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Conversazioni d'autore, Noi schiavisti: Come siamo diventati complici...

Noi schiavisti: Come siamo diventati complici...

Eccoci, buonasera e benvenuti a Casa alla Terza. Questa sera presenteremo un libro che si intitola

Noi schiavisti, come siamo diventati complici dello sfruttamento di massa. Lo mostro, vediamo,

al beneficio della telecamera. L'autrice è Valentina Furlanetto che saluto e ringrazio.

Ciao Valentina. Molti di voi che ci seguono e che ci ascoltano conoscono Valentina o ne

conoscono almeno la voce perché Valentina è una giornalista e conduttrice radiofonica di Radio

24 e conduce su Radio 24 una trasmissione molto seguita che è i figli di Enea. Valentina

collabora anche con diverse testate e tra i diversi libri che ha scritto nel passato ne

segnalo almeno uno che è l'Industria della carità, un libro che è uscito nel 2013 e che mi fa

piacere nominare perché suscitò all'epoca un acceso dibattito perché aveva un taglio,

se vogliamo, altrettanto originale e provocatorio di quello di cui parleremo questa sera. A

dialogare con noi c'è Marco Balzano. Buongiorno a tutti. Moltissimo, ben arrivato Marco. Grazie.

Siamo veramente felici di averti qui con noi. Marco è uno scrittore, è una tra le voci più

interessanti della narrativa italiana contemporanea e non lo dico solo io da lettrice,

anche se lo penso per prima io, ma lo dico anche sulla base dei tanti riconoscimenti esterni che

le opere di Marco hanno avuto. Segnalo tra i tanti riconoscimenti e tra i tanti romanzi il

premio Campiello assegnato all'ultimo arrivato e i tanti premi che sono stati assegnati a Resto

che è un romanzo del 2018, vincitore del premio Elba, del premio Bagutta, del premio Mario Rigoni

Stern, finalista al premio Strega, insomma come dicevo appunto uno degli scrittori più stimati e

più riconosciuti. L'ultimo libro di Marco, su questo parleremo tra poco, vediamo se riesco

anche in questo caso a mostrarlo, eccolo qua, si chiama Marco Balzano, si chiama Quando tornerò,

ci troviamo qui fra di noi, ed è un libro che ci permette di avviare questa nostra chiacchierata,

perché il libro di Valentina è un libro di cui noi siamo molto orgogliosi in Casa Elitrice,

che siamo veramente felici di avere pubblicato, perché tratta in un modo coraggioso e originale

un tema di cui dovremmo occuparci costantemente e non solo quando alcuni fatti di cronaca ci

costringono a dover occuparcene, ed è il tema del lavoro umiliato, del lavoro maltrattato,

del lavoro sfruttato. L'ultimo libro di Marco ha come protagonista Daniela, che è una badante

rumena, che una notte di febbraio, nascosto dalla propria famiglia per non sopportare il

dolore dei saluti, lascia tutto e tutti, parte per l'Italia, come fanno nella realtà molte sue

connazionali, e trascorre occupandosi di alcuni anziani, prima poi svolge per un periodo attività

da babysitter presso una famiglia, passa appunto in Italia qualche anno e nel libro si ricostruisce

la sua vicenda e anche quella delle persone che lei lascia a casa e di cui spesso non ci si

interessa. Il libro di Valentina ha un capitolo dedicato alle persone come Daniela, Daniela è

prodotto dell'invenzione, ora Marco ci dirà quanto c'è di vero, immagino che ci sia stata una fase

di ricerca e di documentazione concreta. Nel capitolo di Valentina ci sono tante altre donne

come Daniela e partirei da qui chiedendo a Marco che ha letto il libro quanto ha riconosciuto di

Daniela nelle donne di cui racconta Valentina e che quadro emerge da questo affresco.

Allora buongiorno a tutti un'altra volta, ma volevo dire davvero grazie di avermi invitato

a parlare del libro di Valentina perché trovo che sia un libro illuminante, non ho mai usato

la parola necessario perché la trovo così tremendamente abusata che finisce per essere

lugora, però è un libro che ha il merito di offrire un grande catalogo umano, io l'ho letto

proprio come se fosse una sorta di discesa agli inferi della nostra quotidianità, nel senso che

non c'è bisogno di andare sottoterra per vedere queste cose, ci sarebbe solo bisogno di chiamarle

col proprio nome, cosa che Valentina Furlanetto riesce a fare sempre molto bene, supportata

costantemente da un lavoro di documentazione che davvero mi spinge poi se ci sarà tempo come spero

a chiederle qual è stata la genesi e il modo di lavorare a questo libro perché è anche un modo e

un metodo molto interessante, molto da ascoltare, ma se avessimo insomma più il coraggio e la lucidità

vorrei dire anche di chiamare le cose col loro nome, anche di guardarle un po' più in faccia,

il libro è strutturato per capitoli e come dicevi tu Lea, il secondo mi pare, sentito alla propria

cura, è già una parola che definisce a pieno il lavoro di queste donne, quando noi diciamo cura

automaticamente in tutto il mondo pensiamo alle donne, ecco a proposito di tutto il mondo mi sta

a cuore anche dire che questo è un libro e Valentina lo chiarisce subito nelle pagine

introduttive con un respiro internazionale, se non ci trovate in questo libro la definizione,

il dito puntato di colpevoli, di persone dalla parte del giusto, di chi si approfitta della

situazione e di chi la subisce, ma le cose sono molto più complicate perché tutti passiamo e

attraversiamo questa questa soglia e questa linea più volte, Valentina riflette molto sulla parola

individuo, magari dopo ce ne sarà modo di parlare un po' di parole, ecco è anche un libro molto

internazionale, non sono solo i fatti di casa nostra, sono i fatti quantomeno di una parte di

mondo che si relaziona come nel caso della cura con un'altra parte di mondo e che senza questa

seconda parte di mondo, quella più svantaggiata e più povera, spesso quella più assurda,

evidentemente non andrebbe avanti e non andrebbe avanti innanzitutto per la questione della cura,

perché è la prima cosa di cui ha bisogno il mondo occidentale, che è la parte più ricca e

privilegiata anche in questo anno di pandemia ed è, scusate se appo delle parentesi, un altro merito

del metodo di Valentina di lavorare per cui ha avuto come dire sempre l'attenzione senza mai

metterla macchinosamente a sistema di riuscire a farci vedere e anche questo lucidamente secondo

me nell'informazione, nel dibattito anche giornalistico non è molto accaduto, di farci

vedere come la pandemia è intervenuta, è intervenuta in tutti i capitoli che sono nominati con la

questione di cui vogliamo parlare, c'è sempre come ha cambiato, come non ha amplificato e ulteriormente

distorto o potenziato il coronavirus questi giganteschi problemi. Dicevo che c'è anche per

la cura questo, è interessante perché la parola cura dice tanto, è molto ampia che noi però usiamo

pochissimo se ci pensate, la radice indoeuropea della parola cura si richiama al verbo osservare,

perché tu per avere cura di qualcuno, di una parola, evidentemente devi prima osservarlo per capire i

suoi bisogni, solo allora dopo che ti sei fermato ad ascoltarlo e conoscerne evidentemente la storia.

Nato delle strategie che possano effettivamente rendergli utile. Questo secondo capitolo di tutte

le donne, ce lo racconterà adesso Valentina, di tutto questo esercito di donne da ogni parte del

mondo. Io ho preso, per parlare del mio libro, una rumena che viene a Milano perché era la

situazione più facile, non avevo bisogno del passaporto e di tante altre questioni,

la lingua è neolatina eccetera eccetera. Di tutto questo esercito di donne da una parte del mondo

può rendersi cura dei nostri anziani, dei nostri malati, dei nostri bambini e delle nostre case.

Il primo aggettivo, se cura, è il primo nome che dovremmo usare, ma noi preferiamo molto più

badante che ha un significato decisamente più deteriore se ci pensate. Il primo aggettivo,

qual è il primo nome, il primo aggettivo da dare sarebbe quello di invisibile perché queste donne

stanno nascoste come prevede il lavoro di cura H24 nelle nostre case, pur entrando in una dimensione

così intima delle nostre vite, ne restano a parte fuori da qualsiasi discorso politico di dibattito

perché è una migrazione di cui non possiamo fare a meno. Anche quando ho provato quella leggiaccia

della Bossi-Fini, dopo 15 giorni, ho dovuto immediatamente fare una sanatoria perché senza

colf badanti o curanti, come sarebbe ora di chiamarle, le nostre case, i nostri affetti non

andrebbero avanti. Quindi secondo me è interessante se Valentina forse ci racconta come è nato,

almeno a me interesserebbe prima di tutto sapere come è nato questo capitolo che sicuramente

illuminerebbe anche a capire un po' come è nato tutto questo lavoro. Io Marco ti ringrazio e nel

rilanciare a Valentina con le domande che hai posto tu, aggiungo un altro punto che poi chiedo

appunto all'autrice di sviluppare per chi ci ascolta ed è questo. Nel libro, scusate,

palleggiamo un po' tra i due volumi, spero non mi licenzieranno qua in caseritrice perché provo

anche... Non tocca a me, mi discorso l'ed, perché io sono veramente molto... Io trovo una notizia

meravigliosa il fatto che ci siano tanti buoni libri pubblicati da diversi ottimi editori,

quindi c'è da festeggiare tutti insieme. Nel libro di Marco a un certo punto c'è la vicenda

appunto della protagonista che va presso la casa di un anziano che si chiama Giovanni, rimane lì

un anno e mezzo in nero, poi trova un'altra opportunità di lavoro e comunica al figlio di

questo anziano che è il suo datore di lavoro che se ne sarebbe andata e c'è questa scena molto

credibile, devo dire ricostruita con grande veramente verismo, in cui il datore di lavoro

si arrabbia, si indigna, parla di mancanza di rispetto delle regole, mi hai tradito,

me lo dici da un giorno all'altro e la protagonista del tuo romanzo dice ma scusa

mi hai tenuto in nero, non mi hai mai messo in regola. E la cosa interessante, qui mi aggancio

a Valentina, è che il lettore non riesce come dire a provare un'autentica antipatia, un odio feroce

per questo datore di lavoro perché alla fine è un poveruomo pure lui, ha sbagliato, cioè come dire

uno impattizza ovviamente con Daniela che è la parte debole, che non ha avuto un contratto,

che non ha avuto tutele, però ci si rende conto nel leggere quelle pagine che quella famiglia lì è

una famiglia che probabilmente ha delle altre difficoltà, vai a sapere. Allora questo è un

punto che è molto presente in tutti i capitoli del libro di Valentina, che come dicevi tu Marco,

ha il pregio di non separare i buoni dai cattivi, ma di mostrare come siamo tutti parte di una

trappola micidiale, fermo restando ovviamente che ci sono delle colpe, delle responsabilità in alcuni

casi evidenti e gravi e anche penalmente perseguibili, ma al di là di questi casi ci

sono tante situazioni in cui ci si comporta in un certo modo, si mettono in atto certi comportamenti

perché sembra quasi che la situazione lo imponga. Il titolo di lavoro di questo libro è stato a

lungo, condividiamolo con i nostri lettori, Valentina la trappola, te lo ricordi, poi abbiamo

iniziato a discutere perché quello era un po', ecco vorrei che Valentina nel rispondere alle

sollecitazioni di Marco su come è nato questo capitolo, su come è nato il libro, aggiungesse

anche qualcosa su questo che a mio avviso è uno dei punti centrali della tua lettura,

cioè questa impossibilità appunto di distinguere buoni e cattivi, che spiega il titolo perché siamo

anche noi schiavisti. Sì, grazie Lia e grazie a Marco Balzano che insomma è un grande scrittore,

quindi sono onorata e molto felice di parlare con lui, il libro è bellissimo,

è quest'ultimo di cui stiamo parlando e l'ho divorato perché mi è piaciuto molto,

mi piace la sua scrittura, quindi lo ringrazio doppiamente. Grazie a te. Come è nato allora,

è nato su una panchina questo capitolo, su una panchina davanti alla stazione centrale di Milano,

con Manuela che è una delle protagoniste di questo capitolo, che è rumena, anche lei come

la protagonista del tuo romanzo e come, infatti io nel tuo romanzo trovo molta verità, non so appunto

se ti sei documentato parlando con questo signore oppure se è tutto frutto di fantasia, però Manuela

che è una badante, è una donna fantastica perché allo stesso tempo mentre parla della sua condizione

di donna sottoposta a racket, perché è arrivata in Italia pagando come un po' tutte le donne che

fanno le badante in Italia, allo stesso tempo giustificava la dattrice di lavoro che ha dovuto

metterla part time per via delle sue difficoltà stesse economiche. E' fantastica perché allo stesso

tempo mi diceva con molto candore che doveva fare la prostituta, oltre che la badante, per riuscire a

mantenere la figlia. Io l'ho incontrata appunto davanti alla stazione Milano e altre situazioni

di questo tipo mi sono capitate per lavoro, perché per lavoro seguendo i migratori e per

la trasmissione che conduco Radio 24, raccontando sempre storie di italiane di origine straniera,

mi è capitato spesso di incontrare queste persone. Un'altra, Elisabetta, che avevo intervistato per

la trasmissione, che ha fatto la badante durante il lockdown di una signora quasi centenaria.

