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Conversazioni d'autore, 'La scoperta dell'ambiente' di Stefano Nespor

'La scoperta dell'ambiente' di Stefano Nespor

Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org

www.sottotitoli.org

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Salve a tutti, buongiorno, anzi buonasera sarebbe meglio dire.

Siamo qui sempre per Casa alla Terza con Stefano Nespor.

Stefano Nespor è un avvocato, è giornalista, si occupa di diritto amministrativo e di diritto dell'ambiente

e insegna alla scuola di specializzazione in bene architettonici della facoltà di architettura del Politecnico di Milano.

E' autore di Il governo dell'ambiente, la politica e il diritto per il progresso sostenibile, uscito con Garzanti nel 2009

e recentissimo con la Terza, quindi con noi, La scoperta dell'ambiente, una rivoluzione culturale.

Allora salve e benvenuto a Casa alla Terza.

Buongiorno a tutti.

Naturalmente anche questo nostro libro è stato uno dei libri rimasti un po' bloccato a causa della pandemia,

perché era stato previsto in uscita un paio di mesi fa e purtroppo siamo rimasti condizionati dal fermo delle librerie.

Ma siamo molto felici invece di presentarvelo oggi perché crediamo che sia un libro non solo importante,

ma anche molto interessante e molto piacevole da leggere per chiunque avrà l'occasione di prenderlo in mano.

Noi avevamo pensato a questo libro insieme all'autore Nespor ormai quasi un anno fa,

anche pensando alla situazione che stavamo vivendo, alla crisi ambientale, ai cambiamenti climatici

che sembrano ogni anno sempre più evidenti e significativi.

Oggi ci troviamo invece di fronte ad un'altra emergenza che sembra avere delle cause ambientali.

Lei che cosa ne pensa di questo?

Ci sono molti che sostengono questa tesi sul salto delle specie e così via.

Credo che le pandemie siano sempre esistite e probabilmente anche quelle passate sono state determinate da vari salti di specie.

Non mi sembra una cosa particolarmente significativa per sostenere.

Certo, è probabile che se è così, certamente la continua distruzione dell'ambiente metta gli uomini a contatto con specie,

animali che prima se ne stavano ben infatti loro e questo può succedere.

Sarà un problema ulteriore in futuro.

Nel suo libro racconta una sorta di rivoluzione che è avvenuta a partire dalla seconda guerra mondiale,

cioè dopo la fine della seconda guerra mondiale, a partire dal fine degli anni 50,

cioè dalla nascita del concetto di ambiente e dell'idea di ambientalismo in qualche modo.

E lo fa attraverso cinque libri, quindi cinque tappe in qualche modo.

Ho trovato leggendolo per la prima volta un modo molto interessante per ricostruire un po' la consapevolezza

che noi abbiamo acquisito dei problemi ambientali, ma anche della stessa esistenza della natura intorno a noi.

Non solo come elemento da sfruttare e da conquistare.

Il primo libro, la prima tappa che lei fa nel libro riguarda un libro del 1962 che si intitolava La primavera silenziosa.

Ce ne vuole parlare?

Sì, prima di tutto ho scelto questo modo di presentare la scoperta dell'ambiente attraverso i libri.

Ovviamente non è l'unico modo, ci può fare in molti altri modi.

L'ho fatto così perché sono cinque libri che mi hanno particolarmente impressionato,

su cui io ho costruito la mia interesse per tutti i temi ambientali.

Il primo, la primavera silenziosa, è universalmente considerato quello che segna la nascita dell'ambientalismo moderno.

È veramente quello che crea la rottura rispetto a un prima in cui l'ambiente, come dicevano i trattati,

era solo qualcosa da sfruttare, dove c'erano solo risorse da sfruttare,

a un dopo nel quale diventa un tema ideologico, culturale, politico,

che lentamente, ma non tanto lentamente, diventa patrimonio di tutti.

Pensate che nel libro del 1962, in poco più di dieci anni,

c'è una ascesa prodigiosa dei temi ambientali.

L'ambiente diventa un dei temi principali sull'arena internazionale.

C'è la prima conferenza mondiale sull'ambiente.

È stato qualcosa di forse anche inaspettato, ma sicuramente di rompente per tutti.

Questo è stato provocato dal libro di una solitaria biologa che si è messa lì

e si è incaponita un po' sul tema del DDT che rendeva silenziose le primavere.

Non vorrei anticipare qualcosa, ma tra i cinque libri che ho scelto,

è interessante vedere che quattro provengono da iniziative private.

Solo uno è un libro, quello della Commissione Brundtland,

solo uno salta fuori per un'iniziativa delle Nazioni Unite,

quindi un'iniziativa internazionale.

Gli altri saltono fuori da studio. Uno è del Club di Roma, ma anche lì da privati.

È interessante che l'ambiente viene fuori così.

Non da una grande iniziativa dall'alto, ma da gente che crea e innova in questa materia,

creando dei libri che a loro volta cambiano la scena.

Il titolo del libro già lo dice.

In qualche modo La primavera silenziosa è abbastanza curioso

perché racconta come la sparizione degli insetti dovuta all'uso del DDT

produce poi delle conseguenze sulla catena alimentare degli uccelli

e degli animali in genere, che porta a rendere la primavera silenziosa,

nel senso che non ci sono più tutti i rumori della natura.

Questo aspetto che sembra quasi molto bucolico, poetico,

viene visto in maniera tale da analizzare un problema serissimo.

Era anche per far capire meglio a chi ci ascolta.

Da poco in Italia si era assistita alla fine della malaria

grazie all'uso del DDT, per esempio nella Canura Pontina.

Per moltissimi il DDT era una sorta di benedizione, non un maleficio.

Anche in Italia ha incontrato non una immediata e facile circolazione.

Non so se mi può confermare da questo punto di vista.

La circolazione del divieto le intende?

No, anche la circolazione del libro si è avuta un immediato successo.

In Italia ha avuto un immediato successo,

un po' anche perché la malaria era stata superata probabilmente.

Regine Calzone, l'autrice, non ha avuto una vita facile,

perché è stata accusata da tutti, dal voler distruggere l'industria americana,

dal fatto di agire, di essere d'accordo con l'Unione Sovietica.

La reazione è stata enorme e molti dicevano

che stavano creando molti morti in Africa, in più per la malaria.

Quando in realtà non è così, perché come si è dimostrato tutte le volte

che è stato riutilizzato il DDT, si creano gli insetti,

diventano resistenti, c'è una resistenza quasi immediata,

per cui gli serve a poco a un certo punto,

quindi non ha danneggiato nulla da quel punto di vista.

Ha contribuito però a creare un enorme interesse per la difesa della natura,

partendo dall'insetticida.

Sì, e poi anche sulle conseguenze sull'uomo,

perché come sappiamo di dire, ha anche degli effetti cancerogeni non piccoli,

quindi oltre al fatto che produce anche un inquinamento sui cibi,

per esempio sui prodotti alimentari su cui veniva errorato,

quindi aveva delle conseguenze di lunga durata e di lunga scadenza,

tanto che mi sembra che qualche anno fa era stato trovato ancora del DDT,

perfino nei pinguini.

Questo per dire anche della diffusione che questa sostanza aveva avuto

in tutto il pianeta.

