” (abbiamo visto nello scorso episodio che i casi latini nel corso dei secoli sono scomparsi); i verbi all'imperfetto avrebbero avuto una -t (quindi “arabat”, “tenebat”, “seminabat”) che qui è scomparsa; al posto di “se” avremmo avuto “sibi”.

Questo è un testo piuttosto controverso perché, come dicevo prima, non possiamo essere sicuri dell'intenzionalità e della consapevolezza dello scrivente (o scrittore) di scrivere in volgare anziché in latino. Colui o colei che scriveva sapeva di star scrivendo in volgare o semi-volgare? Era una scelta voluta? Oppure pensava di star scrivendo in latino, un latino che però evidentemente non padroneggiava molto bene? E come possiamo chiamare questa lingua? Latino scorretto, volgare, semivolgare, proto-italiano? La mancanza di risposte certe a queste domande rende difficile attribuire a questo testo il titolo di “primo documento della lingua italiana”. Quindi proseguiamo, passiamo al prossimo documento e vediamo se troviamo un candidato più adatto. bue maschio castrato del toro addomesticato ox animale da soma animale da lavoro beast of burden aratro macchina agricola plow prato terreno coperto d'erba lawn, field, meadow pergamena pelle trattata su cui si scrive parchment GRAFFITO DELLA CATACOMBA DI COMMODILLA Il prossimo documento che esamineremo è il graffito della catacomba di Commodilla a Roma. A proposito, sapevate che la parola “graffiti”, presente in tante lingue, deriva dall'italiano? Nello specifico dal verbo “graffiare”, quello che, per esempio, può farvi un gatto se gli date fastidio. Ecco, questa catacomba fu impiegata come luogo di culto per alcuni secoli e conteneva i corpi di due santi, Felice e Adàutto (si, si chiama proprio così, Adàutto). Sullo stucco di una cornice di un affresco è presente un'iscrizione che risale al periodo tra il VI e l'VIII secolo.

L'iscrizione recita:

“Non dicere ille secrita abboce”,

che possiamo tradurre come “Non dire i segreti a voce alta”.

I segreti sarebbero in realtà le orazioni segrete della messa: l'autore era probabilmente un prete che invitava i suoi colleghi a recitare a voce bassa il Canone della messa, secondo un'usanza introdotta ai tempi di Carlo Magno nell'VIII secolo, il che potrebbe aiutarci a datare l'iscrizione in un periodo successivo all'VIII secolo, perché prima quella cosa non si faceva. Anche nel caso dell'iscrizione nella catacomba di Commodilla è difficile affermare con certezza che ci fosse la consapevolezza da parte dell' autore di star scrivendo in una lingua volgareggiante, simile al volgare; in ogni caso è interessante osservare le caratteristiche tipiche del parlato. Andiamo ad analizzarle. In questa iscrizione notiamo l'uso di “Ille” (Ille secrita, i segreti) che non significa tanto “quei segreti” (significato che avrebbe avuto in latino) ma piuttosto “i segreti”. Infatti il pronome dimostrativo latino “ille” (“quello ” in italiano) era già mutato e la sua funzione si era ridotta a quella di semplice articolo. Proprio da “ille” abbiamo ottenuto nelle lingue romanze i nostri articoli: “il” in italiano, “el in spagnolo”, “le” in francese e via dicendo.

Interessante anche “ABBOCE”, che significa “a voce” alta. Ecco, questo rappresenta un fenomeno che esiste ancora oggi, chiamato raddoppiamento fonosintattico. Non vi lasciate spaventare dal termine, non è così difficile, ve lo prometto. Nei dialetti italiani centro-meridionali, tra cui il fiorentino, quindi anche in italiano standard, quando abbiamo alcuni costrutti come, per esempio, preposizione + un'altra parola (come in questo caso, “a voce”) la prima consonante della seconda parola (la “v” di “voce” nel nostro caso) si pronuncia doppia (o geminata direbbero i linguisti). Per questo anche in italiano moderno standard si dice “avvoce” e non “a voce” (pronununciato senza raddoppiamento della v). Questo fenomeno fonetico si può individuare in tante parole italiane in cui questa pronuncia è rispecchiata proprio dalla grafia, dal modo in cui si scrive: pensate a “davvero” (da + vero), “affatto” (a + fatto), “eppure” (e + pure) e tantissime altre. Questa pronuncia è tipica, come ho detto (“èttipica” come “hoddetto”), di tanti dialetti centro-meridionali e del toscano, dialetto (o volgare) da cui, come sapete, deriva l'italiano. Se andate al nord questo fenomeno di norma lo dovreste sentire molto di meno (in base alle origini geografiche della persona con cui state parlando e altri fattori), ma visto che io adotto una pronuncia “standard” per registrare questo podcast dico proprio “avvoce” e non “a voce”. Bene, questo raddoppiamento fonosintattico è visibile in “abboce”. Ma perché esiste questo fenomeno? Beh, perché in latino non si diceva “a” ma “ad”, quindi sarebbe stato qualcosa come “ad vocem”. Perdendo la “d” rimane uno spazio che viene riempito da una pausa, che, se ci pensate, è proprio la doppia, che rende la prima “sillaba” (se consideriamo “ad vocem” di fatto come un'unica parola, un unico composto) lunga quanto lo era in origine. “Ad vocem” / “abboce”. La durata è la stessa. Lo stesso fenomeno avviene con altre parole, come per esempio “chi” (“chissei”), “ho” (“hoddetto”), “è” (èvvenuto), ed altre.

La cosa interessante è che, se andate a vedere l'immagine del graffito, la seconda “b” è stata aggiunta dopo, perché è più piccola ed è stata infilata tra la prima “b” e la “o” in un secondo momento. Perché l'autore ha fatto ciò? Probabilmente perché ha pensato (sentite, “happensato”) che la grafia “abboce” rispecchiasse maggiormente la pronuncia vera e propria.