Elvira. La mia Elvira, lei dice, con un'affezione che io ho adorato, poi siamo rimaste in contatto,

abbiamo fatto tante chiacchiere, perché lei mi mandava queste foto con la sua Elvira. Era una

famiglia, una famiglia di fatto, le famiglie sono affetto, per me era una famiglia.

Però lei era la badante tecnicamente, la badante con anche la sua famiglia, i suoi figlioli, che

all'inizio erano rimasti in Moldavia da soli, con il papà che si era malato e che hanno tentato di

curare e che lei non ha visto per anni. E questa è una cosa che ritorna continuamente, questo strappo

continuo con le famiglie di origine. Quindi nasce da incontri e poi dalla curiosità giornalistica,

perché io sono una giornalista e non una narratrice, di capire perché, perché siamo in

questa situazione, perché in Romania è famosa la sindrome Italia, che è una sindrome di depressione

di cui parlate entrambi, visto quanti rispecchiamenti. Perché Italia, sindrome Italia? Io mi sono chiesta

perché non è la sindrome Francia, la sindrome Spagna, perché negli altri paesi ci sono altri

sistemi. Perché noi siamo ancora più vecchi. Sì, noi abbiamo ovviamente una popolazione vecchia che

sta invecchiando, nel 2050 si calcola che un italiano sopra i 60 anni, su tre, un italiano

su tre sarà sopra i 60 anni. Quindi siamo vecchi e invecchiamo più degli altri paesi, per fortuna,

perché voglio dire, probabilmente abbiamo una qualità della vita e la vita si allunga. O come

dice mia zia, si allunga la vecchiaia, perché poi in realtà non si allunga la vita, si allunga la

vecchiaia. E c'è bisogno tanto di cura, di molta cura di queste persone. Allora, andando invece

alla domanda di Lia, io non volevo fare un libro che raccontasse soltanto questi gironi danteschi,

di queste persone che lavorano nella catena del freddo dei macelli, invece che nei cantieri

navali, invece che a spaccare le pietre in Piemonte riempiendosi di polvere i polmoni,

perché sono davvero gironi danteschi di cui non ci rendiamo conto e li abbiamo sotto gli occhi tutti

i giorni. Volevo anche parlare di me, di io schiavista, non solo noi schiavisti, sono anch'io

una schiavista, mi metto in primo piano dal primo all'ultimo capitolo in maniera, credo,

problematica, nel senso che io stessa mi chiedo quando ordino un pranzo a domicilio, invece che

quando utilizzo un servizio a basso costo o prendo una merce a basso costo, come mai costa così poco?

Perché un ananas è proposto al supermercato a un centesimo? Perché? Com'è possibile? La materia

prima costa così poco e soprattutto chi è compresso, qual è la parte della catena produttiva che viene

compressa? E allora sono andata a cercare i perché. Allora nel caso delle badanti, ad esempio,

mi ha colpito tantissimo il fatto che noi abbiamo pochissime RSA pubbliche, quindi Residenze per

Anziani Pubbliche, la Commissione Europea auspica che ce ne siano 50 posti ogni 1000 abitanti,

la media dei paesi Ocse è 49 posti ogni 1000 abitanti, senza annoiarvi con le cifre, però per

vedere le proporzioni noi ne abbiamo 19 ogni 1000, quindi siamo molto di sotto, siamo a livelli della

Polonia, della Lettonia e quindi è per questo che la domanda non evasa dal welfare pubblico

italiano, si incontra con la miseria di queste persone, con la fatica, la povertà di queste

persone costrette a emigrare. E un magma di dolore, di dolore per queste persone costrette a emigrare,

per i figli che rimangono e che molto spesso, come racconti anche tu Marco, molto bene, non

riconoscono più le madri, l'autorità della madre, succede per le donne filippine, c'è un'associazione

che se ne occupa di questo crescere i figli a distanza e poi i figli non ti riconoscono più

come autorità, perché non ci sei stata? Il magma di dolore è anche delle famiglie italiane,

quando io racconto di questo signore napoletano pensionato, maestro di scuola che in pensione

deve gestire la mamma malata di Alzheimer e cerca un posto in una residenza per anziani,

per questa mamma perché con l'Alzheimer lui fa fatica a gestirla e non lo trova ed è costretto

a prendere una signora, una badante in nero pagandola poco e dice pretendo poco e le do

poco, è questo, è un magma di sofferenze che si incrociano, no? Per cui le badanti le abbiamo un

po' inventate noi in Italia perché non c'è la risposta dello Stato. Io l'ho notato in vari

settori, non c'è una risposta oppure c'è una risposta sbagliata, per cui noi siamo schiavisti

e ci sentiamo schiavisti, ma credo che il senso di colpa del consumatore sia insufficiente,

non serve soltanto cambiare a volte i nostri consumi, ma forse chiedere come opinione pubblica,

come elettori, un sistema diverso, perché se l'ananas costa un centesimo è perché c'è un

bracciante che viene pagato pochissimo. È vero che ci potrebbero essere braccianti pagati molto,

ma allora sarebbe come in Giappone, no? Per cui un melone costa tra i 30 e gli 80 euro, perché?

Perché i braccianti sono giapponesi e hanno degli standard lavorativi altissimi anche per questo,

però ci sarà una via di mezzo mi sono chiesta io, ci sarà una via attraverso la quale poter

entrare e trovare un sistema che non comprima il lavoratore di base, molto spesso straniero,

perché è quello che non può chiedere di più, non comprima il lavoratore italiano che non può

competere con queste paghe, perché c'è anche questo dentro il libro, lavoratori italiani che

subiscono un dumping salariare, in questa strettoia, no? Mi veniva in mente, parlando di scrittori e

non di giornalisti, Steinbeck con furore, che nel 1939, quindi tanto tanto tempo fa,

scriveva questa cosa delle paghe e diceva io sono un bracciante e assumimi, costo 20 dollari,

e un altro diceva ma io ne costo, se vuoi vengo per 15, e un altro diceva io ho tanti figli,

tante bocche da sfamare, prendimi per 10, e lui, Steinbeck dice alla fine, e alla fine finalmente

forse ci sarà lo schiavismo, perché è questo che stiamo facendo, abbassando il livello delle

nostre richieste, delle richieste dei diritti dei lavoratori di origine straniera, che sono

quelli che possono chiedere meno, perché magari non hanno il contratto, perché magari non ha la

cittadinanza, e un po' alla volta, un po' alla volta, il rischio è che capite anche a noi, se non lo

facciamo per un senso di umanità, dovremmo farlo se non altro per opportunismo, di stare attenti al

lavoro, a questa, a questo tema. Questo mi sembra, Valentina, un punto molto interessante, tra l'altro tu chiudi

proprio l'introduzione, che è così, è un invito al lettore di accompagnarti in quello che segue,

e siccome effettivamente molte delle storie che tu ricostruisci, sono storie che hanno per

protagonisti, lavoratori, lavoratrici stranieri, tu però espliciti intanto che fenomeni analoghi di

sfruttamento riguardano anche cittadini e cittadine italiane, e appunto anche lì nella

cronaca ce lo dice continuamente, e concludi l'introduzione, ti cito scrivendo, il rischio è di

credere che tutto questo non abbia a che fare con le nostre vite, per poi rendersi conto che finiti

di immigrati, quando in giro non ci sarà più nessuno da sfruttare, toccherà a noi, che è quello

che tu hai appena detto, e che mi permette di passare a un altro punto, se vogliamo più generale,

che non riguarda solo il lavoro sfruttato, che se vogliamo è la punta di un iceberg, ma è forse la

perdita di valore che si è attribuita al lavoro negli ultimi anni, e mi colpisce ad esempio il

fatto appunto che questi fenomeni appunto di lavoro umiliato hanno a che fare anche, torniamo

alla cura, con lavori che vengono prestati nelle strutture ospedaliere, colpisce il fatto che anche

lavori che non possiamo che considerare essenziali, necessari, e non solo per la fase che stiamo

vivendo, ma più in generale, subiscano gli stessi destini. C'è secondo voi un problema, Marco,

lancio a te la provocazione, di complessiva rispetto alle lotte del novecento, rispetto ai

contenuti anche delle ideologie politiche che hanno costruito la storia del nostro secondo

dopoguerra, come dire, un indebolimento proprio del tema del lavoro nel suo complesso, che appunto

arriva agli estremi dello sfruttamento, ma riguarda anche ciascuno di noi, comprese le

persone assunte, comprese le persone apparentemente tutelate, dovremmo forse allargare lo sguardo e

sentirci parte di una comune grave processo di svilimento del lavoro? Certamente sì,

certamente sì, nel senso che a mio giudizio un'altra delle domande che io porto a casa dal

libro di Valentina, è un libro fatto non per offrire delle risposte, ma per lasciarti delle

domande, è proprio quella che, diciamo così, che attraversa, è il filo rosso di tutti i capitoli di

questo libro, cioè dov'è che noi non funzioniamo? Dov'è che finisce la responsabilità individuale e

inizia un sistema che non riesci a leggere nella sua complessità? Può essere il finale di questo

libro, che potete leggerlo veramente saltimbeccando di qua e di là e tutto di fila, però il finale

tira le fila di tutto ed è anche un'immagine molto forte che non va svelata, è anche commovente,

quasi lirica nella sua concretezza, è esattamente questo, cioè basta che io non mi ordino

l'hamburger a domicilio per tirarmi fuori da tutto questo e disegnare un mondo differente? Il problema

è che evidentemente non basta e anche se bastasse noi non ci siamo mai chiesti perché facciamo così

fatica a farlo, però il problema che so di Valentina è che non è così semplice, così come noi

attraversiamo quella soglia di cui parlavamo in precedenza, non è così semplice, non basta un

gesto isolato o di strappo per togliersi dal sistema che comunque c'è ed è difficilmente

leggibile. Sicuramente io credo, allora da una parte c'è stata una velocizzazione di tutto dovuta

principalmente alla tecnologia, dalla globalizzazione in poi, che ci ha permesso di stare noi stessi

dietro poco al presente, ai nuovi lavori che nascevano, tra tutto questo forse se posso

aggiungere un elemento che così ragionando ad altavoce insieme a noi abbiamo cercato anche

veramente molto poco di educare i bambini e i ragazzi a uno sguardo su queste cose, quindi

nella scuola non si racconta il lavoro, non si guarda fuori, spesso si prepara al lavoro in una

maniera a mio giudizio completamente discutibile con l'alternanza scuola lavoro che se insomma

prepararsi al lavoro vuol dire ti mando, se fai l'alberghiero ti mando a friggere le patate

gratis da mcdonald così diventi già consapevole della mala sorte che ti aspetterà tra poco, ecco

io mi aspetterei qualcosa di più dal sistema di formazione, dall'istituzione educativa per

eccellenza insieme alla famiglia. Noi non abbiamo, non solo hai una società, lo vedi per i diritti

civili, lo vedi per il lavoro, hai dei sindacati, hai una serie di strutture, io sono figlio di un

sindacalista quindi lo dico anche con più dolore e coniezione di causa, hai delle istituzioni che

stanno poco dietro a tutti i cambiamenti che si susseguono in maniera più o meno frenetica,

i nuovi lavori che sono nati e mille altre cose che potremmo elencare più o meno a random,

è anche una politica e un'istituzione educativa che evidentemente non prende coscienza quando il

lavoro viene raccontato, spesso non solo dalla scuola, spesso anche dai sindacati, viene raccontato

un lavoro vecchio che non c'è più, che non esiste perché il lavoro e la realtà nel suo grumo e nei

suoi nodi è quello che racconta Valentina, cioè un sistema difficilmente leggibile, in questo senso

io ho apprezzato molto che non tagliasse in due e non attribuisse responsabilità, colpe, ricette,

ma ne restituisse al lettore la propria complessità perché le soluzioni evidentemente di fronte a

situazioni complesse non possono che essere tali, quindi secondo me la vera questione per chiudere

è che io mi porto a casa la domanda dove non funziono io e dove non funziona il sistema e in

che relazione sto, ma dall'altra è che sono sicuro che la politica che dovrebbe permettere la vita

della police facendo un lavoro di regia dietro le quinte e la scuola che dovrebbe preparare a

entrare nella police, proprio questa idea di guardare che cosa succede fuori dalla finestra

l'hanno abbastanza abdicato e quando l'hanno fatta l'hanno fatta con strumenti molto novecenteschi,

ecco l'abbiamo visto secondo me durante la pandemia, noi abbiamo gestito una pandemia

in maniera novecentesca e questa invece era una pandemia del terzo millennio ed era velocissima,

e quindi già noi rincorriamo la vita individualmente, quando la rincorriamo

anche a livello sistemico, sistemico politico ed educativo è tutto ancora più difficile credo.

