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Dialoghi fra generazioni, POLITICA

POLITICA

Eccoci qui, buonasera a tutti. Siamo al quinto incontro di Interregno, che è uno spazio

di confronto intergenerazionale in cui mettiamo a confronto diversi punti di vista, ma anche

punti in comune tra diverse generazioni, tra passato presente, parleremo anche un po' del

futuro. Grazie ai editori La Terza che ci invita tutte le volte, che ha creato questo spazio e

grazie ai nostri ospiti di stasera che sono Simona Colarizzi, storica, Luciano Capone,

che è un giornalista e Lorenzo Marsili, che definiremo filosofo e attivista. Grazie per

essere qui, il tema di stasera è la politica. Il termine politica deriva appunto dal greco

anticolo, sappiamo tutti politichè, dalla crasi proprio di Polis, quindi la città-stato,

e technè, l'arte, la tecnica. Secondo gli antichi greci il fine ultimo della politica era il

concorrere al bene, quindi al vivere bene. Lorenzo, partiamo da te che appunto sei filosofo,

che cosa significa politica oggi e cosa significa fare politica oggi?

Chiaramente è una domanda vastissima anche perché la politica e la definizione stessa

della politica cambia e varia attraverso la storia e con il tempo, e forse è questo

cambiamento storico del significato del fare politica della contemporaneità che

è interessante andare a vedere. Per un tempo valeva il vecchio detto, la politica è quella

cosa di cui si può tranquillamente fare a meno, non ti dirà niente perché ve l'ha fatta a te,

sarai non soggetto ma un oggetto della politica, quindi della definizione del nostro futuro

collettivo che verrà imposto e deciso sopra la tua testa. Oggi però mi sembra che questo vecchio

dado per certi versi non regga più, perché non solamente la politica viene fatta sopra le teste

di coloro che si assentano dal gioco politico, dall'impegno politico, ma mi sembra che non venga

fatta più. Mi spiego, se noi guardiamo alle straordinarie trasformazioni in atto nel nostro

mondo, se guardiamo all'accumulo di crisi sistemiche che si sono andate manifestando

negli ultimi due decenni, dalla crisi finanziaria del 2008, la crisi ecologica in corso, la crisi

geopolitica che vede una nuova sfida fra Cina, Russia e Stati Uniti, evidentemente la crisi

pandemica che stiamo attraversando, di fronte a tutto questo scenario di poli-crisi che toccano

l'interezza del nostro vivere insieme, toccano la nostra salute, toccano la nostra economia,

toccano la dimensione del lavoro, la dimensione del welfare, la dimensione della geopolitica e

delle relazioni internazionali, ecco di fronte a tutto questo il talk show della sera dove vediamo

i politici parlare e litigare, esprimere le loro visioni, sembrano un triste e stanco

inconcludente avantspettacolo, sembra un teatro che abbia già finito la propria rassegna su cui

si è accanato il palcoscenico. C'è uno scatto straordinario fra un mondo indisperato bisogno

di trasformazione, un sistema in mancarotta morale, prima ancora economica, un pianeta che grida per

la ricostruzione di un modello di sviluppo e di creazione di ricchezza che non porti l'umanità

intera al suicidio e di fronte a tutto ciò noi siamo spettatori di un gioco politico che

sembra assolutamente privo della capacità, della volontà, della forza, della tecnica anche,

di affrontare effettivamente questo mondo in ebullizione. Quindi un po' questa è la domanda

che dobbiamo farsi oggi, che cosa è successo e perché questo è successo alla nostra capacità

di prendere in mano il futuro, di ricostruire una nostra potenza, di definire, di costruire,

di incidere sul nostro vivere collettivo nei prossimi anni. Ne parleremo più avanti,

ma per me per anticipare quello che sembra che sia accaduto è che la politica moderna

è sempre stata intesa come politica nazionale, come un gioco da giocarsi all'interno dei confini

di uno Stato-Nazione e poi un gioco internazionale dove i diversi Stati, come diverse matrioschi,

come diverse pedine, si relazionavano l'uno all'altro. Oggi questo paradigma mi sembra che

non funzioni più, questo è il paradigma della modernità, mentre le sfide che ci troviamo ad

affrontare sono sfide già e sempre planetarie e se la nostra politica, la nostra capacità di

organizzarci nell'attivismo, nella politica partitica, nella dimensione della società civile

rimane chiuso alla sua dimensione moderna e nazionale, ecco che si crea quel grande scarto

per cui il mondo sembra andare alla velocità della luce e la nostra pratica politica sembra

rincorrerlo come un flebile e insignificante suono, sempre in ritardo e arriviamo a giochi già fatti.

Quindi sanare un po' questo scarto fra nazionale e planetario mi sembra la sfida della nostra

generazione per restituire alla politica ciò che dovrebbe essere il suo compito, la tecnica di

costruire un avvenire comune e di coinvolgere i diretti interessati in questa costruzione.

Ecco, in questa scena globale gli attori del gioco politico sono i partiti, i partiti che

hanno guadagnato o perso hanno cambiato ruolo nel tempo, Luciano qual è oggi il ruolo dei partiti?

Insomma è utile partire dal contesto italiano che è quello che tutti conosciamo meglio,

come dette lavori ma proprio come come cittadini ed elettori. Insomma lo scenario forse in Italia è

peggio e peggiore che altrove, nel senso che i partiti sono lo strumento indispensabile e

necessario della vita democratica per come la conosciamo, da prima della Repubblica in un

certo senso e soprattutto dopo la nascita della Repubblica. Insomma nell'arena della liberal

democrazia è lo strumento attraverso cui si fa politica e però in Italia è una parolaccia,

cioè nel senso che abbiamo un solo partito che si chiama tale, che è il Partito Democratico,

che pare che anche in questi giorni con la nuova segreteria stia discutendo se cambiare il nome,

come dire, diventare semplicemente i democratici o qualcosa del genere, togliendo la parolaccia

partito. E il partito di più grande successo che è il Movimento 5 Stelle, che nega di essere tale,

ha parte consistente del suo successo è proprio di essere la negazione di un partito e inventa

tutto un linguaggio, una specie di neolingua, è il non partito che ha un non statuto e usa tutti i

nuovi vocaboli, dal portavoce a altre cose, al direttore, al capo politico, per come dire

distinguere da termini e nomi usati per partiti tradizionali come segretario, segreteria,

eccetera, eccetera. E quindi anche se è perfettamente identico per certi versi alle

strutture partitiche, usa parole diverse per negare di essere tale. Quindi c'è una scarsissima

considerazione da parte degli elettori nello strumento, che però è necessario. Quindi da un

lato questa dinamica respinge anche le persone più appassionate alla politica, alla vita civile,

diciamo, ad avvicinarsi ai partiti, perché sembra quasi, come dire, anche chi ha un po' di passione,

sembra quasi incontaminarsi, è qualcosa da lasciare a chi lo fa più per interesse, per potere o per

professione. Questa è una cosa molto, come dire, quasi una patologia, perché sono uno strumento

necessario ai partiti, cioè se chi ha interesse alla vita civile non fa politica attraverso queste

associazioni, con questi strumenti, riesce poco ad incidere. E poi c'è un altro problema, è che la

struttura di queste associazioni, cioè i partiti sono molto deboli al loro interno, sono molto più

deboli nella società, ma anche al loro interno non hanno più strutture per elaborare proposte,

pensieri, spesso anche semplici polisi. Quindi sono dei comitati elettorali, un po' che si

organizzano per fare le liste quando ci sono le elezioni, selezionare i candidati, diciamo,

ognuno secondo i propri metodi, ma sono incapaci di qualsiasi tipo di elaborazione. Hanno poche

strutture che pensano a soluzioni, proposte, le elaborano, e gran parte anche dei provvedimenti

delle leggi sono scritte altrove, cioè nelle tecnostrutture, nella burocrazia statale,

o da associazioni esterne, think tank, che riescono in questo modo a far più politica,

incidere dall'esterno nei partiti, preparando i pacchetti di provvedimenti già pronti,

con uno slogan che il partito deve raccogliere e portare in Parlamento. E mi pare che ci sia,

anche rispetto ai modelli come quelli anglosassoni o americani, dove i partiti sono molto più leggeri

di quelli europei, da noi siano ancora più fragili, perché lì i partiti, che sono un po' dei grossi

comitati elettorali, hanno anche un maggior rapporto con i think tank, le università,

i luoghi in cui si elaborano sia le proposte che le idee politiche, mentre da noi c'è una

fragilità estrema e tutte le nuove leadership dei partiti fanno poco, si occupano molto spesso

degli indirizzi, slogan, simbole e robe varie, ma poco della struttura, dell'organizzazione politica,

che è qualcosa, magari la professoressa Colarizzi potrà spiegare meglio di me,

fondamentale, l'organizzazione della marchia del partito è uno dei passi più importanti per poter

in Cile avere una democrazia più o meno funzionante. Ecco, appunto, interroghiamo la

professoressa Colarizzi. Simona, tu hai scritto molto su le generazioni precedenti a quelle che

adesso fanno politica, in realtà purtroppo non tanto, ma vedendola in una prospettiva proprio

di generazioni, com'è cambiata la politica negli ultimi decenni rispetto al momento in cui viviamo

ora, anche i partiti? Dunque, intanto sono molto d'accordo con tutte le osservazioni che hanno

fatto sia Lorenzo che Luciano, tra l'altro mi interessa molto il discorso proprio della,

oltre a quello della diagnosi, qual è la terapia. Noi ci troviamo in questa situazione da parecchi

anni, non è una situazione nuova, è una situazione secondo me che risale proprio quando è finita la

prima repubblica che era una repubblica dei partiti, quindi è finita, è finita una fase. Il perché è

finito è anche un problema che ci riporta disperatamente all'oggi, sapete, perché è finito

nel momento in cui è arrivata la modernità, in cui c'è stato un cambiamento di era di cui avete

parlato tutti. Certo che era completamente diverso, il mio mondo, quando io ero giovane come voi,

era un mondo completamente diverso, quello che oggi viene detto mi fa quasi sorridere per persone

che erano interessate ovviamente alla politica ed erano molto interessate, era quasi, non dico,

era un dovere civile essere interessati alla politica perché si aveva la sensazione di dover

costruire la democrazia, noi non eravamo soddisfatti, parlo ovviamente della generazione

della fine degli anni 60, della generazione dei 70, noi non eravamo soddisfatti del nostro

esistere, cioè una visione del futuro e anche di una visione di un futuro diverso, era qualcosa

che era connaturato al fatto che noi eravamo giovani e la soluzione era la soluzione della

politica. I partiti erano partiti di massa, partiti con fortissime organizzazioni, erano i partiti in

fondo però trocenteschi, erano ancora organizzati, grandi organizzazioni basati sull'ideologia,

sull'organizzazione, sulle strutture, erano dei partiti di educazione delle masse che vivevano

in una società che era organizzata per grandi aggregati collettivi. Nel momento in cui un giovane

entrava in politica non necessariamente entrava subito in un partito, la mia generazione è una

generazione che ha, diciamo, rivendicato il fatto di essere soggetto politico innanzitutto, non

eravamo solo soggetti, eravamo nuovi soggetti, i giovani non esistevano, quindi la nostra generazione

siamo immediatamente soggetti politici. Poi abbiamo cominciato a interloquire con i partiti,

esistevano, erano delle grave, tutto questo mondo è finito, è finito nel momento in cui c'è stato

un cambiamento di era in cui sono finiti i grandi aggregati collettivi, è inutile pensare che il

partito di massa possa ritornare, questo io volevo dire, così come, e sono, ma non voglio arrivare

subito diciamo alla terapia, così sono molto d'accordo sul fatto che ormai la dimensione non

può essere solo una dimensione nazionale, su questo è evidente. Nel momento in cui è esploso

il nuovo mondo, il nuovo mondo è tutta un'altra cosa, è un mondo della comunicazione, è un mondo

non è tuo appunto, è un mondo della mondializzazione, è cambiato tutto e i partiti non ce l'hanno

fatta, i partiti così erano. In fondo se voi pensate bene ancora dentro i partiti, voi avete

detto il partito democratico è l'unico partito che ancora ha il nome di partito, perché ancora

addirittura c'è un po' di quella che era la vecchia struttura dei partiti, per questo diciamo è un

partito teoricamente nel diciamo, in tutto quello che si può criticare, è un partito il più solido

che c'è. Quale tipo di partiti sono? Sono dei partiti populisti, attenzione, sono dei partiti

che non si rivolgono più, non hanno più nemmeno bisogno di avere una struttura perché la loro

perché si rivolgono genericamente a un popolo che non esiste. Poi avranno le loro strutture perché

ovviamente poi hanno tutte le lobby che i gruppi di pressione esistono, sono sempre esistiti,

sapete anche quando c'erano le grandi strutture di partito, però diciamo se uno fa l'analisi di che

cosa sono i partiti populisti, che cosa è stata l'origine dei 5 stelle che è importantissimo

perché sui 5 stelle noi possiamo verificare una serie di cose, possiamo verificare quando la

frattura è stata con i partiti e c'è stata anche per colpa dei partiti naturalmente, i partiti non

sono riusciti ad adeguarsi, i partiti che facevano parte, quelli che studiavo e che ancora studio,

che facevano parte del mondo della prima repubblica non sono riusciti a convertirsi in

modo da interpretare una società che non è più una società collettiva ma è una società dell'individuo,

può essere detto una società liquida, una società come la volete chiamare, non ha importanza la

definizione, solo che è molto più difficile aggregarla. Prima la si aggregava a livello di

strutture perché era una società collettiva, era una società organizzata collettivamente in cui il

partito, il modello di partito di massa corrispondeva a quella società. Quando a livello di anni è

cominciato tutto alla fine degli anni 70 come sappiamo bene, poi negli 80 e poi via via è

andata sempre più avanti, in cui c'è stata la destrutturazione della società, ma non è solo una

questione dei partiti. La politica. C'è una persona che ci segue che ci chiede se anche Sinistra