Ah, e per quanto riguarda l'uso della “b” al posto della “v”, “questo è un esampio di “betacismo”, fenomeno che porta alla confusione tra “v” e “b” comune in varie lingue romanze, che tra l'altro possiamo osservare anche in spagnolo dove addirittura la “b” e la “v” si sono fuse completamente in un unico fonema indicato da due lettere diverse. In italiano pensate a un verbo come “dovere”, che ha forme come “devo” con la v e “dobbiamo” con la b. orazione = preghiera oration, prayer il suffisso “eggiante” è come in inglese -ish, -esque, -like, quindi “simile al volgare” e via dicendo =e così via, ecc. and so on and so forth costrutto =costruzione, struttura sintattica construction, construct rispecchiata =riflessa (da “rispecchiare”, che deriva da “specchio”) reflected riempire mettere qualcosa in uno spazio vuoto to fill in infilare inserire, far entrare (qui) to insert, to squeeze sth in PLACITO CAPUANO (PLACITI CASSINESI O CAMPANI) Proseguiamo il nostro viaggio tra i documenti più antichi in lingua volgare e arriviamo a quello che da molti storici della lingua italiana è considerato il primo vero documento in italiano, in un certo senso l'attestato di nascita della lingua italiana. Sto parlando del cosiddetto “Placito Capuano”. Prima di tutto, che cos'è un “placito”? Nel medioevo un “placito” era una sentenza data da un'autorità giudiziaria e, per estensione, anche il documento sul quale tale sentenza era contenuta. Il “Placito Capuano” è proprio questo, un verbale giudiziario, scritto su un foglio di pergamena. L'aggettivo “capuano” fa riferimento a “Capua”, località nella regione della Campania in cui si è svolto il processo. Il Placito Capuano è da considerare insieme ad altri tre documenti redatti in un'area geografica e in un periodo temporale circoscritti, i cosiddetti Placiti Cassinesi o Placiti Campani che sono molto simili tra di loro. Il primo di questi è come detto, il “Placito capuano”. È importante principalmente per due motivi. Il primo è che sappiamo con certezza la datazione, l'anno in cui è stato redatto il documento, ovvero l'anno 960. Il secondo motivo è che finalmente siamo certi dell'intenzionalità dell'autore di scrivere in volgare, in quanto il resto del documento è in latino e il volgare viene impiegato solo allo scopo di riportare una formula recitata da tre testimoni. Si tratta quindi di una citazione intenzionalmente riportata in volgare e non tradotta in latino. In realtà è probabile che ciò che viene detto dai testimoni in volgare non sia molto spontaneo e naturale: si trattava in fondo di una formula giuridica codificata e rituale, che ricorre in maniera molto simile negli altri tre documenti che insieme al “Placito Capuano” costituiscono il gruppo dei Placiti cassinesi, che ho menzionato poco fa. “Il Placito capuano” è un verbale relativo, appunto, a una causa giudiziaria. Le parti in causa erano il potentissimo abate (cioè il capo, di fatto) del monastero di Montecassino (ricordate, “placiti cassinesi”) e un tale Rodelgrimo di Aquino. L'abbazia si trova nella regione che oggi conosciamo come Lazio ma che a quel tempo era dipendente dal principato di Capua che apparteneva ai Longobardi. Ve li ricordate? Ne abbiamo parlato nello scorso episodio, sono una delle tre popolazioni germaniche che hanno invaso l'Italia (gli altri erano i Goti e i Franchi). Tale Rodelgrimo rivendicava il possesso di alcune terre, sostenendo che appartenessero a lui e non al monastero, che secondo lui se n'era appropriato abusivamente. L'abate di Montecassino si difendeva invocando il diritto, che esiste ancora oggi, di usucapione. Vale a dire che siccome il monastero occupava quelle terre già da trent'anni oramai per diritto gli appartenevano. Questa almeno era l'opinione dell'abate. L'abate riuscì a portare con sé ben tre testimoni, che il giorno del processo a Capua recitano ad uno ad uno la formula che ascolteremo tra poco, dando quindi ragione all'abate. Dicono quindi che è vero che il monastero occupa quelle terre già da trent'anni, l'abate non sta mentendo. Rodelgrimo quindi perde la causa e l'abate ne esce vincitore. Ma più che il fatto giudiziario, di poco conto, ciò che ci interessa è che la formula sia stata riportata sul verbale in volgare e non in latino, il che è una scelta molto inconsueta, inusuale. Solitamente si traducevano le formule testimoniali dal volgare al latino, mai prima del Placito capuano un notaio (cioè la persona che si occupa di redigere il verbale) aveva codificato la lingua volgare mettendola per iscritto. Si è ipotizzato che l'utilizzo del volgare in realtà fosse dovuto al fatto che l'abate voleva farsi pubblicità di fronte alle persone presenti al giudizio e legittimare la proprietà di quei beni che qualcuno in futuro gli avrebbe potuto contestare (anche gli altri placiti, tra l'altro, sono documenti relativi a contese che riguardano il possesso di terre). Quindi è possibile che l'abate fosse in realtà d'accordo con Rodelgrimo e che questo non fosse in realtà un vero avversario. Comunque, vediamo ora la formula: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte S(an)cti Benedicti. Che possiamo tradurre: “So che quelle terre, entro quei confini che qui si descrivono, per trent'anni le ha avute in possesso la parte di San Benedetto”, cioè la parte in causa rappresentata dall'abate. “San Benedetto” fa riferimento al monastero di Montecassino, quello dell'abate, che era appunto di tipo benedettino, anzi, era il primo monastero benedettino in assoluto. L'ordine di San Benedetto era un importante congregazione monastica fondata qualche secolo prima, attorno al 529. Dal punto di vista linguistico si è discusso sulla prima parola, “sao”, che corrisponde al nostro “so” e deriva dal latino “sapio” (pensate al verbo italiano “sapere”). I linguisti si sono interrogati sul perché non sia stata impiegata la forma “saccio”, comune ancora oggi nei dialetti di quelle zone, come il napoletano. Perché “sao” e non “saccio”? Non possiamo saperlo con certezza. Forse si tratta di un'influenza settentrionale (quindi del Nord Italia), forse di un tentativo di superare il dialetto da parte dello scrivente. L'ipotesi però più probabile è che in realtà “sao” fosse una forma presente anche nell'Italia meridionale che poi è stata soppiantata da “saccio”. Tipicamente meridionale è invece la forma “kelle” di “kelle terre” (ovvero “quelle terre”), che sentirete ancora oggi se avrete modo di ascoltare dialetti del sud. L'ISCRIZIONE DELL'AFFRESCO DELLA BASILICA DI SAN CLEMENTE Giungiamo così all'ultimo testo antico che analizzeremo quest'oggi, ovvero l'iscrizione dell'affresco della basilica di San Clemente. Nella stessa città (ovvero Roma) del graffito della catacomba di Commodilla, che abbiamo analizzato poco fa, è stata ritrovata un'altra iscrizione, questa volta contenuta in un affresco sul muro della chiesa di San Clemente a Roma. L'iscrizione è stata datata verso la fine dell'XI (undicesimo) secolo, quindi già in periodo di Basso medioevo. L'affresco è molto interessante, innanzitutto perché rappresenta un primitivo esempio di fumetto, con dei personaggi e delle didascalie, cioè delle scritte che probabilmente (ma non ne siamo certi in realtà) stanno a indicare le battute pronunciate dai personaggi, proprio come nei fumetti. L'affresco è una raffigurazione di un fatto miracoloso compiuto da San Clemente, che era tra l'altro il papa, il quarto papa della Chiesa Cattolica secondo la tradizione, Papa Clemente I. Questa è la storia: un patrizio romano (quindi un uomo ricco) di nome Sisinnio è convinto che Clemente voglia sottrargli la moglie che era diventata cristiana. Sisinnio è convinto che Clemente abbia utilizzato le arti magiche per convertirla. Ordina quindi ai suoi servi Gosmario, Albertello e Carboncello di arrestarlo e di martirizzarlo, quindi torturarlo. L'affresco mostra Sisinnio che ordina ai suoi servi di trascinare Clemente, ma avviene il miracolo: Clemente è libero e al suo posto compare una colonna. Per questo vediamo due dei tre servi trascinare una pesante colonna e il terzo spingerla con un palo, sotto l'incitamento di Sisinnio. Vediamo ora le didascalie dell'affresco: FILI DE LE PUTE, TRAITE – ovvero “figli di puttana, tirate” e questo è Sisinnio che parla. Notiamo l'impiego di turpiloquio, ovvero di una parolaccia. GOSMARI, ALBERTEL, TRAITE – Gosmari, Albertel, tirate. Questi sono i nomi dei due servi che trascinano la colonna, il terzo era dietro con il palo, ricordate?. FALITE DERETO COLO PALO, CARVONCELLE. Fatti dietro a lui con il palo, ovvero spingilo da dietro con il palo, Carboncello. Sisinnio si rivolge al terzo schiavo che vediamo dietro alla colonna che la spinge con un palo al posto di tirarla da davanti. Notiamo “DERETO” che deriva da “DE RETRO” in latino. In italiano abbiamo “dietro”. Inoltre “carvoncelle” al posto di “carboncello” è un altro esempio di betacismo, di confusione tra “b” e “v”. Un'altra iscrizione in latino spiega l'avvenimento: “Duritiam cordis vestris saxa traere meruistis”, ovvero “Per la durezza del vostro cuore avete meritato di trascinar sassi”. Probabilmente, ma non ne siamo certi, è lo stesso santo a pronunciare queste parole. Possiamo osservare anche qui una scelta di uso del volgare intenzionale. Il patrizio Sisinnio e i suoi servi parlano in volgare, mentre la condanna è in latino, considerata una lingua più solenne. Il contrasto tra latino nobile e volgare plebeo sicuramente è una scelta stilistica intenzionale. Questi sono i quattro documenti considerati più importanti dai linguisti nella storia della lingua italiana, ma ce ne sono in realtà altri che per non rendere questo episodio troppo lungo e noioso ho deciso di omettere. Vorrei comunque sottolineare che l'indovinello veronese, l'iscrizione nella basilica di Commodilla, il placito Capuano e i placiti cassinesi in generale e l'iscrizione nella basilica di San Clemente sono esempi piuttosto modesti di lingua volgare e lo stesso si può dire dei testi di cui non vi ho parlato. Non si tratta di certo di alta letteratura, ma più che altro di documenti pratici oppure opere d'arte di poco conto, che impallidiscono di fronte alle letterature in volgare che si stavano già sviluppando nella vicina Francia. Ciò che però possiamo osservare è che emerge un quadro dialettale o volgare in Italia. È però solamente a partire dal Duecento (cioè il XIII secolo) che abbiamo i primi esempi di letteratura in italiano, quindi qualcosa di un pochino più interessante e significativo. Ma di questo parleremo nel prossimo episodio. Vi ringrazio per essere arrivati fin qui, spero che l'episodio sia stato di vostro gradimento e che abbiate imparato qualcosa. Io vi ricordo che se volete sostenere il progetto potete farlo iscrivendovi al Podcast Italiano Club sul sito Patreon, dove potrete ottenere materiali bonus (come un podcast esclusivo), la trascrizione dei miei video su YouTube e tanto altro, tra cui anche l'accesso a un gruppo Telegram dove potete chiacchierare con me (se ve ne frega qualcosa, ovviamente). Grazie a tutti i membri del Club e un grazie enorme anche alle persone che mi hanno fatto delle donazioni su PayPal. Oggi voglio ringraziare Wine Tours Paris (si chiama così), Luis, Richard e Marisa. Un grazie di cuore a tutti voi e se volete sostenere questo progetto e aiutarmi a pagare l'affitto vi ricordo che anche voi potete fare una donazione. Ve ne sarei molto molto grato. Un terzo modo di sostenere il podcast è lasciando una recensione su Apple Podcasts. Un tempo ve lo ricordavo sempre, mentre ora non lo faccio molto spesso, ma se volete aiutarmi a far salire questo podcast nei ranking, nelle classifiche lasciate una recensione appunto su Apple Podcasts. Detto questo io vi saluto, ci sentiamo nel prossimo episodio. Alla prossima! Ciao