Grazie Marco, mi fa piacere condividere alcuni dei commenti delle persone che ci

stanno ascoltando che tra l'altro tornano su punti che avete sottolineato voi, c'è Cinzia

Mandrioli che scrive il nostro stato non si è mai molto curato dell'welfare,

i rasili nidospizi sempre sottodimensionati, insomma alcune delle questioni che sollevava

Valentina che Marco appunto pure aveva accolto su alcuni limiti appunto strutturali legati

allo stato che poi portano ad alcune delle conseguenze che abbiamo detto,

conclude questa lettrice, siamo schiavisti ma anche siamo vessati da uno stato che ci

dimentica, che è uno degli aspetti pure che abbiamo segnalato. La complessità di cui parlava

Marta è una complessità che ha anche a che fare con la competizione internazionale, nel senso che

si parlava prima appunto dei costi del lavoro nelle varie parti del mondo, cioè il dumping

salariale, stando qui in Italia, ma c'è anche un aspetto che Valentina sottolinea in particolare

nel capitolo sui mattatoi, che è un capitolo che mi ha colpito perché allarga lo sguardo ad altri

paesi europei. Noi in Italia spesso abbiamo la convinzione di essere sempre le pecore nere,

spesso ai noi è vero, ma ai noi ancora di più spesso non è così nel senso che le tragedie

sono condivise e molti dei fenomeni che Valentina racconta in questo libro sono fenomeni che si

trovano pari pari altrove anche in paesi che noi siamo abituati a considerare come dire più civili

di noi su alcuni fronti e il caso dei mattatoi è interessante, chiederei a Valentina di raccontarcelo

brevemente ed è interessante ricordare che gli imprenditori italiani competono con appunto

imprenditori di altri paesi d'Europa che usano certi metodi e in qualche modo anche lì appunto

come è difficile distinguere buoni dai cattivi ci si sente tutti costretti quasi a inseguire un

certo modello, ma Valentina se vuoi allargare lo sguardo anche su questo mi sembra interessante.

Sì volentieri, il capitolo sui mattatoi nasce proprio dalla mia curiosità l'anno scorso durante

la pandemia quando improvvisamente tra i vari focolai che scoppiarono in Europa ci furono dei

focolai nei mattatoi in Germania in particolare ma anche in altri paesi in Europa, in Irlanda,

anche in Italia e mi sono chiesta come mai, cosa succede nei mattatoi e ho sentito un sindacalista

devo dire molto esperto, molto illuminato, sono d'accordo con Marco quando dice che il sindacato

alle volte si è attardato su lavori che non esistono più, modelli che non esistono più,

ci sono però per fortuna anche molti sindacalisti che lavorano nel territorio. Mio padre, così se

ci ascolta sa che ci ascoltava. Come in tutte le categorie compresi i giornalisti c'è un po' di

tutto, quindi questo sindacalista mi ha raccontato molto di come funzionano queste catene e ho

scoperto perché non lo sapevo che la maggior parte delle persone che lavorano all'interno

dei mattatoi nella catena del freddo della lavorazione della carne quindi non dei prodotti

diciamo d'eccellenza ma di quelli che poi finiscono nei supermercati dei lavorati sono

per lo più stranieri, sono per lo più stranieri, lavorano a condizioni abbastanza faticose e

lavorano anche in questo caso come mi è capitato spesso di incontrare un po' in tutti i settori

lavorano in subappalto, lavorano per queste cooperative o meglio false cooperative perché

di cooperative hanno proprio poco, non sono soci della cooperativa, sono dipendenti veri e propri,

lavorano in realtà per la ditta, non per la cooperativa ma insomma è un modo per subappaltare

il lavoro e abbassare il costo del lavoro, della forza lavoro. Lavorano con dei contratti molto

spesso che non sono contratti della lavorazione della carne quindi non hanno i diritti dei

lavoratori della carne, non hanno gli orari e a volte anche dispositivi di sicurezza,

in particolare poi ho incontrato questo giovane uomo originario della Nigeria,

Andrew, che mi ha raccontato la sua vita tutti i giorni a temperature a meno 12,

meno 20 gradi a seconda dell'orario della giornata e della situazione in cui si viene

a trovare e della fatica e dei turni e lui mi ha detto io non sono in realtà un lavoratore

della carne, io sono un fattorino perché ho un contratto da fattorino, perché il contratto

da fattorino presuppone un orario di lavoro e dei diritti di un certo tipo e consente una

busta paga più snella rispetto al contratto che le avrebbero dovuto fare se lui fosse

stato assunto non dalla società di subappalto, ma dal macello. Questa è una situazione che

si ripete un po' ovunque, è incredibile come i nostri ospedali, cantieri o alberghi,

siano pieni di persone che non lavorano per gli ospedali, i cantieri, gli alberghi, ma

lavorano per un sacco di cooperative o finte cooperative o piccole società SRL che servono

in tutti i tuoi capitoli una cooperativa, una falsa cooperativa. A un certo punto ero stupefatta,

dicevo bisognerà intitolare il libro come l'Italia è una repubblica democratica fondata

sul lavoro in subappalto, perché tutto è in subappalto e questo consente di aggirare lo

statuto dei lavoratori, di aggirare i contratti di categoria, di abbassare i diritti dei lavoratori

e questo è un punto, quindi nasce da questo e nasce anche da quello che dicevamo prima sulla

pandemia, questa romanticizzazione del lockdown, in realtà è una grande truffa, perché l'abbiamo

visto, il lockdown era tutto sommato piacevole se vivevi in una villa e vivevi un lavoro in

smart working, era tollerabile se vivevi in una casa con giardino e in smart working e penso che

sia stato un inferno in tantissimi appartamenti italiani dove in 5, 6, 7 con tensioni e le abbiamo

viste, poi si riversano nella cronaca, le vediamo, con tensioni magari continue e magari con un

lavoro che non ti consente di stare a casa tua a fare il tuo lavoro e quindi ad esempio nei

macelli succedeva che se qualcuno era costretto ad andare un tot di ore per non perdere il lavoro,

andava anche da positivo, andava anche se era in quarantena, questa è una cosa che succedeva

nei macelli, è successo a Mondragone in campagna con i braccianti vulgari, abbiamo visto l'anno

scorso durante la pandemia che c'era questa zona rossa a Mondragone e questi di notte scappavano

con ovviamente, giustamente la preoccupazione degli abitanti di questa zona rossa italiani che

non trovavano giusto queste fughe, ma queste fughe erano date dal fatto che la mattina questi non si

presentavano alle 4 del caporale e non avevano più lavoro, quindi la pandemia ci ha messo un dito

negli occhi, anzi due, per farci vedere che esistono queste persone e continua a cadere,

perché da poco abbiamo parlato delle variante indiana con grande preoccupazione perché

improvvisamente ci sono i braccianti sicri nell'agropontino, ma i braccianti sicri nell'agropontino

ci sono da decenni e lavorano anche lì ed è un capitolo in condizioni di lavoro difficili e a

volte in condizioni abitative che non rendono possibile il distanziamento, quindi sì il lavoro

è secondo me una delle cose che ci ha un po' sfuggito di mano, io dico non c'entra nulla con

il mio libro ma abbiamo visto purtroppo in questi giorni quante morti sul lavoro ci sono state e

quello che mi ha colpito anche se qualcuno ha detto che questa ragazza Luana Dorazio di 22 anni

che è stata risucchiata dall'orditoio se ne è parlato nei media perché era bella, io credo che

sia bella o brutta non aggiunge assolutamente nulla al fatto che era una donna di 22 anni che

lavorava all'orditoio e il orditoio l'ha risucchiata come nella Filanda dell'Occioccento e forse abbiamo

un po' perso di vista tutti noi e i sindacati, tanto i sindacati, gli ispettori del lavoro,

sentivo prima Draghi alla Camera dire che ci saranno più fondi per gli ispettorati del lavoro,

forse ci vorrebbe anche una riforma degli ispettorati del lavoro, è stata fatta una

riforma sotto il premier Renti ai tempi che ha unito due categorie così diverse e ha diminuito

il numero degli ispettori, questa è una cosa importante che ci siano gli ispettori che

lavorino e che possano andare sul territorio anche per le aziende io credo perché come dicevi prima

non so se poi ho risposto bene alla tua domanda o un po' di vagato, credo che nessun datore di

lavoro voglia finire sui giornali perché una ragazza di 22 anni è stata risucchiata all'orditoio,

io credo che non sia possibile, probabilmente anche quel datore di lavoro mi viene da pensare

chissà che consegne ha, chissà che tempistiche ha, oppure lo stabilirà la magistratura noi non qui

online questa sera, chissà cosa è successo, in tanti capitoli io mi sono anche chiesta ma perché

perché c'è subappalto, perché Fincantieri un'azienda di Stato a Porto Marghera c'è 5.000

operai di cui 4.000 in subappalto, come è possibile? Allora ho visto che Fincantieri

deve competere a livello internazionale con le grandi navi cinesi, con i grandi cantieri cinesi,

con i cantieri francesi e tedeschi e per arrivare alla tua domanda, a livello internazionale c'è una

competizione sfrenata anche dal punto di vista ad esempio della lavorazione della carne come

come suggerivi prima tu, io lo racconto, cerco di raccontarlo, addirittura in Italia la carne suina

è più economico per le aziende che lavorano la carne suina acquistarla da altri paesi,

dalla Germania piuttosto che prenderla dai macelli italiani e questo è assurdo, è assurdo ma è tutto

un meccanismo che fa sì che l'unica cosa che alla fine riescono a comprimere qual è la forza lavoro

e per cui nascono le società in subappalto per cui c'è questa questa pialla dei diritti e delle

paghe dei lavoratori che un po' alla volta schiaccia tutti, allora se l'Europa non vuole

essere soltanto un insieme di stati messi assieme per una comunanza di alcuni temi economici,

deve essere anche un insieme di stati che ad esempio ha una fiscalità comune e ha delle regole

dal punto di vista sindacale dei diritti dei lavoratori comuni altrimenti ci saranno sempre

questi spostamenti per cui un vulgaro è portato a venire a Mondragone a lavorare perché lavora

guadagna 6-7 volte di più che a Sofia, però perché deve venire in Italia a lavorare in

quelle condizioni, perché altrimenti andrebbe benissimo se le condizioni di lavoro fossero pari

e perché l'italiano deve competere a quelle condizioni di lavoro, si abbassa per tutti quanti

lo standard, questo è preoccupante non tanto la frase che a volte è stata ripetuta come carburante

di un certo rancore politico rubano il lavoro agli italiani, ma voi eravate il governo, dovete

trovare e fare le leggi perché non possano abbassarsi gli standard di lavoro per tutti.

