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Conversazioni d'autore, Ilvo Diamanti: La pandemia come cambierà gli italiani?

Ilvo Diamanti: La pandemia come cambierà gli italiani?

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Buonasera a tutti, buonasera Ivo, come stai?

Buonasera Peppe, diciamo in buona compagnia,

con Paola e con Dylan che dopo penso passerà a salutarvi.

Bene, mi raccomando, faccelo a un certo punto conoscere Dylan, io non dico niente.

Paola sa che deve passare a salutare più tardi con Dylan.

Poi magari ci dice anche qualcosa su quei bellissimi quadri che vediamo alle tue spalle.

In questo periodo immagino che anche tu hai fatto molto lavoro a distanza,

hai fatto lavoro di insegnamento, hai fatto lavoro di convegni, congresse e così.

Certo, sono reduce da molteplici incontri distanziati come questo,

siamo uno di fronte all'altro e uno lontano dall'altro,

ma sempre in contatto e sempre da soli, questa è una realtà.

Mi viene in mente, e questo è un po' interessante,

attualmente le tendenze che rilevo sono diverse,

però questa situazione mi rammenta ciò che avevo studiato e analizzato tanti anni fa.

Tanti anni fa avevo fatto una delle consuete ricerche

sostanzialmente sul rapporto tra gli italiani e gli altri, gli italiani e lo Stato,

avevo fatto un'osservazione ed era che sostanzialmente il ricorso alla rete e al digitale

genera sfiducia interpersonale.

Ero stato, e sono stato a quel tempo sommerso di insulti e di invettive,

quasi io fossi un nemico delle nuove tecnologie,

senza tener conto che ho cominciato a usare queste tecnologie nel lontano 1985,

quando frequentavo il mio dottorato di ricerca a Trento,

dove mi accompagnavo e venivo accompagnato da e con un portatile,

un cosiddetto portatile che pesava 9 kg,

praticamente avevo il braccio destro più lungo dell'altro.

Però ciò detto è vero, io lo rilevo, è un po' di tempo che non rifaccio la verifica,

però emergeva semplicemente dalle analisi e dalle indagini che facevamo,

cioè più il tempo maggiore, il tempo passato sul digitale, sulla rete, da noi,

maggiore la diffidenza, la sfiducia nei confronti e verso gli altri,

misurata da una domanda molto semplice,

sti fidi degli altri, mi potrebbero fregare, sì mi fido a priori.

E questo aveva un senso, è utile per avviare il discorso fra noi,

cioè la fiducia è dettata dalla condivisione,

ma la condivisione anche significa non soltanto una divisione,

ma la condivisione empatica,

cioè la fiducia nasce dalle relazioni dirette, non solo dalle relazioni a distanza,

cioè tanto più tu frequenti gli altri,

tanto più hai fiducia verso gli altri,

tanto più tu conosci i tuoi vicini di casa,

tanto maggiore la fiducia verso gli altri.

Non voglio annoiare, però questo è un discorso che ha anche un'implicazione,

chiamiamola così, politica,

perché c'è una relazione diretta e stretta tra la fiducia verso gli altri,

le persone, e la fiducia nei confronti delle istituzioni.

Se noi abbiamo sfiducia negli altri,

non possiamo o normalmente non abbiamo fiducia nei confronti e verso le istituzioni.

Da ciò un problema che sono curioso di svelare, di verificare,

quando questa cosiddetta emergenza si abbasserà,

se c'è un'abitudine, consuetudine alla distanza nelle relazioni,

se abituarsi alla solitudine alimenterà anche la sfiducia negli altri.

Per ora, dal punto di vista di quel che emerge, sul piano dei sondaggi,

non è così, è vero il contrario,

però è anche vero che questo avviene come reazione alla paura e alla minaccia che incombe su tutti.

Mi sembra che tu sei andato subito al tema che io volevo riservare per la fine,

ma è stato ottimo perché il tema che hai posto, il modo in cui l'hai posto è molto interessante.

Però se mi consenti ci arriviamo, ci ritorniamo subito.

Io sono non disciplinato né disciplinabile.

Lo so, questo va a tuo merito.

Sono così.

Volevo dire ai pochi che non lo sanno che Ilvo Diamanti,

che oggi è ospite di Casa alla Terza dei nostri incontri,

è uno dei più autorevoli e noti studiosi della politica italiana, e non solo,

che da molto tempo, diciamo almeno dagli anni 90, in realtà dagli anni 80,

segue la trasformazione dei partiti, dei movimenti politici,

con una particolare, non esclusiva, riferimento al territorio,

una delle caratteristiche del lavoro di Diamanti, non a caso una delle parole preferite mappe.

Ilvo Diamanti ha studiato tutta la geografia politica italiana,

ma in particolare ha studiato l'evoluzione della Lega.

C'è un suo libro, credo sia il 1993, quello con Dozzelli, il primo libro sulla Lega.

Quindi il 1993 vuol dire che la Lega era ancora Lega Nord per l'indipendenza della Padania,

se non ricordo male.

Più o meno.

Era ancora prima di andare al governo.

Non c'era stata ancora.

Ho perso i conti di tutte le Leghe che abbiamo conosciuto.

Diamanti insegna scienza politica all'Università di Urbino,

ha creato l'Istituto di Ricerca d'EMOS, è editorialista di Repubblica,

e poi ci tengo a dire una cosa, perché come editore l'apprezzo molto,

è un grandissimo titolista.

Una delle caratteristiche che un editore considera fondamentale per un libro è il titolo.

Con Ilvo Diamanti è un'autostrada, perché ci pensa lui prima ancora che l'editore possa immaginarlo.

I colleghi di Diamanti non sono sempre molto felici.

Di solito quando arrivano mi propongono un titolo in prime riflessioni

intorno alla possibilità di organizzare un pensiero rispetto agli esordi della rivoluzione francese.

Questo sarebbe il titolo.

Diamanti invece, ve ne leggo alcuni, nel 2003, ma sono tanti,

fa Bianco, Rosso e Verde, Mappe e Colori dell'Italia Politica col Mulino.

Nel 2013, con La Terza, fa Un Salto nel Voto, si era appena votato,

e con un gruppo di suoi collaboratori che lui ha sempre valorizzato, è un'analisi.

Democrazia Ibrida, è un altro bellissimo titolo del 2014.

Password, questo invece è un libro Feltrinelli,

che si declina come Renzi, da Juve e altre questioni italiane.

E poi, il libro da cui vorrei partire come uno spunto per la nostra conversazione,

due anni fa, a marzo del 2018, abbiamo pubblicato un libro di Ilvo Diamanti con Marc Lasar,

che è un suo collega molto stimato, amico di Antica Data,

che si chiama Popolocrazia, che è una formula inventata da Diamanti.

E forse ci devi dire qual è la differenza, intanto brevemente, tra populismo e popolocrazia.

Perché popolocrazia e non populismo?

Ma semplicemente la popolocrazia è, i francesi lo chiamano regime, sistema, un sistema politico,

che di fatto si alimenta del populismo. Non è il populismo come movimento,

non è il populismo, tra virgolette, come degenerazione.

Il fatto è che gli elementi che noi riconosciamo nel populismo come caratteristici,

siano divenuti sostanziali e coerenti con le democrazie.

Per capirci il capo, la ricerca del capo, il linguaggio immediato, senza mediazioni.

E in generale l'affermazione della mediazione è come un problema.

Cioè noi oggi abbiamo bisogno di populismo, noi inteso, nei nostri regimi, nei nostri sistemi,

se vogliamo avere successo politico.

Per cui non c'è leader politico negli ultimi decenni, neanche più negli ultimi anni,

che abbia potuto rinunciare a questa contaminazione.

Pensate un po', quando io ho ribattezzato il PD di Renzi, PDR, era esattamente questo,

era il partito di Renzi, o il partito democratico di Renzi,

che aveva adottato anche un linguaggio, uno stile di comunicazione,

che lo rendeva esattamente coerente in continuità con Berlusconi, con la stessa Lega,

che ha fatto due nomi, ma se noi prendiamo questi tre nomi, abbiamo tre soggetti politici

che di fatto descrivono il quadro della nostra Italia.

Popolocrazia viene dopo altri modelli e forme di democrazia.

Utilizzo spesso come riferimento Bernard Manin, filosofo e sociologo francese,

il quale parla dei modelli di governo rappresentativo,

parla del governo dei partiti, della democrazia del pubblico,

e successivamente ho usato due formule che sono state entrambe titoli di testi

che ho pubblicato con la terza, cioè prima la democrazia immediata,

che è la democrazia senza mediatori e senza mediazioni,

e alla fine la popolocrazia che anche in Francia mi pare ha avuto un buon impatto.