L'altro libro che cita e di cui parla è un libro che ha avuto in Italia

da subito una circolazione molto forte,

e si tratta dei limiti dello sviluppo del Club di Roma,

anche uscito nel 72.

Ma che cos'era il Club di Roma, se lo vuole ricordare?

Il Club di Roma è un club privato promosso da alcuni operatori dell'industria,

tra cui Aurelio Peccei che aveva lavorato per la Fiat,

dopo aver fatto la Resistenza aveva lavorato per la Fiat,

e a un certo punto decidono che bisogna occuparsi del problema dello sviluppo.

E coinvolge altri personaggi analoghi e poi lo estende qua e là,

e crea un club che commissiona all'MIT,

commissiona ad alcuni ricercatori, un libro per affrontare questo tema.

Quindi anche lì un'iniziativa di privati, non c'è nulla di pubblico,

il club non prendeva soldi, ha avuto dei finanziamenti da alcune società private

per continuare, ma è stata un'iniziativa di privati.

Ed è stato anche quello un bestseller travolgente.

A me piace molto, l'ho ricordato, ha detto molte cose sbagliate,

ha fatto previsioni che non si sono avverate,

però ha creato apposto per la prima volta di fronte al mondo il problema dei limiti.

Esatto, perché per la prima volta veniva presentata l'idea

che le risorse naturali non fossero infinite,

ma avessero dei limiti strutturali, soprattutto per quello che riguardava il petrolio.

Non a caso poi il libro esce poco prima della crisi petrolifera.

Certo, anche quello ha incoraggiato molto.

Esatto, questa coincidenza temporale tra questi due fatti

presagisce un futuro molto diverso, dove il petrolio era destinato a diventare

una risorsa estremamente limitata.

Tutte le previsioni erano completamente sballate.

Prevedeva che lo zinco dovesse esaurirsi entro otto anni, il petrolio entro un anno.

Tutte queste previsioni si sono…

Io racconto di questa commessa che c'è stata su questo punto,

tra un sostenitore dell'esaurimento di tutte le risorse

e un altro che sosteneva che non era assolutamente vero.

Due personaggi grossi, uno era Erlich e l'altro era Simon,

che sosteneva invece che tutto dipendeva dalla sovrappopolazione.

Erlich e Simon scommettono che in dieci anni,

vediamo se tutte le risorse sono aumentate di prezzo,

perché questo è il segno che sta diminuendo la disponibilità.

Simon dice che no, calano.

In dieci anni, per tutte le risorse indicate, il prezzo è calato.

Quindi la disponibilità era aumentata.

Erlich era sicuro di stravincere,

e invece ci troviamo di fronte a un aumento.

E ancora il petrolio oggi, la disponibilità apparentemente continua a aumentare,

non sta calando.

Ma costa come l'acqua.

Addirittura negli Stati Uniti, dopo la crisi ultima,

pagavano perché uno è andato sotto zero.

Detto questo, è chiaro che c'è un limite.

Non vuol dire che queste risorse sono infinite.

Il limite c'è e si avvicina.

Secondo lei, questo libro ha segnato anche la vera e propria nascita

dell'ambientalismo politico?

Perché io ho questa sensazione che in parte questa idea del limite

delle risorse naturali, quindi i limiti dello sviluppo,

abbia portato anche la necessità di ripensare complessivamente

il nostro modello economico.

E quindi anche un'idea ha dato molto petrolio

al motore dell'ambientalismo politico.

In Italia, come sappiamo, ha avuto sempre uno sviluppo non enorme,

però in altri paesi come in Germania,

ha avuto un partito che è andato al governo,

che occupa ancora adesso posizioni molto importanti nei lender,

e in Germania addirittura è il secondo partito,

quindi ha una forza non indifferente.

Sì, certamente ha trascinato dietro gran parte dell'opinione pubblica

e i governi, anche l'Unione Europea su questo punto,

per affrontare questo problema dei limiti.

Certo, molto è stato provocato dalla crisi del petrolio,

che è venuto quasi contemporanea.

C'è stato anche tutto un filone di ambientalismo sul tema dei limiti,

della catastrofe che si avvicina.

Quello che ho cercato di far vedere è che tutti questi libri,

questi due di cui abbiamo parlato, ma anche gli altri,

da un lato avviano delle ricerche, di un nuovo modo di pensare,

dall'altro raccolgono anche delle sensazioni che sono nell'aria,

non inventano, come sempre accade nelle scoperte,

raccolgono dei movimenti e dei pensieri che ci sono intorno a loro

e puntano su quelli, e poi lanciano anche il nuovo messaggio.

Così è stato per i limiti, si discuteva molto di questo tema.

Io racconto di vari libri che escono proprio in quel periodo, un po' prima,

che nessuno con questa forza, Dimitri Osnufov è un libro straordinario,

perché fa dei diagrammi molto impressionanti dei limiti che si stanno avverando.

Poi non funzionano, ma non funzionano perché hanno utilizzato,

ricordiamoci per esempio che eravamo all'inizio, dei computer,

quindi non potevano fare dei grandi modelli per capire cosa succedeva.

Oggi sarebbe tutto diverso il libro.

Ci sono delle estrapolazioni che non si sono mai confermate.

Anche perché l'industria ha investito moltissimo in ricerca,

proprio sulla base di questa preoccupazione, per cui so che per esempio

anche l'industria petrolifera ha cambiato completamente le modalità di ricerca

delle nuove cacimenti petroliferi, proprio sulla base del fatto che

questo problema che era stato sottovalutato fino a quel momento,

del possibile esaurimento in tempi rapidi, si poneva agli occhi dell'opinione pubblica

in maniera clamorosa.

Certo. Ma proprio sul petrolio, uno fa una ricerca su Google,

i libri che, End of Oil, la fine del petrolio, ce ne saranno decine nel periodo successivo.

Ormai non ci sono più, nessuno più scrive un libro sulla fine del petrolio,

perché finirà per i fatti suoi il petrolio, ma non perché finisce.

No, certo, molto probabilmente.

Speriamo che poi saremo in grado presto di trovare qualche modo

di non usare i fossili, questo sarebbe importante.

C'è quella famosa battuta, ben nota, in cui si diceva che l'età della pietra

non è finita perché sono finite le pietre, è finita perché si è usato un altro materiale.

Esatto, speriamo che sia questo il caso, che forse ci porterebbe in una condizione

molto migliore da tanti punti.

Certo.

L'altro aspetto che secondo me è molto significativo di questo libro

è il fatto che è stato prodotto da studiosi autorevolissimi,

quindi un po' il contrasto rispetto a quello che sembra la tendenza attuale

dell'uno vale uno.

Lì erano persone estremamente competenti che sembravano presentare uno scenario

molto credibile, non la proiezione di un futurologo, ma di studiosi

che nel loro campo avevano una competenza di primissimo livello.

E questo è anche una cosa che oggi forse cominciamo a rivedere dopo la pandemia,

questa presenza degli esperti.

Certo, troppi forse.

Troppi forse, sì esatto, però li avevamo quasi dimenticati.

Forse in alcune questioni è importante utilizzare la competenza.

L'altro libro, la terza tappa del nostro viaggio attraverso l'idea di ambiente,

viene da un libro che è uscito nel 1987 e che si intitolava

Il nostro comune futuro, e che è opera di un personaggio invece di primissimo livello,

di grandissimo rilievo.