Infatti un aspetto preoccupante che sta emergendo da questa chiacchierata che è evidente dal libro

e che è anche sollecitato da alcuni dei commenti, ora ne riporto un paio ancora,

è che il fenomeno di cui stiamo parlando è un fenomeno che riguarda settori diversissimi,

Valentina nel suo libro appunto racconta dei mattatoi, racconta del lavoro di cura, del

lavoro negli ospedali, del settore della logistica su cui forse un pochino più spesso l'attenzione

c'è stata anche per alcune iniziative che hanno suscitato molto scalpore, mobilitazioni sindacali

appunto a fronte di una realtà in cui il sindacato è anche tenuto lontano, dobbiamo anche ricordare

che c'è una tendenza così al non agevolare una dimensione di comunità anche negli ambienti di

lavoro spesso. C'è la realtà della cantieristica che devo dire è impressionante, io non immaginavo

davvero le condizioni in cui sono costrette a lavorare tantissime persone che tu racconti

Valentina diventano anche spesso consumatori di droghe per reggere i livelli. Insomma ci sono

tanti settori, a un certo punto l'autrice anche come dire sollecitata dall'editor ha dovuto chiudere

il racconto, Valentina avrebbe voluto dedicare un capitolo anche al suo lavoro, al lavoro dei

giornalisti perché c'è anche tutta una parte dei lavori come dire che hanno a che fare con

l'informazione, con la cultura che pure sottostanno alle stesse logiche e ci ricordano alcuni lettori

anche ambiti che dovrebbero essere protetti dalla scuola. Al mondo della giustizia ad esempio c'è

una persona che ci ha scritto, vediamo se la ritrovo eccolo qui, Pierfrancesco Peluso che dice

il precariato e la mancanza di ogni tutela viene perpetrata anche dallo Stato, noi magistrati

onorari non abbiamo nulla di onorario, svolgiamo la mansione di magistrati, siamo privi di

retribuzione dignitosa, privi di previdenza e di sostegno in caso di malattia. È abbastanza

impressionante leggere della vastità delle aree in cui ci sono in essere questi fenomeni.

Io vorrei che ci concentrassimo e vi chiederei, in parte lo abbiamo già fatto, sulla possibilità

di una past construence anche in questa nostra chiacchierata e chiederei a Marco di farlo a

partire da alcune parole di nuovo. Lui, lo ricordavo prima nel nostro backstage, è anche

autore di un libro molto bello che è stato molto utilizzato nelle scuole ed è molto utilizzato nelle

scuole, è dedicato all'etimologia delle parole, si chiama Le parole sono importanti, non a caso

sulla parola cura ci ha regalato alcuni contributi. Ci sono delle parole su cui secondo te sarebbe

prezioso riflettere a partire dalla scuola, che è un mondo che tu conosci molto bene e su cui

giustamente hai soffermato la tua attenzione, ma che dovrebbero essere un po' delle parole di

ripartenza per tutti noi su questi temi? Ce n'è tante, penso alle parole che emergono

dalla lettura di questo libro importante che ha scritto Valentina Forlanetto e penso che la stessa

parola schiavo, no? Certe volte noi dovremmo difenderle le parole, dovremmo difendere la

parola cura, magari chiamare queste donne curanti e non badanti perché non tengono una bada, non

tengono buono nessuno e gli inglesi che le chiamano care giver, portatrici di cura, poi le trattano

anche meglio e questo non è un caso, non è una questione di erudizione. Ci sono parole che

invece potremmo difendere di più e altre che potremmo anche cambiare, potremmo difendere

cura e cambiare badanti, potremmo ricordarci che, come dire, forse è ora di cambiare, credo che la

forma mentis che voglia, che cerchi di proporre Valentina nel libro sia quello, noi non stiamo

noi non stiamo da una parte sola. Mi colpisce sempre, l'antropologo Francesco Remotti ha

degli studi molto importanti su questo, sull'identità, sulla parola individuo. Individuo

letteralmente vuol dire che non si può dividere, è una parola sbagliata, noi ci dividiamo con gli

altri, noi siamo tante cose, noi siamo da una parte e dall'altra, noi siamo dividui. Ecco,

questo dovrebbe, saperlo, ripeto, vuol dire poter guardare il mondo e l'altro in una maniera forse

anche molto più ospitale. Nel titolo c'è la parola schiavo, la parola schiavo ha una radice,

secondo molti, collegabile con un certo popolo, con una certa parte del mondo, lo slavum,

lo slavum, ok? Sono parole che contengono oggi, dove viene tutto riletto e quando viene riletta

la storia dell'arte o Filipp Roth o un cartone animato ci sarebbe evidentemente da capire dove

stiamo andando, però insomma sicuramente le parole riportano una storia e non è detto che la storia

non la si possa anche riscrivere. La parola resistenza prima che ci fossero i partigiani

era semplicemente usata come, diciamo così, contenimento di un'energia, è la resistenza

fisica, meccanica, dopo è diventata, perché gli uomini le sanno cambiare meglio le parole,

anche l'espulsione di un male al fine a proposito di pars construens, di costruire un mondo opposto

a quel male. Il lavoro letteralmente ha una parola che vuol dire fatica, è ancora il caso che lavoro

voglia sempre dire fatica in tutte le lingue travai, in tutte le lingue indoeuropee il lavoro

ha a che fare con il tormento, con la tortura e questa l'etimologia fino al russo di tutte le

lingue indoeuropee. Siamo sicuri che i latini che usavano opera, industria in realtà non ci

suggerivano delle cose molto più costruttive, luminose e cambiarle tutte e almeno diventarne

consapevoli. Scuola deriva dal greco scolai che vuol dire vacanza, ozio, vacanza dal labor e dalla

fatica perché è quel momento che nella vita di ciascuno deve essere concesso al fine che tu

possa costruirti gli strumenti che ti danno accesso al pensiero critico, alla lingua e anche

alla bellezza senza averne paura. Insomma quindi diventarne consapevoli forse vuol dire poi anche

non aver paura di guardare queste storie soprattutto che sono state raccontate così bene da Valentina

e credo anche altre che per ragioni di quantità e di pagina ho dovuto lasciare fuori ma che magari

ci racconterai in un altro libro, io ad esempio lo spero. O che ci racconterei tu in un altro romanzo

perché dalla chiacchierata di questa sera emerge appunto come la realtà veramente come in un prisma

possa essere letta, decifrata e restituita appunto a partire da tante sensibilità, da tante competenze

tutte interessanti. Mi fa molto piacere Marco che tu abbia citato Francesco Remotti che è un autore

della casa elettrice. Contro l'identità, la terza non so l'anno ma ve lo potrei dire. E questo elemento

appunto del fare comunità, uso un'espressione molto cara a Remotti, come dire è forse un elemento che

dovremmo recuperare appunto per poter superare i tanti limiti e tanti nodi drammatici di cui

abbiamo parlato questa sera. Difficilmente se ne esce da soli, sintetizzerei anche così. Valentina,

alla domanda che sempre arriva in coda alle presentazioni di solito, ma quindi noi cosa

possiamo fare? Tu in parte come dire hai già accennato qualche cosa. Ci sono alcune riflessioni

che sono nate in te in primo luogo dopo tutto questo lavoro che ti ha portato alla stesura di

questo libro e che ti hanno anche fatto come dire cambiare un po' consuetudini o opinioni rispetto

al momento in cui ancora lo dovevi scrivere. Allora, io principalmente faccio la giornalista,

faccio domande, analizzo dati, racconto storie e secondo me consento raccontando queste storie,

riportando questi dati, incrociandoli e cercando di analizzarli a ciascuno di noi che si faccia

la propria opinione. Quindi quello che io posso fare è fare questa parte. Le soluzioni secondo

me appartengono alla politica. Io credo che come consumatori qualcosa possiamo fare, però non ci

possiamo illudere appunto di poter fare qualcosa e tutto come individui, proprio perché siamo

collettività. Quindi avere consapevolezza di questa realtà che esiste, che gli schiavisti siamo noi,

anche perché siamo posti nella situazione di essere schiavisti e che ci sono schiavi ovunque,

che se ti volti lo vedi sta stirando, se ti volti lo vedi sta lavorando nel cantiere. Ecco,

non è lontano, non è una situazione che non è sotto i nostri occhi, è sotto i nostri occhi.

Ecco, anche soltanto questo secondo me è un tassello. Poi sta la politica e tante cose si

possono fare, no? Chiedere alla comunità europea che ci sia un mercato unico del lavoro, una riforma

dell'ispettorato del lavoro, una riforma dell'indenità di accompagnamento per quello

che riguarda gli anziani. Non ne abbiamo parlato, ma io ne parlo nel libro di alcune soluzioni,

tra l'altro trovate da studiosi del Politecnico, per riformare questa indenità che è un sistema

antico che non racconta più il nostro presente e che aiuterebbe anche a dare vita alle vedanti.

Tante piccole formule, tante piccole cose si possono fare, però io credo che sia importante

per arrivare anche alla domanda che avevi fatto a Marco sulle parole, anche soffermarci sulla nostra

ignoranza. Perché talvolta ci imbrogliano con le parole inglesi, un po' come si faceva una volta

con il latino, per cui rider, per cui delivery, per cui le software proximi, per stare distanti

tra lavoratori nella logistica per la distanza sociale che bisogna mantenere per la pandemia,

sono anche maniere per non comunicare fra lavoratori e quindi non creare assembramenti

oppure anche cellule di sindacato. Quindi stare attenti alle parole, perché le parole inglesi

stanno fregando, stanno ammantando tutto di qualcosa di moderno, di contemporaneo,

quando di moderno nel kotimo non c'è proprio nulla. E poi ancora per parlare delle parole,

alla fine del libro c'è la storia di questo rider che si chiama Alassane Ouattara e che racconta di

essere stato anche uno scaffista, racconta di fare il rider, di non avere i documenti e alla

fine racconta che non è il suo nome quello, perché è il nome del presidente del suo paese.

Che usano tutti.

E lui mi ha detto guarda che è uno scamotaggio che usiamo tutti quando ci ferma la polizia,

perché diamo tutti questo nome del nostro presidente di origine o tanti di noi lo fanno,

un po' per prendere in giro le forze della polizia, un po' per dare un nome neutro che

esiste nel loro paese e dice io però so chi è Macron, io so chi è Mattarella, voi non lo sapete,

come mai le forze di polizia italiane o i semplici cittadini o i giornalisti non lo

sanno. Noi siamo molto ignoranti della loro storia, altrimenti sapremmo che scappano perché

ci sono situazioni di conflitto e non hanno scelta come Andrew nel primo capitolo quando

dice io nella mia zona della Nigeria dove sono cresciuto o facevi parte di Boko Haram o venivi

ucciso da Boko Haram, quindi non c'era scelta. Ecco un po' di consapevolezza in più e un po'

di paura in meno quando guardiamo a questo fenomeno dei barconi, forse sarebbe utile per

capire che sono persone che hanno una storia e che forse noi siamo anche molto ignoranti.

Mi sembra molto bello questo appello in chiusura Valentina, ora io ho la fortuna di lavorare per

una casa elettrica che sta festeggiando i suoi primi 120 anni di vita e da 120 anni

qui come dire si cerca di contribuire a creare un'opinione pubblica che sia più consapevole,

a informare, a far riflettere, a gettare semi di inquietudine perché anche questo devono

servire i libri. Voi fate la stessa cosa con i vostri mestieri, con i vostri lavori,

con la vostra sensibilità e con i libri che avete scritto e che scrivete e credo che anche questa è

una cosa importante da fare, contribuire appunto a diffondere conoscenze, diffondere la consapevolezza

di quanto le cose siano complesse mi verrebbe da dire. Ci sarebbero molte altre cose di cui

parlare ma ci sono i libri in cui le persone che ci ascoltano possono trovare alcune delle risposte

o forse altre delle domande che non abbiamo fatto in tempo a condividere. Ricordo naturalmente il

libro di Valentina Furlanetto Noi schiavisti che è in libreria dal 6 maggio e quindi come dire è tra

le novità sui banchi delle nostre amate librerie e ricordo anche con la stessa intensità e con la

stessa testazione di stima anche l'ultimo libro di Marco Balzano Quando tornerò. Sono delle letture

che si rispecchiano quindi l'invito è se avete due acquisti da fare per il fine settimana

comprate entrambi perché ci ritroverete tanti elementi interessanti che si riflettono l'uno

nell'altro. Grazie Marco, grazie Valentina e grazie a voi che ci avete ascoltato. A presto.