Storia della lingua italiana: i documenti più antichi Geschichte der italienischen Sprache: die ältesten Dokumente History of the Italian language: the oldest documents História da língua italiana: os documentos mais antigos İtalyan dilinin tarihi: en eski belgeler

Ciao a tutti, benvenuti e bentornati su Podcast Italiano, il podcast per imparare la lingua italiana attraverso contenuti interessanti e autentici. Questo episodio, di livello avanzato, fa parte di una serie che ho iniziato qualche tempo fa incentrata sulla storia della lingua italiana. This episode, advanced level, is part of a series that I started some time ago focused on the history of the Italian language. İleri düzeydeki bu bölüm, bir süre önce başladığım İtalyan dilinin tarihine odaklanan bir dizinin parçası. Questo è il secondo capitolo del nostro viaggio all'interno della storia dell'italiano. Troverete l'intera trascrizione di questo episodio sul mio sito, podcastitaliano.com. Il link è nella descrizione dell'episodio.

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Nel primo episodio di questa serie abbiamo parlato del latino volgare, ovvero quell'insieme di lingue (perché non si trattava di una sola lingua unitaria) parlate dal popolo romano, vale a dire dalle persone comuni. Un insieme di lingue che era molto eterogeneo, variegato, in quanto il territorio sotto il controllo di Roma era, come sapete, piuttosto vasto. Nell'episodio di oggi impiegherò nuovamente la parola volgare, ma non riferendomi al latino volgare di cui abbiamo parlato la scorsa volta: dobbiamo infatti fare una distinzione tra “latino volgare e “volgare” tout court. Il termine “volgare” in Italia ha iniziato ad essere impiegato nel medioevo, con il significato di lingua bassa, lingua del popolo; quindi in contrapposizione con la lingua latina conosciuta e utilizzata dai letterati, dagli studiosi, dalle persone dotte. Come abbiamo visto nel corso dei secoli il latino volgare si è distanziato così tanto dalla lingua latina classica che progressivamente è diventato sempre più incomprensibile: una vera e propria lingua straniera, che nessuno parlava da madrelingua e che bisognava studiare, come voi studiate oggi l'italiano. Dicevo, nel medioevo si parlava quindi di “volgari”, al plurale, per indicare grossomodo ciò che noi chiameremmo “dialetti”. Il termine “dialetto” però ha iniziato ad essere impiegato solamente nel periodo del Rinascimento italiano, quindi non prima del Quattrocento..

A proposito, una breve parentesi linguistica. In italiano è comune fare riferimento ai secoli in due maniere: per esempio, per riferirci al periodo che va dal 1401 al 1501 potremmo parlare di “quindicesimo secolo”  o anche di “Quattrocento”, omettendo “Mille” e mantenendo solo “Quattrocento”, (e questo vale per tutti i secoli dopo l'anno 1000, quindi Cento, Duecento, Trecento, ecc.). Quando li scrivete, ricordatevi che la prima lettera va maiuscola, grande. When writing them, remember that the first letter is capitalized, large. Quindi “Quattrocento” e quindicesimo (XVI) secolo sono sinonimi, mentre per fare riferimento a un secolo precedente l'anno 1000, per esempio, quello che va dall'anno 501 all'anno 600 d.C (dopo Cristo) dobbiamo per forza parlare di “sesto secolo” (V).

Dicevo, si è iniziato a parlare di dialetti a partire dal Quattrocento (quindicesimo secolo, quindi). I was saying, we started talking about dialects starting from the fifteenth century (fifteenth century, therefore). “Dialetto” è un termine preso in prestito dalla lingua greca e che, come “volgare”, denotava una contrapposizione tra lingua alta e di prestigio, ovvero l'italiano (che a quel punto non era più considerato un semplice volgare ma lingua della letteratura a pieno titolo) e la lingua bassa, delle persone comuni, il dialetto.o   Insieme:  un gruppo, una serie a set, a series

Eterogeneo misto, vario diverse, mixed

In contrapposizione contrapposto, opposto a as opposed to, in contrast to In contrast, opposite, opposite to as opposed to, in contrast to

dotto (agg. qui) colto, erudito learned, erudite here) cultured, erudite learned, erudite

(lettera) maiuscola lettera grande capital letter   a pieno titolo (qui) riconosciuta universalmente come tale in its own right Ma “non mettiamo il carro davanti ai buoi”, come diciamo noi, che significa “non anticipiamo i tempi”. Riprendiamo la storia della lingua italiana da dove l'abbiamo lasciata, ovvero da quel periodo successivo la caduta dell'Impero Romano d'occidente, quindi nell'Alto medioevo, ovvero all'incirca nel sesto, settimo, ottavo, nono secolo: la lingua latina volgare sta mutando in ogni zona del territorio che in passato apparteneva a Roma, la cosiddetta Romània (da non confondere con Romanìa che indica il paese che ha come capitale Bucharest). Let's pick up the history of the Italian language from where we left it, that is from that period following the fall of the Western Roman Empire, then in the early Middle Ages, or roughly in the sixth, seventh, eighth, ninth century: the language vulgar Latin is changing in every area of the territory that in the past belonged to Rome, the so-called Romània (not to be confused with Romanìa which indicates the country whose capital is Bucharest).

È ben consapevole di questa differenza Carlo Magno, re dei Franchi,  che nell'anno 813, un anno prima della sua morte,  convoca il Concilio di Tours. Il connaît bien cette différence Charlemagne, roi des Francs, qui en l'an 813, un an avant sa mort, convoque le concile de Tours. In questa riunione si decide che nei territori che corrispondono alle odierne Francia e Germania , che erano dominate dai Franchi, l'omelia (cioè la parte della messa in cui il sacerdote si rivolge ai fedeli, che si chiama anche predica) non andava più detta in latino, ma nella “rusticam Romanam linguam aut Theodiscam, quo facilius cuncti possint intellegere quae dicuntur”, ovvero “nella lingua romana rustica tedesca, affinché tutti possano comprendere facilmente ciò che viene detto”. Questo era importante affinché le persone potessero capire che diavolo stesse dicendo il sacerdote. This was important so that people could understand what the hell the priest was saying. La predica era, in un certo senso, la parte più importante della messa in cui i fedeli ricevevano dei consigli morali e di comportamento. Era quindi importante che le persone capissero almeno quella parte della messa. Il resto della messa è rimasto in latino fino al 1965, pensate.

Il concilio di Tours è in qualche modo l'”atto di nascita delle lingue romanze”, ma in quale anno nasce la lingua italiana? Non è una domanda di facile risposta. Siamo in possesso di diverse testimonianze scritte che risalgono all'Alto medioevo e agli inizi del Basso Medioevo, quindi dopo l'anno 1000, documenti  che confermano due cose: la prima è che la lingua parlata dal popolo era qualcosa di diverso dal latino e la seconda è che, in alcuni casi, non sempre, chi scriveva aveva consapevolezza di ciò, c'era quindi una “coscienza linguistica”. We are in possession of several written testimonies that date back to the High Middle Ages and the early Middle Ages, therefore after the year 1000, documents that confirm two things: the first is that the language spoken by the people was something different from Latin and the second is that, in some cases, not always, the writer was aware of this, there was therefore a "linguistic conscience". Se abbiamo motivo di pensare che l'autore di un documento lo abbia scritto in volgare di proposito allora possiamo parlare di “coscienza linguistica” e di “intenzionalità” nel preferire il volgare al latino (che per diversi secoli dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente è rimasta l'unica lingua in cui abitualmente si scriveva). Come vedremo ci sono casi di autori che, si ipotizza, pensavano di star scrivendo in latino, senza rendersi in realtà conto del fatto che il proprio latino fosse molto scorretto e distante dal latino classico e per molti versi simile alla lingua volgare.