Quindi ce ne vuole parlare? Chi era l'autore?

Questo libro è il primo, come dicevo, e l'unico anche, che è parte con un'iniziativa

delle Nazioni Unite che già in precedenza decidono di affrontare il tema

del rapporto tra ambiente e sviluppo, costituiscono una commissione di esperti

in modo di tutti i paesi, che viene diretta da questo personaggio, Go Brundtland,

che era il ministro della salute norvegese, ed era un personaggio già di rilievo

nel mondo internazionale, tant'è vero che poi la commissione si chiamerà

la commissione Brundtland.

E questo libro, cosa succede? Perché il grosso problema che si pone

è il continuo dibattito tra paesi ricchi e paesi poveri, tra nord e sud del mondo,

perché i paesi poveri dicevano che il grosso problema è lo sfruttamento delle risorse

per accrescere il vostro benessere, senza tener conto dell'ambiente,

e i paesi ricchi dicevano che il problema è la sovrappopolazione

che è prodotta dai paesi poveri. I paesi poveri sostenevano che anche loro

avevano diritto allo sviluppo così come se non si potessero frenare

dalla tutela dell'ambiente, perché dicevano prima che avevano distrutto l'ambiente

per svilupparli, ma adesso non è che una volta si è trattati ricchi

dovete dire che adesso non ci si ferma.

E questo andrà avanti, col cambiamento climatico sarà un grosso problema.

Questo libro cerca di mettere insieme queste due polarità che già si sono sviluppate

da tempo. Io mi ricordo quando sono andato in Costa Rica a fare dei seminari,

l'atteggiamento in Costa Rica era che l'ambiente era uno strumento neocoloniale

inventato per bloccare la crescita dell'America Latina.

Quindi questo era il tema, noi non ci siamo accorti di avendone i paesi ricchi tanto,

ma stavamo a fare il salto al di là del confine e questo era l'atteggiamento.

Ecco, questo libro cerca di mettere insieme e crea questo mito dello sviluppo sostenibile,

cioè bisogna portare avanti insieme sviluppo e tutela dell'ambiente.

Che cosa voleva dire sviluppo sostenibile?

Sviluppo sostenibile, appunto. Molti hanno detto, uno slogan,

ognuno prende la parte che gli piace, uno prende lo sviluppo,

l'altro prende lo sostenibilità e tutti fanno quello che vogliono.

In parte è così, però questo termine oggi è dovuto.

Tutti i trattati internazionali, qualsiasi tipo,

dicono, considerato che bisogna rispettare il principio dello sviluppo sostenibile.

E forse in parte funziona, cioè l'attenzione che lo sviluppo non è solo crescita,

non è solo crescita economica, ma lo sviluppo è anche un fatto culturale,

di espansione di meccanismi di civilizzazione ed educazione,

e che questo deve avvenire nel rispetto dell'ambiente.

Questo è stato il portato di questo libro, in gran parte,

anche lì raccolto temi che c'erano ovviamente, non è che se lo siano stati da niente.

Il libro è noto come quello che ha portato avanti questo tema,

e da allora in poi, ci sono decine e decine di insegnamenti universitari

sulla teoria dello sviluppo sostenibile.

Gli oppositori dicono che non serve a niente.

Io non sono d'accordo, è stato un cambiamento culturale pensare che lo sviluppo era così.

Ricordiamoci che siamo partiti dal GATT, dal Trattato Internazionale dei Paesi Ricchi,

che diceva che lo sviluppo era lo sfruttamento completo delle risorse.

Passare da questo a dire che lo sviluppo deve essere sostenibile non è poco.

Certo, e anche poi la considerazione dell'impronta ambientale delle attività umane,

anche questo aspetto, a partire da tutta questa elaborazione,

anche l'opinione pubblica ha fatto pressioni sempre crescenti perché anche le aziende

rendessero conto dell'impronta ambientale, dei costi ambientali,

delle loro produzioni.

Questo ha avuto un certo effetto, anche perché si è creata quella che si chiama la contability,

il fatto di dover rendere conto di questi costi che fino a quel momento venivano considerati zero.

L'altro tema è proprio il titolo, che il futuro è comune, dei paesi poveri e dei paesi ricchi.

Il nostro comune futuro indica questa strada.

Esatto, e non è un caso che anche questo libro esca quasi presagendo quello che sarebbe successo

due anni dopo, con l'89, con la caduta del muro di Berlino, con l'idea che ci potesse essere

veramente un mondo unico, non più diviso in blocchi, non più diviso tra nord e sud,

oest e ovest, ma che si potesse immaginare un futuro comune per il pianeta.

Questo forse c'era un aspetto che oggi vediamo un po' utopico in questo momento,

però credo fosse un lascito molto importante di questo libro, che ha segnato sicuramente il tempo,

ma ci ha lasciato in eredità molte cose rilevanti.

Proseguendo in questa nostra carrellata, noi arriviamo alla quarta tappa,

che è il governare i beni comuni, che è un libro del 1990.

Anche questo è un libro non italiano, se ricordo bene, e che cose si intende per beni collettivi?

Questo libro per me è stato molto importante, non solo per me, ma per tanti,

è stata la scoperta di qualcosa che uno non sapeva che esistesse,

che nel mondo ci sono sempre stati dei beni comuni,

cioè dei beni che sono gestiti collettivamente da gruppi di persone,

e quindi che li mantengono e li conservano e spesso li fanno anche prosperare.

Teniamo presente che la tesi tutto parte da un signore che nel 1968, Harding,

fa un articolo con un titolo che si chiama La tragedia dei beni comuni,

e dice che i beni comuni non tendono a andare in rovina, perché ciascuno prende quello che può,

e in parte è anche vero, se pensiamo per esempio agli oceani,

ognuno va lì, pesca quello che riesce, sapendo che se non lo pesca lui lo pesca un altro,

e i pesci diminuiscono.

Questo libro viene fuori da un'enorme ricerca che viene condotta ovunque nel mondo,

in cui l'autrice fa vedere che sono migliaia invece i beni comuni che si conservano,

che continuano ed è una gestione che procede e che permette a dei gruppi di vivere bene.

Certo ci vogliono determinate caratteristiche, il libro si dedica a questo,

ci vuole la fiducia tra quelli che devono conoscersi, ci vuole fiducia tra coloro che li usano.

Detto questo, il bene comune improvvisamente compare sulla soglia dell'ambiente,

perché prima c'era la proprietà.

Questo è un libro molto importante anche da un punto di vista storico,

perché rompe con l'idea tradizionale,

secondo cui era stata la recinzione delle terre comuni in Inghilterra

che aveva permesso lo sviluppo della rivoluzione industriale.

Questo è un libro di Marx, hai già detto?

Di Marx ma anche di molti storici economici liberali inglesi.

La ricostruzione classica è che soltanto la fine delle terre comuni

aveva permesso l'accumulazione primaria che aveva poi dato le risorse per la rivoluzione industriale.

Qui si comincia a mostrare come esistono altri modelli di sviluppo

che non necessariamente sono di sottosviluppo,

ma anche producono un relativo benessere per le persone che sono coinvolte,

che vivono all'interno di questo modello,

che hanno un maggiore rispetto dell'ambiente,

non sono predatori rispetto all'ambiente che li circonda,

e soprattutto che possano sopravvivere questi beni collettivi.