Noi schiavisti: Come siamo diventati complici... We slavers: How we became accomplices... 私たち奴隷商人は、いかにして共犯者となったのか? My, niewolnicy: Jak staliśmy się wspólnikami... 我们奴隶:我们如何成为同谋......

Eccoci, buonasera e benvenuti a Casa alla Terza. Questa sera presenteremo un libro che si intitola

Noi schiavisti, come siamo diventati complici dello sfruttamento di massa. Lo mostro, vediamo,

al beneficio della telecamera. L'autrice è Valentina Furlanetto che saluto e ringrazio.

Ciao Valentina. Molti di voi che ci seguono e che ci ascoltano conoscono Valentina o ne

conoscono almeno la voce perché Valentina è una giornalista e conduttrice radiofonica di Radio

24 e conduce su Radio 24 una trasmissione molto seguita che è i figli di Enea. Valentina

collabora anche con diverse testate e tra i diversi libri che ha scritto nel passato ne

segnalo almeno uno che è l'Industria della carità, un libro che è uscito nel 2013 e che mi fa

piacere nominare perché suscitò all'epoca un acceso dibattito perché aveva un taglio,

se vogliamo, altrettanto originale e provocatorio di quello di cui parleremo questa sera. A

dialogare con noi c'è Marco Balzano. Buongiorno a tutti. Moltissimo, ben arrivato Marco. Grazie.

Siamo veramente felici di averti qui con noi. Marco è uno scrittore, è una tra le voci più

interessanti della narrativa italiana contemporanea e non lo dico solo io da lettrice,

anche se lo penso per prima io, ma lo dico anche sulla base dei tanti riconoscimenti esterni che

le opere di Marco hanno avuto. Segnalo tra i tanti riconoscimenti e tra i tanti romanzi il

premio Campiello assegnato all'ultimo arrivato e i tanti premi che sono stati assegnati a Resto

che è un romanzo del 2018, vincitore del premio Elba, del premio Bagutta, del premio Mario Rigoni

Stern, finalista al premio Strega, insomma come dicevo appunto uno degli scrittori più stimati e

più riconosciuti. L'ultimo libro di Marco, su questo parleremo tra poco, vediamo se riesco

anche in questo caso a mostrarlo, eccolo qua, si chiama Marco Balzano, si chiama Quando tornerò,

ci troviamo qui fra di noi, ed è un libro che ci permette di avviare questa nostra chiacchierata,

perché il libro di Valentina è un libro di cui noi siamo molto orgogliosi in Casa Elitrice,

che siamo veramente felici di avere pubblicato, perché tratta in un modo coraggioso e originale

un tema di cui dovremmo occuparci costantemente e non solo quando alcuni fatti di cronaca ci

costringono a dover occuparcene, ed è il tema del lavoro umiliato, del lavoro maltrattato,

del lavoro sfruttato. L'ultimo libro di Marco ha come protagonista Daniela, che è una badante

rumena, che una notte di febbraio, nascosto dalla propria famiglia per non sopportare il

dolore dei saluti, lascia tutto e tutti, parte per l'Italia, come fanno nella realtà molte sue

connazionali, e trascorre occupandosi di alcuni anziani, prima poi svolge per un periodo attività

da babysitter presso una famiglia, passa appunto in Italia qualche anno e nel libro si ricostruisce

la sua vicenda e anche quella delle persone che lei lascia a casa e di cui spesso non ci si

interessa. Il libro di Valentina ha un capitolo dedicato alle persone come Daniela, Daniela è

prodotto dell'invenzione, ora Marco ci dirà quanto c'è di vero, immagino che ci sia stata una fase

di ricerca e di documentazione concreta. Nel capitolo di Valentina ci sono tante altre donne

come Daniela e partirei da qui chiedendo a Marco che ha letto il libro quanto ha riconosciuto di

Daniela nelle donne di cui racconta Valentina e che quadro emerge da questo affresco.

Allora buongiorno a tutti un'altra volta, ma volevo dire davvero grazie di avermi invitato

a parlare del libro di Valentina perché trovo che sia un libro illuminante, non ho mai usato

la parola necessario perché la trovo così tremendamente abusata che finisce per essere

lugora, però è un libro che ha il merito di offrire un grande catalogo umano, io l'ho letto

proprio come se fosse una sorta di discesa agli inferi della nostra quotidianità, nel senso che

non c'è bisogno di andare sottoterra per vedere queste cose, ci sarebbe solo bisogno di chiamarle

col proprio nome, cosa che Valentina Furlanetto riesce a fare sempre molto bene, supportata

costantemente da un lavoro di documentazione che davvero mi spinge poi se ci sarà tempo come spero

a chiederle qual è stata la genesi e il modo di lavorare a questo libro perché è anche un modo e

un metodo molto interessante, molto da ascoltare, ma se avessimo insomma più il coraggio e la lucidità

vorrei dire anche di chiamare le cose col loro nome, anche di guardarle un po' più in faccia,

il libro è strutturato per capitoli e come dicevi tu Lea, il secondo mi pare, sentito alla propria

cura, è già una parola che definisce a pieno il lavoro di queste donne, quando noi diciamo cura

automaticamente in tutto il mondo pensiamo alle donne, ecco a proposito di tutto il mondo mi sta

a cuore anche dire che questo è un libro e Valentina lo chiarisce subito nelle pagine

introduttive con un respiro internazionale, se non ci trovate in questo libro la definizione,

il dito puntato di colpevoli, di persone dalla parte del giusto, di chi si approfitta della

situazione e di chi la subisce, ma le cose sono molto più complicate perché tutti passiamo e

attraversiamo questa questa soglia e questa linea più volte, Valentina riflette molto sulla parola

individuo, magari dopo ce ne sarà modo di parlare un po' di parole, ecco è anche un libro molto

internazionale, non sono solo i fatti di casa nostra, sono i fatti quantomeno di una parte di

mondo che si relaziona come nel caso della cura con un'altra parte di mondo e che senza questa

seconda parte di mondo, quella più svantaggiata e più povera, spesso quella più assurda,

evidentemente non andrebbe avanti e non andrebbe avanti innanzitutto per la questione della cura,

perché è la prima cosa di cui ha bisogno il mondo occidentale, che è la parte più ricca e

privilegiata anche in questo anno di pandemia ed è, scusate se appo delle parentesi, un altro merito

del metodo di Valentina di lavorare per cui ha avuto come dire sempre l'attenzione senza mai

metterla macchinosamente a sistema di riuscire a farci vedere e anche questo lucidamente secondo

me nell'informazione, nel dibattito anche giornalistico non è molto accaduto, di farci

vedere come la pandemia è intervenuta, è intervenuta in tutti i capitoli che sono nominati con la

questione di cui vogliamo parlare, c'è sempre come ha cambiato, come non ha amplificato e ulteriormente

distorto o potenziato il coronavirus questi giganteschi problemi. Dicevo che c'è anche per

la cura questo, è interessante perché la parola cura dice tanto, è molto ampia che noi però usiamo

pochissimo se ci pensate, la radice indoeuropea della parola cura si richiama al verbo osservare,

perché tu per avere cura di qualcuno, di una parola, evidentemente devi prima osservarlo per capire i

suoi bisogni, solo allora dopo che ti sei fermato ad ascoltarlo e conoscerne evidentemente la storia.

Nato delle strategie che possano effettivamente rendergli utile. Questo secondo capitolo di tutte

le donne, ce lo racconterà adesso Valentina, di tutto questo esercito di donne da ogni parte del

mondo. Io ho preso, per parlare del mio libro, una rumena che viene a Milano perché era la

situazione più facile, non avevo bisogno del passaporto e di tante altre questioni,

la lingua è neolatina eccetera eccetera. Di tutto questo esercito di donne da una parte del mondo

può rendersi cura dei nostri anziani, dei nostri malati, dei nostri bambini e delle nostre case.

Il primo aggettivo, se cura, è il primo nome che dovremmo usare, ma noi preferiamo molto più

badante che ha un significato decisamente più deteriore se ci pensate. Il primo aggettivo,

qual è il primo nome, il primo aggettivo da dare sarebbe quello di invisibile perché queste donne

stanno nascoste come prevede il lavoro di cura H24 nelle nostre case, pur entrando in una dimensione

così intima delle nostre vite, ne restano a parte fuori da qualsiasi discorso politico di dibattito

perché è una migrazione di cui non possiamo fare a meno. Anche quando ho provato quella leggiaccia

della Bossi-Fini, dopo 15 giorni, ho dovuto immediatamente fare una sanatoria perché senza

colf badanti o curanti, come sarebbe ora di chiamarle, le nostre case, i nostri affetti non

andrebbero avanti. Quindi secondo me è interessante se Valentina forse ci racconta come è nato,

almeno a me interesserebbe prima di tutto sapere come è nato questo capitolo che sicuramente

illuminerebbe anche a capire un po' come è nato tutto questo lavoro. Io Marco ti ringrazio e nel

rilanciare a Valentina con le domande che hai posto tu, aggiungo un altro punto che poi chiedo

appunto all'autrice di sviluppare per chi ci ascolta ed è questo. Nel libro, scusate,

palleggiamo un po' tra i due volumi, spero non mi licenzieranno qua in caseritrice perché provo

anche... Non tocca a me, mi discorso l'ed, perché io sono veramente molto... Io trovo una notizia

meravigliosa il fatto che ci siano tanti buoni libri pubblicati da diversi ottimi editori,

quindi c'è da festeggiare tutti insieme. Nel libro di Marco a un certo punto c'è la vicenda

appunto della protagonista che va presso la casa di un anziano che si chiama Giovanni, rimane lì

un anno e mezzo in nero, poi trova un'altra opportunità di lavoro e comunica al figlio di

questo anziano che è il suo datore di lavoro che se ne sarebbe andata e c'è questa scena molto

credibile, devo dire ricostruita con grande veramente verismo, in cui il datore di lavoro

si arrabbia, si indigna, parla di mancanza di rispetto delle regole, mi hai tradito,

me lo dici da un giorno all'altro e la protagonista del tuo romanzo dice ma scusa

mi hai tenuto in nero, non mi hai mai messo in regola. E la cosa interessante, qui mi aggancio

a Valentina, è che il lettore non riesce come dire a provare un'autentica antipatia, un odio feroce

per questo datore di lavoro perché alla fine è un poveruomo pure lui, ha sbagliato, cioè come dire

uno impattizza ovviamente con Daniela che è la parte debole, che non ha avuto un contratto,

che non ha avuto tutele, però ci si rende conto nel leggere quelle pagine che quella famiglia lì è

una famiglia che probabilmente ha delle altre difficoltà, vai a sapere. Allora questo è un

punto che è molto presente in tutti i capitoli del libro di Valentina, che come dicevi tu Marco,

ha il pregio di non separare i buoni dai cattivi, ma di mostrare come siamo tutti parte di una

trappola micidiale, fermo restando ovviamente che ci sono delle colpe, delle responsabilità in alcuni

casi evidenti e gravi e anche penalmente perseguibili, ma al di là di questi casi ci

sono tante situazioni in cui ci si comporta in un certo modo, si mettono in atto certi comportamenti

perché sembra quasi che la situazione lo imponga. Il titolo di lavoro di questo libro è stato a

lungo, condividiamolo con i nostri lettori, Valentina la trappola, te lo ricordi, poi abbiamo

iniziato a discutere perché quello era un po', ecco vorrei che Valentina nel rispondere alle

sollecitazioni di Marco su come è nato questo capitolo, su come è nato il libro, aggiungesse

anche qualcosa su questo che a mio avviso è uno dei punti centrali della tua lettura,

cioè questa impossibilità appunto di distinguere buoni e cattivi, che spiega il titolo perché siamo

anche noi schiavisti. Sì, grazie Lia e grazie a Marco Balzano che insomma è un grande scrittore,

quindi sono onorata e molto felice di parlare con lui, il libro è bellissimo,

è quest'ultimo di cui stiamo parlando e l'ho divorato perché mi è piaciuto molto,

mi piace la sua scrittura, quindi lo ringrazio doppiamente. Grazie a te. Come è nato allora,

è nato su una panchina questo capitolo, su una panchina davanti alla stazione centrale di Milano,

con Manuela che è una delle protagoniste di questo capitolo, che è rumena, anche lei come

la protagonista del tuo romanzo e come, infatti io nel tuo romanzo trovo molta verità, non so appunto

se ti sei documentato parlando con questo signore oppure se è tutto frutto di fantasia, però Manuela

che è una badante, è una donna fantastica perché allo stesso tempo mentre parla della sua condizione

di donna sottoposta a racket, perché è arrivata in Italia pagando come un po' tutte le donne che

fanno le badante in Italia, allo stesso tempo giustificava la dattrice di lavoro che ha dovuto

metterla part time per via delle sue difficoltà stesse economiche. E' fantastica perché allo stesso

tempo mi diceva con molto candore che doveva fare la prostituta, oltre che la badante, per riuscire a

mantenere la figlia. Io l'ho incontrata appunto davanti alla stazione Milano e altre situazioni

di questo tipo mi sono capitate per lavoro, perché per lavoro seguendo i migratori e per

la trasmissione che conduco Radio 24, raccontando sempre storie di italiane di origine straniera,

mi è capitato spesso di incontrare queste persone. Un'altra, Elisabetta, che avevo intervistato per

la trasmissione, che ha fatto la badante durante il lockdown di una signora quasi centenaria.