Ed è questo il caso del primissimo documento che è giunto a noi. A proposito, se vi interessa vedere le immagini dei documenti e delle iscrizioni di cui parleremo le potrete vedere seguendo il link nella descrizione di questo episodio che vi porterà al mio sito. mettere il carro davanti ai buoi (frase idiomatica) essere precipitosi, agire in modo prematuro put the cart before the horse   odierno di oggi today's, modern day's   sacerdote =prete (cattolico) priest   testimonianza prova, dimostrazione (in senso figurato) proof, evidence consapevolezza coscienza (da “consapevole”) awareness di proposito volontariamente, intenzionalmente on purpose, intentionally per molti versi per molti aspetti in many ways, in many respects L'INDOVINELLO VERONESE Sto parlando del cosidetto “indovinello veronese”. Un indovinello sarebbe un breve enigma in versi in cui bisogna, appunto, “indovinare” di che si sta parlando: un oggetto, un animale, una persona. L'indovinello veronese fu scoperto nel 1924 nella Biblioteca Capitolare di Verona su un manoscritto datato all'inizio del VIII secolo, scritto in Spagna e giunto a Verona non molto tempo dopo. Il manoscritto era in latino ma al margine superiore della pagina furono aggiunte successivamente alla scrittura del codice due brevi note, probabilmente proprio per mano di una persona di Verona: la prima, che è l'indovinello vero e proprio, in volgare , la seconda in latino corretto. Vediamo l'indovinello originale. L'indovinello è il seguente:

“Se pareba boves Alba pratalia aràba Et albo versorio teneba Et negro semen seminaba” "Se pareba boves Alba pratalia aràba Et albo versorio teneba Et negro semen seminaba"

Come forse avete notato è un indovinello che ha un suono piuttosto latino e non ci sembra poi così tanto italiano. Andiamo ad analizzare verso per verso.

Se pareba boves – spingeva avanti i buoi (o secondo altre interpetazioni “I buoi apparivano”). Se pareba boves - pushed the oxen forward (or according to other interpretations "The oxen appeared"). Cosa sono i buoi? Un bue (al plurale buoi) è un animale, il maschio castrato del toro addomesticato. An ox (plural oxen) is an animal, the castrated male of the domesticated bull. Pensate anche alla parola “bovino”, che deriva proprio da “bovem” in latino. I buoi tradizionalmente venivano impiegati come animali da soma, cioè animali da lavoro, per  trasportare materiali, trainare macchine, come per esempio l'aratro, con cui si aravano i campi, ovvero si preparava il terreno per la sua successiva lavorazione. Torniamo a noi: “se pareba boves”, “spingeva avanti i buoi” (ancora oggi  a quanto pare in veneto “parar” significa spingere), oppure secondo un'altra versione “i buoi apparivano”, che sarebbe da interpretare come “ecco i buoi”, una formula impiegata a quanto pare spesso proprio negli indovinelli. Let's get back to us: "se pareba boves", "he pushed the oxen forward" (still today apparently in Venetian "parar" means to push), or according to another version "the oxen appeared", which should be interpreted as "here the oxen ”, a formula apparently often used in riddles. Volviendo a nosotros: “se pareba boves”, “empujaba hacia adelante los bueyes” (aparentemente aún hoy en el veneciano “parar” significa empujar), o según otra versión “los bueyes aparecían”, que se interpretaría como “aquí están los bueyes”, una fórmula aparentemente utilizada a menudo en los acertijos. Proseguiamo. We continue. Continuemos.

alba pratalia aràba – arava bianchi prati – arava, “arare” significa come ho detto un attimo fa lavorare con l'aratro, preparare il terreno per la nuova coltivazione. alba pratalia aràba – arava bianchi prati – arava, “arare” significa como dije hace un momento trabajar con el arado, preparar el terreno para el nuevo cultivo. Notiamo l'aggettivo “alba”, da “albus” in latino che significava “bianco”. We note the adjective "alba", from "albus" in Latin which meant "white". Observamos el adjetivo 'alba', derivado de 'albus' en latín que significaba 'blanco'. “Bianco” è una di quelle parole germaniche che sono entrate in italiano (e in tante lingue romanze), che probabilmente non era ancora impiegata ai tempi dell'autore di questo indovinello. 'Blanco' es una de esas palabras germánicas que han entrado en italiano (y en muchas lenguas romances), que probablemente aún no se empleaba en la época del autor de esta adivinanza. Quindi: spingeva avanti i buoi, arava i bianchi prati. So: he pushed the oxen forward, he plowed the white fields. Por lo tanto: empujaba hacia adelante a los bueyes, araba los prados blancos. Bianchi prati?! White meadows ?! Ma voi conoscete prati bianchi? But do you know white meadows? Pero, ¿conocéis prados blancos?

et albo versorio teneba – teneva un bianco aratro, o in italiano diremmo “reggeva”, quindi “teneva con le mani”. e un arado blanco sostenía, o en italiano diríamos "sosteneva", por lo tanto "sostenía con las manos".

et negro semen seminaba – e un nero seme seminava. et negro semen seminaba - and a black seed sowed. e sembraba una semilla negra.

Ricapitolando: l'oggetto dell'indovinello spingeva (forse) dei buoi, arava bianchi prati, reggeva un bianco aratro e seminava un seme nero. In summary: the object of the riddle pushed (perhaps) oxen, plowed white meadows, held a white plow and sowed a black seed. Resumiendo: el objeto del acertijo empujaba (tal vez) bueyes, araba campos blancos, sostenía un arado blanco y sembraba una semilla negra. En résumé : l'objet de l'énigme poussait (peut-être) des bœufs, labourait des prairies blanches, tenait une charrue blanche et semait une graine noire. Qualche idea? ¿Alguna idea? Che cosa può essere? ¿Qué podría ser? Probabilmente nessuno di voi ha indovinato, ma la risposta è… uno scrittore! Sì, lo scrittore viene paragonato a una persona che spinge avanti i buoi (che sarebbero le sue dita), ara prati bianchi (ovvero il foglio bianco della pergamena su cui scrive, che “ara” metaforicamente), regge un aratro bianco (la penna d'oca, che era bianca) e semina un seme nero (ovvero l'inchiostro nero della penna). Yes, the writer is compared to a person who pushes the oxen forward (which would be his fingers), plows white meadows (or the white sheet of the parchment on which he writes, which "plows" metaphorically), holds a white plow (the pen goose, which was white) and sow a black seed (i.e. the black ink of the pen). Sí, el escritor es comparado con una persona que empuja bueyes (que serían sus dedos), ara prados blancos (es decir, el papel blanco del pergamino en el que escribe, que "ara" metafóricamente), sostiene un arado blanco (la pluma de ganso, que era blanca) y siembra una semilla negra (es decir, la tinta negra de la pluma). Come dicevamo prima, benché la lingua sia piuttosto latina per molti aspetti contiene comunque alcuni tratti marcatamente volgari. Como mencionamos antes, aunque el idioma sea bastante latino en muchos aspectos, contiene algunos rasgos marcadamente vulgares. Per esempio, in latino per indicare l'oggetto diretto diremmo “nigrum”, non “negro” (abbiamo visto nello scorso episodio che i casi latini nel corso dei secoli sono scomparsi); i verbi all'imperfetto avrebbero avuto una -t (quindi “arabat”, “tenebat”, “seminabat”) che qui è scomparsa; al posto di “se” avremmo avuto “sibi”. Por ejemplo, en latín para indicar el objeto directo diríamos "nigrum", no "negro" (vimos en el episodio anterior que los casos latinos han desaparecido a lo largo de los siglos); los verbos en imperfecto habrían tenido una -t (por lo tanto "arabat", "tenebat", "seminabat"), que aquí ha desaparecido; en lugar de "se" habríamos tenido "sibi".