Se si pensa che in Europa continentale, non parlo dell'Inghilterra,

da partire dall'età napoleonica si era assistita a una progressiva privatizzazione

per usare queste terre comuni.

E' una scomparsa delle terre comuni fino a che non hanno riguardato in Italia

aree assolutamente marginali come quelle di montagna,

poco toccate dallo sviluppo e dall'accumulazione di ricchezza.

Quindi questo libro ha mostrato concretamente per molti una strada diversa,

una possibilità diversa.

Pronto?

Sì, sono qua.

Questo mi sembra anche che abbia rappresentato un aspetto abbastanza molto innovativo,

ha stimolato anche molti storici da questo punto di vista,

riprende il filone dello studio delle terre comuni, dei beni comuni, degli usici.

Sì, c'è stata anche lì un'esplosione di studi sui beni comuni da questo libro in poi.

Io l'ho raccontato in questo episodio che viene fuori da un libro noto di Silone,

che è Fontamara, in cui racconta proprio di un ruscello che era un bene comune

di tutti i contadini e che poi viene appropriato dal latifondista

appoggiato dal governo fascista che se lo porta via e questi rimangono senza niente.

Ci sono stati molti episodi di questo tipo.

Naturalmente non si può creare un meccanismo di cause-effetto così diretto,

però non è un caso che anche in Italia questo tema abbia portato ad esempio

a un referendum contro la privatizzazione dell'acqua.

L'idea che l'acqua fosse un bene collettivo che dovesse essere mantenuto

non privatizzabile ma gestito dal pubblico, che ha contro tutte le previsioni

non soltanto raggiunto il quorum ma anche vinto agilmente, nonostante che fosse stato

proposto da associazioni ambientaliste e non sostenuti dai partiti tradizionali.

C'è stata anche una grande figura che è stato Stefano Rodotà che ha spinto molto

e si è occupato sul tema dei beni comuni.

È stata in gran parte a merito suo la diffusione di questa idea in Italia.

Mi fa piacere che lei l'abbia ricordato perché Rodotà è una figura molto cara

alla Casa editrice.

No, era un caro amico, abbiamo fatto anche varie cose insieme proprio su questo tema.

Allora visto che ci avviciniamo alla conclusione volevo chiederle dell'ultimo libro

di cui parla che è una scomoda verità del 2006.

In questo caso l'autore era stato un personaggio che aveva avuto un ruolo pubblico

di primissimo livello e ha perso anche le elezioni in America per pochissimi voti.

Poverino, forse è stato anche rapinato.

Esatto, esattamente.

Nasce anche dopo un fallimento politico molto forte che ha avuto poi delle conseguenze

sulla politica mondiale purtroppo non piccole.

Qual era la scomoda verità?

La scomoda verità è il cambiamento climatico.

Devo dire che è chiaro che il quinto libro doveva essere sul cambiamento climatico.

È stato molto indeciso perché certo questo è un libro che molti non lo conoscono,

cioè se è stato un libro è un film, lui ha fatto un doppio gioco,

i tempi sono cambiati e il film andava bene.

È stato un libro molto importante perché soprattutto Gore ha deciso di andare in giro

per il mondo a spiegare ai giovani che c'era il cambiamento climatico.

Quindi non è stato un libro come gli altri che ha introdotto qualcosa di nuovo,

ha parlato di una cosa di cui già si parlava.

Però ha diffuso, ha provato a diffondere la coscienza di un problema soprattutto tra

giovani e in tutti i paesi dove questo tema non era ancora così sentito.

Il paradosso è che ora ci troviamo nella condizione in cui abbiamo un presidente

che non solo nega il cambiamento climatico ma anche promuove una serie di misure

di deregulation sull'ambiente che stanno incentivando questo cambiamento climatico.

Sul problema degli Stati Uniti va fatta un po' di attenzione perché mentre il presidente è così,

per fortuna i presidenti dei servizi passano e invece poi i governi e cosa resta.

Invece a livello locale e statale negli Stati Uniti c'è una grande, in alcuni stati,

non in tutti, ma in molti degli stati più importanti, l'attivismo sul contenimento

del cambiamento climatico è forse superiore di quello che si ha in Europa.

Quindi non va dimenticato questo, tutti hanno l'immagine di truppe e dicono

che gli Stati Uniti sono così, non sono così.

Certo c'è questa realtà, ma c'è una realtà delle città, dei piccoli paesi e soprattutto

di molti stati che vanno dalla California a New York che si impegnano in modo fortissimo

molto più di tanti stati dell'Unione Europea.

Anche sulla questione del fracking, della nuova tecnologia per l'estrazione del petrolio

che ha portato l'America a essere indipendente dal punto di vista energetico,

che ha avuto un impatto enorme per gli Stati Uniti, che però ha delle conseguenze ambientali

ancora molto discusse, che le comunità locali sentono molto.

Questo ha creato un attivismo molto forte, tanto che sono usciti anche diversi film

su tutte queste battaglie intorno al fracking.

Poi resta forte, diffuso il negazionismo, quello che lei diceva poco fa.

Questo è sostenuto da grossi poteri finanziari, da quelli che producono il cambiamento climatico,

il petrolio, quelli che dicono o che non esiste, o che esiste ma non è prodotto dall'uomo.

Le varietà di negazionismo sono tante in questo settore.

Ci sono sempre state, c'erano sul DDT, tutti quelli che producono questi beni…

Ci sono anche negazionisti del virus, per cui non è un unico nella storia dell'uomo.

Prima del cambiamento climatico, di cui mi sto scrivendo adesso, c'è stato un grande successo

che è stato quello del contenimento della distruzione dell'ozono,

che veniva distrutto anche lì da una sostanza chimica che veniva immessa nell'atmosfera,

i cosiddetti CFC, i prodotti di cloro e fluoro, che era un po' come il DDT.

Il DDT agiva a livello di basso, questi agivano in alto.

Lì hanno avuto successo, e anche lì i negazionisti, quelli che producevano il CFC,

che era una grandissima fonte di profitto dell'industria chimica, sono stati fortissimi.

Quelli che hanno scoperto questa proprietà di CFC, di essere innocui a un certo livello,

ma di romperlo, sono stati accusati di tutto.

Tutti gli avanzamenti nel settore dell'ambiente hanno avuto i loro negazionisti.

Sono stati accompagnati.

Allora, noi siamo arrivati alla fine della nostra conversazione.

In parte mi dispiace perché mi fermerei molto a lungo, perché sono temi che mi appassionano e mi interessano moltissimo.

Ringrazio quindi il nostro autore Stefano Nesport per aver partecipato a questa conversazione.

Spero che davvero presto ci sia occasione anche di incontrarci fisicamente direttamente con il lettore,

che sarebbe una cosa importante.

Voglio ricordare a tutti quelli che hanno visto e stanno assistendo a questa nostra conversazione

che venerdì alle 15 avremo un incontro tra Luigi Mascilli Migliorini e Amedeo Feniello,

rispettivamente storico modernista dell'Università di Napoli e storico medievista dell'Università dell'Aquila,

su storia mondiale e storia globale, visto che sono stati due autori di un nostro fortunato libro

che si intitola appunto La storia del mondo dall'anno 1000 ai giorni nostri.

Quindi vi invito venerdì.

Intanto saluto tutti quanti e vi ringrazio. Arrivederci.