Elvira. La mia Elvira, lei dice, con un'affezione che io ho adorato, poi siamo rimaste in contatto,

abbiamo fatto tante chiacchiere, perché lei mi mandava queste foto con la sua Elvira. Era una

famiglia, una famiglia di fatto, le famiglie sono affetto, per me era una famiglia.

Però lei era la badante tecnicamente, la badante con anche la sua famiglia, i suoi figlioli, che

all'inizio erano rimasti in Moldavia da soli, con il papà che si era malato e che hanno tentato di

curare e che lei non ha visto per anni. E questa è una cosa che ritorna continuamente, questo strappo

continuo con le famiglie di origine. Quindi nasce da incontri e poi dalla curiosità giornalistica,

perché io sono una giornalista e non una narratrice, di capire perché, perché siamo in

questa situazione, perché in Romania è famosa la sindrome Italia, che è una sindrome di depressione

di cui parlate entrambi, visto quanti rispecchiamenti. Perché Italia, sindrome Italia? Io mi sono chiesta

perché non è la sindrome Francia, la sindrome Spagna, perché negli altri paesi ci sono altri

sistemi. Perché noi siamo ancora più vecchi. Sì, noi abbiamo ovviamente una popolazione vecchia che

sta invecchiando, nel 2050 si calcola che un italiano sopra i 60 anni, su tre, un italiano

su tre sarà sopra i 60 anni. Quindi siamo vecchi e invecchiamo più degli altri paesi, per fortuna,

perché voglio dire, probabilmente abbiamo una qualità della vita e la vita si allunga. O come

dice mia zia, si allunga la vecchiaia, perché poi in realtà non si allunga la vita, si allunga la

vecchiaia. E c'è bisogno tanto di cura, di molta cura di queste persone. Allora, andando invece

alla domanda di Lia, io non volevo fare un libro che raccontasse soltanto questi gironi danteschi,

di queste persone che lavorano nella catena del freddo dei macelli, invece che nei cantieri

navali, invece che a spaccare le pietre in Piemonte riempiendosi di polvere i polmoni,

perché sono davvero gironi danteschi di cui non ci rendiamo conto e li abbiamo sotto gli occhi tutti

i giorni. Volevo anche parlare di me, di io schiavista, non solo noi schiavisti, sono anch'io

una schiavista, mi metto in primo piano dal primo all'ultimo capitolo in maniera, credo,

problematica, nel senso che io stessa mi chiedo quando ordino un pranzo a domicilio, invece che

quando utilizzo un servizio a basso costo o prendo una merce a basso costo, come mai costa così poco?

Perché un ananas è proposto al supermercato a un centesimo? Perché? Com'è possibile? La materia

prima costa così poco e soprattutto chi è compresso, qual è la parte della catena produttiva che viene

compressa? E allora sono andata a cercare i perché. Allora nel caso delle badanti, ad esempio,

mi ha colpito tantissimo il fatto che noi abbiamo pochissime RSA pubbliche, quindi Residenze per

Anziani Pubbliche, la Commissione Europea auspica che ce ne siano 50 posti ogni 1000 abitanti,

la media dei paesi Ocse è 49 posti ogni 1000 abitanti, senza annoiarvi con le cifre, però per

vedere le proporzioni noi ne abbiamo 19 ogni 1000, quindi siamo molto di sotto, siamo a livelli della

Polonia, della Lettonia e quindi è per questo che la domanda non evasa dal welfare pubblico

italiano, si incontra con la miseria di queste persone, con la fatica, la povertà di queste

persone costrette a emigrare. E un magma di dolore, di dolore per queste persone costrette a emigrare,

per i figli che rimangono e che molto spesso, come racconti anche tu Marco, molto bene, non

riconoscono più le madri, l'autorità della madre, succede per le donne filippine, c'è un'associazione

che se ne occupa di questo crescere i figli a distanza e poi i figli non ti riconoscono più

come autorità, perché non ci sei stata? Il magma di dolore è anche delle famiglie italiane,

quando io racconto di questo signore napoletano pensionato, maestro di scuola che in pensione

deve gestire la mamma malata di Alzheimer e cerca un posto in una residenza per anziani,

per questa mamma perché con l'Alzheimer lui fa fatica a gestirla e non lo trova ed è costretto

a prendere una signora, una badante in nero pagandola poco e dice pretendo poco e le do

poco, è questo, è un magma di sofferenze che si incrociano, no? Per cui le badanti le abbiamo un

po' inventate noi in Italia perché non c'è la risposta dello Stato. Io l'ho notato in vari

settori, non c'è una risposta oppure c'è una risposta sbagliata, per cui noi siamo schiavisti

e ci sentiamo schiavisti, ma credo che il senso di colpa del consumatore sia insufficiente,

non serve soltanto cambiare a volte i nostri consumi, ma forse chiedere come opinione pubblica,

come elettori, un sistema diverso, perché se l'ananas costa un centesimo è perché c'è un

bracciante che viene pagato pochissimo. È vero che ci potrebbero essere braccianti pagati molto,

ma allora sarebbe come in Giappone, no? Per cui un melone costa tra i 30 e gli 80 euro, perché?

Perché i braccianti sono giapponesi e hanno degli standard lavorativi altissimi anche per questo,

però ci sarà una via di mezzo mi sono chiesta io, ci sarà una via attraverso la quale poter

entrare e trovare un sistema che non comprima il lavoratore di base, molto spesso straniero,

perché è quello che non può chiedere di più, non comprima il lavoratore italiano che non può

competere con queste paghe, perché c'è anche questo dentro il libro, lavoratori italiani che

subiscono un dumping salariare, in questa strettoia, no? Mi veniva in mente, parlando di scrittori e

non di giornalisti, Steinbeck con furore, che nel 1939, quindi tanto tanto tempo fa,

scriveva questa cosa delle paghe e diceva io sono un bracciante e assumimi, costo 20 dollari,

e un altro diceva ma io ne costo, se vuoi vengo per 15, e un altro diceva io ho tanti figli,

tante bocche da sfamare, prendimi per 10, e lui, Steinbeck dice alla fine, e alla fine finalmente

forse ci sarà lo schiavismo, perché è questo che stiamo facendo, abbassando il livello delle

nostre richieste, delle richieste dei diritti dei lavoratori di origine straniera, che sono

quelli che possono chiedere meno, perché magari non hanno il contratto, perché magari non ha la

cittadinanza, e un po' alla volta, un po' alla volta, il rischio è che capite anche a noi, se non lo

facciamo per un senso di umanità, dovremmo farlo se non altro per opportunismo, di stare attenti al

lavoro, a questa, a questo tema. Questo mi sembra, Valentina, un punto molto interessante, tra l'altro tu chiudi

proprio l'introduzione, che è così, è un invito al lettore di accompagnarti in quello che segue,

e siccome effettivamente molte delle storie che tu ricostruisci, sono storie che hanno per

protagonisti, lavoratori, lavoratrici stranieri, tu però espliciti intanto che fenomeni analoghi di

sfruttamento riguardano anche cittadini e cittadine italiane, e appunto anche lì nella

cronaca ce lo dice continuamente, e concludi l'introduzione, ti cito scrivendo, il rischio è di

credere che tutto questo non abbia a che fare con le nostre vite, per poi rendersi conto che finiti

di immigrati, quando in giro non ci sarà più nessuno da sfruttare, toccherà a noi, che è quello

che tu hai appena detto, e che mi permette di passare a un altro punto, se vogliamo più generale,

che non riguarda solo il lavoro sfruttato, che se vogliamo è la punta di un iceberg, ma è forse la

perdita di valore che si è attribuita al lavoro negli ultimi anni, e mi colpisce ad esempio il

fatto appunto che questi fenomeni appunto di lavoro umiliato hanno a che fare anche, torniamo

alla cura, con lavori che vengono prestati nelle strutture ospedaliere, colpisce il fatto che anche

lavori che non possiamo che considerare essenziali, necessari, e non solo per la fase che stiamo

vivendo, ma più in generale, subiscano gli stessi destini. C'è secondo voi un problema, Marco,

lancio a te la provocazione, di complessiva rispetto alle lotte del novecento, rispetto ai

contenuti anche delle ideologie politiche che hanno costruito la storia del nostro secondo

dopoguerra, come dire, un indebolimento proprio del tema del lavoro nel suo complesso, che appunto

arriva agli estremi dello sfruttamento, ma riguarda anche ciascuno di noi, comprese le

persone assunte, comprese le persone apparentemente tutelate, dovremmo forse allargare lo sguardo e

sentirci parte di una comune grave processo di svilimento del lavoro? Certamente sì,

certamente sì, nel senso che a mio giudizio un'altra delle domande che io porto a casa dal

libro di Valentina, è un libro fatto non per offrire delle risposte, ma per lasciarti delle

domande, è proprio quella che, diciamo così, che attraversa, è il filo rosso di tutti i capitoli di

questo libro, cioè dov'è che noi non funzioniamo? Dov'è che finisce la responsabilità individuale e

inizia un sistema che non riesci a leggere nella sua complessità? Può essere il finale di questo

libro, che potete leggerlo veramente saltimbeccando di qua e di là e tutto di fila, però il finale

tira le fila di tutto ed è anche un'immagine molto forte che non va svelata, è anche commovente,

quasi lirica nella sua concretezza, è esattamente questo, cioè basta che io non mi ordino

l'hamburger a domicilio per tirarmi fuori da tutto questo e disegnare un mondo differente? Il problema

è che evidentemente non basta e anche se bastasse noi non ci siamo mai chiesti perché facciamo così

fatica a farlo, però il problema che so di Valentina è che non è così semplice, così come noi

attraversiamo quella soglia di cui parlavamo in precedenza, non è così semplice, non basta un

gesto isolato o di strappo per togliersi dal sistema che comunque c'è ed è difficilmente

leggibile. Sicuramente io credo, allora da una parte c'è stata una velocizzazione di tutto dovuta

principalmente alla tecnologia, dalla globalizzazione in poi, che ci ha permesso di stare noi stessi

dietro poco al presente, ai nuovi lavori che nascevano, tra tutto questo forse se posso

aggiungere un elemento che così ragionando ad altavoce insieme a noi abbiamo cercato anche

veramente molto poco di educare i bambini e i ragazzi a uno sguardo su queste cose, quindi

nella scuola non si racconta il lavoro, non si guarda fuori, spesso si prepara al lavoro in una

maniera a mio giudizio completamente discutibile con l'alternanza scuola lavoro che se insomma

prepararsi al lavoro vuol dire ti mando, se fai l'alberghiero ti mando a friggere le patate

gratis da mcdonald così diventi già consapevole della mala sorte che ti aspetterà tra poco, ecco

io mi aspetterei qualcosa di più dal sistema di formazione, dall'istituzione educativa per

eccellenza insieme alla famiglia. Noi non abbiamo, non solo hai una società, lo vedi per i diritti

civili, lo vedi per il lavoro, hai dei sindacati, hai una serie di strutture, io sono figlio di un

sindacalista quindi lo dico anche con più dolore e coniezione di causa, hai delle istituzioni che

stanno poco dietro a tutti i cambiamenti che si susseguono in maniera più o meno frenetica,

i nuovi lavori che sono nati e mille altre cose che potremmo elencare più o meno a random,

è anche una politica e un'istituzione educativa che evidentemente non prende coscienza quando il

lavoro viene raccontato, spesso non solo dalla scuola, spesso anche dai sindacati, viene raccontato

un lavoro vecchio che non c'è più, che non esiste perché il lavoro e la realtà nel suo grumo e nei

suoi nodi è quello che racconta Valentina, cioè un sistema difficilmente leggibile, in questo senso

io ho apprezzato molto che non tagliasse in due e non attribuisse responsabilità, colpe, ricette,

ma ne restituisse al lettore la propria complessità perché le soluzioni evidentemente di fronte a

situazioni complesse non possono che essere tali, quindi secondo me la vera questione per chiudere

è che io mi porto a casa la domanda dove non funziono io e dove non funziona il sistema e in

che relazione sto, ma dall'altra è che sono sicuro che la politica che dovrebbe permettere la vita

della police facendo un lavoro di regia dietro le quinte e la scuola che dovrebbe preparare a

entrare nella police, proprio questa idea di guardare che cosa succede fuori dalla finestra

l'hanno abbastanza abdicato e quando l'hanno fatta l'hanno fatta con strumenti molto novecenteschi,

ecco l'abbiamo visto secondo me durante la pandemia, noi abbiamo gestito una pandemia

in maniera novecentesca e questa invece era una pandemia del terzo millennio ed era velocissima,

e quindi già noi rincorriamo la vita individualmente, quando la rincorriamo

anche a livello sistemico, sistemico politico ed educativo è tutto ancora più difficile credo.