Il libro è stato tradotto da Gallimard, un grande editore francese,

e anche in Francia mi sembra che ha suscitato una interessante discussione.

Sicuramente, d'altra parte la Francia è sicuramente uno degli esempi di affermazione

di quella che io definisco la popolocrazia.

Questo libro non a caso fa riferimento comparativo alla Francia e all'Italia,

dove per quello che riguarda la Francia il populismo non è soltanto quello di Marine Le Pen,

ma pensatevi all'attuale presidente Macron,

che di fatto passa da una società finanziaria a fare politica,

utilizza e fonda un partito, Amarche, che ha gli iniziali del suo nome e cognome,

Manuel Macron, se non è tra virgolette adottare uno stile populista questo,

scusate, ci siamo proprio, è un modello, noi siamo immersi nel populismo,

tanto che c'è il paradosso che quando ti ritrovi di fronte a figure non populiste,

queste riescano a tal ora ad avere successo, anche loro, proprio perché…

Chi sono i non populisti oggi?

Oggi non lo so, ieri sicuramente lo era, parliamo di leader di primo piano,

io penso al successo, al periodo, alla breve ma rilevante, importante stagione

che ha conosciuto Paolo Gentiloni, devo dire non a caso l'ho definito così,

ma lui ha usato come titolo del suo libro, ricordo che è la sua esperienza,

l'impopulista, proprio di fatto riprendendo la mia formula, in una certa misura,

ma lo stesso ponte ha conosciuto per almeno un bel po' di tempo un consenso

imprevisto e imprevedibile, perché è defilato, mettiamolo così,

è il fatto stesso che venga attaccato direttamente invece da esponenti

che hanno rivendicato il populismo come stile, come metodo, Salvini l'ha fatto,

cioè sì, sono orgoglioso di essere populista perché sto dalla parte del popolo,

anche questo in qualche modo lo legittima.

Certo, a proposito di Gentiloni, se posso fare un piccolo lancio,

noi venerdì 29 apriamo il Festi di Economia virtuale sul sito del Festi di Economia di Trento

e ci sarà un dialogo dove tu sei venuto tante volte e che ci consente anche

di ricordare il nostro amico Enzo Cipolletta che credo sia provando a collegarsi,

mi ha detto che stava provando, venerdì ci sarà un dialogo ad apertura

proprio di Gentiloni con Tito Boeri sull'Europa.

Due amici con cui ho dialogato spesso in quel bellissimo festival

e una delle ragioni che mi rendono triste per quello che sta avvenendo

è l'impossibilità di partecipare, l'anno scorso appunto,

ricordo che sono stato là e poi sono sceso come una scheggia in auto

fino a Venezia dove c'era il Festival della Politica.

Sì, noi speriamo, il Festival è stato spostato a fine settembre, al 24-27,

ma appunto nel frattempo, visto che l'economia è così importante

e sarà per tutte le questioni legate alla pandemia, di cominciare subito a discuterne.

Volevo partire dal libro appunto per poi affrontare le questioni anche dell'oggi,

perché a un certo punto del libro, tu scrivi del libro Popolocrazia,

il populismo è comparso e compare sempre in periodi di forti incertezze,

momenti traumatici, fasi di crisi, crisi economiche e sociali

con le conseguenze in termini miseria, angoscia, radicalizzazione

all'interno dei gruppi vulnerabili, insofferenze, crisi culturali,

quando cambiamenti ai comportamenti e ai valori sconvolgono le abitudini

e usanze e costumi e crisi politiche.

Ora, se io penso all'oggi e guardo i sondaggi,

sembrerebbe che i populisti, almeno quelli nostrani,

non beneficino di un momento che sembra oggettivamente di crisi,

come quello che attraversiamo, ma come mai? È così e perché?

Perché adesso prevale il sentimento di fatto di una solidarietà per autodifesa.

Noi oggi assistiamo a due fenomeni che sono concomitanti.

Una fiducia nei confronti e verso il governo sconosciuta negli ultimi anni,

superiore ai due terzi, almeno fino a poco tempo fa,

qualche settimana fa quando l'ho rilevata, degli italiani di consenso a questo governo

e onestamente anche un grado di fiducia reciproco, quindi di solidarietà,

fiducia nei cittadini, cioè come dire orgoglio di cittadinanza altissimo.

E questo si spiega come reazione autodifesa, perché siamo sotto minaccia, siamo assediati.

Ma voi avete mai visto tante bandiere italiane, non dico il 2 giugno,

ma forse quando abbiamo vinto i mondiali, non lo so quanti tricolori esposti alle finestre,

quante persone che cantano.

In questo caso è la minaccia dal nemico peraltro invisibile che spinge a stringersi insieme,

a stringersi attorno a noi stessi, perché non possiamo fare per ora altro diversamente.

Cioè è una solidarietà generata dalla domanda, dalla reazione alla minaccia che incombe su di noi.

A proposito di minaccia, tu l'altro giorno mi parlavi di la Lega e le paure generate da Lega,

solo che non sono più le stesse, giusto? Cioè sono cambiate le paure.

Beh certo, problema.

Credo che uno, allora precisiamo, noi siamo in un periodo eccezionale,

per cui dare un significato emblematico a ciò che sta avvenendo oggi,

significa esporsi esattamente al rischio di enfatizzare ciò che può cambiare.

Siamo in una situazione talmente eccezionale che bisogna verificare cosa avverrà oltre e dopo questo passaggio.

Però attualmente noi siamo in una fase nella quale assistiamo effettivamente a un sentimento

che non abbiamo conosciuto in passato.

Noi oggi siamo di fatto, non so come definirlo, più che in un regime eccezionale,

il sistema è in un momento eccezionale, è una fase di passaggio,

di cui siamo assolutamente consapevoli e che ci spinge anche a scelte e a sentimenti

che prima non conoscevamo.

Questo è ciò che io percepisco, che io vedo.

A proposito di paure, la paura dell'immigrato in questo momento ha ceduto al passo rispetto alla paura della sanità?

Questo è evidente, per quel che riguarda la Lega, questa è l'eccezionalità,

la Lega ha utilizzato, non solo la Lega, ma la Lega in particolare, la paura come la principale risorsa

di comunicazione e di consenso.

Io stesso ho coniato in passato la formula, appunto tu hai rammentato molto gentilmente

la mia attenzione ai titoli e quindi alle definizioni, la formula era

gli imprenditori politici della paura, e essere imprenditori politici della paura

ha pagato per molto tempo.

Nel momento in cui però la paura non ha bisogno di imprenditori politici,

perché cala su di te dall'esterno e dall'interno, ecco che ti viene sottratto

un argomento importante, un argomento forte.

E nel momento in cui tu senti l'esigenza opposta, quella tra virgolette della solidarietà,

essere colui che si oppone, deviante rispetto alla linea maestra,

ti mette in una posizione marginale, laterale, questo è ciò che avviene.

Io sono convinto che se al governo ci fosse qualcun altro oggi, avrebbe lo stesso problema

della Lega, che rammento è comunque il primo partito, però con il 25%, 26% secondo i sondaggi,

sono solo me quelli che ho visto, cioè circa 10 punti meno rispetto a un anno fa.

Ma ciò avviene perché di fatto ti mancano gli argomenti, in questo periodo il principale

argomento è stare insieme e quello ce la faremo, resisteremo, e allora in una situazione

di resistenza non hai bisogno delle paure, perché la tua resistenza è alle cause di

questa paura, per questo la Lega si ritrova di fatto a vedersi sottratto il principale

argomento che ha usato in questo periodo, in questo periodo correrebbero dei imprenditori

politici della rassicurazione o comunque della resistenza.

È molto interessante quello che dici e stai parlando immagino della Lega nazionale, cioè

di Salvini, perché invece Zaia non fa parte di questo discorso, no?