Pag. 1


'La scoperta dell'ambiente' di Stefano Nespor 'The Discovery of the Environment' by Stephen Nespor El descubrimiento del medio ambiente" de Stefano Nespor Stefano Nespor 的《环境的发现》

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Salve a tutti, buongiorno, anzi buonasera sarebbe meglio dire.

Siamo qui sempre per Casa alla Terza con Stefano Nespor.

Stefano Nespor è un avvocato, è giornalista, si occupa di diritto amministrativo e di diritto dell'ambiente

e insegna alla scuola di specializzazione in bene architettonici della facoltà di architettura del Politecnico di Milano.

E' autore di Il governo dell'ambiente, la politica e il diritto per il progresso sostenibile, uscito con Garzanti nel 2009

e recentissimo con la Terza, quindi con noi, La scoperta dell'ambiente, una rivoluzione culturale.

Allora salve e benvenuto a Casa alla Terza.

Buongiorno a tutti.

Naturalmente anche questo nostro libro è stato uno dei libri rimasti un po' bloccato a causa della pandemia,

perché era stato previsto in uscita un paio di mesi fa e purtroppo siamo rimasti condizionati dal fermo delle librerie.

Ma siamo molto felici invece di presentarvelo oggi perché crediamo che sia un libro non solo importante,

ma anche molto interessante e molto piacevole da leggere per chiunque avrà l'occasione di prenderlo in mano.

Noi avevamo pensato a questo libro insieme all'autore Nespor ormai quasi un anno fa,

anche pensando alla situazione che stavamo vivendo, alla crisi ambientale, ai cambiamenti climatici

che sembrano ogni anno sempre più evidenti e significativi.

Oggi ci troviamo invece di fronte ad un'altra emergenza che sembra avere delle cause ambientali.

Lei che cosa ne pensa di questo?

Ci sono molti che sostengono questa tesi sul salto delle specie e così via.

Credo che le pandemie siano sempre esistite e probabilmente anche quelle passate sono state determinate da vari salti di specie.

Non mi sembra una cosa particolarmente significativa per sostenere.

Certo, è probabile che se è così, certamente la continua distruzione dell'ambiente metta gli uomini a contatto con specie,

animali che prima se ne stavano ben infatti loro e questo può succedere.

Sarà un problema ulteriore in futuro.

Nel suo libro racconta una sorta di rivoluzione che è avvenuta a partire dalla seconda guerra mondiale,

cioè dopo la fine della seconda guerra mondiale, a partire dal fine degli anni 50,

cioè dalla nascita del concetto di ambiente e dell'idea di ambientalismo in qualche modo.

E lo fa attraverso cinque libri, quindi cinque tappe in qualche modo.

Ho trovato leggendolo per la prima volta un modo molto interessante per ricostruire un po' la consapevolezza

che noi abbiamo acquisito dei problemi ambientali, ma anche della stessa esistenza della natura intorno a noi.

Non solo come elemento da sfruttare e da conquistare.

Il primo libro, la prima tappa che lei fa nel libro riguarda un libro del 1962 che si intitolava La primavera silenziosa.

Ce ne vuole parlare?

Sì, prima di tutto ho scelto questo modo di presentare la scoperta dell'ambiente attraverso i libri.

Ovviamente non è l'unico modo, ci può fare in molti altri modi.

L'ho fatto così perché sono cinque libri che mi hanno particolarmente impressionato,

su cui io ho costruito la mia interesse per tutti i temi ambientali.

Il primo, la primavera silenziosa, è universalmente considerato quello che segna la nascita dell'ambientalismo moderno.

È veramente quello che crea la rottura rispetto a un prima in cui l'ambiente, come dicevano i trattati,

era solo qualcosa da sfruttare, dove c'erano solo risorse da sfruttare,

a un dopo nel quale diventa un tema ideologico, culturale, politico,

che lentamente, ma non tanto lentamente, diventa patrimonio di tutti.

Pensate che nel libro del 1962, in poco più di dieci anni,

c'è una ascesa prodigiosa dei temi ambientali.

L'ambiente diventa un dei temi principali sull'arena internazionale.

C'è la prima conferenza mondiale sull'ambiente.

È stato qualcosa di forse anche inaspettato, ma sicuramente di rompente per tutti.

Questo è stato provocato dal libro di una solitaria biologa che si è messa lì

e si è incaponita un po' sul tema del DDT che rendeva silenziose le primavere.

Non vorrei anticipare qualcosa, ma tra i cinque libri che ho scelto,

è interessante vedere che quattro provengono da iniziative private.

Solo uno è un libro, quello della Commissione Brundtland,

solo uno salta fuori per un'iniziativa delle Nazioni Unite,

quindi un'iniziativa internazionale.

Gli altri saltono fuori da studio. Uno è del Club di Roma, ma anche lì da privati.

È interessante che l'ambiente viene fuori così.

Non da una grande iniziativa dall'alto, ma da gente che crea e innova in questa materia,

creando dei libri che a loro volta cambiano la scena.

Il titolo del libro già lo dice.

In qualche modo La primavera silenziosa è abbastanza curioso

perché racconta come la sparizione degli insetti dovuta all'uso del DDT

produce poi delle conseguenze sulla catena alimentare degli uccelli

e degli animali in genere, che porta a rendere la primavera silenziosa,

nel senso che non ci sono più tutti i rumori della natura.

Questo aspetto che sembra quasi molto bucolico, poetico,

viene visto in maniera tale da analizzare un problema serissimo.

Era anche per far capire meglio a chi ci ascolta.

Da poco in Italia si era assistita alla fine della malaria

grazie all'uso del DDT, per esempio nella Canura Pontina.

Per moltissimi il DDT era una sorta di benedizione, non un maleficio.

Anche in Italia ha incontrato non una immediata e facile circolazione.

Non so se mi può confermare da questo punto di vista.

La circolazione del divieto le intende?

No, anche la circolazione del libro si è avuta un immediato successo.

In Italia ha avuto un immediato successo,

un po' anche perché la malaria era stata superata probabilmente.

Regine Calzone, l'autrice, non ha avuto una vita facile,

perché è stata accusata da tutti, dal voler distruggere l'industria americana,

dal fatto di agire, di essere d'accordo con l'Unione Sovietica.

La reazione è stata enorme e molti dicevano

che stavano creando molti morti in Africa, in più per la malaria.

Quando in realtà non è così, perché come si è dimostrato tutte le volte

che è stato riutilizzato il DDT, si creano gli insetti,

diventano resistenti, c'è una resistenza quasi immediata,

per cui gli serve a poco a un certo punto,

quindi non ha danneggiato nulla da quel punto di vista.

Ha contribuito però a creare un enorme interesse per la difesa della natura,

partendo dall'insetticida.

Sì, e poi anche sulle conseguenze sull'uomo,

perché come sappiamo di dire, ha anche degli effetti cancerogeni non piccoli,

quindi oltre al fatto che produce anche un inquinamento sui cibi,

per esempio sui prodotti alimentari su cui veniva errorato,

quindi aveva delle conseguenze di lunga durata e di lunga scadenza,

tanto che mi sembra che qualche anno fa era stato trovato ancora del DDT,

perfino nei pinguini.

Questo per dire anche della diffusione che questa sostanza aveva avuto

in tutto il pianeta.