Grazie Marco, mi fa piacere condividere alcuni dei commenti delle persone che ci

stanno ascoltando che tra l'altro tornano su punti che avete sottolineato voi, c'è Cinzia

Mandrioli che scrive il nostro stato non si è mai molto curato dell'welfare,

i rasili nidospizi sempre sottodimensionati, insomma alcune delle questioni che sollevava

Valentina che Marco appunto pure aveva accolto su alcuni limiti appunto strutturali legati

allo stato che poi portano ad alcune delle conseguenze che abbiamo detto,

conclude questa lettrice, siamo schiavisti ma anche siamo vessati da uno stato che ci

dimentica, che è uno degli aspetti pure che abbiamo segnalato. La complessità di cui parlava

Marta è una complessità che ha anche a che fare con la competizione internazionale, nel senso che

si parlava prima appunto dei costi del lavoro nelle varie parti del mondo, cioè il dumping

salariale, stando qui in Italia, ma c'è anche un aspetto che Valentina sottolinea in particolare

nel capitolo sui mattatoi, che è un capitolo che mi ha colpito perché allarga lo sguardo ad altri

paesi europei. Noi in Italia spesso abbiamo la convinzione di essere sempre le pecore nere,

spesso ai noi è vero, ma ai noi ancora di più spesso non è così nel senso che le tragedie

sono condivise e molti dei fenomeni che Valentina racconta in questo libro sono fenomeni che si

trovano pari pari altrove anche in paesi che noi siamo abituati a considerare come dire più civili

di noi su alcuni fronti e il caso dei mattatoi è interessante, chiederei a Valentina di raccontarcelo

brevemente ed è interessante ricordare che gli imprenditori italiani competono con appunto

imprenditori di altri paesi d'Europa che usano certi metodi e in qualche modo anche lì appunto

come è difficile distinguere buoni dai cattivi ci si sente tutti costretti quasi a inseguire un

certo modello, ma Valentina se vuoi allargare lo sguardo anche su questo mi sembra interessante.

Sì volentieri, il capitolo sui mattatoi nasce proprio dalla mia curiosità l'anno scorso durante

la pandemia quando improvvisamente tra i vari focolai che scoppiarono in Europa ci furono dei

focolai nei mattatoi in Germania in particolare ma anche in altri paesi in Europa, in Irlanda,

anche in Italia e mi sono chiesta come mai, cosa succede nei mattatoi e ho sentito un sindacalista

devo dire molto esperto, molto illuminato, sono d'accordo con Marco quando dice che il sindacato

alle volte si è attardato su lavori che non esistono più, modelli che non esistono più,

ci sono però per fortuna anche molti sindacalisti che lavorano nel territorio. Mio padre, così se

ci ascolta sa che ci ascoltava. Come in tutte le categorie compresi i giornalisti c'è un po' di

tutto, quindi questo sindacalista mi ha raccontato molto di come funzionano queste catene e ho

scoperto perché non lo sapevo che la maggior parte delle persone che lavorano all'interno

dei mattatoi nella catena del freddo della lavorazione della carne quindi non dei prodotti

diciamo d'eccellenza ma di quelli che poi finiscono nei supermercati dei lavorati sono

per lo più stranieri, sono per lo più stranieri, lavorano a condizioni abbastanza faticose e

lavorano anche in questo caso come mi è capitato spesso di incontrare un po' in tutti i settori

lavorano in subappalto, lavorano per queste cooperative o meglio false cooperative perché

di cooperative hanno proprio poco, non sono soci della cooperativa, sono dipendenti veri e propri,

lavorano in realtà per la ditta, non per la cooperativa ma insomma è un modo per subappaltare

il lavoro e abbassare il costo del lavoro, della forza lavoro. Lavorano con dei contratti molto

spesso che non sono contratti della lavorazione della carne quindi non hanno i diritti dei

lavoratori della carne, non hanno gli orari e a volte anche dispositivi di sicurezza,

in particolare poi ho incontrato questo giovane uomo originario della Nigeria,

Andrew, che mi ha raccontato la sua vita tutti i giorni a temperature a meno 12,

meno 20 gradi a seconda dell'orario della giornata e della situazione in cui si viene

a trovare e della fatica e dei turni e lui mi ha detto io non sono in realtà un lavoratore

della carne, io sono un fattorino perché ho un contratto da fattorino, perché il contratto

da fattorino presuppone un orario di lavoro e dei diritti di un certo tipo e consente una

busta paga più snella rispetto al contratto che le avrebbero dovuto fare se lui fosse

stato assunto non dalla società di subappalto, ma dal macello. Questa è una situazione che

si ripete un po' ovunque, è incredibile come i nostri ospedali, cantieri o alberghi,

siano pieni di persone che non lavorano per gli ospedali, i cantieri, gli alberghi, ma

lavorano per un sacco di cooperative o finte cooperative o piccole società SRL che servono

in tutti i tuoi capitoli una cooperativa, una falsa cooperativa. A un certo punto ero stupefatta,

dicevo bisognerà intitolare il libro come l'Italia è una repubblica democratica fondata

sul lavoro in subappalto, perché tutto è in subappalto e questo consente di aggirare lo

statuto dei lavoratori, di aggirare i contratti di categoria, di abbassare i diritti dei lavoratori

e questo è un punto, quindi nasce da questo e nasce anche da quello che dicevamo prima sulla

pandemia, questa romanticizzazione del lockdown, in realtà è una grande truffa, perché l'abbiamo

visto, il lockdown era tutto sommato piacevole se vivevi in una villa e vivevi un lavoro in

smart working, era tollerabile se vivevi in una casa con giardino e in smart working e penso che

sia stato un inferno in tantissimi appartamenti italiani dove in 5, 6, 7 con tensioni e le abbiamo

viste, poi si riversano nella cronaca, le vediamo, con tensioni magari continue e magari con un

lavoro che non ti consente di stare a casa tua a fare il tuo lavoro e quindi ad esempio nei

macelli succedeva che se qualcuno era costretto ad andare un tot di ore per non perdere il lavoro,

andava anche da positivo, andava anche se era in quarantena, questa è una cosa che succedeva

nei macelli, è successo a Mondragone in campagna con i braccianti vulgari, abbiamo visto l'anno

scorso durante la pandemia che c'era questa zona rossa a Mondragone e questi di notte scappavano

con ovviamente, giustamente la preoccupazione degli abitanti di questa zona rossa italiani che

non trovavano giusto queste fughe, ma queste fughe erano date dal fatto che la mattina questi non si

presentavano alle 4 del caporale e non avevano più lavoro, quindi la pandemia ci ha messo un dito

negli occhi, anzi due, per farci vedere che esistono queste persone e continua a cadere,

perché da poco abbiamo parlato delle variante indiana con grande preoccupazione perché

improvvisamente ci sono i braccianti sicri nell'agropontino, ma i braccianti sicri nell'agropontino

ci sono da decenni e lavorano anche lì ed è un capitolo in condizioni di lavoro difficili e a

volte in condizioni abitative che non rendono possibile il distanziamento, quindi sì il lavoro

è secondo me una delle cose che ci ha un po' sfuggito di mano, io dico non c'entra nulla con

il mio libro ma abbiamo visto purtroppo in questi giorni quante morti sul lavoro ci sono state e

quello che mi ha colpito anche se qualcuno ha detto che questa ragazza Luana Dorazio di 22 anni

che è stata risucchiata dall'orditoio se ne è parlato nei media perché era bella, io credo che

sia bella o brutta non aggiunge assolutamente nulla al fatto che era una donna di 22 anni che

lavorava all'orditoio e il orditoio l'ha risucchiata come nella Filanda dell'Occioccento e forse abbiamo

un po' perso di vista tutti noi e i sindacati, tanto i sindacati, gli ispettori del lavoro,

sentivo prima Draghi alla Camera dire che ci saranno più fondi per gli ispettorati del lavoro,

forse ci vorrebbe anche una riforma degli ispettorati del lavoro, è stata fatta una

riforma sotto il premier Renti ai tempi che ha unito due categorie così diverse e ha diminuito

il numero degli ispettori, questa è una cosa importante che ci siano gli ispettori che

lavorino e che possano andare sul territorio anche per le aziende io credo perché come dicevi prima

non so se poi ho risposto bene alla tua domanda o un po' di vagato, credo che nessun datore di

lavoro voglia finire sui giornali perché una ragazza di 22 anni è stata risucchiata all'orditoio,

io credo che non sia possibile, probabilmente anche quel datore di lavoro mi viene da pensare

chissà che consegne ha, chissà che tempistiche ha, oppure lo stabilirà la magistratura noi non qui

online questa sera, chissà cosa è successo, in tanti capitoli io mi sono anche chiesta ma perché

perché c'è subappalto, perché Fincantieri un'azienda di Stato a Porto Marghera c'è 5.000

operai di cui 4.000 in subappalto, come è possibile? Allora ho visto che Fincantieri

deve competere a livello internazionale con le grandi navi cinesi, con i grandi cantieri cinesi,

con i cantieri francesi e tedeschi e per arrivare alla tua domanda, a livello internazionale c'è una

competizione sfrenata anche dal punto di vista ad esempio della lavorazione della carne come

come suggerivi prima tu, io lo racconto, cerco di raccontarlo, addirittura in Italia la carne suina

è più economico per le aziende che lavorano la carne suina acquistarla da altri paesi,

dalla Germania piuttosto che prenderla dai macelli italiani e questo è assurdo, è assurdo ma è tutto

un meccanismo che fa sì che l'unica cosa che alla fine riescono a comprimere qual è la forza lavoro

e per cui nascono le società in subappalto per cui c'è questa questa pialla dei diritti e delle

paghe dei lavoratori che un po' alla volta schiaccia tutti, allora se l'Europa non vuole

essere soltanto un insieme di stati messi assieme per una comunanza di alcuni temi economici,

deve essere anche un insieme di stati che ad esempio ha una fiscalità comune e ha delle regole

dal punto di vista sindacale dei diritti dei lavoratori comuni altrimenti ci saranno sempre

questi spostamenti per cui un vulgaro è portato a venire a Mondragone a lavorare perché lavora

guadagna 6-7 volte di più che a Sofia, però perché deve venire in Italia a lavorare in

quelle condizioni, perché altrimenti andrebbe benissimo se le condizioni di lavoro fossero pari

e perché l'italiano deve competere a quelle condizioni di lavoro, si abbassa per tutti quanti

lo standard, questo è preoccupante non tanto la frase che a volte è stata ripetuta come carburante

di un certo rancore politico rubano il lavoro agli italiani, ma voi eravate il governo, dovete

trovare e fare le leggi perché non possano abbassarsi gli standard di lavoro per tutti.