Italiana è un partito populista visto che è stato detto appunto che il partito democratico è l'unico

partito non populista. Il partito democratico, anche Sinistra Italiana, è un partito. Stiamo

parlando di... non esiste più la dimensione di massa naturalmente, mentre invece i partiti

populisti hanno una dimensione di massa. Anzi, in realtà il partito populista, chiamiamolo come

volete, sovranista, poi si inventa tutto. Non a caso però si inventa dei temi su cui lavorare e

non sono dei temi campati per aria, esistono. Esistono però non non li declina più a livello

di partito. Quello che interessa è il consenso, è completamente diverso. La politica non si fa solo

col consenso e invece la politica si tende a farlo solo col consenso. Questo però implica

anche un altro grosso problema, che è un problema poi della governance di uno stato, perché il

partito teoricamente dovrebbe comportare una governance. Guardate che questo è un problema

che si pone anche in Europa, perché è necessario... Parleremo di Europa tra un attimo, ma volevo

tornare su un punto che secondo me è molto interessante, che è quello appunto del consenso,

ma in generale dell'impegno nella politica, perché da una parte appunto noi sappiamo che nelle

democrazie occidentali ormai c'è in corso una crisi della politica, un malcontento dei cittadini,

in particolare dei giovani, verso le istituzioni, gli attori politici, ma in genere appunto si

associano questi giudizi un po' alla distanza che ha il partito rispetto alla persona.

L'avvicinarsi con delle stanze che appunto ricevono consenso in qualche modo è più semplice che creare

degli ideali in cui effettivamente credere, ma la partecipazione politica non deve essere appunto

sempre solo di supporto, può anche essere in generale di protesta e in questo senso,

Lorenzo, volevo chiedere a te se oggi tu vedi una crisi di fiducia dei giovani verso la politica,

o se appunto la politica in qualche modo si è un po' dimenticata anche dei giovani.

Sì, Aristotele diceva che Atene stesse sprecando metà della sua popolazione perché non permettere

un'eguaglianza dei diritti delle donne, chiaramente. Oggi in Italia quel problema lì

ancora non è pienamente risolto e in più l'Italia spreca buona parte dei suoi giovani.

Questo è un disastro economico prima ancora che politico, noi sappiamo che ogni anno l'Italia

vede 200.000 persone emigrare, in grande parte, non nella totalità, sono persone tendenzialmente,

mediamente o molto istruite, tendenzialmente giovani, tendenzialmente di spirito imprenditoriale,

che a fronte di un investimento italiano in educazione e ricerca vanno a creare opportunità

per loro stessi e per gli altri all'estero e questo crea una gigantesca tara sulla crescita

economica del nostro Paese. Quindi affrontare la questione del pieno ingresso dei giovani

nel mondo del lavoro in una posizione che non sia costantemente subordinata e infantilizzata,

per cui fino a 40 anni vengono considerati giovani e non quindi ancora capaci di prendere

le redini, la direzione di una società, di un'impresa, di un partito, di un movimento,

questo è qualcosa che grava in maniera non secondaria sulla stagnazione economica del

nostro Paese negli ultimi 20 anni. E chiaramente questo è un disastro anche politico, perché

a fronte, come ci ricordava la professoressa, di un cambiamento di sistema, di epoca in questi

ultimi 20 anni, servirebbe una classe dirigente con la capacità di percepire il mondo nuovo

che si sta formando dinanzi ai nostri occhi, mentre noi invece abbiamo una classe dirigente

tendenzialmente formata nel mondo di ieri e il mondo di ieri non ha più le soluzioni per il

mondo di oggi, meno che mai per il mondo di domani. Laddove vediamo una classe dirigente

effettivamente giovane, va detto che la selezione all'ingresso è stata quantomeno ridotta all'unicino,

i 5 Stelle hanno il merito di aver portato persone anche di un'età abbastanza bassa in

posizioni importanti e di dirigenza, certo come non basta essere intelligenti, non basta

essere giovani, idealmente le due cose andrebbero coniugate in un processo di selezione che potesse

portare le persone giuste ai posti giusti di lavoro. Io devo dire che avendo avuto poco a

che fare con il mondo della politica, ma un po', ho notato non soltanto una colpa da parte del

sistema, della struttura, della gerontocrazia che esiste in questo Paese, esiste in politica,

esiste in economia, ma anche una mancanza spesso di capacità da parte dei giovani di prendere le

redini, di prendere il potere, di uccidere il padre per dirla così. Ho visto molte persone nel mondo

della politica purtroppo, devo dire principalmente a sinistra, mettersi in fila e aspettare il proprio

turno, questo rischia di essere il messaggio che noi mandiamo a questa generazione, aspetta,

aspetta, aspetta, a 40 anni smetterai di essere giovane, lentamente ti sarà dato qualche cosa e a

60, 70 potrai anche tu comandare e avere i diritti acquisiti che adesso ha la generazione precedente.

Questo chiaramente non avverrà, perché se questo sistema non verrà profondamente ristrutturato,

la mia generazione non avrà le garanzie che ha la generazione precedente, ma soprattutto non è così

che si cambia il mondo, il mondo si cambia prendendo il coraggio di uccidere anche il padre,

utilizzando anche delle astuzie politiche laddove necessario. Come devo dire, persone fra le più

distanti da me politicamente, Salvini, Meloni, hanno dimostrato essere possibile, persone che

si sono sfrancate dai propri padri e hanno preso il controllo, l'uno di un partito che era al 3%,

portandolo al 20-30%, l'altra di un partito inesistente, che l'hai costruito e che ora è

al secondo o terzo posto nell'oscenario politico. Niente di più distanza dalle mie posizioni,

ma chapeau, è quel tipo di spirito che è necessario da parte dei giovani, oltre a un

giusto attacco rispetto alla gerontocrazia. E su questo chiudo dicendo che forse la nostra

scuola ha una responsabilità per crescere una generazione a cui forse viene insegnato troppo a

ripetere ciò che viene insegnato in classe e ciò che viene letto sui libri e troppo poco a contestare

ciò che viene detto con le proprie idee, sbagliate che siano, ma con la propria capacità di mettere

la propria visione, i propri ideali, le proprie convinzioni al pari di quello di una conoscenza

acquisita del passato. Stanno arrivando molte domande tra cui anche sulla formazione della

politica e in politica, ma ne parliamo tra poco. Nel frattempo volevo chiedere un attimo alla

professoressa, lei ha scritto un libro, nel tuo libro Un Paese in Movimento descrive appunto gli

anni 70 in generale, ma anche con sbocchi nei 60 e negli 80, come un momento di crisi, ma anche un

momento in cui le giovani generazioni partecipavano alla vita politica con grande entusiasmo, quindi

come si sviluppava la partecipazione dei giovani alla vita pubblica, alla vita politica all'epoca

ed è diverso da oggi? Intanto perché, diciamo per fare il verso a Lorenzo, uccideramo il padre,

questo è stato fondamentale naturalmente, cioè non eravamo contenti di come videranno e questo

è stato questo il primo stimolo, in maniera però di impegno civile, nel senso che non era una

questione individuale, era una questione collettiva, avevamo di fronte qualcosa che i giovani oggi

danno per scontato e secondo me è questo il grosso problema, i giovani oggi danno per scontato il

loro tenore di vita, danno per scontato persino i diritti e le libertà di cui godono e non capiscono

che su questo piano si deve invece continuare a lottare. Questo perché è avvenuto questo, cioè

perché c'è questo tipo di passività? Io prima ho parlato male, diciamo, dei partiti e le colpe

che hanno i partiti sono tantissime, le colpe che hanno i giovani però è quello di aver dato per

scontato. Guardate, lo dico io come donna, delle volte io guardavo le mie studentesse e per loro era

tutto scontato, ma perché? C'è un problema delle donne? Io cercavo di dire ma come non vedete che

c'è un problema delle donne? No, avevano le loro libertà e ecco è un modo per rimuovere i problemi.

Il fatto di aver cambiato, diciamo, il paradigma della società da società collettiva a società

individuale ha portato a questa chiusura, ha portato a non capire, a non vedere che cosa sta

succedendo a tutti gli altri, cioè è stata quasi una chiusura determinata anche da un decadimento

della scuola e questo bisogna dirlo, della scuola e delle università. Tra l'altro un

dettaglimento della storia. Prima Luciano, scusate, prima Lorenzo diceva bisogna avere una classe

dirigente preparata, sì, deve essere giovane, d'accordissimo, deve essere intelligente, va bene,

ma deve essere anche preparata. Cioè, diciamo, il uno vale uno, scusate, abbiate pazienza, non è così,

bisogna preparare ma anche per riuscire a capire. Quindi, quando mi chiedete ma hai i tuoi tempi?

I miei tempi sono diversi, i miei tempi avevamo, però li avevamo di fronte, la battaglia era una

battaglia, a prescindere dai partiti, attenzione, sono i partiti che hanno dovuto rincorrere il

movimento giovanile. Però è interessante quello che dice Mario, che dice che i gerontocrati di

oggi sono i contestatori di ieri, i contestatori del 68, è così? Sei d'accordo? Sì, sono diventati

classe dirigente, perché i contestatori di ieri erano i primi della classe, poi si sono portati

dietro tutte le masse giovanili, però sono quelli che poi sono diventati i grandi direttori dei

giornali, i grandi politici, i primi ministri eccetera eccetera, certo, ma erano chiusi nel

mondo di ieri e comunque il fatto di avere una posizione di potere non significa che poi abbiano

la capacità di cambiare, questo è un altro mondo. Io continuo a sostenere che è un altro mondo,

in cui le colpe che ha la classe dirigente che si è formata negli anni 60, 70, negli anni 70 e che

comunque era già classe dirigente negli anni 80, era già classe dirigente negli anni 80 e sono

tante, quindi per carità, mea culpa, però il problema non siamo più noi oggi, sono i giovani

e i giovani gli spazi se li devono trovare perché non è possibile che pensino che la vecchia

generazione, la vecchia generazione ha fallito nel passato, non c'è riuscita, però ancora è portatore,

è portatrice di idee. C'è un altro commento di Nimal che dice, Nimal 4, mi chiedo scusa se non

sto pronunciando bene, a nessun politico interessano veramente i giovani perché dovrebbero,

tanto cambiano idea, arrivati ai 40 anni. Ecco io volevo chiedere a Luciano in realtà perché appunto

come esperto osservatore del panorama politico italiano ci può dire che cosa ne pensa, ma

soprattutto io volevo chiedere qual è il ruolo dei media in questo cambio anche di divisione

dai giovani ai meno giovani. Profitto della domanda per fare un po' il controcanto, per inserire un

po' di dialettica, diciamo, con gli altri, è che un po' è vero quello che si diceva, neppure molto

senso sperare in sé che ci siano dei politici giovani, per sé vuol dire poco, da un lato perché

non è garanzia di nulla la gioventù, dall'altro perché molte forze profonde

diciamo politiche prescindono dall'età anagrafica della classe dirigente, cioè sono spinte forti

della società italiana, siamo semplicemente una società più anziana, più vecchia, quindi le persone

più anziane sono di più numericamente, sono molto di più e sono anche le persone più ricche,

hanno più risparmi, hanno lavori e redditi più alti, quindi hanno numericamente ed economicamente

una maggiore incidenza sulle forze politiche e non è un caso che nel governo che deve essere

del cambiamento e rivoluzionario, ai cui vertici erano due giovanissimi politici come Di Maio e