Dunque io ho pubblicato ieri sul Gazettino il mio sondaggio periodico dell'osservatorio

sul nord est che occupo da due o tre anni, non mi ricordo neanche più, nel senso che

ho ripreso la formula di Giorgio Lago che era il nord est, che teneva insieme tutta

l'area, ho cominciato a realizzare sistematicamente delle indagini che vengono pubblicate ogni

settimana. In Veneto è arrivato al 91%, cioè la fiducia nel sondaggio pubblicato mercoledì

e quindi nel sondaggio concluso la settimana scorsa Zaia è arrivato al 91%, cioè tutti

praticamente, se considerate margine di errore statistico è tra 88 e 94, però tenete con

conto che Zaia è a più del 50% anche nell'Atlante Politico pubblicato su Repubblica quattro

o dieci giorni fa, non mi ricordo, quindi su base nazionale, è secondo dopo Conte, è

molto più avanti di ad esempio Fontana e sicuramente di Salvini che hanno un grado di consenso

più o meno analogo, recito a memoria 35-36%. Lo spiego per ragioni sia storiche sia contingenti,

da un punto di vista storico la spiegazione è che Zaia ha interpretato fin dall'inizio

la continuità, ha interpretato l'eredità della democrazia cristiana, probabilmente

a lui non piace questa definizione, però io che appunto come ricordavi tu la conosco

la Lega, quando il contratto salì, io ho visto che Zaia era un'altra cosa, un'altra

cosa, Salvini alcuni anni fa lui mi ha salutato con molta correalità, mi ha anche rammentato

che ha utilizzato i miei testi, i miei libri, quelli che tu citavi, che gli sono serviti

molto, ed era vero che li aveva letti perché mi ha fatto anche alcune osservazioni di merito

assolutamente coerenti. Io però gli ho detto che non sono le prime

cose che ho scritto sulla Lega, o meglio sulle leghe, penso che lei non potesse ancora leggerle,

perché il primo saggio che ho pubblicato riguardava la Liga Veneta e l'ho pubblicato

nel 1983 in una rivista scientifica, lui ha detto che andavo alle medie, era complicato,

quindi li conosco bene, quella era la Liga Veneta, era il tempo delle leghe regionaliste,

perché poi se quella è la prima Liga, dopo c'è la Lega Lombarda, c'è l'Unione Piemontese,

insomma ci sono queste leghe che crescono sulla continuità della democrazia cristiana.

Allora lo specifico di Zaia è che ripropone, riproduce quel modello, qual è quel modello?

A suo tempo appunto lui l'ha presa male, per il l'anno, la mia definizione, perché

è stata in un convegno, l'avevo detto è un convegno abbastanza rilevante ed è stata

riproposta in modo munco. Io ho detto, ma l'ho anche scritto, che il

successo di Zaia non dipende da quello che fa, ma da quello che non fa, cioè Zaia non

fa, non vuol dire che non faccia, ma Zaia fa fare, in una regione nella quale l'economia

la fanno gli imprenditori, i piccoli imprenditori, l'assistenza e i servizi li fanno le comunità

locali, le famiglie, le associazioni, quello che deve fare un buon amministratore che voglia

avere successo è non interferire, ma seguire, semmai assecondare, semmai sostenere ed è

ciò che effettivamente lui ha fatto, come facevano i democristiani, quello che ha permesso

la democrazia cristiana di governare tutto il dopoguerra e anche oltre, solo che a livello

esterno di quello che ha affermato è rimasta solo la prima frase, cioè Zaia non fa niente,

però la ragione è questa, se tu sei in una regione come questa o come queste, nelle quali

esiste già un sistema che fa sistema e che funziona sul piano sia sociale che dei servizi,

ebbene ciò che devi fare è sostenerlo, non sovrapporti adesso, semmai distinguere bene,

uno dei vantaggi in questa fase del Veneto rispetto ad altre regioni è che il pubblico

non è stato messo in discussione, ci sono dei servizi, la sanità che non è stata tra

virgolette, se non in parte relativa, privatizzata, la privatizzazione del pubblico qua è molto

relativa, hai un privato che agisce anche sul piano pubblico, ma il pubblico funziona

e dove funziona è lasciato come tale, è vero che il calo profondo dei trasferimenti

ha prodotto dei costi notevoli anche sulla sanità in Veneto, però le strutture c'erano,

non ci si è messo molto a riaprirle.

Questa è interessante se posso interromperti, perché la prima cosa che hai detto relativamente

ai piccoli imprenditori è una cosa che si sa, c'è un nord est molto vivace, però è

meno scontata la seconda cosa che hai detto, cioè che questo faccia sistema, torniamo al

tema della fiducia, sembrerebbe da quello che dici che in fondo in Veneto nonostante

l'individualismo della piccola impresa c'è una fiducia reciproca di questa società maggiore

che in altre?

Sì sicuramente, è sempre stata rilevata, in generale anche in Italia la fiducia non

c'è, però è maggiore la tra virgolette di fidenza, qui è maggiore la fiducia come confidenza,

cioè fiducia condivisa che nasce dalla partecipazione tra virgolette comune, d'altra parte il tasso

di associazionismo qui è sempre stato molto elevato, non è un caso, perché questo è

il territorio del mondo cattolico, il mondo cattolico era, però lì è cambiato più

profondamente che in Veneto, nelle cosiddette zone rosse, cioè in Emilia Romagna, il caso

del rapporto tra partito e enti locali e associazioni collaterali, diciamo che qui il mondo cattolico

aveva esistito nonostante la secolarizzazione meglio che i partiti di sinistra.

Mi viene in mente che così come in questa crisi Zaia mi sembra sia abbastanza emancipato

dal profilo del partito leghista, ha acquisito una sua autonomia nell'interloquire, la stessa

cosa mi dicevi l'altro giorno rispetto ai legami col territorio, in un certo senso è

Bonaccini in Emilia Romagna, anche Bonaccini si percepisce meno come uomo di partito mi

sembra.

La ragione per cui Bonaccini alla fine ha vinto la elezione, io avevo, lasciate che

me la tiri un poco, ma c'è qualcuno a cui avevo fatto, che non può confermare, per

cui avevo fatto il mio sondaggio ancora nella prima metà di dicembre e avevo delle stime

che erano 51 a 44, per fortuna assolutamente, una cosa incredibile, esattamente ciò che

è avvenuto, proprio al punto, adesso non so se ci sia un punto di differenza, però al

di là di quello dietro c'è il fatto che la larga maggioranza dei cittadini magari non

ha fiducia nei partiti e tanto meno dei partiti che governano anche quella regione, ma è

soddisfatto dell'amministrazione regionale, ma proprio una larga maggioranza di cittadini

ha apprezzato il governo di Bonaccini, non è neanche una fiducia tra virgolette personale,

è soddisfazione di un modo di governare, se sto bene, se io considero come ha risposto,

parlo in dicembre, prima metà di dicembre, la maggior parte dei cittadini, se ritengono

di essere governati meglio che gran parte del resto del paese, mediamente meglio del

resto del paese, magari a me la sinistra non piace più, anzi non me ne frega niente,

ma perché devo essere autolesionista, perché devo cambiare se quel che sta avvenendo adesso

mi sembra funzioni bene? Sì, sia Zaia, sia Bonaccini come per altri

versi anche Conte, sono a tutti gli effetti dei politici, la Conte lo è da poco tempo,

non può che essere il titolare di decisioni politiche. Che ne pensi di questa grande enfasi

che adesso c'è sulle competenze? Si dice finalmente la competenza ha ripreso la scena,

la competenza è al centro, salvo poi quando si parla di riapertura, avere che i competenti

di un tipo, i medici si trovano in conflitto con i competenti di un altro, gli operatori

economici, gli economisti, cosa ne pensi di questo ritorno al centro delle competenze?

L'abbiamo conosciuto, è tipico delle crisi, vi ricordate i magistrati dopo la crisi della

prima Repubblica, nei primi anni 90 non era quello, abbiamo avuto anche i magistrati al

governo, i partiti del magistrato, scusate adesso non voglio neanche fare nomi, ma ce

lo ricordiamo tutti, ci sono delle fasi nelle quali di fronte alla crisi rispondi in modo

in politico, qual è il modo in politico? E' quello di ricorrere al non politico, lo

stesso abbiamo avuto dopo la crisi della seconda Repubblica, scusate che qua c'è qualcuno

che sta arrivando intorno a me. E Dylan?

Faccelo vedere Dylan, fate il momento.

Eccolo qua!

Fantastico!

Hai visto? Quello è Pepe, ci auguri!

E' appena arrivato Dylan mi sembra di capire.

Due domani, a 4 mesi ragazzi!

Meraviglioso! Dunque che cos'è?

E' un cavalier Kinshasa, come quella che avevo in precedenza, solo che era una femmina

e questo un maschio ed è molto vivace, come potete vedere.

Stavamo parlando, ah sì l'altra crisi?

Sì.