L'altro libro che cita e di cui parla è un libro che ha avuto in Italia

da subito una circolazione molto forte,

e si tratta dei limiti dello sviluppo del Club di Roma,

anche uscito nel 72.

Ma che cos'era il Club di Roma, se lo vuole ricordare?

Il Club di Roma è un club privato promosso da alcuni operatori dell'industria,

tra cui Aurelio Peccei che aveva lavorato per la Fiat,

dopo aver fatto la Resistenza aveva lavorato per la Fiat,

e a un certo punto decidono che bisogna occuparsi del problema dello sviluppo.

E coinvolge altri personaggi analoghi e poi lo estende qua e là,

e crea un club che commissiona all'MIT,

commissiona ad alcuni ricercatori, un libro per affrontare questo tema.

Quindi anche lì un'iniziativa di privati, non c'è nulla di pubblico,

il club non prendeva soldi, ha avuto dei finanziamenti da alcune società private

per continuare, ma è stata un'iniziativa di privati.

Ed è stato anche quello un bestseller travolgente.

A me piace molto, l'ho ricordato, ha detto molte cose sbagliate,

ha fatto previsioni che non si sono avverate,

però ha creato apposto per la prima volta di fronte al mondo il problema dei limiti.

Esatto, perché per la prima volta veniva presentata l'idea

che le risorse naturali non fossero infinite,

ma avessero dei limiti strutturali, soprattutto per quello che riguardava il petrolio.

Non a caso poi il libro esce poco prima della crisi petrolifera.

Certo, anche quello ha incoraggiato molto.

Esatto, questa coincidenza temporale tra questi due fatti

presagisce un futuro molto diverso, dove il petrolio era destinato a diventare

una risorsa estremamente limitata.

Tutte le previsioni erano completamente sballate.

Prevedeva che lo zinco dovesse esaurirsi entro otto anni, il petrolio entro un anno.

Tutte queste previsioni si sono…

Io racconto di questa commessa che c'è stata su questo punto,

tra un sostenitore dell'esaurimento di tutte le risorse

e un altro che sosteneva che non era assolutamente vero.

Due personaggi grossi, uno era Erlich e l'altro era Simon,

che sosteneva invece che tutto dipendeva dalla sovrappopolazione.

Erlich e Simon scommettono che in dieci anni,

vediamo se tutte le risorse sono aumentate di prezzo,

perché questo è il segno che sta diminuendo la disponibilità.

Simon dice che no, calano.

In dieci anni, per tutte le risorse indicate, il prezzo è calato.

Quindi la disponibilità era aumentata.

Erlich era sicuro di stravincere,

e invece ci troviamo di fronte a un aumento.

E ancora il petrolio oggi, la disponibilità apparentemente continua a aumentare,

non sta calando.

Ma costa come l'acqua.

Addirittura negli Stati Uniti, dopo la crisi ultima,

pagavano perché uno è andato sotto zero.

Detto questo, è chiaro che c'è un limite.

Non vuol dire che queste risorse sono infinite.

Il limite c'è e si avvicina.

Secondo lei, questo libro ha segnato anche la vera e propria nascita

dell'ambientalismo politico?

Perché io ho questa sensazione che in parte questa idea del limite

delle risorse naturali, quindi i limiti dello sviluppo,

abbia portato anche la necessità di ripensare complessivamente

il nostro modello economico.

E quindi anche un'idea ha dato molto petrolio

al motore dell'ambientalismo politico.

In Italia, come sappiamo, ha avuto sempre uno sviluppo non enorme,

però in altri paesi come in Germania,

ha avuto un partito che è andato al governo,

che occupa ancora adesso posizioni molto importanti nei lender,

e in Germania addirittura è il secondo partito,

quindi ha una forza non indifferente.

Sì, certamente ha trascinato dietro gran parte dell'opinione pubblica

e i governi, anche l'Unione Europea su questo punto,

per affrontare questo problema dei limiti.

Certo, molto è stato provocato dalla crisi del petrolio,

che è venuto quasi contemporanea.

C'è stato anche tutto un filone di ambientalismo sul tema dei limiti,

della catastrofe che si avvicina.

Quello che ho cercato di far vedere è che tutti questi libri,

questi due di cui abbiamo parlato, ma anche gli altri,

da un lato avviano delle ricerche, di un nuovo modo di pensare,

dall'altro raccolgono anche delle sensazioni che sono nell'aria,

non inventano, come sempre accade nelle scoperte,

raccolgono dei movimenti e dei pensieri che ci sono intorno a loro

e puntano su quelli, e poi lanciano anche il nuovo messaggio.

Così è stato per i limiti, si discuteva molto di questo tema.

Io racconto di vari libri che escono proprio in quel periodo, un po' prima,

che nessuno con questa forza, Dimitri Osnufov è un libro straordinario,

perché fa dei diagrammi molto impressionanti dei limiti che si stanno avverando.

Poi non funzionano, ma non funzionano perché hanno utilizzato,

ricordiamoci per esempio che eravamo all'inizio, dei computer,

quindi non potevano fare dei grandi modelli per capire cosa succedeva.

Oggi sarebbe tutto diverso il libro.

Ci sono delle estrapolazioni che non si sono mai confermate.

Anche perché l'industria ha investito moltissimo in ricerca,

proprio sulla base di questa preoccupazione, per cui so che per esempio

anche l'industria petrolifera ha cambiato completamente le modalità di ricerca

delle nuove cacimenti petroliferi, proprio sulla base del fatto che

questo problema che era stato sottovalutato fino a quel momento,

del possibile esaurimento in tempi rapidi, si poneva agli occhi dell'opinione pubblica

in maniera clamorosa.

Certo. Ma proprio sul petrolio, uno fa una ricerca su Google,

i libri che, End of Oil, la fine del petrolio, ce ne saranno decine nel periodo successivo.

Ormai non ci sono più, nessuno più scrive un libro sulla fine del petrolio,

perché finirà per i fatti suoi il petrolio, ma non perché finisce.

No, certo, molto probabilmente.

Speriamo che poi saremo in grado presto di trovare qualche modo

di non usare i fossili, questo sarebbe importante.

C'è quella famosa battuta, ben nota, in cui si diceva che l'età della pietra

non è finita perché sono finite le pietre, è finita perché si è usato un altro materiale.

Esatto, speriamo che sia questo il caso, che forse ci porterebbe in una condizione

molto migliore da tanti punti.

Certo.

L'altro aspetto che secondo me è molto significativo di questo libro

è il fatto che è stato prodotto da studiosi autorevolissimi,

quindi un po' il contrasto rispetto a quello che sembra la tendenza attuale

dell'uno vale uno.

Lì erano persone estremamente competenti che sembravano presentare uno scenario

molto credibile, non la proiezione di un futurologo, ma di studiosi

che nel loro campo avevano una competenza di primissimo livello.

E questo è anche una cosa che oggi forse cominciamo a rivedere dopo la pandemia,

questa presenza degli esperti.

Certo, troppi forse.

Troppi forse, sì esatto, però li avevamo quasi dimenticati.

Forse in alcune questioni è importante utilizzare la competenza.

L'altro libro, la terza tappa del nostro viaggio attraverso l'idea di ambiente,

viene da un libro che è uscito nel 1987 e che si intitolava

Il nostro comune futuro, e che è opera di un personaggio invece di primissimo livello,

di grandissimo rilievo.