Salvini, è stato il governo che ha fatto quota 100, cioè un ulteriore generosissimo regalo ai

pensionati, perché le forze profonde della nostra società sono quelle, nel mondo del lavoro i

sindacati sono dominati dai pensionati che rappresentano oltre la metà degli iscritti,

mentre i giovani che hanno i contratti più precari non sono sindacalizzati, non compaiono

e non hanno voce e quindi a prescindere dall'età anagrafica delle leadership ci sono queste forze

profonde che non tengono molto in considerazione i giovani e poi ci sono dei lati positivi secondo

me, perché il rischio di essere tutti nostalgici, sia i giovani che gli anziani, spesso anche tanti

giovani, durante la prima repubblica c'erano i partiti, era tutto diverso, i partiti erano

anche molto più forti perché tante decisioni e occasioni nella società passavano attraverso i

partiti e la politica, quindi occuparsi della politica e dei partiti era una necessità per

trovare degli spazi, occupazionale, lavoro, quindi c'erano anche lati molto negativi da questo punto

di vista, mentre adesso siamo una società che da molto più opportunità, perché la politica da un

certo punto di vista è meno presente nella società, controlla meno l'economia e quindi

molte libertà non passano attraverso il tesseramento e l'iscrizione. E poi c'è un altro

motivo per cui i giovani sono meno interessati anche all'impegno e alla lotta politica,

che ha comunque un costo nella vita di una persona, se non c'è proprio la passione,

impegnarsi, fare come dire voice, protesta, comunque l'impiego di risorse, diciamo,

non solo economiche ma di tempo semplicemente, è il fatto che molte decisioni importanti e

cambiamenti che ci sono non si riesce a incidere a livello nazionale nella politica, quindi passano

anche sopra le teste della politica e questo rende quasi la capacità di incidere meno

importante. E poi ci sono abbattuti molto i costi di exit, cioè se prima, come diceva la professoressa,

per cambiare le cose e guadagnare qualcosa nella società era necessaria la lotta politica,

adesso le opportunità nel mondo sono molto più ampie, ci lamentiamo giustamente tutti degli

italiani che vanno via, come se fosse per loro un enorme sacrificio, spesso sono delle opportunità

in più, quindi è molto più semplice andare in un altro posto del mondo, che è molto più vicino

rispetto a decenni fa, che cambiare le cose politicamente. Spesso è un costo che si infligge

a una generazione, quello di doverle obbligare a cambiare politicamente qualcosa, se uno è in un

paese a fianco, in Europa trova occasioni migliori, è una Europa più libera di muoversi e di avere

occasioni, andare via è un'opportunità che prima non c'era, quindi tutta questa serie di cose rendono

secondo me l'attività e il ruolo dei giovani nel panorama politico meno incisivo e meno utile per

un giovane impegnarsi. Credo che ci siano anche degli altri luoghi dove i giovani si possono formare

politicamente che non siano quelli standard. Questi indubbiamente, sono tanti i giovani che

non fanno politica attiva, non vuol dire che non siano interessati alla vita civile e sociale,

ci sono tanti movimenti, dei partiti dove le persone si formano, sono spesso istituti,

associazioni, giornali e questo non diventa attività politica forse in modo diretto,

ma è un modo di formarsi. Le persone giovani sono interessatissime a molte cose, spesso lo

stereotipo del giovane disinteressato a ciò che accade è uno stereotipo. Una domanda sui media,

collegandola a quello sui partiti, è anche da parte nostra spesso c'è stata questa

delegittimazione che è stato un gioco molto molto semplice, molto facile, cioè quello di

delegittimare i partiti e l'attività politica e il tentativo di suscitare nel lettore il sentimento

dell'indignazione, come la denuncia giustissima, ma soletticare questo sentimento che spesso viene

presentato come una forma di impegno civile, come se indignarsi fosse sufficiente per cambiare le

cose e spesso diventa una specie di tic facile da proporre ai lettori, molto semplice, che però

rischia di diventare sterile. Il delegittimare anche i partiti e chi prova a fare qualcosa di

sensato. Nella nascita di molti movimenti, si diceva prima populisti, di vario stampo,

diciamo a destra e a sinistra, i media hanno avuto un ruolo non indifferente, sia quando questi

movimenti erano presenti sui media, sia quando non lo erano, perché il linguaggio di populista è

passato molto attraverso i media, i giornali e soprattutto i talk show. Siamo stati attori,

noi mediatori dell'informazione fondamentali in questa trasformazione. Negli ultimi anni c'è stato

un vero cambiamento dall'America, Regno Unito, l'Europa continentale soprattutto, abbiamo visto

tutti con i nostri occhi come la democrazia liberale è stata messa abbastanza sotto attacco

e invece sono cresciuti il nazionalismo e il populismo. Con uno sguardo un po' più globale,

volevo capire un po' cosa pensavate appunto di questo cambiamento così grande e volevo chiedere

a Lorenzo, che ha scritto proprio un libro che si chiama La tua patria al mondo intero,

che parla di politica globale, come si può trasformare la nostra pratica politica per

fare fronte a questo mondo che è così cambiato? Sì, io parlo piano perché so di avere una

connessione non ottimale e me ne scuso anzi, purtroppo oggi sono in un posto con un internet

un po' così. Io penso che quello che dicevi te sulla crisi delle democrazie liberali sia

strettamente connesso non tanto a particolari successi delle forze che si vogliono chiamare

nazionalisti o populisti, ma all'incapacità della democrazia liberale di rispondere nel merito

delle grandi sfide che questo secolo ci ha portato. E' abbastanza evidente che quando un

sistema politico non riesce ad affrontare un impoverimento che in questo Paese prosegue

interrotto da almeno due decenni, non riesce ad affrontare una crisi di produzione che va a

diretto discapito del pianeta, non riesce ad affrontare una forbice di ricchezza tra i più

poveri e i più ricchi che continua ad aumentare arrivando a proporzioni che neanche nella bella

epoca di Primo Novecento con il Titanic a picco abbiamo visto. Quando la democrazia liberale non

riesce ad affrontare queste sfide qua e quindi non riesce a dare una risposta ai bisogni, alle

necessità, alle richieste della maggioranza della popolazione, è evidente che è la democrazia

liberale stessa che crea i mostri che cercano di seppellirla. Non c'è un cattivo, il cattivo è

creato dalla cattiva gestione dello status quo, sono due facce della stessa medaglia in un rapporto

simbiotico l'una con l'altra perché poi la stessa democrazia liberale utilizza i nazionalisti e i

populisti per mantenere lo status quo come unica alternativa possibile al disastro, come disse poi

Larry Clinton durante la sua favolosa campagna elettorale contro Donald Trump. A fronte di questo

i giovani, tu menzionavi, la politica globale, spesso vanno insieme, il grande movimento del

Fridays for Future per esempio è un movimento di giovani, di giovanissimi, di ragazzi non ancora

18 anni in tante istanze, ma che pone il tema centrale della nostra epoca con una nettezza,

una esattezza, una forza che non vediamo nelle classi dirigenti di qualunque età esse siano,

non vediamo interessare i summit intergovernativi o i vari incontri delle Nazioni Unite e c'è quindi

una presenza proprio di futuro all'interno di questa rivendicazione planetaria di un movimento

come il Fridays for Future. Questo tipo di richieste che vanno verso l'orizzonte di una

trasformazione di un pianeta in fiamme, una trasformazione sistemica di un pianeta che così

com'è non regge più, questo tipo di rivendicazioni rischiano di cadere nel vuoto e quindi di fomentare

ulteriore nazionalismo, ulteriore populismo, ulteriore depressione che credo anche a livello

psichico sia una delle crisi che ci troveremo ad affrontare soprattutto per le nuove generazioni

mediane a venire, se queste rivendicazioni, queste richieste non trovano un riscontro,

una risposta da parte dei nostri sistemi politici e quindi la domanda che tu giustamente mi facevi,

che si ricollega con la prima che hai fatto sui partiti ad esempio, fino a che i partiti

politici avranno un'ottica puramente nazionale e questo avviene non soltanto a livello mondiale,

ma all'interno dell'Unione Europea stessa, è evidente che un partito politico, l'azione

all'interno e attraverso un partito politico non sarà in grado di dare una risposta ad esempio

alle rivendicazioni dei ragazzi di Fridays for Future in Piazza. Si può, penso che si debba

immaginare una internazionalizzazione, una transnazionalizzazione, un diminuire planetario

dei nostri corpi intermedi e dei nostri corpi politici, penso che sia necessario oggi chiedere

che i partiti europei diventino veramente dei partiti europei, cambiano una struttura transnazionale

e un unico programma politico con il quale presentarsi alle elezioni europee ogni 5 anni,

penso che sia doveroso costruire dei veri sindacati europei, ecco questa risponde un po' a...

Governativa in cui diversi sindacati nazionali discutano, negoziano e trovano una soluzione,

la fabbrica che viene trotta ai piemontesi e data ai polacchi. Avremo bisogno di un'unica

rappresentanza del lavoro capace di unire, così come vediamo in questi giorni con lo sciopero

Amazon, i lavoratori oltre le frontiere perché è lì che lavora già l'industria, il capitale e via

discorrendo. Quindi la costruzione di questi corpi intermedi transnazionali secondo me dirimenta se

vogliamo aprire gli spazi di partecipazione in quei problemi direttamente planetari. Finisco con

una battuta per chi ha la fortuna di vivere nel nostro continente, l'Europa è lo spazio

principale in cui esercitare questa nuova possibile politica parlamentare. Abbiamo uno spazio unico,

con una moneta unica, economie strettamente interdipendenti, un barlume di democrazia

transnazionale e una forza collettiva che ci permetterebbe di cambiare le strutture stesse

della globalizzazione se agissimo come unico soggetto politico e democratico. E quindi ecco

che l'Europa diviene una metafora del mondo che sarà. Se noi riusciamo come europei a unirci,

a dotarci di corpi intermedi transnazionali, di movimenti, di forze politiche europee,

quindi di incidere collettivamente sulle strutture di governo e sulle politiche del nostro continente

e quindi di incidere sulle politiche planetarie avremo dimostrato che è possibile tornare da un

senso alla parola politica. Se non ci riusciremo e resteremo tutti quanti nascosti dietro ai nostri

muri, ciascuno col proprio muro privato cuscito addosso, ecco che allora abdicheremo al significato

stesso della parola politica e ci troveremo tutti quanti più deboli, tutti quanti più poveri e tutti

quanti alla mercè di decisioni prese altrove, che sia Pechino che sia Washington. Ecco,

con questa ultima parte hai risposto un po' alla domanda di Giuseppe che chiedeva proprio quale

forma può incidere più fortemente sullo stato delle cose, però appunto lo stato delle cose

al momento lo status quo è che esistono dei grossi enormi movimenti autocratici ma anche

nazionalismi diciamo che nazionalistici che abbiamo visto appunto negli Stati Uniti ma anche

in UK che prendono il potere. Luciano perché ci siamo ripiegati su noi stessi e soprattutto vedi

un cambiamento all'orizzonte o pensi che rimarrà così per un po'? Penso che si andrà un po'

nella direzione opposta a quella che diceva Lorenzo che forse non ho proprio le sue idee

nello specifico ma sono io per formazione un libero scambista globalizzatore penso la

globalizzazione è stato uno dei più grandi successi della storia dell'umanità se si guarda

nel complesso a cosa ha portato nel mondo in termini di aumento della ricchezza, riduzione

delle disuguaglianze globali è stata un'epoca fantastica con tutte le conseguenze, le crisi

che comporta ogni cambiamento epocale nella storia dell'umanità però i movimenti

internazionalisti anche quelli più critici della globalizzazione, noi siamo 20 anni dal G8 di Genova

tutti i movimenti che criticavano la globalizzazione proponendo modelli alternativi

transnazionali e sovranazionali cioè che vedevano la fine degli stati nazionali e la sede del potere

in questi organismi come il fondo monetario, il WTO, tutti questi organismi transnazionali

nel momento in cui c'è stata la crisi della globalizzazione prima nel 2011 ma anche adesso

con la pandemia hanno perso l'occasione di mostrare un modello alternativo perché la loro analisi

purtroppo dal loro punto di vista si è dimostrata errata e cioè gli stati nazionali non erano

delle carcasse della storia ormai suterate ma erano e sono ancora la sede più importante del

potere politico dove si prendono le decisioni politiche e quindi chi ha avuto successo sono

stati quei movimenti populisti in gran parte di destra o conservatori ma anche nella sinistra

sono stati tutti i sovranisti che hanno visto nello stato la risposta per chiudersi, isolarsi

dalle crisi globali e internazionali e tornare a risposta nello stato nazionale. Questo è un dato

di realtà con cui fare i conti, che piaccia o meno da un punto di vista sia socialista che liberale,

è un dato ineludibile e nella pandemia si è mostrato ancora più forte questa cosa.