Guardate che non a caso i tecnici emergono, e questo è significativo, dobbiamo porci

il problema di quello che avverrà, nei passaggi di sistema. I tecnici sono stati invocati

in occasione del cleavage della crisi, della frattura della prima Repubblica, e allora

si sono affidati ai non politici, cioè ai magistrati. Vi ricordate a chi è stato affidato

il governo del Paese dopo la crisi della seconda Repubblica, dopo l'uscita di Siena di Berlusconi

nel 2011 a Monti? Io l'ho chiamato il montismo, anche quella era di fatto affidarsi al tecnico

in quel caso dell'economia, al tecnico in quanto non politico, solo che poi è difficile

per chi, questa è una cosa che non voglio anticipare, spero che questa volta non avvenga,

però non ne sarai poi così sorpreso, salvo che poi gli stessi tecnici nel momento in

cui divengono, assumono un'immagine salvifica nella politica, si rinforzano, e poi si rinforzano

e non vengono tentati a loro volta da questa nuova prospettiva e a istituzionalizzarla,

come ha fatto, hanno fatto i magistrati che ancora adesso vediamo sulla scena dopo la

crisi della prima Repubblica, fino all'esperienza, esperimento poi finito di Pietro, come ha

fatto, ripeto, Monti col suo partito che si è riproposto all'indomani dell'esperienza

di governo, io non mi stupirei, ma spero non avvenga, che ci si trovi di fronte dopo al

partito dei magistrati, al partito di fatto degli economisti, al partito degli infettivologi,

dei microbiologi e comunque dei nemici del nostro nemico che incomba gli assunti noi,

perché quello non è il compito loro, così come non è il compito della politica a mascherarsi

esattamente in modo diverso, indossare la sola maschera della paura e di chi ti fa paura

istituzionalmente per aver successo, scusate questa divagazione.

Ogni una delle tue risposte porterebbe ad aprire una nuova pagina, adesso stiamo andando

verso la conclusione della nostra chiacchierata e volevo portarti almeno un altro grande tema

che tu hai messo al centro del tuo lavoro in questi anni, che è il tema della comunicazione,

perché da una parte c'è la politica, poi ci sono le competenze, anche le competenze

sono oggetto di comunicazione, devo dire non sempre felicemente, non sempre i competenti

sanno comunicare molto bene! E non sempre quelli che sanno comunicare fanno politica

molto bene! Esatto, allora ti volevo chiedere una cosa,

in questa crisi in particolare, la questione ovviamente data di molti anni fa, c'è stata

una importanza secondo te, si è visto il fatto che abbiamo una situazione in cui la

rivoluzione della comunicazione digitale ha spiazzato, ha frammentato, non c'è solo

il Tg1, faccio vedere il Corriere della Sera, piuttosto che i grandi giornali, ma c'è un

insieme di canali comunicativi e Internet in particolare, ha pesato questo aspetto,

è stato rilevante in qualche modo, ti sembra? Sicuramente, ma soprattutto io credo che dopo

non sarà più come prima, questo passaggio cambierà profondamente il nostro modo di

lavorare, per quel che mi riguarda ad esempio io da mesi i miei corsi all'Università di

Ubbino li ho tenuti così, webinar, webinar è così come le mie riunioni e incontri che

sto facendo con voi, ma le lezioni ti garantisco è pesante, ti danno delle opportunità, però

è pesante, ho anche scritto, lo trovate sul sito dell'Università di Ubbino, un'intervista

ho fatto proprio su come cambierà e come ha cambiato già di fatto ad esempio l'insegnamento,

questa esperienza che non sarà più come prima, anche se non sono tra quelli che dicono

che l'insegnamento a distanza, l'insegnamento attraverso il canale digitale sostituirà

quello faccia a faccia, quello di persona in aula, non è così perché è insostituibile,

però è vero che ti dà delle opportunità in più, integrerai questi due canali, vi

faccio un esempio, nei miei due corsi che io tengo, analisi dell'opinione pubblica e di

fatto sistema politico europeo, vabbè, tutti i testi che ho scritto per questi dito, sono

ora e qua, le tre testi comunque, io l'ultimo mese ho avuto insieme a me a tenere corsi

e lezioni, che so, analisi dell'opinione pubblica, Nando Pagnoncelli, Gigi Riva, Marco

Damilano, Giorgio Zanchini e ho concluso con Franceschini, con il ministro Franceschini,

che è notoriamente uno che usa poco i nuovi media, mi interessava capire però in che modo

questo l'avesse, come fosse cambiato, o avesse percepito cambiato il proprio ruolo, ma il

sistema politico europeo ha avuto appunto, Marc Lazar, Lucio Caracciolo, il giorno in

cui si discuteva al vertice europeo, nel caso italiano, c'era Romano Prodi e ancora del

resto, e questo è comunque l'accordo per noi, deve venire Paolo Gentiloni, che è

un amico, quindi queste cose, è evidente, guardate quasi tutti questi esperti, specialisti

sono già venuti ai miei corsi, con fatica, provate a pensare quello che significa venire

a Roma, se ci siete mai stati, è bellissima anche perché è inaccessibile, quasi inarrivabile,

quindi non puoi immaginare di averli comunque tutti insieme in uno stesso corso.

Immagino che io l'anno prossimo, sperando che le cose si siano relativamente normalizzate,

immagino che io l'anno prossimo associerò la mia presenza in aula fondamentale con gli

studenti a questo medium, di fatto alla comunicazione a distanza, che permetterà ad esempio di

avere oltre a me anche gli amici con lei, gli esperti di cui abbiamo parlato adesso,

online, con loro, discutendoli insieme, questo è un modo di vedere come ha già cambiato

il nostro modo di fare, anche se non è sostitutivo, ma ci ha costretti a pensare a quanto abbia

diffuso, ma avete idea di quante persone di una certa età, lontane dalle nuove tecnologie,

si sono avvicinate, quanti nonni, nonne o persone abbiano potuto di fatto parlare con

i nipoti, rivederli in questo modo e prima non ci avrebbero mai pensato, sono stati tra

virgolette tecnologizzati per quello, per cui non sarà più come prima, però allo stesso

tempo dobbiamo normalizzarne anche l'accesso ai luoghi.

Ci sono tanti interventi e domande, li leggo uno che mi fa molto piacere perché è un

signore che si chiama Savino Borracino che dice suggerisco di leggere l'Italia e le sue

storie di John Foote, che è un libro che abbiamo pubblicato qualche tempo fa, Nannà

Cecchi ci dice abbiamo tutti oggi paura e poi chiede come si chiama il cane, l'abbiamo

detto Nannà, si chiama Dylan, giusto? Sì, esattamente, voi sapete, Dylan Dogg.

Poi Giovanni Verga, dato che c'è questa tendenza anche a chiedere agli scienziati di predire

il futuro, quindi non si scappa, a proposito Zaia dice, potrebbe Zaia prendere il posto

di Salvini come leader della Lega?

Allora ho la risposta in due parti, la prima l'ha già sentita, mi chiedono sempre con

la vera e io ogni volta, come dire, sempre rispondo allo stesso modo, faccio ricercatore

nella vista sociale, politica, quello che volete, per cui io al massimo prevedo il presente,

noi prevediamo il presente e semmai il passato e spesso non siamo d'accordo neanche su quello,

quindi il futuro non lo so e non lo voglio prevedere, non è il mio mestiere.

Di Zaia mi chiedono tutti, sempre e io vi rivolgo a lui, però è evidente che l'importante

è un'altra cosa, immaginarci, chiarire il perché, l'abbiamo già detto il perché

di certo una delle ragioni per cui oggi è successo è che non ci pensa minimamente a

diventare l'alternativa a Salvini, il suo ruolo nazionale, l'abbiamo già detto, deriva

dalla sua esperienza di governatore, e non ci credono neppure qua in Veneto, in questo

sondaggio che ho pubblicato due giorni fa c'era anche la domanda quale sarà il futuro

di Zaia, deve andare a guidare il paese etc., ma penso che sia il 20-30% che pensi a questo.

Guardate che ci aveva già pensato qualcun altro prima di lui, oltre al fatto che ha

fatto la sanità se non sbaglio, in passato, però lui era stato candidato come leader

della destra da Berlusconi, che è uno che se ne intende nel 2017 e si è guardato bene

dal seguire questo consiglio, avrebbe fatto una brutta fine immagino.