Quindi ce ne vuole parlare? Chi era l'autore?

Questo libro è il primo, come dicevo, e l'unico anche, che è parte con un'iniziativa

delle Nazioni Unite che già in precedenza decidono di affrontare il tema

del rapporto tra ambiente e sviluppo, costituiscono una commissione di esperti

in modo di tutti i paesi, che viene diretta da questo personaggio, Go Brundtland,

che era il ministro della salute norvegese, ed era un personaggio già di rilievo

nel mondo internazionale, tant'è vero che poi la commissione si chiamerà

la commissione Brundtland.

E questo libro, cosa succede? Perché il grosso problema che si pone

è il continuo dibattito tra paesi ricchi e paesi poveri, tra nord e sud del mondo,

perché i paesi poveri dicevano che il grosso problema è lo sfruttamento delle risorse

per accrescere il vostro benessere, senza tener conto dell'ambiente,

e i paesi ricchi dicevano che il problema è la sovrappopolazione

che è prodotta dai paesi poveri. I paesi poveri sostenevano che anche loro

avevano diritto allo sviluppo così come se non si potessero frenare

dalla tutela dell'ambiente, perché dicevano prima che avevano distrutto l'ambiente

per svilupparli, ma adesso non è che una volta si è trattati ricchi

dovete dire che adesso non ci si ferma.

E questo andrà avanti, col cambiamento climatico sarà un grosso problema.

Questo libro cerca di mettere insieme queste due polarità che già si sono sviluppate

da tempo. Io mi ricordo quando sono andato in Costa Rica a fare dei seminari,

l'atteggiamento in Costa Rica era che l'ambiente era uno strumento neocoloniale

inventato per bloccare la crescita dell'America Latina.

Quindi questo era il tema, noi non ci siamo accorti di avendone i paesi ricchi tanto,

ma stavamo a fare il salto al di là del confine e questo era l'atteggiamento.

Ecco, questo libro cerca di mettere insieme e crea questo mito dello sviluppo sostenibile,

cioè bisogna portare avanti insieme sviluppo e tutela dell'ambiente.

Che cosa voleva dire sviluppo sostenibile?

Sviluppo sostenibile, appunto. Molti hanno detto, uno slogan,

ognuno prende la parte che gli piace, uno prende lo sviluppo,

l'altro prende lo sostenibilità e tutti fanno quello che vogliono.

In parte è così, però questo termine oggi è dovuto.

Tutti i trattati internazionali, qualsiasi tipo,

dicono, considerato che bisogna rispettare il principio dello sviluppo sostenibile.

E forse in parte funziona, cioè l'attenzione che lo sviluppo non è solo crescita,

non è solo crescita economica, ma lo sviluppo è anche un fatto culturale,

di espansione di meccanismi di civilizzazione ed educazione,

e che questo deve avvenire nel rispetto dell'ambiente.

Questo è stato il portato di questo libro, in gran parte,

anche lì raccolto temi che c'erano ovviamente, non è che se lo siano stati da niente.

Il libro è noto come quello che ha portato avanti questo tema,

e da allora in poi, ci sono decine e decine di insegnamenti universitari

sulla teoria dello sviluppo sostenibile.

Gli oppositori dicono che non serve a niente.

Io non sono d'accordo, è stato un cambiamento culturale pensare che lo sviluppo era così.

Ricordiamoci che siamo partiti dal GATT, dal Trattato Internazionale dei Paesi Ricchi,

che diceva che lo sviluppo era lo sfruttamento completo delle risorse.

Passare da questo a dire che lo sviluppo deve essere sostenibile non è poco.

Certo, e anche poi la considerazione dell'impronta ambientale delle attività umane,

anche questo aspetto, a partire da tutta questa elaborazione,

anche l'opinione pubblica ha fatto pressioni sempre crescenti perché anche le aziende

rendessero conto dell'impronta ambientale, dei costi ambientali,

delle loro produzioni.

Questo ha avuto un certo effetto, anche perché si è creata quella che si chiama la contability,

il fatto di dover rendere conto di questi costi che fino a quel momento venivano considerati zero.

L'altro tema è proprio il titolo, che il futuro è comune, dei paesi poveri e dei paesi ricchi.

Il nostro comune futuro indica questa strada.

Esatto, e non è un caso che anche questo libro esca quasi presagendo quello che sarebbe successo

due anni dopo, con l'89, con la caduta del muro di Berlino, con l'idea che ci potesse essere

veramente un mondo unico, non più diviso in blocchi, non più diviso tra nord e sud,

oest e ovest, ma che si potesse immaginare un futuro comune per il pianeta.

Questo forse c'era un aspetto che oggi vediamo un po' utopico in questo momento,

però credo fosse un lascito molto importante di questo libro, che ha segnato sicuramente il tempo,

ma ci ha lasciato in eredità molte cose rilevanti.

Proseguendo in questa nostra carrellata, noi arriviamo alla quarta tappa,

che è il governare i beni comuni, che è un libro del 1990.

Anche questo è un libro non italiano, se ricordo bene, e che cose si intende per beni collettivi?

Questo libro per me è stato molto importante, non solo per me, ma per tanti,

è stata la scoperta di qualcosa che uno non sapeva che esistesse,

che nel mondo ci sono sempre stati dei beni comuni,

cioè dei beni che sono gestiti collettivamente da gruppi di persone,

e quindi che li mantengono e li conservano e spesso li fanno anche prosperare.

Teniamo presente che la tesi tutto parte da un signore che nel 1968, Harding,

fa un articolo con un titolo che si chiama La tragedia dei beni comuni,

e dice che i beni comuni non tendono a andare in rovina, perché ciascuno prende quello che può,

e in parte è anche vero, se pensiamo per esempio agli oceani,

ognuno va lì, pesca quello che riesce, sapendo che se non lo pesca lui lo pesca un altro,

e i pesci diminuiscono.

Questo libro viene fuori da un'enorme ricerca che viene condotta ovunque nel mondo,

in cui l'autrice fa vedere che sono migliaia invece i beni comuni che si conservano,

che continuano ed è una gestione che procede e che permette a dei gruppi di vivere bene.

Certo ci vogliono determinate caratteristiche, il libro si dedica a questo,

ci vuole la fiducia tra quelli che devono conoscersi, ci vuole fiducia tra coloro che li usano.

Detto questo, il bene comune improvvisamente compare sulla soglia dell'ambiente,

perché prima c'era la proprietà.

Questo è un libro molto importante anche da un punto di vista storico,

perché rompe con l'idea tradizionale,

secondo cui era stata la recinzione delle terre comuni in Inghilterra

che aveva permesso lo sviluppo della rivoluzione industriale.

Questo è un libro di Marx, hai già detto?

Di Marx ma anche di molti storici economici liberali inglesi.

La ricostruzione classica è che soltanto la fine delle terre comuni

aveva permesso l'accumulazione primaria che aveva poi dato le risorse per la rivoluzione industriale.

Qui si comincia a mostrare come esistono altri modelli di sviluppo

che non necessariamente sono di sottosviluppo,

ma anche producono un relativo benessere per le persone che sono coinvolte,

che vivono all'interno di questo modello,

che hanno un maggiore rispetto dell'ambiente,

non sono predatori rispetto all'ambiente che li circonda,

e soprattutto che possano sopravvivere questi beni collettivi.