Scusami, volevo chiederti una cosa su questo, è interessante quello che mi aveva detto Lorenzo

quando eravamo al telefono prima del panel, cioè che è più facile che oggi un ragazzo si appassioni

alla politica per un movimento come Fridays for Future più che che si appassiona all'Italia o al

partito italiano che rappresenta l'Italia. Però anche quei movimenti che cercano risposte a crisi

globali, le soluzioni passano attraverso gli stati nazionali, sono poi i singoli governi che se ne

occupano, non esiste una risposta globale univoca, serve magari il coordinamento ma passa attraverso

gli stati nazionali. Nella pandemia abbiamo visto in maniera drammatica questa cosa. Adesso le do la

parola a professoressa perché finisco con te e poi vedo che scuote la testa. Con l'innanziamento

delle barriere e del protezionismo, in maniera che non si era mai vista prima, dalle mascherine ai

vaccini c'è stato un protezionismo incredibile, la più grande potenza libero scambista che sono

gli Stati Uniti. Il Paese che non ha esportato una singola dose di vaccino, neppure qui al Canada,

e non è cambiato con il cambio di amministrazione. Biden ha mantenuto la stessa identica politica

protezionista di Trump, in maniera ancora meno giustificabile, perché l'abbondanza di dosi

vaccinali negli Stati Uniti è nettamente superiore a quella che c'era quando c'era ancora Trump,

nei primi mesi, all'inizio, quando si doveva ancora entrare in commercio i vaccini. Ci sono

delle forze profonde che agiscono in questo senso, in un ritorno a forme di protezionismo,

e sono cose su cui si interroga anche la sinistra. Leggevo un interessante libro di Branko Milanovic,

che è un economista socialista americano che si occupa di disuguaglianze, che riflettiva anche

sul tema dell'immigrazione, insomma mostrava come l'immigrazione, questo lo diceva anche

studi di Alberto Alesina, cioè la diversità etnica rende più difficile forme di redistribuzione

economica, la solidarietà economica negli Stati è molto più complicata. Anche Milanovic mostrava

come le socialdemocrazie, dove lo Stato è molto più forte, c'è molta più disponibilità a

redistribuire risorse, hanno gruppi etnici, culturali molto più omogenei. E non è un caso

che anche le socialdemocrazie nord-europee, come la dell'Animarca, i partiti socialisti,

stiano attuando forme restrittive dell'immigrazione, stanno cercando di limitarla notevolmente,

perché sentono sbriciolare il consenso su cui si è retta la socialdemocrazia e quel

modello di redistribuzione che avviene su base nazionale. Quindi le spinte a risolvere problemi

globali ci sono, però le soluzioni passano attraverso gli Stati nazionali e questo è un

tema un po' ineludibile per tutti. Cercare di tornare indietro nella protezione dello

Stato nazionale, uscire dall'euro, ritornare agli anni settanta, gli anni ottanta, ognuno

alla sua età del loro, è impossibile, ma correre troppo avanti, ignorando che sono gli Stati

nazionali da cui passano gran parte delle risposte, può essere un po' utopistico,

un salto troppo in avanti che lascia poi spazio ad altri tipi di soluzioni, più autoritarie,

nazionaliste. Ecco ne approfitto per dire che appunto l'autore che hai citato prima,

Milanovic, è tornata. Capitalismo contro capitalismo, edita da Edith Rilla Terza.

Simona, ci sei? Ti vediamo, ma non ti sentiamo ancora.

Non mi sentite? Io mi sento bene? Adesso sì.

Dove non mi senti?

Sì, sì, adesso tu.

Allora, posso parlare? Non lo so, ho permesso di parlare?

Sì, sì, no, no, volevo lasciare spazio a te.

Perché, quanto diceva Luciano, mi aveva molto interessato e non ero molto d'accordo. Nel senso,

adesso lasciamo da perdere la pandemia. La pandemia, anzi, ha dimostrato che la globalizzazione

non può non esserci e ci sarà, perché questo mondo non è che si ferma, perlomeno

non è che si ferma.

Penso che abbiamo un po' di problemi di connessione.

Lorenzo, intanto volevi rispondere tu, che ho visto che anche tu non eri d'accordissimo.

Ce ne sarebbe tanto da dire, ma una questione interessante, secondo me, perché è indice di

un rischio di calarsi le bracchie al nazionalismo, cosa che io vedo avvenire in particolar modo dagli

amici che un tempo erano liberoscambisti e grandi globalizzatori, è quello che ha detto

Luciano prima su il fatto giusto che la ridistribuzione economica richiede coesione

sociale. Ed è evidente, se io devo chiedere a che una comunità ridistribuisca al suo interno

le risorse economiche o dei servizi, è necessario che questa comunità si senta coesa. Giustissimo.

C'è quindi un rischio, dice lui, che numeri eccessivi di migranti portino a un deficit

di coesione sociale e quindi a una resistenza maggiore rispetto a politiche ridistributive

umanamente welfaristiche. È possibile, però io mi domando perché noi dobbiamo accettare

in partenza il discorso che la coesione sociale viene intaccata da qualcuno che ha una pelle

diversa della nostra e che paga le tasse, che lavora, che spesso impiega anche italiana,

i cui figli spesso vanno a scuola con i nostri e non, in maniera ancora maggiore, dai vari

briatore che mettono i propri soldi nei paradisi fiscali all'estero, da grandi compagnie come la

Fiat che vanno a mettere la sede fiscale in Olanda per non pagare il dovuto allo Stato

italiano. Perché io devo accettare che sia il nero che viene a chiedermi aiuto, che mette

sotto scacco la coesione sociale italiana e non i grandi ricchi che rubano risorse ogni mese e ogni

anno attraverso il sistema dei paradisi fiscali. Allora, proviamo a cambiare l'ottica del discorso,

proviamo a non farci trainare costantemente dal nazionalista e dal populista di turno e

questo richiede sì accettare di avere dei nemici e ci sono dei nemici, sono dei nemici coloro che

utilizzano i paradisi fiscali, sono dei nemici coloro che impiegano i rider a pochi euro l'ora

senza nessuna garanzia, a un punto tale che perfino il Tribunale di Milano ha condannato

a pagare 700 milioni di multa. Sono nemici coloro che discriminano sul posto di lavoro,

cosa che avviene non soltanto ai migranti ma anche alle donne e soprattutto si aspetta un

bambino. Allora, cominciamo a capire chi è che intacca la coesione sociale e abbiamo il coraggio

di identificare questi nemici e ci accorgeremo che spesso hanno la pelle più bianca della nostra

e il conto in banca con molti più zeri. Questo credo che sia un punto un po' più generale sul

rischio di andare a traino in un contesto in cui ci sono risorse scarse e sempre più scarse,

c'è una lotta sempre più accesa evidentemente a come queste risorse vanno redistribuite e se noi

accettiamo il discorso della controparte in partenza abbiamo perso. Poi ci sarebbero tante

cose da dire ma penso che ci siano anche i nostri ascoltatori che hanno delle domande.

Adesso credo di essere. Scusatemi ma è una connessione proprio del cavolo.

Nel frattempo si è scaldata l'atmosfera.

Il telefonino pare che si vada meglio con il telefonino. In ogni caso non sono d'accordo

con Lorenzo su una cosa, cioè secondo me la globalizzazione esiste, non la puoi negare ed

è stato anzi uno delle ragioni per cui siamo entrati anche in una crisi a livello di partiti,

a livello della politica eccetera. Il vero problema è che a livello di stato sovrano,

per capirci, ormai i governi italiani, tu mi devi dire che cosa decidono perché di bilancio non

possono decidere, di investimenti sempre meno, hanno i vincoli europei che li tengono. Il vero

problema è che l'Europa non è ancora un'Europa politica. Questo secondo me risponde in parte

anche alle osservazioni di Luciano. È vero, è bellissimo, tutti i movimenti ci sono,

gli ideali ci sono, perché saranno finite le ideologie ma non sono finiti gli ideali e il

mondo che abbiamo di fronte non ci piace e quindi l'impegno dei giovani ci dovrebbe essere. Il

problema è che è un impegno di giovani e ci sono e sono quelli che sono mondializzati,

sono quelli che sono europeizzati ed è lì che devono cominciare a lavorare perché nessuno può

pensare, è utopico pensare che si possa ottenere tutto, se no diventiamo i rivoluzionari che eravamo

nel 1968. Bisogna operare via via e la cosa che bisogna fare è l'Europa, bisogna fare un'Europa

politica e guardate che l'Europa a noi Italia ci ha dato tantissimo a livello di crescita,

di democrazia, perché l'Europa è un'Europa strettamente economica e fondata sull'economia,

però poi i tribunali, la comunità delle leggi, dei diritti è aumentata anche in Italia grazie

all'Europa. Quindi è su questo che l'Europa deve crescere, su questo che deve investire la nuova

generazione di giovani e in parte investe, perché il fatto che se ne vanno dall'Italia

significa assai poco se entrano nelle strutture che devono creare l'Europa. Da questo punto di

vista i sovranismi non esistono perché è più forte lo Stato nazionale, è che hanno paura,

i sovranismi nascono sulle paure delle persone perché è vero che ci sono i garantiti, non

garantiti ma ci sono soprattutto chi è fuori dal discorso della mondializzazione, perché questa

mondializzazione è avvenuta in un certo modo che bisogna cambiare, cioè bisogna portare la democrazia,

ma cominciando dall'Europa che è il nostro, è ormai la nostra nuova realtà. E' inutile dire ma

lo Stato nazionale, lasciatelo dire ai sovranisti, lo Stato nazionale in realtà può bene o male

amministrare quello che viene deciso e che dovrebbe essere deciso da un governo democratico

dell'Europa. E' chiaro che se no tutto ciò va solo ad alimentare i burocrati di Bruxelles e in

parte hanno ragione, sono dei burocrati perché non hanno ancora un'anima politica, però è lì che

bisogna incidere. Da questo punto di vista, per quello che posso, ovviamente non parlo più nemmeno

da storico, però la storia che non si studia più è la storia che ci lo dice da quando è cominciato

tutto ciò. Per esempio Maastricht è stata una tappa, una tappa di che cosa? L'Italia non aveva

i parametri per entrare a Maastricht, ha fatto i salti mortali per la moneta unica. Perché? Ma

perché era indispensabile, perché il mondo era così e quindi che cosa è mancato? E' mancato il

fatto che in questa Europa non si è più discusso di ideali, la Costituzione europea non si è riuscita

a fare perché? E perché costa sapete di fare un cambiamento così forte? E' un cambiamento che non

è solo un cambiamento di un'epoca, è un cambiamento di secoli di storia, per cui non ci si può nemmeno

illudere che ci si arrivi così facilmente. Scusate, ho preso un sacco di tempo ma perché non riuscivo a

scaldarmi. Ci siamo scaldati tutti a un certo punto. Io volevo, so che siamo arrivati alla fine,

ma volevo dare un minuto a Luciano per rispondere a questa cosa anche se non penso che lui difendesse

i movimenti nazionalisti. Ecco, non ti sentiamo Luciano? Ti senti adesso? Ho cercato appositamente

di vivacizzare la discussione. C'è una differenza tra quello che ognuno di noi auspica e crede,

i propri valori, e però dei dati di realtà che non possiamo ignorare e di cui non possiamo non

tener conto. Rischiamo tutti di essere un po' utopici, utopisti. Io nel mio libero scambismo,

che non ho abbiurato, nessuno abbiura a questo. Però, per i pensionati e le forze demografiche

in Italia, anche in Europa, sui temi della maggiore integrazione, maggiore redistribuzione,

condivisione di debito e risorse, abbiamo visto che sono le forze profonde e gli interessi nazionali

che sono più forti dell'ideologia. Quando si discuteva della next generation, del recovery,

di fare questo bilancio unico e di mettere in comune le risorse, le maggiori resistenze

sono arrivate da governi che erano di sinistra, social democratici, la Svezia, l'Animarca,

non perché fossero di sinistra, avrebbero dovuto, in base a quello spirito, avere maggiore solidarietà,

ma perché erano stati del nord e avevano un interesse nazionale da parte del loro elettorato,

erano poco inclini e poco contenti del dover condividere risorse o meno. In quel senso,

la nazionalità, l'interesse di quell'aggregazione sociale, che chiamiamo Stato Nazione, di quegli

elettori, è più profonda della divisione destra-sinistra. Quindi è stato più semplice per

i governi del sud, che hanno interessi comuni, superare le barriere ideologiche destra-sinistra,

che avere comunanza tra partiti dello stesso schieramento, tra nord e sud. Quindi è giustissimo

avere idee e ambizioni, ma il dato dello Stato nazionale e degli interessi nazionali non è

qualcosa di concreto che esiste e di cui bisogna tenere conto.

Grazie, mi sembra tra l'altro un'ottima chiusa. Ognuno di noi ha degli ideali e ne siamo tutti

coscienti, ma diciamo che lo Stato, la realtà, non può essere ignorato. Io con questo vi ringrazio

Luciano Capone, Simona Colarizzi e Lorenzo Marsili per aver partecipato a questo panel

sulla politica. C'erano tantissime domande, tante non ne ho chieste perché erano molto

specifiche sui partiti italiani, ma avremmo divagato. Oggi si è parlato di politica in

senso molto più lato, così come parleremo di sanità tra due settimane. Vi invito a seguire

il panel sempre qui sul canale YouTube e Facebook di La Terza. Grazie a tutti e buona serata.