Ti ringrazio molto per quello che hai detto sul futuro, approfitto per leggerti, forse

non la conosci, una meravigliosa citazione di un gran duomo che era peraltro un tecnico,

se non addirittura un tecnocrate, che si chiamava Tommaso Padella Schioppa, a proposito del

futuro, lui che si occupava di banca, di finanza, quindi di annale democrazia fatta da Zagrebelsky

a Torino, dice questa cosa bellissima, mi viene in mente quello che hai detto tu, lo

dice nel 26 aprile 2009, dice chi vi parla non ha il dono di conoscere il futuro, anzi,

ritiene che sia sempre davanti a noi più di un futuro possibile e che, quali uomini

nella storia, il nostro compito sia ad operarci perché si erizi il migliore tra essi, non

speculare su come andrà a finire per fare scommesse sul probabile vincitore, non è

bellissimo? Grandissimo, non è solo bellissimo! Allora, io credo che l'analisi è fondamentale,

quella che tu ci hai dato e ti ringrazio molto oggi anche in questa nostra conversazione,

è un'analisi fondamentale, perché se tu vuoi ad operarti perché il futuro sia migliore,

non solo speculare, devi partire dall'analisi, dalla conoscenza e da questo io credo possiamo

chiedere agli studiosi e agli analisti come te.

Sì, ma credo davvero che tu possa lavorare, noi lavoriamo sul presente, possiamo intervenire

sui meccanismi che regolano la società, l'economia, la politica, peraltro io sono multidisciplinare,

per quello ho scritto quel libretto su Gramsci, Manzoni e mia suocera, nel senso che noi abbiamo

il senso comune, quello che ci aiuta, era appunto Gramsci che commentando, riprendeva

Manzoni a proposito della peste e diceva che c'è un'economia che non è una economia

che non è una economia, quindi al tempo della peste c'erano alcune persone di buon senso

che non credevano all'esistenza degli utori, ma il senso comune impediva loro di manifestarsi,

ecco perché quello è la realtà sociale.

Certo, tra l'altro quando mi chiedono una definizione dell'editore, cosa fa l'editore,

dicono sempre che l'editore ha come suo massimo obiettivo trasformare le idee in senso comune,

quindi ci troviamo, pensa Bauman all'idea della società liquida, quello è nato con

un libro ed è diventato quasi una cosa da bar!

Certo, infatti la società liquida ti fa l'aperitivo!

Esatto, Francesco Chirico lo cito perché dice no, Zaya resta legata alla sua regione

e a livello nazionale non ha tutto questo consenso, quindi conferma, Antonia Carparelli

che lavora qui in Italia alla Commissione europea…

Preciso, non è che non abbia tutto questo senso, è il secondo almeno nella mia graduatoria

dopo il Presidente, ma non lo avrebbe se si candidasse a fare il leader nazionale.

Antonia Carparelli che appunto lavora alla Commissione europea in Italia dice, grande

Padova Schioppa, grazie di ricordarlo.

Vorrei concludere come facciamo in queste conversazioni chiedendoti di consigliarci

un libro, Ilbo, qualunque, quello che ti viene…

Io ve ne consiglio in seguito e di fila, ora ve li mostro tre, nel senso che due sono di

narrativa e in casa l'intellettuale, quella che legge davvero la realtà, è mia moglie

Paola, che conoscete bene voi almeno.

Ilbo, tenilo più distante, Limonov di Carrèr che è a Delfi.

Non ci sei tu, però sono tutti i miei libri che possono prendere, non è che non ci sia

più qualcosa da leggere, invece questo è mio, è di Querini, Culture Ibride di Canquini,

che ha ispirato la mia democrazia di fatto ibrida che ho pubblicato con, esattamente

con te, con voi, con la terza, nel senso che era un modo, visto che i tipi di governo e

democrazia che vi avevo citato prima, che fanno parte di quella tipologia definita da

quando voi parlate di democrazia dei partiti, democrazia del pubblico, Bernard Manheim parla

di questo, fa evidentemente riferimento, anche se non era sua intenzione, a modelli

di democrazia, governo meglio, governo rappresentativo che è definito dai sistemi di comunicazione,

pensateci, la democrazia dei partiti e al tempo in cui i partiti erano il principale

sistema di comunicazione, erano dovunque, i partiti di massa, erano loro che di fatto

gestivano la comunicazione politica, non solo la selezione, dall'alto in basso in tutto

il territorio. Poi l'avvento dei media e produce, determina

di fatto, i media di massa, continuo a chiamarli media, io sono come Augeas media e il plurale

di medium va bene, è latino, non è inglese, non è media, la democrazia del pubblico,

esattamente la democrazia al tempo dei media di massa, dove non per caso, proprio il medium,

la televisione in particolar modo, personalizza tutto, perché in televisione non ci vanno

le masse, non ci vanno i partiti, ci vanno le persone e dove le ideologie sono di fatto

a loro volta, progressivamente, rimpiazzate dai messaggi, quindi dalla comunicazione e

dove di fatto, anche in questo caso, all'organizzazione, al posto dell'organizzazione, noi troviamo

sempre di più chi? Coloro che costruiscono i messaggi, di fatto le agenzie di comunicazione.

Dopo, noi cosa abbiamo? Abbiamo la democrazia immediata, la chiamo io e la democrazia sessuale,

senza media, senza mediatori, al tempo della rete, al tempo di fatto del digitale, quella

che io poi alla fine chiamo anche democrazia ibrida, perché? Perché se noi pensiamo a

come si afferma Beppe Grillo, nel 2013, nel 2014, le elezioni politiche e poi le 5 stelle

e poi le europee, noi vediamo che è un soggetto che usa tutti questi media, utilizza certo

la rete, ma attraverso la rete comunica i flash mob e convoca i flash mob, le mobilitazioni

di piazza che sono tipiche della democrazia dei partiti e poi cosa fa? Trascura la televisione,

vi ricordate dove è andato l'ultima settimana possibile prima del voto? È andato da Bruno

Vespa, non da qualsiasi, dalla trasmissione televisiva per definizione, quindi televisione,

quindi digitale, quindi la piazza, tutti i modelli di partito.

Ti devo interrompere con molto dispiacere perché abbiamo esaurito il tempo, c'è una

regola per cui si interrompe.

Ti esauriti anche io tutti quanti, vero?

No, ti ascolteremo ancora per molto perché è un piacere.

Io devo uscire con Dilan.

Infatti io ti volevo dire grazie, salutaci Paola prima di tutto naturalmente, ma anche

Dilan che mi sembra sia stata una presenza rapida, ma significativa.

Grazie a tutti voi, grazie.

Grazie a tutti.

Grazie a tutti.


Ilvo Diamanti: La pandemia come cambierà gli italiani? Ilvo Diamanti: How will the pandemic change Italians? Ilvo Diamanti: ¿Cómo cambiará la pandemia a los italianos? 伊尔沃·迪亚曼蒂:疫情将如何改变意大利人?

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Buonasera a tutti, buonasera Ivo, come stai?

Buonasera Peppe, diciamo in buona compagnia,

con Paola e con Dylan che dopo penso passerà a salutarvi.

Bene, mi raccomando, faccelo a un certo punto conoscere Dylan, io non dico niente.

Paola sa che deve passare a salutare più tardi con Dylan.

Poi magari ci dice anche qualcosa su quei bellissimi quadri che vediamo alle tue spalle.

In questo periodo immagino che anche tu hai fatto molto lavoro a distanza,

hai fatto lavoro di insegnamento, hai fatto lavoro di convegni, congresse e così.

Certo, sono reduce da molteplici incontri distanziati come questo,

siamo uno di fronte all'altro e uno lontano dall'altro,

ma sempre in contatto e sempre da soli, questa è una realtà.

Mi viene in mente, e questo è un po' interessante,

attualmente le tendenze che rilevo sono diverse,

però questa situazione mi rammenta ciò che avevo studiato e analizzato tanti anni fa.

Tanti anni fa avevo fatto una delle consuete ricerche

sostanzialmente sul rapporto tra gli italiani e gli altri, gli italiani e lo Stato,

avevo fatto un'osservazione ed era che sostanzialmente il ricorso alla rete e al digitale

genera sfiducia interpersonale.

Ero stato, e sono stato a quel tempo sommerso di insulti e di invettive,

quasi io fossi un nemico delle nuove tecnologie,

senza tener conto che ho cominciato a usare queste tecnologie nel lontano 1985,

quando frequentavo il mio dottorato di ricerca a Trento,

dove mi accompagnavo e venivo accompagnato da e con un portatile,

un cosiddetto portatile che pesava 9 kg,

praticamente avevo il braccio destro più lungo dell'altro.

Però ciò detto è vero, io lo rilevo, è un po' di tempo che non rifaccio la verifica,

però emergeva semplicemente dalle analisi e dalle indagini che facevamo,

cioè più il tempo maggiore, il tempo passato sul digitale, sulla rete, da noi,

maggiore la diffidenza, la sfiducia nei confronti e verso gli altri,

misurata da una domanda molto semplice,

sti fidi degli altri, mi potrebbero fregare, sì mi fido a priori.