Questo è un testo piuttosto controverso perché, come dicevo prima, non possiamo essere sicuri dell'intenzionalità e della consapevolezza dello scrivente (o scrittore) di scrivere in volgare anziché in latino. Colui o colei che scriveva sapeva di star scrivendo in volgare o semi-volgare? Era una scelta voluta? Was it a deliberate choice? Oppure pensava di star scrivendo in latino, un latino che però evidentemente non padroneggiava molto bene? Ou croyait-il écrire en latin, un latin qu'il ne maîtrisait visiblement pas très bien ? E come possiamo chiamare questa lingua? ¿Y cómo podemos llamar a este idioma? Latino scorretto, volgare, semivolgare, proto-italiano? ¿Latín incorrecto, vulgar, semivulgar, proto-italiano? La mancanza di risposte certe a queste domande rende difficile attribuire a questo testo il titolo di “primo documento della lingua italiana”. La falta de respuestas claras a estas preguntas dificulta atribuir a este texto el título de "primer documento de la lengua italiana". Quindi proseguiamo, passiamo al prossimo documento e vediamo se troviamo un candidato più adatto. Así que sigamos adelante, pasemos al próximo documento y veamos si encontramos un candidato más adecuado. bue maschio castrato del toro addomesticato ox animale da soma animale da lavoro beast of burden aratro macchina agricola plow   prato terreno coperto d'erba lawn, field, meadow   pergamena pelle trattata su cui si scrive parchment GRAFFITO DELLA CATACOMBA DI COMMODILLA Il prossimo documento che esamineremo è il graffito della catacomba di Commodilla a Roma. bue macho castrado del toro domesticado buey animal de carga animal de trabajo bestia de carga arado máquina agrícola arar prado terreno cubierto de hierba césped, campo, prado pergamino piel tratada sobre la que se escribe pergamino GRAFITO DE LA CATACOMBA DE COMMODOGLIA El próximo documento que examinaremos es el grafito de la catacumba de Commodilla en Roma. A proposito, sapevate che la parola “graffiti”, presente in tante lingue, deriva dall'italiano? A propósito, ¿sabían que la palabra 'graffiti', presente en tantos idiomas, proviene del italiano? Nello specifico dal verbo “graffiare”, quello che, per esempio, può farvi un gatto se gli date fastidio. Specifically from the verb "scratch", what, for example, a cat can do to you if you annoy it. Específicamente del verbo "graffiare", lo que, por ejemplo, un gato puede hacer si lo molestas. Ecco, questa catacomba fu impiegata come luogo di culto per alcuni secoli e conteneva i corpi di due santi, Felice e Adàutto (si, si chiama proprio così, Adàutto). Esta catacumba fue utilizada como lugar de culto durante varios siglos y contenía los cuerpos de dos santos, Felice y Adàutto (sí, se llama así, Adàutto). Sullo stucco di una cornice di un affresco è presente un'iscrizione che risale al periodo tra il VI e l'VIII secolo. En el estuco de un marco de un fresco hay una inscripción que data del período entre los siglos VI y VIII.

L'iscrizione recita:

“Non dicere ille secrita abboce”, "Sag nicht ille secrita abboce", “No digas los secretos en voz alta”.

che possiamo tradurre come “Non dire i segreti a voce alta”. Esto se puede traducir como “No digas los secretos en voz alta”.

I segreti sarebbero in realtà le orazioni segrete della messa: l'autore era probabilmente un prete che invitava i suoi colleghi a recitare a voce bassa il Canone della messa, secondo un'usanza introdotta ai tempi di Carlo Magno nell'VIII secolo, il che potrebbe aiutarci a datare l'iscrizione in un periodo successivo all'VIII secolo, perché prima quella cosa non si faceva. Die Geheimnisse wären eigentlich die geheimen Gebete der Messe: Der Autor war wahrscheinlich ein Priester, der seine Kollegen einlud, den Kanon der Messe mit leiser Stimme zu rezitieren, nach einem Brauch, der zu Zeiten Karls des Großen im 8. es könnte uns helfen, die Inschrift auf eine Zeit nach dem 8. Jahrhundert zu datieren, da dies zuvor nicht getan wurde. The secrets would actually be the secret prayers of the Mass: the author was probably a priest who invited his colleagues to recite the Canon of the Mass in a low voice, according to a custom introduced at the time of Charlemagne in the eighth century, which it could help us to date the inscription to a period after the eighth century, because that was not done before. Los secretos se refieren a las oraciones secretas de la misa: probablemente el autor era un sacerdote que animaba a sus colegas a recitar en voz baja el Cánon de la misa, de acuerdo a una costumbre introducida en la época de Carlomagno en el siglo VIII, lo que podría indicarnos que la inscripción se remonta a un periodo posterior al siglo VIII, ya que antes no se solía hacer eso. Anche nel caso dell'iscrizione nella catacomba di Commodilla è difficile affermare con certezza che ci fosse la consapevolezza da parte dell' autore di star scrivendo in una lingua volgareggiante, simile al volgare; in ogni caso è interessante osservare le caratteristiche tipiche del parlato. Andiamo ad analizzarle. In questa iscrizione notiamo l'uso di “Ille” (Ille secrita, i segreti) che non significa tanto “quei segreti” (significato che avrebbe avuto in latino) ma piuttosto “i segreti”. En esta inscripción notamos el uso de "Ille" (Ille secrita, i segreti) que no significa tanto "quei segreti" (significado que habría tenido en latín) sino más bien "los secretos". Infatti il pronome dimostrativo latino “ille” (“quello ” in italiano) era già mutato e la sua funzione si era ridotta a quella di semplice articolo. De hecho, el pronombre demostrativo latino "ille" ("quello" en italiano) ya se había modificado y su función se había reducido a la de simple artículo. Proprio da “ille” abbiamo ottenuto nelle lingue romanze i nostri articoli: “il” in italiano, “el in spagnolo”, “le” in francese e via dicendo. Precisamente de "ille" hemos obtenido en las lenguas romances nuestros artículos: "il" en italiano, "el" en español, "le" en francés, y así sucesivamente.

Interessante anche “ABBOCE”, che significa “a voce” alta. Ecco, questo rappresenta un fenomeno che esiste ancora oggi, chiamato raddoppiamento fonosintattico. Hierbei handelt es sich um ein noch heute existierendes Phänomen, das als phonosyntaktische Verdopplung bezeichnet wird. Non vi lasciate spaventare dal termine, non è così difficile, ve lo prometto. Nei dialetti italiani centro-meridionali, tra cui il fiorentino, quindi anche in italiano standard, quando abbiamo alcuni costrutti come, per esempio, preposizione + un'altra parola (come in questo caso, “a voce”) la prima consonante della seconda parola (la “v” di “voce” nel nostro caso) si pronuncia doppia  (o geminata direbbero i linguisti). In mittel-süditalienischen Dialekten, also auch im Florentiner, also auch im Hochitalienischen, wenn wir einige Konstrukte haben wie zum Beispiel Präposition + anderes Wort (wie in diesem Fall "eine Stimme") der erste Konsonant des zweiten Wortes ( das "v" von "voice" in unserem Fall) wird double (oder geminata, wie Linguisten sagen würden) ausgesprochen. En los dialectos italianos centro-meridionales, como el florentino, y por lo tanto también en italiano estándar, cuando tenemos construcciones como, por ejemplo, preposición + otra palabra (como en este caso, "a voce"), la primera consonante de la segunda palabra (la "v" de "voce" en nuestro caso) se pronuncia doble (o geminada según los lingüistas). Per questo anche in italiano moderno standard si dice “avvoce” e non “a voce” (pronununciato senza raddoppiamento della v). Por eso, incluso en el italiano moderno estándar se dice "avvoce" y no "a voce" (pronunciado sin duplicación de la v). Questo fenomeno fonetico si può individuare in tante parole italiane in cui questa pronuncia è rispecchiata proprio dalla grafia, dal modo in cui si scrive: pensate a “davvero” (da + vero), “affatto” (a + fatto), “eppure” (e + pure) e tantissime altre. Este fenómeno fonético se puede identificar en muchas palabras italianas en las que esta pronunciación está precisamente reflejada por la ortografía, por cómo se escribe: piensa en "davvero" (da + vero), "affatto" (a + fatto), "eppure" (e + pure) y muchas otras. Ce phénomène phonétique peut être identifié dans de nombreux mots italiens dans lesquels cette prononciation est reflétée précisément par l'orthographe, par la manière dont elle est écrite : pensez à "vraiment" (de + vrai), "du tout" (à + fait) , "et pourtant" (et + aussi) et bien d'autres. Questa pronuncia è tipica, come ho detto (“èttipica” come “hoddetto”), di tanti dialetti centro-meridionali e del toscano, dialetto (o volgare) da cui, come sapete, deriva l'italiano. Esta pronunciación es típica, como dije (‘èttipica’ como ‘hoddetto’), de muchos dialectos centro-meridionales y del toscano, dialecto (o vulgar) del cual, como sabéis, deriva el italiano. Se andate al nord questo fenomeno di norma lo dovreste sentire  molto di meno (in base alle origini geografiche della persona con cui state parlando e altri fattori), ma visto che io adotto una pronuncia “standard” per registrare questo podcast dico proprio “avvoce” e non “a voce”. Si vais al norte, este fenómeno normalmente lo deberíais escuchar mucho menos (según los orígenes geográficos de la persona con la que estáis hablando y otros factores), pero ya que adopto una pronunciación ‘estándar’ para grabar este podcast digo precisamente ‘avvoce’ y no ‘a voce’. Bene, questo raddoppiamento fonosintattico è visibile in “abboce”. Bueno, este duplicación fonosintáctico es visible en ‘abboce’. Ma perché esiste questo fenomeno? Beh, perché in latino non si diceva “a” ma “ad”, quindi sarebbe stato qualcosa come “ad vocem”. Perdendo la “d” rimane uno spazio che viene riempito da una pausa, che, se ci pensate, è proprio la doppia, che rende la prima “sillaba” (se consideriamo “ad vocem” di fatto come un'unica parola, un unico composto) lunga quanto lo era in origine. Al perder la “d” queda un espacio que es llenado por una pausa, que, si lo piensas, es justamente la doble, que hace que la primera “sílaba” (si consideramos “ad vocem” de hecho como una sola palabra, un compuesto único) sea tan larga como lo era en origen. “Ad vocem” / “abboce”. “Ad vocem” / “abboce”. La durata è la stessa. La duración es la misma. Lo stesso fenomeno avviene con altre parole, come per esempio “chi” (“chissei”), “ho” (“hoddetto”), “è” (èvvenuto), ed altre.