POLITICA POLITICS POLÍTICA POLITICA POLİTİKA

Eccoci qui, buonasera a tutti. Siamo al quinto incontro di Interregno, che è uno spazio

di confronto intergenerazionale in cui mettiamo a confronto diversi punti di vista, ma anche

punti in comune tra diverse generazioni, tra passato presente, parleremo anche un po' del

futuro. Grazie ai editori La Terza che ci invita tutte le volte, che ha creato questo spazio e

grazie ai nostri ospiti di stasera che sono Simona Colarizzi, storica, Luciano Capone,

che è un giornalista e Lorenzo Marsili, che definiremo filosofo e attivista. Grazie per

essere qui, il tema di stasera è la politica. Il termine politica deriva appunto dal greco

anticolo, sappiamo tutti politichè, dalla crasi proprio di Polis, quindi la città-stato,

e technè, l'arte, la tecnica. Secondo gli antichi greci il fine ultimo della politica era il

concorrere al bene, quindi al vivere bene. Lorenzo, partiamo da te che appunto sei filosofo,

che cosa significa politica oggi e cosa significa fare politica oggi?

Chiaramente è una domanda vastissima anche perché la politica e la definizione stessa

della politica cambia e varia attraverso la storia e con il tempo, e forse è questo

cambiamento storico del significato del fare politica della contemporaneità che

è interessante andare a vedere. Per un tempo valeva il vecchio detto, la politica è quella

cosa di cui si può tranquillamente fare a meno, non ti dirà niente perché ve l'ha fatta a te,

sarai non soggetto ma un oggetto della politica, quindi della definizione del nostro futuro

collettivo che verrà imposto e deciso sopra la tua testa. Oggi però mi sembra che questo vecchio

dado per certi versi non regga più, perché non solamente la politica viene fatta sopra le teste

di coloro che si assentano dal gioco politico, dall'impegno politico, ma mi sembra che non venga

fatta più. Mi spiego, se noi guardiamo alle straordinarie trasformazioni in atto nel nostro

mondo, se guardiamo all'accumulo di crisi sistemiche che si sono andate manifestando

negli ultimi due decenni, dalla crisi finanziaria del 2008, la crisi ecologica in corso, la crisi

geopolitica che vede una nuova sfida fra Cina, Russia e Stati Uniti, evidentemente la crisi

pandemica che stiamo attraversando, di fronte a tutto questo scenario di poli-crisi che toccano

l'interezza del nostro vivere insieme, toccano la nostra salute, toccano la nostra economia,

toccano la dimensione del lavoro, la dimensione del welfare, la dimensione della geopolitica e

delle relazioni internazionali, ecco di fronte a tutto questo il talk show della sera dove vediamo

i politici parlare e litigare, esprimere le loro visioni, sembrano un triste e stanco

inconcludente avantspettacolo, sembra un teatro che abbia già finito la propria rassegna su cui

si è accanato il palcoscenico. C'è uno scatto straordinario fra un mondo indisperato bisogno

di trasformazione, un sistema in mancarotta morale, prima ancora economica, un pianeta che grida per

la ricostruzione di un modello di sviluppo e di creazione di ricchezza che non porti l'umanità

intera al suicidio e di fronte a tutto ciò noi siamo spettatori di un gioco politico che

sembra assolutamente privo della capacità, della volontà, della forza, della tecnica anche,

di affrontare effettivamente questo mondo in ebullizione. Quindi un po' questa è la domanda

che dobbiamo farsi oggi, che cosa è successo e perché questo è successo alla nostra capacità

di prendere in mano il futuro, di ricostruire una nostra potenza, di definire, di costruire,

di incidere sul nostro vivere collettivo nei prossimi anni. Ne parleremo più avanti,

ma per me per anticipare quello che sembra che sia accaduto è che la politica moderna

è sempre stata intesa come politica nazionale, come un gioco da giocarsi all'interno dei confini

di uno Stato-Nazione e poi un gioco internazionale dove i diversi Stati, come diverse matrioschi,

come diverse pedine, si relazionavano l'uno all'altro. Oggi questo paradigma mi sembra che

non funzioni più, questo è il paradigma della modernità, mentre le sfide che ci troviamo ad

affrontare sono sfide già e sempre planetarie e se la nostra politica, la nostra capacità di

organizzarci nell'attivismo, nella politica partitica, nella dimensione della società civile

rimane chiuso alla sua dimensione moderna e nazionale, ecco che si crea quel grande scarto

per cui il mondo sembra andare alla velocità della luce e la nostra pratica politica sembra

rincorrerlo come un flebile e insignificante suono, sempre in ritardo e arriviamo a giochi già fatti.

Quindi sanare un po' questo scarto fra nazionale e planetario mi sembra la sfida della nostra

generazione per restituire alla politica ciò che dovrebbe essere il suo compito, la tecnica di

costruire un avvenire comune e di coinvolgere i diretti interessati in questa costruzione.

Ecco, in questa scena globale gli attori del gioco politico sono i partiti, i partiti che

hanno guadagnato o perso hanno cambiato ruolo nel tempo, Luciano qual è oggi il ruolo dei partiti?

Insomma è utile partire dal contesto italiano che è quello che tutti conosciamo meglio,

come dette lavori ma proprio come come cittadini ed elettori. Insomma lo scenario forse in Italia è

peggio e peggiore che altrove, nel senso che i partiti sono lo strumento indispensabile e

necessario della vita democratica per come la conosciamo, da prima della Repubblica in un

certo senso e soprattutto dopo la nascita della Repubblica. Insomma nell'arena della liberal

democrazia è lo strumento attraverso cui si fa politica e però in Italia è una parolaccia,

cioè nel senso che abbiamo un solo partito che si chiama tale, che è il Partito Democratico,

che pare che anche in questi giorni con la nuova segreteria stia discutendo se cambiare il nome,

come dire, diventare semplicemente i democratici o qualcosa del genere, togliendo la parolaccia

partito. E il partito di più grande successo che è il Movimento 5 Stelle, che nega di essere tale,

ha parte consistente del suo successo è proprio di essere la negazione di un partito e inventa

tutto un linguaggio, una specie di neolingua, è il non partito che ha un non statuto e usa tutti i

nuovi vocaboli, dal portavoce a altre cose, al direttore, al capo politico, per come dire

distinguere da termini e nomi usati per partiti tradizionali come segretario, segreteria,

eccetera, eccetera. E quindi anche se è perfettamente identico per certi versi alle

strutture partitiche, usa parole diverse per negare di essere tale. Quindi c'è una scarsissima

considerazione da parte degli elettori nello strumento, che però è necessario. Quindi da un

lato questa dinamica respinge anche le persone più appassionate alla politica, alla vita civile,

diciamo, ad avvicinarsi ai partiti, perché sembra quasi, come dire, anche chi ha un po' di passione,

sembra quasi incontaminarsi, è qualcosa da lasciare a chi lo fa più per interesse, per potere o per

professione. Questa è una cosa molto, come dire, quasi una patologia, perché sono uno strumento

necessario ai partiti, cioè se chi ha interesse alla vita civile non fa politica attraverso queste

associazioni, con questi strumenti, riesce poco ad incidere. E poi c'è un altro problema, è che la

struttura di queste associazioni, cioè i partiti sono molto deboli al loro interno, sono molto più

deboli nella società, ma anche al loro interno non hanno più strutture per elaborare proposte,

pensieri, spesso anche semplici polisi. Quindi sono dei comitati elettorali, un po' che si

organizzano per fare le liste quando ci sono le elezioni, selezionare i candidati, diciamo,

ognuno secondo i propri metodi, ma sono incapaci di qualsiasi tipo di elaborazione. Hanno poche

strutture che pensano a soluzioni, proposte, le elaborano, e gran parte anche dei provvedimenti

delle leggi sono scritte altrove, cioè nelle tecnostrutture, nella burocrazia statale,

o da associazioni esterne, think tank, che riescono in questo modo a far più politica,

incidere dall'esterno nei partiti, preparando i pacchetti di provvedimenti già pronti,

con uno slogan che il partito deve raccogliere e portare in Parlamento. E mi pare che ci sia,

anche rispetto ai modelli come quelli anglosassoni o americani, dove i partiti sono molto più leggeri

di quelli europei, da noi siano ancora più fragili, perché lì i partiti, che sono un po' dei grossi

comitati elettorali, hanno anche un maggior rapporto con i think tank, le università,

i luoghi in cui si elaborano sia le proposte che le idee politiche, mentre da noi c'è una

fragilità estrema e tutte le nuove leadership dei partiti fanno poco, si occupano molto spesso

degli indirizzi, slogan, simbole e robe varie, ma poco della struttura, dell'organizzazione politica,

che è qualcosa, magari la professoressa Colarizzi potrà spiegare meglio di me,

fondamentale, l'organizzazione della marchia del partito è uno dei passi più importanti per poter

in Cile avere una democrazia più o meno funzionante. Ecco, appunto, interroghiamo la

professoressa Colarizzi. Simona, tu hai scritto molto su le generazioni precedenti a quelle che

adesso fanno politica, in realtà purtroppo non tanto, ma vedendola in una prospettiva proprio

di generazioni, com'è cambiata la politica negli ultimi decenni rispetto al momento in cui viviamo

ora, anche i partiti? Dunque, intanto sono molto d'accordo con tutte le osservazioni che hanno

fatto sia Lorenzo che Luciano, tra l'altro mi interessa molto il discorso proprio della,

oltre a quello della diagnosi, qual è la terapia. Noi ci troviamo in questa situazione da parecchi

anni, non è una situazione nuova, è una situazione secondo me che risale proprio quando è finita la

prima repubblica che era una repubblica dei partiti, quindi è finita, è finita una fase. Il perché è

finito è anche un problema che ci riporta disperatamente all'oggi, sapete, perché è finito

nel momento in cui è arrivata la modernità, in cui c'è stato un cambiamento di era di cui avete

parlato tutti. Certo che era completamente diverso, il mio mondo, quando io ero giovane come voi,

era un mondo completamente diverso, quello che oggi viene detto mi fa quasi sorridere per persone

che erano interessate ovviamente alla politica ed erano molto interessate, era quasi, non dico,

era un dovere civile essere interessati alla politica perché si aveva la sensazione di dover

costruire la democrazia, noi non eravamo soddisfatti, parlo ovviamente della generazione

della fine degli anni 60, della generazione dei 70, noi non eravamo soddisfatti del nostro

esistere, cioè una visione del futuro e anche di una visione di un futuro diverso, era qualcosa

che era connaturato al fatto che noi eravamo giovani e la soluzione era la soluzione della

politica. I partiti erano partiti di massa, partiti con fortissime organizzazioni, erano i partiti in

fondo però trocenteschi, erano ancora organizzati, grandi organizzazioni basati sull'ideologia,

sull'organizzazione, sulle strutture, erano dei partiti di educazione delle masse che vivevano

in una società che era organizzata per grandi aggregati collettivi. Nel momento in cui un giovane

entrava in politica non necessariamente entrava subito in un partito, la mia generazione è una

generazione che ha, diciamo, rivendicato il fatto di essere soggetto politico innanzitutto, non

eravamo solo soggetti, eravamo nuovi soggetti, i giovani non esistevano, quindi la nostra generazione

siamo immediatamente soggetti politici. Poi abbiamo cominciato a interloquire con i partiti,

esistevano, erano delle grave, tutto questo mondo è finito, è finito nel momento in cui c'è stato

un cambiamento di era in cui sono finiti i grandi aggregati collettivi, è inutile pensare che il

partito di massa possa ritornare, questo io volevo dire, così come, e sono, ma non voglio arrivare

subito diciamo alla terapia, così sono molto d'accordo sul fatto che ormai la dimensione non

può essere solo una dimensione nazionale, su questo è evidente. Nel momento in cui è esploso

il nuovo mondo, il nuovo mondo è tutta un'altra cosa, è un mondo della comunicazione, è un mondo

non è tuo appunto, è un mondo della mondializzazione, è cambiato tutto e i partiti non ce l'hanno

fatta, i partiti così erano. In fondo se voi pensate bene ancora dentro i partiti, voi avete

detto il partito democratico è l'unico partito che ancora ha il nome di partito, perché ancora

addirittura c'è un po' di quella che era la vecchia struttura dei partiti, per questo diciamo è un

partito teoricamente nel diciamo, in tutto quello che si può criticare, è un partito il più solido

che c'è. Quale tipo di partiti sono? Sono dei partiti populisti, attenzione, sono dei partiti

che non si rivolgono più, non hanno più nemmeno bisogno di avere una struttura perché la loro

perché si rivolgono genericamente a un popolo che non esiste. Poi avranno le loro strutture perché

ovviamente poi hanno tutte le lobby che i gruppi di pressione esistono, sono sempre esistiti,

sapete anche quando c'erano le grandi strutture di partito, però diciamo se uno fa l'analisi di che

cosa sono i partiti populisti, che cosa è stata l'origine dei 5 stelle che è importantissimo

perché sui 5 stelle noi possiamo verificare una serie di cose, possiamo verificare quando la

frattura è stata con i partiti e c'è stata anche per colpa dei partiti naturalmente, i partiti non

sono riusciti ad adeguarsi, i partiti che facevano parte, quelli che studiavo e che ancora studio,

che facevano parte del mondo della prima repubblica non sono riusciti a convertirsi in

modo da interpretare una società che non è più una società collettiva ma è una società dell'individuo,

può essere detto una società liquida, una società come la volete chiamare, non ha importanza la

definizione, solo che è molto più difficile aggregarla. Prima la si aggregava a livello di

strutture perché era una società collettiva, era una società organizzata collettivamente in cui il

partito, il modello di partito di massa corrispondeva a quella società. Quando a livello di anni è

cominciato tutto alla fine degli anni 70 come sappiamo bene, poi negli 80 e poi via via è

andata sempre più avanti, in cui c'è stata la destrutturazione della società, ma non è solo una

questione dei partiti. La politica. C'è una persona che ci segue che ci chiede se anche Sinistra