Se si pensa che in Europa continentale, non parlo dell'Inghilterra,

da partire dall'età napoleonica si era assistita a una progressiva privatizzazione

per usare queste terre comuni.

E' una scomparsa delle terre comuni fino a che non hanno riguardato in Italia

aree assolutamente marginali come quelle di montagna,

poco toccate dallo sviluppo e dall'accumulazione di ricchezza.

Quindi questo libro ha mostrato concretamente per molti una strada diversa,

una possibilità diversa.

Pronto?

Sì, sono qua.

Questo mi sembra anche che abbia rappresentato un aspetto abbastanza molto innovativo,

ha stimolato anche molti storici da questo punto di vista,

riprende il filone dello studio delle terre comuni, dei beni comuni, degli usici.

Sì, c'è stata anche lì un'esplosione di studi sui beni comuni da questo libro in poi.

Io l'ho raccontato in questo episodio che viene fuori da un libro noto di Silone,

che è Fontamara, in cui racconta proprio di un ruscello che era un bene comune

di tutti i contadini e che poi viene appropriato dal latifondista

appoggiato dal governo fascista che se lo porta via e questi rimangono senza niente.

Ci sono stati molti episodi di questo tipo.

Naturalmente non si può creare un meccanismo di cause-effetto così diretto,

però non è un caso che anche in Italia questo tema abbia portato ad esempio

a un referendum contro la privatizzazione dell'acqua.

L'idea che l'acqua fosse un bene collettivo che dovesse essere mantenuto

non privatizzabile ma gestito dal pubblico, che ha contro tutte le previsioni

non soltanto raggiunto il quorum ma anche vinto agilmente, nonostante che fosse stato

proposto da associazioni ambientaliste e non sostenuti dai partiti tradizionali.

C'è stata anche una grande figura che è stato Stefano Rodotà che ha spinto molto

e si è occupato sul tema dei beni comuni.

È stata in gran parte a merito suo la diffusione di questa idea in Italia.

Mi fa piacere che lei l'abbia ricordato perché Rodotà è una figura molto cara

alla Casa editrice.

No, era un caro amico, abbiamo fatto anche varie cose insieme proprio su questo tema.

Allora visto che ci avviciniamo alla conclusione volevo chiederle dell'ultimo libro

di cui parla che è una scomoda verità del 2006.

In questo caso l'autore era stato un personaggio che aveva avuto un ruolo pubblico

di primissimo livello e ha perso anche le elezioni in America per pochissimi voti.

Poverino, forse è stato anche rapinato.

Esatto, esattamente.

Nasce anche dopo un fallimento politico molto forte che ha avuto poi delle conseguenze

sulla politica mondiale purtroppo non piccole.

Qual era la scomoda verità?

La scomoda verità è il cambiamento climatico.

Devo dire che è chiaro che il quinto libro doveva essere sul cambiamento climatico.

È stato molto indeciso perché certo questo è un libro che molti non lo conoscono,

cioè se è stato un libro è un film, lui ha fatto un doppio gioco,

i tempi sono cambiati e il film andava bene.

È stato un libro molto importante perché soprattutto Gore ha deciso di andare in giro

per il mondo a spiegare ai giovani che c'era il cambiamento climatico.

Quindi non è stato un libro come gli altri che ha introdotto qualcosa di nuovo,

ha parlato di una cosa di cui già si parlava.

Però ha diffuso, ha provato a diffondere la coscienza di un problema soprattutto tra

giovani e in tutti i paesi dove questo tema non era ancora così sentito.

Il paradosso è che ora ci troviamo nella condizione in cui abbiamo un presidente

che non solo nega il cambiamento climatico ma anche promuove una serie di misure

di deregulation sull'ambiente che stanno incentivando questo cambiamento climatico.

Sul problema degli Stati Uniti va fatta un po' di attenzione perché mentre il presidente è così,

per fortuna i presidenti dei servizi passano e invece poi i governi e cosa resta.

Invece a livello locale e statale negli Stati Uniti c'è una grande, in alcuni stati,

non in tutti, ma in molti degli stati più importanti, l'attivismo sul contenimento

del cambiamento climatico è forse superiore di quello che si ha in Europa.

Quindi non va dimenticato questo, tutti hanno l'immagine di truppe e dicono

che gli Stati Uniti sono così, non sono così.

Certo c'è questa realtà, ma c'è una realtà delle città, dei piccoli paesi e soprattutto

di molti stati che vanno dalla California a New York che si impegnano in modo fortissimo

molto più di tanti stati dell'Unione Europea.

Anche sulla questione del fracking, della nuova tecnologia per l'estrazione del petrolio

che ha portato l'America a essere indipendente dal punto di vista energetico,

che ha avuto un impatto enorme per gli Stati Uniti, che però ha delle conseguenze ambientali

ancora molto discusse, che le comunità locali sentono molto.

Questo ha creato un attivismo molto forte, tanto che sono usciti anche diversi film

su tutte queste battaglie intorno al fracking.

Poi resta forte, diffuso il negazionismo, quello che lei diceva poco fa.

Questo è sostenuto da grossi poteri finanziari, da quelli che producono il cambiamento climatico,

il petrolio, quelli che dicono o che non esiste, o che esiste ma non è prodotto dall'uomo.

Le varietà di negazionismo sono tante in questo settore.

Ci sono sempre state, c'erano sul DDT, tutti quelli che producono questi beni…

Ci sono anche negazionisti del virus, per cui non è un unico nella storia dell'uomo.

Prima del cambiamento climatico, di cui mi sto scrivendo adesso, c'è stato un grande successo

che è stato quello del contenimento della distruzione dell'ozono,

che veniva distrutto anche lì da una sostanza chimica che veniva immessa nell'atmosfera,

i cosiddetti CFC, i prodotti di cloro e fluoro, che era un po' come il DDT.

Il DDT agiva a livello di basso, questi agivano in alto.

Lì hanno avuto successo, e anche lì i negazionisti, quelli che producevano il CFC,

che era una grandissima fonte di profitto dell'industria chimica, sono stati fortissimi.

Quelli che hanno scoperto questa proprietà di CFC, di essere innocui a un certo livello,

ma di romperlo, sono stati accusati di tutto.

Tutti gli avanzamenti nel settore dell'ambiente hanno avuto i loro negazionisti.

Sono stati accompagnati.

Allora, noi siamo arrivati alla fine della nostra conversazione.

In parte mi dispiace perché mi fermerei molto a lungo, perché sono temi che mi appassionano e mi interessano moltissimo.

Ringrazio quindi il nostro autore Stefano Nesport per aver partecipato a questa conversazione.

Spero che davvero presto ci sia occasione anche di incontrarci fisicamente direttamente con il lettore,

che sarebbe una cosa importante.

Voglio ricordare a tutti quelli che hanno visto e stanno assistendo a questa nostra conversazione

che venerdì alle 15 avremo un incontro tra Luigi Mascilli Migliorini e Amedeo Feniello,

rispettivamente storico modernista dell'Università di Napoli e storico medievista dell'Università dell'Aquila,

su storia mondiale e storia globale, visto che sono stati due autori di un nostro fortunato libro

che si intitola appunto La storia del mondo dall'anno 1000 ai giorni nostri.

Quindi vi invito venerdì.

Intanto saluto tutti quanti e vi ringrazio. Arrivederci.

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