La cosa interessante è che, se andate a vedere l'immagine del graffito, la seconda “b” è stata aggiunta dopo, perché è più piccola ed è stata infilata tra la prima “b” e la “o” in un secondo momento. Lo interesante es que, si ven la imagen del grafiti, la segunda “b” fue añadida después, porque es más pequeña y fue colocada entre la primera “b” y la “o” en un segundo momento. Perché l'autore ha fatto ciò? ¿Por qué el autor hizo esto? Probabilmente perché ha pensato (sentite, “happensato”) che la grafia “abboce” rispecchiasse maggiormente la pronuncia vera e propria. Probablemente porque pensó (sientan, “happensato”) que la escritura “abboce” reflejaba más la pronunciación real.

Ah, e per quanto riguarda l'uso della “b” al posto della “v”, “questo è un esampio di “betacismo”, fenomeno che porta alla confusione tra “v” e “b” comune in varie lingue romanze, che tra l'altro possiamo osservare anche in spagnolo dove addirittura la “b” e la “v” si sono fuse completamente in un unico fonema indicato da due lettere diverse. Ah, y en cuanto al uso de la "b" en lugar de la "v", este es un ejemplo de "betacismo", fenómeno que lleva a la confusión entre la "v" y la "b" común en varias lenguas romances, que también podemos observar en español donde incluso la "b" y la "v" se han fusionado completamente en un único fonema indicado por dos letras diferentes. In italiano pensate a un verbo come “dovere”, che ha forme come “devo” con la v e “dobbiamo” con la b.     orazione = preghiera oration, prayer   il suffisso “eggiante” è come in inglese -ish, -esque, -like, quindi “simile al volgare”   e via dicendo =e così via, ecc. In Italian, think of a verb as “duty”, which has forms like “I have” with the v and “we must” with the b. orazione = prayer oration, prayer the suffix “eggiante” is like in English -ish, -esque, -like, therefore “similar to the vulgar” and so on = and so on, etc. En italiano piensa en un verbo como "dovere", que tiene formas como "devo" con la v y "dobbiamo" con la b. orazione = preghiera oration, prayer il suffisso "eggiante" es como en inglés -ish, -esque, -like, por lo tanto "similar al vulgar" y así sucesivamente = y así sucesivamente, etc. and so on and so forth   costrutto =costruzione, struttura sintattica construction, construct rispecchiata =riflessa (da “rispecchiare”, che deriva da “specchio”) reflected   riempire mettere qualcosa in uno spazio vuoto to fill in   infilare inserire, far entrare (qui) to insert, to squeeze sth in PLACITO CAPUANO (PLACITI CASSINESI O CAMPANI) Proseguiamo il nostro viaggio tra i documenti più antichi in lingua volgare e arriviamo a quello che da molti storici della lingua italiana è considerato il primo vero documento in italiano, in un certo senso l'attestato di nascita della lingua italiana. Sto parlando del cosiddetto “Placito Capuano”. Prima di tutto, che cos'è un “placito”? Nel medioevo un “placito” era una sentenza data da un'autorità giudiziaria e, per estensione, anche il documento sul quale tale sentenza era contenuta. Il “Placito Capuano” è proprio questo, un verbale giudiziario, scritto su un foglio di pergamena. L'aggettivo “capuano” fa riferimento a “Capua”, località nella regione della Campania in cui si è svolto il processo.   Il Placito Capuano è da considerare insieme ad altri tre documenti redatti in un'area geografica e in un periodo temporale circoscritti, i cosiddetti Placiti Cassinesi o Placiti Campani che sono molto simili tra di loro. Il primo di questi è come detto, il “Placito capuano”. È importante principalmente per due motivi. Il primo è che sappiamo con certezza la datazione, l'anno in cui è stato redatto il documento, ovvero l'anno 960. Il secondo motivo è che finalmente siamo certi dell'intenzionalità dell'autore di scrivere in volgare, in quanto il resto del documento è in latino e il volgare viene impiegato solo allo scopo di  riportare una formula recitata da tre testimoni. Si tratta quindi di una citazione intenzionalmente riportata in volgare e non tradotta in latino. In realtà è probabile che ciò che viene detto dai testimoni in volgare non sia molto spontaneo e naturale: si trattava in fondo di una formula giuridica codificata e rituale, che ricorre in maniera molto simile negli altri tre documenti che insieme al “Placito Capuano” costituiscono il gruppo dei Placiti cassinesi, che ho menzionato poco fa. “Il Placito capuano” è un verbale relativo, appunto, a una causa giudiziaria. Le parti in causa erano il potentissimo abate (cioè il capo, di fatto) del monastero di Montecassino (ricordate, “placiti cassinesi”) e un tale Rodelgrimo di Aquino. L'abbazia si trova nella regione che oggi conosciamo come Lazio ma che a quel tempo era dipendente dal principato di Capua che apparteneva ai Longobardi. Ve li ricordate? Ne abbiamo parlato nello scorso episodio, sono una delle tre popolazioni germaniche che hanno invaso l'Italia (gli altri erano i Goti e i Franchi). Tale Rodelgrimo rivendicava il possesso di alcune terre, sostenendo che appartenessero a lui e non al monastero, che secondo lui se n'era appropriato abusivamente. L'abate di Montecassino si difendeva invocando il diritto, che esiste ancora oggi,  di usucapione. Vale a dire che siccome il monastero occupava quelle terre  già da trent'anni oramai per diritto gli appartenevano. Questa almeno era l'opinione dell'abate. L'abate riuscì a portare con sé ben tre testimoni, che il giorno del processo a Capua recitano ad uno ad uno la formula che ascolteremo tra poco, dando quindi ragione all'abate. Dicono quindi che è vero che il monastero occupa quelle terre già da trent'anni, l'abate non sta mentendo. Rodelgrimo quindi perde la causa e l'abate ne esce vincitore. Ma più che il fatto giudiziario, di poco conto, ciò che ci interessa è che la formula sia stata riportata sul verbale in volgare e non in latino, il che è una scelta molto inconsueta, inusuale. Solitamente si traducevano le formule testimoniali dal volgare al latino, mai prima del Placito capuano un notaio (cioè la persona che si occupa di redigere il verbale) aveva codificato la lingua volgare mettendola per iscritto. Si è ipotizzato che l'utilizzo del volgare in realtà fosse dovuto al fatto che l'abate voleva farsi pubblicità di fronte alle persone presenti al giudizio e legittimare la proprietà di quei beni che qualcuno in futuro gli avrebbe potuto contestare (anche gli altri placiti, tra l'altro, sono documenti relativi a contese che riguardano il possesso di terre). Quindi è possibile che l'abate fosse in realtà d'accordo con Rodelgrimo e che questo non fosse in realtà un vero avversario. Comunque, vediamo ora la formula: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte S(an)cti Benedicti. Che possiamo tradurre: “So che quelle terre, entro quei confini che qui si descrivono, per trent'anni le ha avute in possesso la parte di San Benedetto”, cioè la parte in causa rappresentata dall'abate. “San Benedetto” fa riferimento al monastero di Montecassino, quello dell'abate, che era appunto di tipo benedettino, anzi, era il primo monastero benedettino in assoluto. L'ordine di San Benedetto era un importante congregazione monastica fondata qualche secolo prima, attorno al 529. Dal punto di vista linguistico si è discusso sulla prima parola, “sao”, che corrisponde al nostro “so” e deriva dal latino “sapio” (pensate al verbo italiano “sapere”). I linguisti si sono interrogati sul perché non sia stata impiegata la forma “saccio”, comune ancora oggi nei dialetti di quelle zone, come il napoletano. Perché “sao” e non “saccio”? Non possiamo saperlo con certezza. Forse si tratta di un'influenza settentrionale (quindi del Nord Italia), forse di un tentativo di superare il dialetto da parte dello scrivente. L'ipotesi però più probabile è che in realtà “sao” fosse una forma presente anche nell'Italia meridionale che poi è stata soppiantata da “saccio”. Tipicamente meridionale è invece la forma “kelle” di “kelle terre” (ovvero “quelle terre”), che sentirete ancora oggi se avrete modo di ascoltare dialetti del sud. L'ISCRIZIONE DELL'AFFRESCO DELLA BASILICA DI SAN CLEMENTE Giungiamo così all'ultimo testo