Italiana è un partito populista visto che è stato detto appunto che il partito democratico è l'unico

partito non populista. Il partito democratico, anche Sinistra Italiana, è un partito. Stiamo

parlando di... non esiste più la dimensione di massa naturalmente, mentre invece i partiti

populisti hanno una dimensione di massa. Anzi, in realtà il partito populista, chiamiamolo come

volete, sovranista, poi si inventa tutto. Non a caso però si inventa dei temi su cui lavorare e

non sono dei temi campati per aria, esistono. Esistono però non non li declina più a livello

di partito. Quello che interessa è il consenso, è completamente diverso. La politica non si fa solo

col consenso e invece la politica si tende a farlo solo col consenso. Questo però implica

anche un altro grosso problema, che è un problema poi della governance di uno stato, perché il

partito teoricamente dovrebbe comportare una governance. Guardate che questo è un problema

che si pone anche in Europa, perché è necessario... Parleremo di Europa tra un attimo, ma volevo

tornare su un punto che secondo me è molto interessante, che è quello appunto del consenso,

ma in generale dell'impegno nella politica, perché da una parte appunto noi sappiamo che nelle

democrazie occidentali ormai c'è in corso una crisi della politica, un malcontento dei cittadini,

in particolare dei giovani, verso le istituzioni, gli attori politici, ma in genere appunto si

associano questi giudizi un po' alla distanza che ha il partito rispetto alla persona.

L'avvicinarsi con delle stanze che appunto ricevono consenso in qualche modo è più semplice che creare

degli ideali in cui effettivamente credere, ma la partecipazione politica non deve essere appunto

sempre solo di supporto, può anche essere in generale di protesta e in questo senso,

Lorenzo, volevo chiedere a te se oggi tu vedi una crisi di fiducia dei giovani verso la politica,

o se appunto la politica in qualche modo si è un po' dimenticata anche dei giovani.

Sì, Aristotele diceva che Atene stesse sprecando metà della sua popolazione perché non permettere

un'eguaglianza dei diritti delle donne, chiaramente. Oggi in Italia quel problema lì

ancora non è pienamente risolto e in più l'Italia spreca buona parte dei suoi giovani.

Questo è un disastro economico prima ancora che politico, noi sappiamo che ogni anno l'Italia

vede 200.000 persone emigrare, in grande parte, non nella totalità, sono persone tendenzialmente,

mediamente o molto istruite, tendenzialmente giovani, tendenzialmente di spirito imprenditoriale,

che a fronte di un investimento italiano in educazione e ricerca vanno a creare opportunità

per loro stessi e per gli altri all'estero e questo crea una gigantesca tara sulla crescita

economica del nostro Paese. Quindi affrontare la questione del pieno ingresso dei giovani

nel mondo del lavoro in una posizione che non sia costantemente subordinata e infantilizzata, in the world of work in a position that is not constantly subordinate and infantilized,

per cui fino a 40 anni vengono considerati giovani e non quindi ancora capaci di prendere

le redini, la direzione di una società, di un'impresa, di un partito, di un movimento,

questo è qualcosa che grava in maniera non secondaria sulla stagnazione economica del

nostro Paese negli ultimi 20 anni. E chiaramente questo è un disastro anche politico, perché

a fronte, come ci ricordava la professoressa, di un cambiamento di sistema, di epoca in questi

ultimi 20 anni, servirebbe una classe dirigente con la capacità di percepire il mondo nuovo

che si sta formando dinanzi ai nostri occhi, mentre noi invece abbiamo una classe dirigente

tendenzialmente formata nel mondo di ieri e il mondo di ieri non ha più le soluzioni per il

mondo di oggi, meno che mai per il mondo di domani. Laddove vediamo una classe dirigente world of today, less so for the world of tomorrow. Where we see a ruling class

effettivamente giovane, va detto che la selezione all'ingresso è stata quantomeno ridotta all'unicino,

i 5 Stelle hanno il merito di aver portato persone anche di un'età abbastanza bassa in

posizioni importanti e di dirigenza, certo come non basta essere intelligenti, non basta

essere giovani, idealmente le due cose andrebbero coniugate in un processo di selezione che potesse

portare le persone giuste ai posti giusti di lavoro. Io devo dire che avendo avuto poco a

che fare con il mondo della politica, ma un po', ho notato non soltanto una colpa da parte del

sistema, della struttura, della gerontocrazia che esiste in questo Paese, esiste in politica, system, of the structure, of the gerontocracy that exists in this country, exists in politics,

esiste in economia, ma anche una mancanza spesso di capacità da parte dei giovani di prendere le exists in the economy, but also an often lack of ability on the part of young people to take the

redini, di prendere il potere, di uccidere il padre per dirla così. Ho visto molte persone nel mondo reins, to take power, to kill the father to put it that way. I have seen many people in the world

della politica purtroppo, devo dire principalmente a sinistra, mettersi in fila e aspettare il proprio

turno, questo rischia di essere il messaggio che noi mandiamo a questa generazione, aspetta,

aspetta, aspetta, a 40 anni smetterai di essere giovane, lentamente ti sarà dato qualche cosa e a

60, 70 potrai anche tu comandare e avere i diritti acquisiti che adesso ha la generazione precedente.

Questo chiaramente non avverrà, perché se questo sistema non verrà profondamente ristrutturato,

la mia generazione non avrà le garanzie che ha la generazione precedente, ma soprattutto non è così

che si cambia il mondo, il mondo si cambia prendendo il coraggio di uccidere anche il padre,

utilizzando anche delle astuzie politiche laddove necessario. Come devo dire, persone fra le più

distanti da me politicamente, Salvini, Meloni, hanno dimostrato essere possibile, persone che

si sono sfrancate dai propri padri e hanno preso il controllo, l'uno di un partito che era al 3%,

portandolo al 20-30%, l'altra di un partito inesistente, che l'hai costruito e che ora è

al secondo o terzo posto nell'oscenario politico. Niente di più distanza dalle mie posizioni,

ma chapeau, è quel tipo di spirito che è necessario da parte dei giovani, oltre a un

giusto attacco rispetto alla gerontocrazia. E su questo chiudo dicendo che forse la nostra

scuola ha una responsabilità per crescere una generazione a cui forse viene insegnato troppo a

ripetere ciò che viene insegnato in classe e ciò che viene letto sui libri e troppo poco a contestare

ciò che viene detto con le proprie idee, sbagliate che siano, ma con la propria capacità di mettere what is said with one's own ideas, wrong as they may be, but with one's ability to put

la propria visione, i propri ideali, le proprie convinzioni al pari di quello di una conoscenza

acquisita del passato. Stanno arrivando molte domande tra cui anche sulla formazione della

politica e in politica, ma ne parliamo tra poco. Nel frattempo volevo chiedere un attimo alla

professoressa, lei ha scritto un libro, nel tuo libro Un Paese in Movimento descrive appunto gli

anni 70 in generale, ma anche con sbocchi nei 60 e negli 80, come un momento di crisi, ma anche un

momento in cui le giovani generazioni partecipavano alla vita politica con grande entusiasmo, quindi

come si sviluppava la partecipazione dei giovani alla vita pubblica, alla vita politica all'epoca

ed è diverso da oggi? Intanto perché, diciamo per fare il verso a Lorenzo, uccideramo il padre,

questo è stato fondamentale naturalmente, cioè non eravamo contenti di come videranno e questo

è stato questo il primo stimolo, in maniera però di impegno civile, nel senso che non era una

questione individuale, era una questione collettiva, avevamo di fronte qualcosa che i giovani oggi

danno per scontato e secondo me è questo il grosso problema, i giovani oggi danno per scontato il

loro tenore di vita, danno per scontato persino i diritti e le libertà di cui godono e non capiscono

che su questo piano si deve invece continuare a lottare. Questo perché è avvenuto questo, cioè

perché c'è questo tipo di passività? Io prima ho parlato male, diciamo, dei partiti e le colpe

che hanno i partiti sono tantissime, le colpe che hanno i giovani però è quello di aver dato per

scontato. Guardate, lo dico io come donna, delle volte io guardavo le mie studentesse e per loro era taken for granted. Look, I say this as a woman, sometimes I would look at my female students and for them it was

tutto scontato, ma perché? C'è un problema delle donne? Io cercavo di dire ma come non vedete che

c'è un problema delle donne? No, avevano le loro libertà e ecco è un modo per rimuovere i problemi.

Il fatto di aver cambiato, diciamo, il paradigma della società da società collettiva a società

individuale ha portato a questa chiusura, ha portato a non capire, a non vedere che cosa sta

succedendo a tutti gli altri, cioè è stata quasi una chiusura determinata anche da un decadimento

della scuola e questo bisogna dirlo, della scuola e delle università. Tra l'altro un

dettaglimento della storia. Prima Luciano, scusate, prima Lorenzo diceva bisogna avere una classe

dirigente preparata, sì, deve essere giovane, d'accordissimo, deve essere intelligente, va bene,

ma deve essere anche preparata. Cioè, diciamo, il uno vale uno, scusate, abbiate pazienza, non è così,

bisogna preparare ma anche per riuscire a capire. Quindi, quando mi chiedete ma hai i tuoi tempi?

I miei tempi sono diversi, i miei tempi avevamo, però li avevamo di fronte, la battaglia era una

battaglia, a prescindere dai partiti, attenzione, sono i partiti che hanno dovuto rincorrere il

movimento giovanile. Però è interessante quello che dice Mario, che dice che i gerontocrati di

oggi sono i contestatori di ieri, i contestatori del 68, è così? Sei d'accordo? Sì, sono diventati

classe dirigente, perché i contestatori di ieri erano i primi della classe, poi si sono portati

dietro tutte le masse giovanili, però sono quelli che poi sono diventati i grandi direttori dei

giornali, i grandi politici, i primi ministri eccetera eccetera, certo, ma erano chiusi nel

mondo di ieri e comunque il fatto di avere una posizione di potere non significa che poi abbiano

la capacità di cambiare, questo è un altro mondo. Io continuo a sostenere che è un altro mondo,

in cui le colpe che ha la classe dirigente che si è formata negli anni 60, 70, negli anni 70 e che

comunque era già classe dirigente negli anni 80, era già classe dirigente negli anni 80 e sono

tante, quindi per carità, mea culpa, però il problema non siamo più noi oggi, sono i giovani

e i giovani gli spazi se li devono trovare perché non è possibile che pensino che la vecchia

generazione, la vecchia generazione ha fallito nel passato, non c'è riuscita, però ancora è portatore,

è portatrice di idee. C'è un altro commento di Nimal che dice, Nimal 4, mi chiedo scusa se non

sto pronunciando bene, a nessun politico interessano veramente i giovani perché dovrebbero,

tanto cambiano idea, arrivati ai 40 anni. Ecco io volevo chiedere a Luciano in realtà perché appunto

come esperto osservatore del panorama politico italiano ci può dire che cosa ne pensa, ma

soprattutto io volevo chiedere qual è il ruolo dei media in questo cambio anche di divisione

dai giovani ai meno giovani. Profitto della domanda per fare un po' il controcanto, per inserire un

po' di dialettica, diciamo, con gli altri, è che un po' è vero quello che si diceva, neppure molto

senso sperare in sé che ci siano dei politici giovani, per sé vuol dire poco, da un lato perché

non è garanzia di nulla la gioventù, dall'altro perché molte forze profonde

diciamo politiche prescindono dall'età anagrafica della classe dirigente, cioè sono spinte forti

della società italiana, siamo semplicemente una società più anziana, più vecchia, quindi le persone

più anziane sono di più numericamente, sono molto di più e sono anche le persone più ricche,

hanno più risparmi, hanno lavori e redditi più alti, quindi hanno numericamente ed economicamente

una maggiore incidenza sulle forze politiche e non è un caso che nel governo che deve essere

del cambiamento e rivoluzionario, ai cui vertici erano due giovanissimi politici come Di Maio e