E questo aveva un senso, è utile per avviare il discorso fra noi,

cioè la fiducia è dettata dalla condivisione,

ma la condivisione anche significa non soltanto una divisione,

ma la condivisione empatica,

cioè la fiducia nasce dalle relazioni dirette, non solo dalle relazioni a distanza,

cioè tanto più tu frequenti gli altri,

tanto più hai fiducia verso gli altri,

tanto più tu conosci i tuoi vicini di casa,

tanto maggiore la fiducia verso gli altri.

Non voglio annoiare, però questo è un discorso che ha anche un'implicazione,

chiamiamola così, politica,

perché c'è una relazione diretta e stretta tra la fiducia verso gli altri,

le persone, e la fiducia nei confronti delle istituzioni.

Se noi abbiamo sfiducia negli altri,

non possiamo o normalmente non abbiamo fiducia nei confronti e verso le istituzioni.

Da ciò un problema che sono curioso di svelare, di verificare,

quando questa cosiddetta emergenza si abbasserà,

se c'è un'abitudine, consuetudine alla distanza nelle relazioni,

se abituarsi alla solitudine alimenterà anche la sfiducia negli altri.

Per ora, dal punto di vista di quel che emerge, sul piano dei sondaggi,

non è così, è vero il contrario,

però è anche vero che questo avviene come reazione alla paura e alla minaccia che incombe su tutti.

Mi sembra che tu sei andato subito al tema che io volevo riservare per la fine,

ma è stato ottimo perché il tema che hai posto, il modo in cui l'hai posto è molto interessante.

Però se mi consenti ci arriviamo, ci ritorniamo subito.

Io sono non disciplinato né disciplinabile.

Lo so, questo va a tuo merito.

Sono così.

Volevo dire ai pochi che non lo sanno che Ilvo Diamanti,

che oggi è ospite di Casa alla Terza dei nostri incontri,

è uno dei più autorevoli e noti studiosi della politica italiana, e non solo,

che da molto tempo, diciamo almeno dagli anni 90, in realtà dagli anni 80,

segue la trasformazione dei partiti, dei movimenti politici,

con una particolare, non esclusiva, riferimento al territorio,

una delle caratteristiche del lavoro di Diamanti, non a caso una delle parole preferite mappe.

Ilvo Diamanti ha studiato tutta la geografia politica italiana,

ma in particolare ha studiato l'evoluzione della Lega.

C'è un suo libro, credo sia il 1993, quello con Dozzelli, il primo libro sulla Lega.

Quindi il 1993 vuol dire che la Lega era ancora Lega Nord per l'indipendenza della Padania,

se non ricordo male.

Più o meno.

Era ancora prima di andare al governo.

Non c'era stata ancora.

Ho perso i conti di tutte le Leghe che abbiamo conosciuto.

Diamanti insegna scienza politica all'Università di Urbino,

ha creato l'Istituto di Ricerca d'EMOS, è editorialista di Repubblica,

e poi ci tengo a dire una cosa, perché come editore l'apprezzo molto,

è un grandissimo titolista.

Una delle caratteristiche che un editore considera fondamentale per un libro è il titolo.

Con Ilvo Diamanti è un'autostrada, perché ci pensa lui prima ancora che l'editore possa immaginarlo.

I colleghi di Diamanti non sono sempre molto felici.

Di solito quando arrivano mi propongono un titolo in prime riflessioni

intorno alla possibilità di organizzare un pensiero rispetto agli esordi della rivoluzione francese.

Questo sarebbe il titolo.

Diamanti invece, ve ne leggo alcuni, nel 2003, ma sono tanti,

fa Bianco, Rosso e Verde, Mappe e Colori dell'Italia Politica col Mulino.

Nel 2013, con La Terza, fa Un Salto nel Voto, si era appena votato,

e con un gruppo di suoi collaboratori che lui ha sempre valorizzato, è un'analisi.

Democrazia Ibrida, è un altro bellissimo titolo del 2014.

Password, questo invece è un libro Feltrinelli,

che si declina come Renzi, da Juve e altre questioni italiane.

E poi, il libro da cui vorrei partire come uno spunto per la nostra conversazione,

due anni fa, a marzo del 2018, abbiamo pubblicato un libro di Ilvo Diamanti con Marc Lasar,

che è un suo collega molto stimato, amico di Antica Data,

che si chiama Popolocrazia, che è una formula inventata da Diamanti.

E forse ci devi dire qual è la differenza, intanto brevemente, tra populismo e popolocrazia.

Perché popolocrazia e non populismo?

Ma semplicemente la popolocrazia è, i francesi lo chiamano regime, sistema, un sistema politico,

che di fatto si alimenta del populismo. Non è il populismo come movimento,

non è il populismo, tra virgolette, come degenerazione.

Il fatto è che gli elementi che noi riconosciamo nel populismo come caratteristici,

siano divenuti sostanziali e coerenti con le democrazie.

Per capirci il capo, la ricerca del capo, il linguaggio immediato, senza mediazioni.

E in generale l'affermazione della mediazione è come un problema.

Cioè noi oggi abbiamo bisogno di populismo, noi inteso, nei nostri regimi, nei nostri sistemi,

se vogliamo avere successo politico.

Per cui non c'è leader politico negli ultimi decenni, neanche più negli ultimi anni,

che abbia potuto rinunciare a questa contaminazione.

Pensate un po', quando io ho ribattezzato il PD di Renzi, PDR, era esattamente questo,

era il partito di Renzi, o il partito democratico di Renzi,

che aveva adottato anche un linguaggio, uno stile di comunicazione,

che lo rendeva esattamente coerente in continuità con Berlusconi, con la stessa Lega,

che ha fatto due nomi, ma se noi prendiamo questi tre nomi, abbiamo tre soggetti politici

che di fatto descrivono il quadro della nostra Italia.

Popolocrazia viene dopo altri modelli e forme di democrazia.

Utilizzo spesso come riferimento Bernard Manin, filosofo e sociologo francese,

il quale parla dei modelli di governo rappresentativo,

parla del governo dei partiti, della democrazia del pubblico,

e successivamente ho usato due formule che sono state entrambe titoli di testi

che ho pubblicato con la terza, cioè prima la democrazia immediata,

che è la democrazia senza mediatori e senza mediazioni,

e alla fine la popolocrazia che anche in Francia mi pare ha avuto un buon impatto.

Il libro è stato tradotto da Gallimard, un grande editore francese,

e anche in Francia mi sembra che ha suscitato una interessante discussione.

Sicuramente, d'altra parte la Francia è sicuramente uno degli esempi di affermazione

di quella che io definisco la popolocrazia.

Questo libro non a caso fa riferimento comparativo alla Francia e all'Italia,

dove per quello che riguarda la Francia il populismo non è soltanto quello di Marine Le Pen,

ma pensatevi all'attuale presidente Macron,

che di fatto passa da una società finanziaria a fare politica,

utilizza e fonda un partito, Amarche, che ha gli iniziali del suo nome e cognome,

Manuel Macron, se non è tra virgolette adottare uno stile populista questo,

scusate, ci siamo proprio, è un modello, noi siamo immersi nel populismo,

tanto che c'è il paradosso che quando ti ritrovi di fronte a figure non populiste,

queste riescano a tal ora ad avere successo, anche loro, proprio perché…

Chi sono i non populisti oggi?

Oggi non lo so, ieri sicuramente lo era, parliamo di leader di primo piano,

io penso al successo, al periodo, alla breve ma rilevante, importante stagione

che ha conosciuto Paolo Gentiloni, devo dire non a caso l'ho definito così,

ma lui ha usato come titolo del suo libro, ricordo che è la sua esperienza,

l'impopulista, proprio di fatto riprendendo la mia formula, in una certa misura,

ma lo stesso ponte ha conosciuto per almeno un bel po' di tempo un consenso

imprevisto e imprevedibile, perché è defilato, mettiamolo così,

è il fatto stesso che venga attaccato direttamente invece da esponenti

che hanno rivendicato il populismo come stile, come metodo, Salvini l'ha fatto,

cioè sì, sono orgoglioso di essere populista perché sto dalla parte del popolo,

anche questo in qualche modo lo legittima.

Certo, a proposito di Gentiloni, se posso fare un piccolo lancio,

noi venerdì 29 apriamo il Festi di Economia virtuale sul sito del Festi di Economia di Trento

e ci sarà un dialogo dove tu sei venuto tante volte e che ci consente anche

di ricordare il nostro amico Enzo Cipolletta che credo sia provando a collegarsi,

mi ha detto che stava provando, venerdì ci sarà un dialogo ad apertura

proprio di Gentiloni con Tito Boeri sull'Europa.