antico che analizzeremo quest'oggi, ovvero l'iscrizione dell'affresco della basilica di San Clemente. Nella stessa città (ovvero Roma) del graffito della catacomba di Commodilla, che abbiamo analizzato poco fa, è stata ritrovata un'altra iscrizione, questa volta contenuta in un affresco sul muro della chiesa di San Clemente a Roma. L'iscrizione è stata datata verso la fine dell'XI (undicesimo) secolo, quindi già in periodo di Basso medioevo. L'affresco è molto interessante, innanzitutto perché rappresenta un primitivo esempio di fumetto, con dei personaggi e delle didascalie, cioè delle scritte che probabilmente (ma non ne siamo certi in realtà) stanno a indicare le battute pronunciate dai personaggi, proprio come nei fumetti. L'affresco è una raffigurazione di un fatto miracoloso compiuto da San Clemente, che era tra l'altro il papa, il quarto papa della Chiesa Cattolica secondo la tradizione, Papa Clemente I. Questa è la storia: un patrizio romano (quindi un uomo ricco) di nome Sisinnio è convinto che Clemente voglia sottrargli la moglie che era diventata cristiana. Sisinnio è convinto che Clemente abbia utilizzato le arti magiche per convertirla. Ordina quindi ai suoi servi Gosmario, Albertello e Carboncello di arrestarlo e di martirizzarlo, quindi torturarlo. L'affresco mostra Sisinnio che ordina ai suoi servi di trascinare Clemente, ma avviene il miracolo: Clemente è libero e al suo posto compare una colonna. Per questo vediamo due dei tre servi trascinare una pesante colonna e il terzo spingerla con un palo, sotto l'incitamento di Sisinnio. Vediamo ora le didascalie dell'affresco: FILI DE LE PUTE, TRAITE – ovvero “figli di puttana, tirate” e questo è Sisinnio che parla. Notiamo l'impiego di turpiloquio, ovvero di una parolaccia. GOSMARI, ALBERTEL, TRAITE – Gosmari, Albertel, tirate. Questi sono i nomi dei due servi che trascinano la colonna, il terzo era dietro con il palo, ricordate?. FALITE DERETO COLO PALO, CARVONCELLE. Fatti dietro a lui con il palo, ovvero spingilo da dietro con il palo, Carboncello. Sisinnio si rivolge al terzo schiavo che vediamo dietro alla colonna che la spinge con un palo al posto di tirarla da davanti. Notiamo “DERETO” che deriva da “DE RETRO” in latino. In italiano abbiamo “dietro”. Inoltre “carvoncelle” al posto di “carboncello” è un altro esempio di betacismo, di confusione tra “b” e “v”. Un'altra iscrizione in latino spiega l'avvenimento: “Duritiam cordis vestris saxa traere meruistis”, ovvero “Per la durezza del vostro cuore avete meritato di trascinar sassi”. Probabilmente, ma non ne siamo certi, è lo stesso santo a pronunciare queste parole. Possiamo osservare anche qui una scelta di uso del volgare intenzionale. Il patrizio Sisinnio e i suoi servi parlano in volgare, mentre la condanna è in latino, considerata una lingua più solenne. Il contrasto tra latino nobile e volgare plebeo sicuramente è una scelta stilistica intenzionale. Questi sono i quattro documenti considerati più importanti dai linguisti nella storia della lingua italiana, ma ce ne sono in realtà altri che per non rendere questo episodio troppo lungo e noioso ho deciso di omettere. Vorrei comunque sottolineare che l'indovinello veronese, l'iscrizione nella basilica di Commodilla, il placito Capuano e i placiti cassinesi in generale e l'iscrizione nella basilica di San Clemente sono esempi piuttosto modesti di lingua volgare e lo stesso si può dire dei testi di cui non vi ho parlato. Non si tratta di certo di alta letteratura, ma più che altro di documenti pratici oppure opere d'arte di poco conto, che impallidiscono di fronte alle letterature in volgare che si stavano già sviluppando nella vicina Francia. Ciò che però possiamo osservare è che emerge un quadro dialettale o volgare in Italia. È però solamente a partire dal Duecento (cioè il XIII secolo) che abbiamo i primi esempi di letteratura in italiano, quindi qualcosa di un pochino più interessante e significativo. Ma di questo parleremo nel prossimo episodio. Vi ringrazio per essere arrivati fin qui, spero che l'episodio sia stato di vostro gradimento e che abbiate imparato qualcosa.  Io vi ricordo che se volete sostenere il progetto potete farlo iscrivendovi al Podcast Italiano Club sul sito Patreon, dove potrete ottenere materiali bonus (come un podcast esclusivo), la trascrizione dei miei video su YouTube e tanto altro, tra cui anche l'accesso a un gruppo Telegram dove potete chiacchierare con me (se ve ne frega qualcosa, ovviamente). Grazie a tutti i membri del Club e un grazie enorme anche alle persone che mi hanno fatto delle donazioni su PayPal. Oggi voglio ringraziare Wine Tours Paris (si chiama così), Luis, Richard e Marisa. Un grazie di cuore a tutti voi e se volete sostenere questo progetto e aiutarmi a pagare l'affitto vi ricordo che anche voi potete fare una donazione. Ve ne sarei molto molto grato. Un terzo modo di sostenere il podcast è lasciando una recensione su Apple Podcasts. Un tempo ve lo ricordavo sempre, mentre ora non lo faccio molto spesso, ma se volete aiutarmi a far salire questo podcast nei ranking, nelle classifiche lasciate una recensione appunto su Apple Podcasts. Detto questo io vi saluto, ci sentiamo nel prossimo episodio. Alla prossima! Ciao and so on and so forth costrutto = costrucción, estructura sintáctica construction, construct rispecchiata = reflejada (de "rispecchiare", que deriva de "specchio") reflected riempire mettere qualcosa in uno spazio vuoto to fill in infilare inserire, far entrare (aquí) to insert, to squeeze sth in PLACITO CAPUANO (PLACITI CASSINESI O CAMPANI) Continuamos nuestro viaje entre los documentos más antiguos en lengua vulgar y llegamos al que muchos historiadores del idioma italiano consideran como el primer documento real en italiano, en cierto sentido el acta de nacimiento del idioma italiano. Estoy hablando del llamado "Placito Capuano". Antes que nada, ¿qué es un "placito"? En la Edad Media un "placito" era una sentencia dada por una autoridad judicial y, por extensión, también el documento donde se encontraba dicha sentencia. El "Placito Capuano" es justamente eso, un acta judicial, escrita en un pergamino. El adjetivo "capuano" hace referencia a "Capua", lugar en la región de Campania donde se llevó a cabo el proceso. El Placito Capuano se debe considerar junto con otros tres documentos redactados en un área geográfica y en un período de tiempo específicos, los llamados Placiti Cassinesi o Placiti Campani que son muy similares entre sí. El primero de ellos es el ya mencionado, el "Placito capuano". Es importante principalmente por dos razones. La primera es que sabemos con certeza la fecha, el año en que se redactó el documento, es decir, el año 960. La segunda razón es que finalmente estamos seguros de la intencionalidad del autor de escribir en vulgar, ya que el resto del documento está en latín y el vulgar se emplea solo con el propósito de citar una fórmula recitada por tres testigos. Por lo tanto, se trata de una cita intencionalmente en vulgar y no traducida al latín. En realidad, es probable que lo que dicen los testigos en vulgar no sea muy espontáneo y natural: en realidad se trataba de una fórmula jurídica codificada y ritual, que se repite de una manera muy similar en los otros tres documentos que junto con el "Placito Capuano" constituyen el grupo de los Placiti cassinesi, que mencioné antes. "El Placito capuano" es un acta referida, precisamente, a una causa judicial. Las partes involucradas eran el poderoso abad (es decir, el jefe, de hecho) del monasterio de Montecassino (recuerden, "placiti cassinesi") y un tal Rodelgrimo di Aquino. La abadía se encontraba en la región que hoy conocemos como Lacio pero que en ese tiempo dependía del principado de Capua que pertenecía a los Longobardos. ¿Los recuerdan? Hablamos de ellos en el episodio anterior, son uno de los tres pueblos germánicos que invadieron Italia (los otros eran los Godos y los Francos). Este Rodelgrimo reclamaba la posesión de algunas tierras, argumentando que le pertenecían a él y no al monasterio, que según él las había adquirido de manera abusiva. El abad de Montecassino se