Salvini, è stato il governo che ha fatto quota 100, cioè un ulteriore generosissimo regalo ai

pensionati, perché le forze profonde della nostra società sono quelle, nel mondo del lavoro i

sindacati sono dominati dai pensionati che rappresentano oltre la metà degli iscritti,

mentre i giovani che hanno i contratti più precari non sono sindacalizzati, non compaiono

e non hanno voce e quindi a prescindere dall'età anagrafica delle leadership ci sono queste forze

profonde che non tengono molto in considerazione i giovani e poi ci sono dei lati positivi secondo

me, perché il rischio di essere tutti nostalgici, sia i giovani che gli anziani, spesso anche tanti

giovani, durante la prima repubblica c'erano i partiti, era tutto diverso, i partiti erano

anche molto più forti perché tante decisioni e occasioni nella società passavano attraverso i

partiti e la politica, quindi occuparsi della politica e dei partiti era una necessità per

trovare degli spazi, occupazionale, lavoro, quindi c'erano anche lati molto negativi da questo punto

di vista, mentre adesso siamo una società che da molto più opportunità, perché la politica da un

certo punto di vista è meno presente nella società, controlla meno l'economia e quindi

molte libertà non passano attraverso il tesseramento e l'iscrizione. E poi c'è un altro

motivo per cui i giovani sono meno interessati anche all'impegno e alla lotta politica,

che ha comunque un costo nella vita di una persona, se non c'è proprio la passione,

impegnarsi, fare come dire voice, protesta, comunque l'impiego di risorse, diciamo,

non solo economiche ma di tempo semplicemente, è il fatto che molte decisioni importanti e

cambiamenti che ci sono non si riesce a incidere a livello nazionale nella politica, quindi passano

anche sopra le teste della politica e questo rende quasi la capacità di incidere meno

importante. E poi ci sono abbattuti molto i costi di exit, cioè se prima, come diceva la professoressa,

per cambiare le cose e guadagnare qualcosa nella società era necessaria la lotta politica,

adesso le opportunità nel mondo sono molto più ampie, ci lamentiamo giustamente tutti degli

italiani che vanno via, come se fosse per loro un enorme sacrificio, spesso sono delle opportunità

in più, quindi è molto più semplice andare in un altro posto del mondo, che è molto più vicino

rispetto a decenni fa, che cambiare le cose politicamente. Spesso è un costo che si infligge

a una generazione, quello di doverle obbligare a cambiare politicamente qualcosa, se uno è in un

paese a fianco, in Europa trova occasioni migliori, è una Europa più libera di muoversi e di avere

occasioni, andare via è un'opportunità che prima non c'era, quindi tutta questa serie di cose rendono

secondo me l'attività e il ruolo dei giovani nel panorama politico meno incisivo e meno utile per

un giovane impegnarsi. Credo che ci siano anche degli altri luoghi dove i giovani si possono formare

politicamente che non siano quelli standard. Questi indubbiamente, sono tanti i giovani che

non fanno politica attiva, non vuol dire che non siano interessati alla vita civile e sociale,

ci sono tanti movimenti, dei partiti dove le persone si formano, sono spesso istituti,

associazioni, giornali e questo non diventa attività politica forse in modo diretto,

ma è un modo di formarsi. Le persone giovani sono interessatissime a molte cose, spesso lo

stereotipo del giovane disinteressato a ciò che accade è uno stereotipo. Una domanda sui media,

collegandola a quello sui partiti, è anche da parte nostra spesso c'è stata questa

delegittimazione che è stato un gioco molto molto semplice, molto facile, cioè quello di

delegittimare i partiti e l'attività politica e il tentativo di suscitare nel lettore il sentimento

dell'indignazione, come la denuncia giustissima, ma soletticare questo sentimento che spesso viene

presentato come una forma di impegno civile, come se indignarsi fosse sufficiente per cambiare le

cose e spesso diventa una specie di tic facile da proporre ai lettori, molto semplice, che però

rischia di diventare sterile. Il delegittimare anche i partiti e chi prova a fare qualcosa di

sensato. Nella nascita di molti movimenti, si diceva prima populisti, di vario stampo,

diciamo a destra e a sinistra, i media hanno avuto un ruolo non indifferente, sia quando questi

movimenti erano presenti sui media, sia quando non lo erano, perché il linguaggio di populista è

passato molto attraverso i media, i giornali e soprattutto i talk show. Siamo stati attori,

noi mediatori dell'informazione fondamentali in questa trasformazione. Negli ultimi anni c'è stato

un vero cambiamento dall'America, Regno Unito, l'Europa continentale soprattutto, abbiamo visto

tutti con i nostri occhi come la democrazia liberale è stata messa abbastanza sotto attacco

e invece sono cresciuti il nazionalismo e il populismo. Con uno sguardo un po' più globale,

volevo capire un po' cosa pensavate appunto di questo cambiamento così grande e volevo chiedere

a Lorenzo, che ha scritto proprio un libro che si chiama La tua patria al mondo intero,

che parla di politica globale, come si può trasformare la nostra pratica politica per

fare fronte a questo mondo che è così cambiato? Sì, io parlo piano perché so di avere una

connessione non ottimale e me ne scuso anzi, purtroppo oggi sono in un posto con un internet

un po' così. Io penso che quello che dicevi te sulla crisi delle democrazie liberali sia

strettamente connesso non tanto a particolari successi delle forze che si vogliono chiamare

nazionalisti o populisti, ma all'incapacità della democrazia liberale di rispondere nel merito

delle grandi sfide che questo secolo ci ha portato. E' abbastanza evidente che quando un

sistema politico non riesce ad affrontare un impoverimento che in questo Paese prosegue

interrotto da almeno due decenni, non riesce ad affrontare una crisi di produzione che va a

diretto discapito del pianeta, non riesce ad affrontare una forbice di ricchezza tra i più

poveri e i più ricchi che continua ad aumentare arrivando a proporzioni che neanche nella bella

epoca di Primo Novecento con il Titanic a picco abbiamo visto. Quando la democrazia liberale non

riesce ad affrontare queste sfide qua e quindi non riesce a dare una risposta ai bisogni, alle

necessità, alle richieste della maggioranza della popolazione, è evidente che è la democrazia

liberale stessa che crea i mostri che cercano di seppellirla. Non c'è un cattivo, il cattivo è

creato dalla cattiva gestione dello status quo, sono due facce della stessa medaglia in un rapporto

simbiotico l'una con l'altra perché poi la stessa democrazia liberale utilizza i nazionalisti e i

populisti per mantenere lo status quo come unica alternativa possibile al disastro, come disse poi

Larry Clinton durante la sua favolosa campagna elettorale contro Donald Trump. A fronte di questo

i giovani, tu menzionavi, la politica globale, spesso vanno insieme, il grande movimento del

Fridays for Future per esempio è un movimento di giovani, di giovanissimi, di ragazzi non ancora

18 anni in tante istanze, ma che pone il tema centrale della nostra epoca con una nettezza,

una esattezza, una forza che non vediamo nelle classi dirigenti di qualunque età esse siano,

non vediamo interessare i summit intergovernativi o i vari incontri delle Nazioni Unite e c'è quindi

una presenza proprio di futuro all'interno di questa rivendicazione planetaria di un movimento

come il Fridays for Future. Questo tipo di richieste che vanno verso l'orizzonte di una

trasformazione di un pianeta in fiamme, una trasformazione sistemica di un pianeta che così

com'è non regge più, questo tipo di rivendicazioni rischiano di cadere nel vuoto e quindi di fomentare

ulteriore nazionalismo, ulteriore populismo, ulteriore depressione che credo anche a livello

psichico sia una delle crisi che ci troveremo ad affrontare soprattutto per le nuove generazioni

mediane a venire, se queste rivendicazioni, queste richieste non trovano un riscontro,

una risposta da parte dei nostri sistemi politici e quindi la domanda che tu giustamente mi facevi,

che si ricollega con la prima che hai fatto sui partiti ad esempio, fino a che i partiti

politici avranno un'ottica puramente nazionale e questo avviene non soltanto a livello mondiale,

ma all'interno dell'Unione Europea stessa, è evidente che un partito politico, l'azione

all'interno e attraverso un partito politico non sarà in grado di dare una risposta ad esempio

alle rivendicazioni dei ragazzi di Fridays for Future in Piazza. Si può, penso che si debba

immaginare una internazionalizzazione, una transnazionalizzazione, un diminuire planetario

dei nostri corpi intermedi e dei nostri corpi politici, penso che sia necessario oggi chiedere

che i partiti europei diventino veramente dei partiti europei, cambiano una struttura transnazionale

e un unico programma politico con il quale presentarsi alle elezioni europee ogni 5 anni,

penso che sia doveroso costruire dei veri sindacati europei, ecco questa risponde un po' a... I think it's incumbent on us to build real European unions, here's this answers a little bit to...

Governativa in cui diversi sindacati nazionali discutano, negoziano e trovano una soluzione,

la fabbrica che viene trotta ai piemontesi e data ai polacchi. Avremo bisogno di un'unica the factory being trotted out to the Piedmontese and given to the Poles. We will need a single

rappresentanza del lavoro capace di unire, così come vediamo in questi giorni con lo sciopero

Amazon, i lavoratori oltre le frontiere perché è lì che lavora già l'industria, il capitale e via

discorrendo. Quindi la costruzione di questi corpi intermedi transnazionali secondo me dirimenta se

vogliamo aprire gli spazi di partecipazione in quei problemi direttamente planetari. Finisco con

una battuta per chi ha la fortuna di vivere nel nostro continente, l'Europa è lo spazio

principale in cui esercitare questa nuova possibile politica parlamentare. Abbiamo uno spazio unico,

con una moneta unica, economie strettamente interdipendenti, un barlume di democrazia

transnazionale e una forza collettiva che ci permetterebbe di cambiare le strutture stesse

della globalizzazione se agissimo come unico soggetto politico e democratico. E quindi ecco

che l'Europa diviene una metafora del mondo che sarà. Se noi riusciamo come europei a unirci,

a dotarci di corpi intermedi transnazionali, di movimenti, di forze politiche europee,

quindi di incidere collettivamente sulle strutture di governo e sulle politiche del nostro continente

e quindi di incidere sulle politiche planetarie avremo dimostrato che è possibile tornare da un

senso alla parola politica. Se non ci riusciremo e resteremo tutti quanti nascosti dietro ai nostri

muri, ciascuno col proprio muro privato cuscito addosso, ecco che allora abdicheremo al significato

stesso della parola politica e ci troveremo tutti quanti più deboli, tutti quanti più poveri e tutti

quanti alla mercè di decisioni prese altrove, che sia Pechino che sia Washington. Ecco,

con questa ultima parte hai risposto un po' alla domanda di Giuseppe che chiedeva proprio quale

forma può incidere più fortemente sullo stato delle cose, però appunto lo stato delle cose

al momento lo status quo è che esistono dei grossi enormi movimenti autocratici ma anche

nazionalismi diciamo che nazionalistici che abbiamo visto appunto negli Stati Uniti ma anche

in UK che prendono il potere. Luciano perché ci siamo ripiegati su noi stessi e soprattutto vedi

un cambiamento all'orizzonte o pensi che rimarrà così per un po'? Penso che si andrà un po'

nella direzione opposta a quella che diceva Lorenzo che forse non ho proprio le sue idee

nello specifico ma sono io per formazione un libero scambista globalizzatore penso la

globalizzazione è stato uno dei più grandi successi della storia dell'umanità se si guarda

nel complesso a cosa ha portato nel mondo in termini di aumento della ricchezza, riduzione

delle disuguaglianze globali è stata un'epoca fantastica con tutte le conseguenze, le crisi

che comporta ogni cambiamento epocale nella storia dell'umanità però i movimenti

internazionalisti anche quelli più critici della globalizzazione, noi siamo 20 anni dal G8 di Genova

tutti i movimenti che criticavano la globalizzazione proponendo modelli alternativi

transnazionali e sovranazionali cioè che vedevano la fine degli stati nazionali e la sede del potere

in questi organismi come il fondo monetario, il WTO, tutti questi organismi transnazionali

nel momento in cui c'è stata la crisi della globalizzazione prima nel 2011 ma anche adesso

con la pandemia hanno perso l'occasione di mostrare un modello alternativo perché la loro analisi

purtroppo dal loro punto di vista si è dimostrata errata e cioè gli stati nazionali non erano

delle carcasse della storia ormai suterate ma erano e sono ancora la sede più importante del

potere politico dove si prendono le decisioni politiche e quindi chi ha avuto successo sono

stati quei movimenti populisti in gran parte di destra o conservatori ma anche nella sinistra

sono stati tutti i sovranisti che hanno visto nello stato la risposta per chiudersi, isolarsi

dalle crisi globali e internazionali e tornare a risposta nello stato nazionale. Questo è un dato

di realtà con cui fare i conti, che piaccia o meno da un punto di vista sia socialista che liberale,

è un dato ineludibile e nella pandemia si è mostrato ancora più forte questa cosa.