Due amici con cui ho dialogato spesso in quel bellissimo festival

e una delle ragioni che mi rendono triste per quello che sta avvenendo

è l'impossibilità di partecipare, l'anno scorso appunto,

ricordo che sono stato là e poi sono sceso come una scheggia in auto

fino a Venezia dove c'era il Festival della Politica.

Sì, noi speriamo, il Festival è stato spostato a fine settembre, al 24-27,

ma appunto nel frattempo, visto che l'economia è così importante

e sarà per tutte le questioni legate alla pandemia, di cominciare subito a discuterne.

Volevo partire dal libro appunto per poi affrontare le questioni anche dell'oggi,

perché a un certo punto del libro, tu scrivi del libro Popolocrazia,

il populismo è comparso e compare sempre in periodi di forti incertezze,

momenti traumatici, fasi di crisi, crisi economiche e sociali

con le conseguenze in termini miseria, angoscia, radicalizzazione

all'interno dei gruppi vulnerabili, insofferenze, crisi culturali,

quando cambiamenti ai comportamenti e ai valori sconvolgono le abitudini

e usanze e costumi e crisi politiche.

Ora, se io penso all'oggi e guardo i sondaggi,

sembrerebbe che i populisti, almeno quelli nostrani,

non beneficino di un momento che sembra oggettivamente di crisi,

come quello che attraversiamo, ma come mai? È così e perché?

Perché adesso prevale il sentimento di fatto di una solidarietà per autodifesa.

Noi oggi assistiamo a due fenomeni che sono concomitanti.

Una fiducia nei confronti e verso il governo sconosciuta negli ultimi anni,

superiore ai due terzi, almeno fino a poco tempo fa,

qualche settimana fa quando l'ho rilevata, degli italiani di consenso a questo governo

e onestamente anche un grado di fiducia reciproco, quindi di solidarietà,

fiducia nei cittadini, cioè come dire orgoglio di cittadinanza altissimo.

E questo si spiega come reazione autodifesa, perché siamo sotto minaccia, siamo assediati.

Ma voi avete mai visto tante bandiere italiane, non dico il 2 giugno,

ma forse quando abbiamo vinto i mondiali, non lo so quanti tricolori esposti alle finestre,

quante persone che cantano.

In questo caso è la minaccia dal nemico peraltro invisibile che spinge a stringersi insieme,

a stringersi attorno a noi stessi, perché non possiamo fare per ora altro diversamente.

Cioè è una solidarietà generata dalla domanda, dalla reazione alla minaccia che incombe su di noi.

A proposito di minaccia, tu l'altro giorno mi parlavi di la Lega e le paure generate da Lega,

solo che non sono più le stesse, giusto? Cioè sono cambiate le paure.

Beh certo, problema.

Credo che uno, allora precisiamo, noi siamo in un periodo eccezionale,

per cui dare un significato emblematico a ciò che sta avvenendo oggi,

significa esporsi esattamente al rischio di enfatizzare ciò che può cambiare.

Siamo in una situazione talmente eccezionale che bisogna verificare cosa avverrà oltre e dopo questo passaggio.

Però attualmente noi siamo in una fase nella quale assistiamo effettivamente a un sentimento

che non abbiamo conosciuto in passato.

Noi oggi siamo di fatto, non so come definirlo, più che in un regime eccezionale,

il sistema è in un momento eccezionale, è una fase di passaggio,

di cui siamo assolutamente consapevoli e che ci spinge anche a scelte e a sentimenti

che prima non conoscevamo.

Questo è ciò che io percepisco, che io vedo.

A proposito di paure, la paura dell'immigrato in questo momento ha ceduto al passo rispetto alla paura della sanità?

Questo è evidente, per quel che riguarda la Lega, questa è l'eccezionalità,

la Lega ha utilizzato, non solo la Lega, ma la Lega in particolare, la paura come la principale risorsa

di comunicazione e di consenso.

Io stesso ho coniato in passato la formula, appunto tu hai rammentato molto gentilmente

la mia attenzione ai titoli e quindi alle definizioni, la formula era

gli imprenditori politici della paura, e essere imprenditori politici della paura

ha pagato per molto tempo.

Nel momento in cui però la paura non ha bisogno di imprenditori politici,

perché cala su di te dall'esterno e dall'interno, ecco che ti viene sottratto

un argomento importante, un argomento forte.

E nel momento in cui tu senti l'esigenza opposta, quella tra virgolette della solidarietà,

essere colui che si oppone, deviante rispetto alla linea maestra,

ti mette in una posizione marginale, laterale, questo è ciò che avviene.

Io sono convinto che se al governo ci fosse qualcun altro oggi, avrebbe lo stesso problema

della Lega, che rammento è comunque il primo partito, però con il 25%, 26% secondo i sondaggi,

sono solo me quelli che ho visto, cioè circa 10 punti meno rispetto a un anno fa.

Ma ciò avviene perché di fatto ti mancano gli argomenti, in questo periodo il principale

argomento è stare insieme e quello ce la faremo, resisteremo, e allora in una situazione

di resistenza non hai bisogno delle paure, perché la tua resistenza è alle cause di

questa paura, per questo la Lega si ritrova di fatto a vedersi sottratto il principale

argomento che ha usato in questo periodo, in questo periodo correrebbero dei imprenditori

politici della rassicurazione o comunque della resistenza.

È molto interessante quello che dici e stai parlando immagino della Lega nazionale, cioè

di Salvini, perché invece Zaia non fa parte di questo discorso, no?

Dunque io ho pubblicato ieri sul Gazettino il mio sondaggio periodico dell'osservatorio

sul nord est che occupo da due o tre anni, non mi ricordo neanche più, nel senso che

ho ripreso la formula di Giorgio Lago che era il nord est, che teneva insieme tutta

l'area, ho cominciato a realizzare sistematicamente delle indagini che vengono pubblicate ogni

settimana. In Veneto è arrivato al 91%, cioè la fiducia nel sondaggio pubblicato mercoledì

e quindi nel sondaggio concluso la settimana scorsa Zaia è arrivato al 91%, cioè tutti

praticamente, se considerate margine di errore statistico è tra 88 e 94, però tenete con

conto che Zaia è a più del 50% anche nell'Atlante Politico pubblicato su Repubblica quattro

o dieci giorni fa, non mi ricordo, quindi su base nazionale, è secondo dopo Conte, è

molto più avanti di ad esempio Fontana e sicuramente di Salvini che hanno un grado di consenso

più o meno analogo, recito a memoria 35-36%. Lo spiego per ragioni sia storiche sia contingenti,

da un punto di vista storico la spiegazione è che Zaia ha interpretato fin dall'inizio

la continuità, ha interpretato l'eredità della democrazia cristiana, probabilmente

a lui non piace questa definizione, però io che appunto come ricordavi tu la conosco

la Lega, quando il contratto salì, io ho visto che Zaia era un'altra cosa, un'altra

cosa, Salvini alcuni anni fa lui mi ha salutato con molta correalità, mi ha anche rammentato

che ha utilizzato i miei testi, i miei libri, quelli che tu citavi, che gli sono serviti

molto, ed era vero che li aveva letti perché mi ha fatto anche alcune osservazioni di merito

assolutamente coerenti. Io però gli ho detto che non sono le prime

cose che ho scritto sulla Lega, o meglio sulle leghe, penso che lei non potesse ancora leggerle,

perché il primo saggio che ho pubblicato riguardava la Liga Veneta e l'ho pubblicato

nel 1983 in una rivista scientifica, lui ha detto che andavo alle medie, era complicato,

quindi li conosco bene, quella era la Liga Veneta, era il tempo delle leghe regionaliste,

perché poi se quella è la prima Liga, dopo c'è la Lega Lombarda, c'è l'Unione Piemontese,

insomma ci sono queste leghe che crescono sulla continuità della democrazia cristiana.

Allora lo specifico di Zaia è che ripropone, riproduce quel modello, qual è quel modello?