defendía invocando el derecho, que aún existe hoy en día, de la usucapión. Es decir, como el monasterio ocupaba esas tierras desde hacía treinta años, legalmente le pertenecían. Esta era al menos la opinión del abad. El abad logró llevar consigo a tres testigos, que el día del proceso en Capua recitaron uno por uno la fórmula que escucharemos en breve, dando así la razón al abad. Dicen entonces que es cierto que el monasterio lleva treinta años ocupando esas tierras, el abad no está mintiendo. Rodelgrimo pierde la causa y el abad sale victorioso. Pero más que el hecho judicial, de poca importancia, lo que nos interesa es que la fórmula se haya escrito en vulgar y no en latín, lo cual es una elección muy inusual, poco común. Por lo general, las fórmulas testimoniales se traducían del vulgar al latín, nunca antes del Placito Capuano un notario (es decir, la persona que redacta el acta) había codificado el vulgar por escrito. Se ha sugerido que el uso del vulgar en realidad se debía a que el abad quería hacer publicidad frente a las personas presentes en el juicio y legitimar la propiedad de esos bienes que alguien podría disputarle en el futuro (también los otros placiti, por cierto, son documentos relativos a disputas que involucran la propiedad de tierras). Por lo tanto, es posible que el abad estuviera de acuerdo en realidad con Rodelgrimo y que este no fuera en realidad un verdadero adversario. De todos modos, veamos ahora la fórmula: "Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte S(an)cti Benedicti." Que podemos traducir como: "Sé que esas tierras, dentro de los límites que aquí se describen, durante treinta años las ha tenido en posesión la parte de San Benedicto", es decir, la parte en cuestión representada por el abad. "San Benedetto" se refiere al monasterio de Montecassino, de hecho, el primer monasterio benedictino absoluto. La orden de San Benedetto era una importante congregación monástica fundada algunos siglos antes, alrededor del 529. Desde el punto de vista lingüístico se ha discutido sobre la primera palabra, "sao", que corresponde a nuestro "so" y deriva del latín "sapio" (piensa en el verbo italiano "sapere"). Los lingüistas se han preguntado por qué no se utilizó la forma "saccio", común aún hoy en día en los dialectos de esas zonas, como el napolitano. ¿Por qué "sao" y no "saccio"? No podemos estar seguros. Quizás se trate de una influencia del norte (por tanto del norte de Italia), quizás de un intento de superar el dialecto por parte del escritor. Sin embargo, la hipótesis más probable es que en realidad "sao" fuera una forma también presente en el sur de Italia que luego fue reemplazada por "saccio". Típicamente sureña es la forma "kelle" de "kelle terre" (es decir, "aquellas tierras"), que todavía se escucha en la actualidad si tienen la oportunidad de escuchar dialectos del sur. LA INSCRIPCIÓN DEL FRESO DE LA BASÍLICA DE SAN CLEMENTE Así llegamos al último texto antiguo que analizaremos hoy, es decir, la inscripción del fresco de la basílica de San Clemente. En la misma ciudad (o sea Roma) del grafiti de la catacumba de Commodilla, que hemos analizado hace un momento, se ha encontrado otra inscripción, esta vez contenida en un fresco en la iglesia de San Clemente en Roma. La inscripción ha sido fechada hacia finales del siglo XI (onceavo), por lo tanto ya en la época de la Baja Edad Media. El fresco es muy interesante, en primer lugar porque es un primitivo ejemplo de cómic, con personajes y leyendas, es decir, escritos que probablemente (pero en realidad no estamos seguros) indican las líneas habladas por los personajes, al igual que en los cómics. El fresco es una representación de un milagro realizado por San Clemente, que también era el papa, el cuarto papa de la Iglesia Católica según la tradición, Papa Clemente I. Esta es la historia: un patricio romano (o sea un hombre rico) llamado Sisinnio está convencido de que Clemente quiere robarle a su esposa, quien se había convertido al cristianismo. Sisinnio cree que Clemente ha usado artes mágicas para convertirla. Ordena entonces a sus sirvientes Gosmario, Albertello y Carboncello arrestarlo y martirizarlo, es decir, torturarlo. El fresco muestra a Sisinnio ordenando a sus sirvientes arrastrar a Clemente, pero ocurre un milagro: Clemente es liberado y en su lugar aparece una columna. Por esto vemos a dos de los tres sirvientes arrastrando una pesada columna y el tercero empujándola con un palo, bajo la incitación de Sisinnio. Veamos ahora las leyendas del fresco: FILI DE LE PUTE, TRAITE - es decir "hijos de puta, tirad", y este es Sisinnio hablando. Notemos el uso de mal lenguaje. GOSMARI, ALBERTEL, TRAITE - Gosmari, Albertel, tirad. Estos son los nombres de los dos sirvientes que arrastran la columna, el tercero estaba detrás con el palo, ¿recuerdan?. FALITE DERETO COLO PALO, CARVONCELLE. Poneos detrás con el palo, es decir, empujadlo por detrás con el palo, Carboncello. Sisinnio se dirige al tercer esclavo que vemos detrás de la columna empujándola con un palo en lugar de tirarla adelante. Notemos "DERETO" que proviene de "DE RETRO" en latín. En italiano tenemos "dietro". Además, "carvoncelle" en lugar de "carboncello" es otro ejemplo de betacismo, de confusión entre "b" y "v". Otra inscripción en latín explica lo ocurrido: "Duritiam cordis vestris saxa traere meruistis", es decir, "Por la dureza de vuestro corazón merecisteis arrastrar piedras". Probablemente, pero no estamos seguros, es el mismo santo quien pronuncia estas palabras. También aquí podemos observar una elección intencional de uso del vulgar. El patricio Sisinnio y sus sirvientes hablan en vulgar, mientras que la condena está en latín, considerada una lengua más solemne. El contraste entre el latín noble y el vulgar plebeyo es sin duda una elección estilística intencional. Estos son los cuatro documentos considerados más importantes por los lingüistas en la historia de la lengua italiana, pero de hecho hay otros que, para no hacer este episodio demasiado largo y aburrido, he decidido omitir. No obstante, me gustaría subrayar que el acertijo veronés, la inscripción en la basílica de Commodilla, el placito Capuano y los placiti cassinesi en general, y la inscripción en la basílica de San Clemente son ejemplos bastante modestos de lengua vulgar y lo mismo se puede decir de los textos de los que no les he hablado. No se trata, desde luego, de alta literatura, sino más bien de documentos prácticos u obras de arte de poca importancia, que palidecen en comparación con las literaturas vulgares que ya se estaban desarrollando en la vecina Francia. Sin embargo, lo que podemos observar es la emergencia de un panorama dialectal o vulgar en Italia. Pero es solo a partir del Duecento (es decir, el siglo XIII) que tenemos los primeros ejemplos de literatura en italiano, por lo tanto algo un poco más interesante y significativo. Pero de esto hablaremos en el próximo episodio. Les agradezco por haber llegado hasta aquí, espero que el episodio les haya gustado y que hayan aprendido algo. Les recuerdo que si quieren apoyar el proyecto pueden hacerlo suscribiéndose al Club de Podcast Italiano en el sitio Patreon, donde podrán obtener materiales adicionales (como un podcast exclusivo), la transcripción de mis videos en YouTube y mucho más, incluido el acceso a un grupo de Telegram donde pueden charlar conmigo (si les importa, por supuesto). Gracias a todos los miembros del Club y un enorme agradecimiento también a las personas que me han hecho donaciones en PayPal. Hoy quiero agradecer a Wine Tours Paris (ese es su nombre), Luis, Richard y Marisa. ¡Gracias de todo corazón a todos ustedes y si quieren apoyar este proyecto y ayudarme a pagar el alquiler también pueden hacer una donación. Les estaría muy agradecido. Una tercera forma de apoyar el podcast es dejando una reseña en Apple Podcasts. Solía recordarles esto todo el tiempo, pero ahora no lo hago tanto, pero si quieren ayudarme a que este podcast suba en los rankings, dejen una reseña precisamente en Apple Podcasts. Dicho esto, me despido, nos vemos en el próximo episodio. ¡Hasta la próxima! Ciao