Infatti un aspetto preoccupante che sta emergendo da questa chiacchierata che è evidente dal libro

e che è anche sollecitato da alcuni dei commenti, ora ne riporto un paio ancora,

è che il fenomeno di cui stiamo parlando è un fenomeno che riguarda settori diversissimi,

Valentina nel suo libro appunto racconta dei mattatoi, racconta del lavoro di cura, del

lavoro negli ospedali, del settore della logistica su cui forse un pochino più spesso l'attenzione

c'è stata anche per alcune iniziative che hanno suscitato molto scalpore, mobilitazioni sindacali

appunto a fronte di una realtà in cui il sindacato è anche tenuto lontano, dobbiamo anche ricordare

che c'è una tendenza così al non agevolare una dimensione di comunità anche negli ambienti di

lavoro spesso. C'è la realtà della cantieristica che devo dire è impressionante, io non immaginavo

davvero le condizioni in cui sono costrette a lavorare tantissime persone che tu racconti

Valentina diventano anche spesso consumatori di droghe per reggere i livelli. Insomma ci sono

tanti settori, a un certo punto l'autrice anche come dire sollecitata dall'editor ha dovuto chiudere

il racconto, Valentina avrebbe voluto dedicare un capitolo anche al suo lavoro, al lavoro dei

giornalisti perché c'è anche tutta una parte dei lavori come dire che hanno a che fare con

l'informazione, con la cultura che pure sottostanno alle stesse logiche e ci ricordano alcuni lettori

anche ambiti che dovrebbero essere protetti dalla scuola. Al mondo della giustizia ad esempio c'è

una persona che ci ha scritto, vediamo se la ritrovo eccolo qui, Pierfrancesco Peluso che dice

il precariato e la mancanza di ogni tutela viene perpetrata anche dallo Stato, noi magistrati

onorari non abbiamo nulla di onorario, svolgiamo la mansione di magistrati, siamo privi di

retribuzione dignitosa, privi di previdenza e di sostegno in caso di malattia. È abbastanza

impressionante leggere della vastità delle aree in cui ci sono in essere questi fenomeni.

Io vorrei che ci concentrassimo e vi chiederei, in parte lo abbiamo già fatto, sulla possibilità

di una past construence anche in questa nostra chiacchierata e chiederei a Marco di farlo a

partire da alcune parole di nuovo. Lui, lo ricordavo prima nel nostro backstage, è anche

autore di un libro molto bello che è stato molto utilizzato nelle scuole ed è molto utilizzato nelle

scuole, è dedicato all'etimologia delle parole, si chiama Le parole sono importanti, non a caso

sulla parola cura ci ha regalato alcuni contributi. Ci sono delle parole su cui secondo te sarebbe

prezioso riflettere a partire dalla scuola, che è un mondo che tu conosci molto bene e su cui

giustamente hai soffermato la tua attenzione, ma che dovrebbero essere un po' delle parole di

ripartenza per tutti noi su questi temi? Ce n'è tante, penso alle parole che emergono

dalla lettura di questo libro importante che ha scritto Valentina Forlanetto e penso che la stessa

parola schiavo, no? Certe volte noi dovremmo difenderle le parole, dovremmo difendere la

parola cura, magari chiamare queste donne curanti e non badanti perché non tengono una bada, non

tengono buono nessuno e gli inglesi che le chiamano care giver, portatrici di cura, poi le trattano

anche meglio e questo non è un caso, non è una questione di erudizione. Ci sono parole che

invece potremmo difendere di più e altre che potremmo anche cambiare, potremmo difendere

cura e cambiare badanti, potremmo ricordarci che, come dire, forse è ora di cambiare, credo che la

forma mentis che voglia, che cerchi di proporre Valentina nel libro sia quello, noi non stiamo

noi non stiamo da una parte sola. Mi colpisce sempre, l'antropologo Francesco Remotti ha

degli studi molto importanti su questo, sull'identità, sulla parola individuo. Individuo

letteralmente vuol dire che non si può dividere, è una parola sbagliata, noi ci dividiamo con gli

altri, noi siamo tante cose, noi siamo da una parte e dall'altra, noi siamo dividui. Ecco,

questo dovrebbe, saperlo, ripeto, vuol dire poter guardare il mondo e l'altro in una maniera forse

anche molto più ospitale. Nel titolo c'è la parola schiavo, la parola schiavo ha una radice,

secondo molti, collegabile con un certo popolo, con una certa parte del mondo, lo slavum,

lo slavum, ok? Sono parole che contengono oggi, dove viene tutto riletto e quando viene riletta

la storia dell'arte o Filipp Roth o un cartone animato ci sarebbe evidentemente da capire dove

stiamo andando, però insomma sicuramente le parole riportano una storia e non è detto che la storia

non la si possa anche riscrivere. La parola resistenza prima che ci fossero i partigiani

era semplicemente usata come, diciamo così, contenimento di un'energia, è la resistenza

fisica, meccanica, dopo è diventata, perché gli uomini le sanno cambiare meglio le parole,

anche l'espulsione di un male al fine a proposito di pars construens, di costruire un mondo opposto

a quel male. Il lavoro letteralmente ha una parola che vuol dire fatica, è ancora il caso che lavoro

voglia sempre dire fatica in tutte le lingue travai, in tutte le lingue indoeuropee il lavoro

ha a che fare con il tormento, con la tortura e questa l'etimologia fino al russo di tutte le

lingue indoeuropee. Siamo sicuri che i latini che usavano opera, industria in realtà non ci

suggerivano delle cose molto più costruttive, luminose e cambiarle tutte e almeno diventarne

consapevoli. Scuola deriva dal greco scolai che vuol dire vacanza, ozio, vacanza dal labor e dalla

fatica perché è quel momento che nella vita di ciascuno deve essere concesso al fine che tu

possa costruirti gli strumenti che ti danno accesso al pensiero critico, alla lingua e anche

alla bellezza senza averne paura. Insomma quindi diventarne consapevoli forse vuol dire poi anche

non aver paura di guardare queste storie soprattutto che sono state raccontate così bene da Valentina

e credo anche altre che per ragioni di quantità e di pagina ho dovuto lasciare fuori ma che magari

ci racconterai in un altro libro, io ad esempio lo spero. O che ci racconterei tu in un altro romanzo

perché dalla chiacchierata di questa sera emerge appunto come la realtà veramente come in un prisma

possa essere letta, decifrata e restituita appunto a partire da tante sensibilità, da tante competenze

tutte interessanti. Mi fa molto piacere Marco che tu abbia citato Francesco Remotti che è un autore

della casa elettrice. Contro l'identità, la terza non so l'anno ma ve lo potrei dire. E questo elemento

appunto del fare comunità, uso un'espressione molto cara a Remotti, come dire è forse un elemento che

dovremmo recuperare appunto per poter superare i tanti limiti e tanti nodi drammatici di cui

abbiamo parlato questa sera. Difficilmente se ne esce da soli, sintetizzerei anche così. Valentina,

alla domanda che sempre arriva in coda alle presentazioni di solito, ma quindi noi cosa

possiamo fare? Tu in parte come dire hai già accennato qualche cosa. Ci sono alcune riflessioni

che sono nate in te in primo luogo dopo tutto questo lavoro che ti ha portato alla stesura di

questo libro e che ti hanno anche fatto come dire cambiare un po' consuetudini o opinioni rispetto

al momento in cui ancora lo dovevi scrivere. Allora, io principalmente faccio la giornalista,

faccio domande, analizzo dati, racconto storie e secondo me consento raccontando queste storie,

riportando questi dati, incrociandoli e cercando di analizzarli a ciascuno di noi che si faccia

la propria opinione. Quindi quello che io posso fare è fare questa parte. Le soluzioni secondo

me appartengono alla politica. Io credo che come consumatori qualcosa possiamo fare, però non ci

possiamo illudere appunto di poter fare qualcosa e tutto come individui, proprio perché siamo

collettività. Quindi avere consapevolezza di questa realtà che esiste, che gli schiavisti siamo noi,

anche perché siamo posti nella situazione di essere schiavisti e che ci sono schiavi ovunque,

che se ti volti lo vedi sta stirando, se ti volti lo vedi sta lavorando nel cantiere. Ecco,

non è lontano, non è una situazione che non è sotto i nostri occhi, è sotto i nostri occhi.

Ecco, anche soltanto questo secondo me è un tassello. Poi sta la politica e tante cose si

possono fare, no? Chiedere alla comunità europea che ci sia un mercato unico del lavoro, una riforma

dell'ispettorato del lavoro, una riforma dell'indenità di accompagnamento per quello

che riguarda gli anziani. Non ne abbiamo parlato, ma io ne parlo nel libro di alcune soluzioni,

tra l'altro trovate da studiosi del Politecnico, per riformare questa indenità che è un sistema

antico che non racconta più il nostro presente e che aiuterebbe anche a dare vita alle vedanti.

Tante piccole formule, tante piccole cose si possono fare, però io credo che sia importante

per arrivare anche alla domanda che avevi fatto a Marco sulle parole, anche soffermarci sulla nostra

ignoranza. Perché talvolta ci imbrogliano con le parole inglesi, un po' come si faceva una volta

con il latino, per cui rider, per cui delivery, per cui le software proximi, per stare distanti

tra lavoratori nella logistica per la distanza sociale che bisogna mantenere per la pandemia,

sono anche maniere per non comunicare fra lavoratori e quindi non creare assembramenti

oppure anche cellule di sindacato. Quindi stare attenti alle parole, perché le parole inglesi

stanno fregando, stanno ammantando tutto di qualcosa di moderno, di contemporaneo,

quando di moderno nel kotimo non c'è proprio nulla. E poi ancora per parlare delle parole,

alla fine del libro c'è la storia di questo rider che si chiama Alassane Ouattara e che racconta di

essere stato anche uno scaffista, racconta di fare il rider, di non avere i documenti e alla

fine racconta che non è il suo nome quello, perché è il nome del presidente del suo paese.

Che usano tutti.

E lui mi ha detto guarda che è uno scamotaggio che usiamo tutti quando ci ferma la polizia,

perché diamo tutti questo nome del nostro presidente di origine o tanti di noi lo fanno,

un po' per prendere in giro le forze della polizia, un po' per dare un nome neutro che

esiste nel loro paese e dice io però so chi è Macron, io so chi è Mattarella, voi non lo sapete,

come mai le forze di polizia italiane o i semplici cittadini o i giornalisti non lo

sanno. Noi siamo molto ignoranti della loro storia, altrimenti sapremmo che scappano perché

ci sono situazioni di conflitto e non hanno scelta come Andrew nel primo capitolo quando

dice io nella mia zona della Nigeria dove sono cresciuto o facevi parte di Boko Haram o venivi

ucciso da Boko Haram, quindi non c'era scelta. Ecco un po' di consapevolezza in più e un po'

di paura in meno quando guardiamo a questo fenomeno dei barconi, forse sarebbe utile per

capire che sono persone che hanno una storia e che forse noi siamo anche molto ignoranti.

Mi sembra molto bello questo appello in chiusura Valentina, ora io ho la fortuna di lavorare per

una casa elettrica che sta festeggiando i suoi primi 120 anni di vita e da 120 anni

qui come dire si cerca di contribuire a creare un'opinione pubblica che sia più consapevole,

a informare, a far riflettere, a gettare semi di inquietudine perché anche questo devono

servire i libri. Voi fate la stessa cosa con i vostri mestieri, con i vostri lavori,

con la vostra sensibilità e con i libri che avete scritto e che scrivete e credo che anche questa è

una cosa importante da fare, contribuire appunto a diffondere conoscenze, diffondere la consapevolezza

di quanto le cose siano complesse mi verrebbe da dire. Ci sarebbero molte altre cose di cui

parlare ma ci sono i libri in cui le persone che ci ascoltano possono trovare alcune delle risposte

o forse altre delle domande che non abbiamo fatto in tempo a condividere. Ricordo naturalmente il

libro di Valentina Furlanetto Noi schiavisti che è in libreria dal 6 maggio e quindi come dire è tra

le novità sui banchi delle nostre amate librerie e ricordo anche con la stessa intensità e con la

stessa testazione di stima anche l'ultimo libro di Marco Balzano Quando tornerò. Sono delle letture

che si rispecchiano quindi l'invito è se avete due acquisti da fare per il fine settimana

comprate entrambi perché ci ritroverete tanti elementi interessanti che si riflettono l'uno

nell'altro. Grazie Marco, grazie Valentina e grazie a voi che ci avete ascoltato. A presto.