Scusami, volevo chiederti una cosa su questo, è interessante quello che mi aveva detto Lorenzo

quando eravamo al telefono prima del panel, cioè che è più facile che oggi un ragazzo si appassioni

alla politica per un movimento come Fridays for Future più che che si appassiona all'Italia o al

partito italiano che rappresenta l'Italia. Però anche quei movimenti che cercano risposte a crisi

globali, le soluzioni passano attraverso gli stati nazionali, sono poi i singoli governi che se ne

occupano, non esiste una risposta globale univoca, serve magari il coordinamento ma passa attraverso

gli stati nazionali. Nella pandemia abbiamo visto in maniera drammatica questa cosa. Adesso le do la

parola a professoressa perché finisco con te e poi vedo che scuote la testa. Con l'innanziamento

delle barriere e del protezionismo, in maniera che non si era mai vista prima, dalle mascherine ai

vaccini c'è stato un protezionismo incredibile, la più grande potenza libero scambista che sono

gli Stati Uniti. Il Paese che non ha esportato una singola dose di vaccino, neppure qui al Canada,

e non è cambiato con il cambio di amministrazione. Biden ha mantenuto la stessa identica politica

protezionista di Trump, in maniera ancora meno giustificabile, perché l'abbondanza di dosi

vaccinali negli Stati Uniti è nettamente superiore a quella che c'era quando c'era ancora Trump,

nei primi mesi, all'inizio, quando si doveva ancora entrare in commercio i vaccini. Ci sono

delle forze profonde che agiscono in questo senso, in un ritorno a forme di protezionismo,

e sono cose su cui si interroga anche la sinistra. Leggevo un interessante libro di Branko Milanovic,

che è un economista socialista americano che si occupa di disuguaglianze, che riflettiva anche

sul tema dell'immigrazione, insomma mostrava come l'immigrazione, questo lo diceva anche

studi di Alberto Alesina, cioè la diversità etnica rende più difficile forme di redistribuzione

economica, la solidarietà economica negli Stati è molto più complicata. Anche Milanovic mostrava

come le socialdemocrazie, dove lo Stato è molto più forte, c'è molta più disponibilità a

redistribuire risorse, hanno gruppi etnici, culturali molto più omogenei. E non è un caso

che anche le socialdemocrazie nord-europee, come la dell'Animarca, i partiti socialisti,

stiano attuando forme restrittive dell'immigrazione, stanno cercando di limitarla notevolmente,

perché sentono sbriciolare il consenso su cui si è retta la socialdemocrazia e quel

modello di redistribuzione che avviene su base nazionale. Quindi le spinte a risolvere problemi

globali ci sono, però le soluzioni passano attraverso gli Stati nazionali e questo è un

tema un po' ineludibile per tutti. Cercare di tornare indietro nella protezione dello

Stato nazionale, uscire dall'euro, ritornare agli anni settanta, gli anni ottanta, ognuno

alla sua età del loro, è impossibile, ma correre troppo avanti, ignorando che sono gli Stati

nazionali da cui passano gran parte delle risposte, può essere un po' utopistico,

un salto troppo in avanti che lascia poi spazio ad altri tipi di soluzioni, più autoritarie,

nazionaliste. Ecco ne approfitto per dire che appunto l'autore che hai citato prima,

Milanovic, è tornata. Capitalismo contro capitalismo, edita da Edith Rilla Terza.

Simona, ci sei? Ti vediamo, ma non ti sentiamo ancora.

Non mi sentite? Io mi sento bene? Adesso sì.

Dove non mi senti?

Sì, sì, adesso tu.

Allora, posso parlare? Non lo so, ho permesso di parlare?

Sì, sì, no, no, volevo lasciare spazio a te.

Perché, quanto diceva Luciano, mi aveva molto interessato e non ero molto d'accordo. Nel senso,

adesso lasciamo da perdere la pandemia. La pandemia, anzi, ha dimostrato che la globalizzazione

non può non esserci e ci sarà, perché questo mondo non è che si ferma, perlomeno

non è che si ferma.

Penso che abbiamo un po' di problemi di connessione.

Lorenzo, intanto volevi rispondere tu, che ho visto che anche tu non eri d'accordissimo.

Ce ne sarebbe tanto da dire, ma una questione interessante, secondo me, perché è indice di

un rischio di calarsi le bracchie al nazionalismo, cosa che io vedo avvenire in particolar modo dagli

amici che un tempo erano liberoscambisti e grandi globalizzatori, è quello che ha detto

Luciano prima su il fatto giusto che la ridistribuzione economica richiede coesione

sociale. Ed è evidente, se io devo chiedere a che una comunità ridistribuisca al suo interno

le risorse economiche o dei servizi, è necessario che questa comunità si senta coesa. Giustissimo.

C'è quindi un rischio, dice lui, che numeri eccessivi di migranti portino a un deficit

di coesione sociale e quindi a una resistenza maggiore rispetto a politiche ridistributive

umanamente welfaristiche. È possibile, però io mi domando perché noi dobbiamo accettare

in partenza il discorso che la coesione sociale viene intaccata da qualcuno che ha una pelle

diversa della nostra e che paga le tasse, che lavora, che spesso impiega anche italiana,

i cui figli spesso vanno a scuola con i nostri e non, in maniera ancora maggiore, dai vari

briatore che mettono i propri soldi nei paradisi fiscali all'estero, da grandi compagnie come la

Fiat che vanno a mettere la sede fiscale in Olanda per non pagare il dovuto allo Stato

italiano. Perché io devo accettare che sia il nero che viene a chiedermi aiuto, che mette

sotto scacco la coesione sociale italiana e non i grandi ricchi che rubano risorse ogni mese e ogni

anno attraverso il sistema dei paradisi fiscali. Allora, proviamo a cambiare l'ottica del discorso,

proviamo a non farci trainare costantemente dal nazionalista e dal populista di turno e

questo richiede sì accettare di avere dei nemici e ci sono dei nemici, sono dei nemici coloro che

utilizzano i paradisi fiscali, sono dei nemici coloro che impiegano i rider a pochi euro l'ora

senza nessuna garanzia, a un punto tale che perfino il Tribunale di Milano ha condannato

a pagare 700 milioni di multa. Sono nemici coloro che discriminano sul posto di lavoro,

cosa che avviene non soltanto ai migranti ma anche alle donne e soprattutto si aspetta un

bambino. Allora, cominciamo a capire chi è che intacca la coesione sociale e abbiamo il coraggio

di identificare questi nemici e ci accorgeremo che spesso hanno la pelle più bianca della nostra

e il conto in banca con molti più zeri. Questo credo che sia un punto un po' più generale sul

rischio di andare a traino in un contesto in cui ci sono risorse scarse e sempre più scarse,

c'è una lotta sempre più accesa evidentemente a come queste risorse vanno redistribuite e se noi

accettiamo il discorso della controparte in partenza abbiamo perso. Poi ci sarebbero tante

cose da dire ma penso che ci siano anche i nostri ascoltatori che hanno delle domande.

Adesso credo di essere. Scusatemi ma è una connessione proprio del cavolo.

Nel frattempo si è scaldata l'atmosfera.

Il telefonino pare che si vada meglio con il telefonino. In ogni caso non sono d'accordo

con Lorenzo su una cosa, cioè secondo me la globalizzazione esiste, non la puoi negare ed

è stato anzi uno delle ragioni per cui siamo entrati anche in una crisi a livello di partiti,

a livello della politica eccetera. Il vero problema è che a livello di stato sovrano,

per capirci, ormai i governi italiani, tu mi devi dire che cosa decidono perché di bilancio non

possono decidere, di investimenti sempre meno, hanno i vincoli europei che li tengono. Il vero

problema è che l'Europa non è ancora un'Europa politica. Questo secondo me risponde in parte

anche alle osservazioni di Luciano. È vero, è bellissimo, tutti i movimenti ci sono,

gli ideali ci sono, perché saranno finite le ideologie ma non sono finiti gli ideali e il

mondo che abbiamo di fronte non ci piace e quindi l'impegno dei giovani ci dovrebbe essere. Il

problema è che è un impegno di giovani e ci sono e sono quelli che sono mondializzati,

sono quelli che sono europeizzati ed è lì che devono cominciare a lavorare perché nessuno può

pensare, è utopico pensare che si possa ottenere tutto, se no diventiamo i rivoluzionari che eravamo

nel 1968. Bisogna operare via via e la cosa che bisogna fare è l'Europa, bisogna fare un'Europa

politica e guardate che l'Europa a noi Italia ci ha dato tantissimo a livello di crescita,

di democrazia, perché l'Europa è un'Europa strettamente economica e fondata sull'economia,

però poi i tribunali, la comunità delle leggi, dei diritti è aumentata anche in Italia grazie

all'Europa. Quindi è su questo che l'Europa deve crescere, su questo che deve investire la nuova

generazione di giovani e in parte investe, perché il fatto che se ne vanno dall'Italia

significa assai poco se entrano nelle strutture che devono creare l'Europa. Da questo punto di

vista i sovranismi non esistono perché è più forte lo Stato nazionale, è che hanno paura,

i sovranismi nascono sulle paure delle persone perché è vero che ci sono i garantiti, non

garantiti ma ci sono soprattutto chi è fuori dal discorso della mondializzazione, perché questa

mondializzazione è avvenuta in un certo modo che bisogna cambiare, cioè bisogna portare la democrazia,

ma cominciando dall'Europa che è il nostro, è ormai la nostra nuova realtà. E' inutile dire ma

lo Stato nazionale, lasciatelo dire ai sovranisti, lo Stato nazionale in realtà può bene o male

amministrare quello che viene deciso e che dovrebbe essere deciso da un governo democratico

dell'Europa. E' chiaro che se no tutto ciò va solo ad alimentare i burocrati di Bruxelles e in

parte hanno ragione, sono dei burocrati perché non hanno ancora un'anima politica, però è lì che

bisogna incidere. Da questo punto di vista, per quello che posso, ovviamente non parlo più nemmeno

da storico, però la storia che non si studia più è la storia che ci lo dice da quando è cominciato

tutto ciò. Per esempio Maastricht è stata una tappa, una tappa di che cosa? L'Italia non aveva

i parametri per entrare a Maastricht, ha fatto i salti mortali per la moneta unica. Perché? Ma

perché era indispensabile, perché il mondo era così e quindi che cosa è mancato? E' mancato il

fatto che in questa Europa non si è più discusso di ideali, la Costituzione europea non si è riuscita

a fare perché? E perché costa sapete di fare un cambiamento così forte? E' un cambiamento che non

è solo un cambiamento di un'epoca, è un cambiamento di secoli di storia, per cui non ci si può nemmeno

illudere che ci si arrivi così facilmente. Scusate, ho preso un sacco di tempo ma perché non riuscivo a

scaldarmi. Ci siamo scaldati tutti a un certo punto. Io volevo, so che siamo arrivati alla fine,

ma volevo dare un minuto a Luciano per rispondere a questa cosa anche se non penso che lui difendesse

i movimenti nazionalisti. Ecco, non ti sentiamo Luciano? Ti senti adesso? Ho cercato appositamente

di vivacizzare la discussione. C'è una differenza tra quello che ognuno di noi auspica e crede,

i propri valori, e però dei dati di realtà che non possiamo ignorare e di cui non possiamo non

tener conto. Rischiamo tutti di essere un po' utopici, utopisti. Io nel mio libero scambismo,

che non ho abbiurato, nessuno abbiura a questo. Però, per i pensionati e le forze demografiche

in Italia, anche in Europa, sui temi della maggiore integrazione, maggiore redistribuzione,

condivisione di debito e risorse, abbiamo visto che sono le forze profonde e gli interessi nazionali

che sono più forti dell'ideologia. Quando si discuteva della next generation, del recovery,

di fare questo bilancio unico e di mettere in comune le risorse, le maggiori resistenze

sono arrivate da governi che erano di sinistra, social democratici, la Svezia, l'Animarca,

non perché fossero di sinistra, avrebbero dovuto, in base a quello spirito, avere maggiore solidarietà,

ma perché erano stati del nord e avevano un interesse nazionale da parte del loro elettorato,

erano poco inclini e poco contenti del dover condividere risorse o meno. In quel senso,

la nazionalità, l'interesse di quell'aggregazione sociale, che chiamiamo Stato Nazione, di quegli

elettori, è più profonda della divisione destra-sinistra. Quindi è stato più semplice per

i governi del sud, che hanno interessi comuni, superare le barriere ideologiche destra-sinistra,

che avere comunanza tra partiti dello stesso schieramento, tra nord e sud. Quindi è giustissimo

avere idee e ambizioni, ma il dato dello Stato nazionale e degli interessi nazionali non è

qualcosa di concreto che esiste e di cui bisogna tenere conto.

Grazie, mi sembra tra l'altro un'ottima chiusa. Ognuno di noi ha degli ideali e ne siamo tutti

coscienti, ma diciamo che lo Stato, la realtà, non può essere ignorato. Io con questo vi ringrazio

Luciano Capone, Simona Colarizzi e Lorenzo Marsili per aver partecipato a questo panel

sulla politica. C'erano tantissime domande, tante non ne ho chieste perché erano molto

specifiche sui partiti italiani, ma avremmo divagato. Oggi si è parlato di politica in

senso molto più lato, così come parleremo di sanità tra due settimane. Vi invito a seguire

il panel sempre qui sul canale YouTube e Facebook di La Terza. Grazie a tutti e buona serata.