A suo tempo appunto lui l'ha presa male, per il l'anno, la mia definizione, perché

è stata in un convegno, l'avevo detto è un convegno abbastanza rilevante ed è stata

riproposta in modo munco. Io ho detto, ma l'ho anche scritto, che il

successo di Zaia non dipende da quello che fa, ma da quello che non fa, cioè Zaia non

fa, non vuol dire che non faccia, ma Zaia fa fare, in una regione nella quale l'economia

la fanno gli imprenditori, i piccoli imprenditori, l'assistenza e i servizi li fanno le comunità

locali, le famiglie, le associazioni, quello che deve fare un buon amministratore che voglia

avere successo è non interferire, ma seguire, semmai assecondare, semmai sostenere ed è

ciò che effettivamente lui ha fatto, come facevano i democristiani, quello che ha permesso

la democrazia cristiana di governare tutto il dopoguerra e anche oltre, solo che a livello

esterno di quello che ha affermato è rimasta solo la prima frase, cioè Zaia non fa niente,

però la ragione è questa, se tu sei in una regione come questa o come queste, nelle quali

esiste già un sistema che fa sistema e che funziona sul piano sia sociale che dei servizi,

ebbene ciò che devi fare è sostenerlo, non sovrapporti adesso, semmai distinguere bene,

uno dei vantaggi in questa fase del Veneto rispetto ad altre regioni è che il pubblico

non è stato messo in discussione, ci sono dei servizi, la sanità che non è stata tra

virgolette, se non in parte relativa, privatizzata, la privatizzazione del pubblico qua è molto

relativa, hai un privato che agisce anche sul piano pubblico, ma il pubblico funziona

e dove funziona è lasciato come tale, è vero che il calo profondo dei trasferimenti

ha prodotto dei costi notevoli anche sulla sanità in Veneto, però le strutture c'erano,

non ci si è messo molto a riaprirle.

Questa è interessante se posso interromperti, perché la prima cosa che hai detto relativamente

ai piccoli imprenditori è una cosa che si sa, c'è un nord est molto vivace, però è

meno scontata la seconda cosa che hai detto, cioè che questo faccia sistema, torniamo al

tema della fiducia, sembrerebbe da quello che dici che in fondo in Veneto nonostante

l'individualismo della piccola impresa c'è una fiducia reciproca di questa società maggiore

che in altre?

Sì sicuramente, è sempre stata rilevata, in generale anche in Italia la fiducia non

c'è, però è maggiore la tra virgolette di fidenza, qui è maggiore la fiducia come confidenza,

cioè fiducia condivisa che nasce dalla partecipazione tra virgolette comune, d'altra parte il tasso

di associazionismo qui è sempre stato molto elevato, non è un caso, perché questo è

il territorio del mondo cattolico, il mondo cattolico era, però lì è cambiato più

profondamente che in Veneto, nelle cosiddette zone rosse, cioè in Emilia Romagna, il caso

del rapporto tra partito e enti locali e associazioni collaterali, diciamo che qui il mondo cattolico

aveva esistito nonostante la secolarizzazione meglio che i partiti di sinistra.

Mi viene in mente che così come in questa crisi Zaia mi sembra sia abbastanza emancipato

dal profilo del partito leghista, ha acquisito una sua autonomia nell'interloquire, la stessa

cosa mi dicevi l'altro giorno rispetto ai legami col territorio, in un certo senso è

Bonaccini in Emilia Romagna, anche Bonaccini si percepisce meno come uomo di partito mi

sembra.

La ragione per cui Bonaccini alla fine ha vinto la elezione, io avevo, lasciate che

me la tiri un poco, ma c'è qualcuno a cui avevo fatto, che non può confermare, per

cui avevo fatto il mio sondaggio ancora nella prima metà di dicembre e avevo delle stime

che erano 51 a 44, per fortuna assolutamente, una cosa incredibile, esattamente ciò che

è avvenuto, proprio al punto, adesso non so se ci sia un punto di differenza, però al

di là di quello dietro c'è il fatto che la larga maggioranza dei cittadini magari non

ha fiducia nei partiti e tanto meno dei partiti che governano anche quella regione, ma è

soddisfatto dell'amministrazione regionale, ma proprio una larga maggioranza di cittadini

ha apprezzato il governo di Bonaccini, non è neanche una fiducia tra virgolette personale,

è soddisfazione di un modo di governare, se sto bene, se io considero come ha risposto,

parlo in dicembre, prima metà di dicembre, la maggior parte dei cittadini, se ritengono

di essere governati meglio che gran parte del resto del paese, mediamente meglio del

resto del paese, magari a me la sinistra non piace più, anzi non me ne frega niente,

ma perché devo essere autolesionista, perché devo cambiare se quel che sta avvenendo adesso

mi sembra funzioni bene? Sì, sia Zaia, sia Bonaccini come per altri

versi anche Conte, sono a tutti gli effetti dei politici, la Conte lo è da poco tempo,

non può che essere il titolare di decisioni politiche. Che ne pensi di questa grande enfasi

che adesso c'è sulle competenze? Si dice finalmente la competenza ha ripreso la scena,

la competenza è al centro, salvo poi quando si parla di riapertura, avere che i competenti

di un tipo, i medici si trovano in conflitto con i competenti di un altro, gli operatori

economici, gli economisti, cosa ne pensi di questo ritorno al centro delle competenze?

L'abbiamo conosciuto, è tipico delle crisi, vi ricordate i magistrati dopo la crisi della

prima Repubblica, nei primi anni 90 non era quello, abbiamo avuto anche i magistrati al

governo, i partiti del magistrato, scusate adesso non voglio neanche fare nomi, ma ce

lo ricordiamo tutti, ci sono delle fasi nelle quali di fronte alla crisi rispondi in modo

in politico, qual è il modo in politico? E' quello di ricorrere al non politico, lo

stesso abbiamo avuto dopo la crisi della seconda Repubblica, scusate che qua c'è qualcuno

che sta arrivando intorno a me. E Dylan?

Faccelo vedere Dylan, fate il momento.

Eccolo qua!

Fantastico!

Hai visto? Quello è Pepe, ci auguri!

E' appena arrivato Dylan mi sembra di capire.

Due domani, a 4 mesi ragazzi!

Meraviglioso! Dunque che cos'è?

E' un cavalier Kinshasa, come quella che avevo in precedenza, solo che era una femmina

e questo un maschio ed è molto vivace, come potete vedere.

Stavamo parlando, ah sì l'altra crisi?

Sì.

Guardate che non a caso i tecnici emergono, e questo è significativo, dobbiamo porci

il problema di quello che avverrà, nei passaggi di sistema. I tecnici sono stati invocati

in occasione del cleavage della crisi, della frattura della prima Repubblica, e allora

si sono affidati ai non politici, cioè ai magistrati. Vi ricordate a chi è stato affidato

il governo del Paese dopo la crisi della seconda Repubblica, dopo l'uscita di Siena di Berlusconi

nel 2011 a Monti? Io l'ho chiamato il montismo, anche quella era di fatto affidarsi al tecnico

in quel caso dell'economia, al tecnico in quanto non politico, solo che poi è difficile

per chi, questa è una cosa che non voglio anticipare, spero che questa volta non avvenga,

però non ne sarai poi così sorpreso, salvo che poi gli stessi tecnici nel momento in

cui divengono, assumono un'immagine salvifica nella politica, si rinforzano, e poi si rinforzano

e non vengono tentati a loro volta da questa nuova prospettiva e a istituzionalizzarla,

come ha fatto, hanno fatto i magistrati che ancora adesso vediamo sulla scena dopo la

crisi della prima Repubblica, fino all'esperienza, esperimento poi finito di Pietro, come ha

fatto, ripeto, Monti col suo partito che si è riproposto all'indomani dell'esperienza

di governo, io non mi stupirei, ma spero non avvenga, che ci si trovi di fronte dopo al

partito dei magistrati, al partito di fatto degli economisti, al partito degli infettivologi,

dei microbiologi e comunque dei nemici del nostro nemico che incomba gli assunti noi,

perché quello non è il compito loro, così come non è il compito della politica a mascherarsi

esattamente in modo diverso, indossare la sola maschera della paura e di chi ti fa paura

istituzionalmente per aver successo, scusate questa divagazione.

Ogni una delle tue risposte porterebbe ad aprire una nuova pagina, adesso stiamo andando

verso la conclusione della nostra chiacchierata e volevo portarti almeno un altro grande tema

che tu hai messo al centro del tuo lavoro in questi anni, che è il tema della comunicazione,

perché da una parte c'è la politica, poi ci sono le competenze, anche le competenze

sono oggetto di comunicazione, devo dire non sempre felicemente, non sempre i competenti

sanno comunicare molto bene! E non sempre quelli che sanno comunicare fanno politica

molto bene! Esatto, allora ti volevo chiedere una cosa,

in questa crisi in particolare, la questione ovviamente data di molti anni fa, c'è stata

una importanza secondo te, si è visto il fatto che abbiamo una situazione in cui la

rivoluzione della comunicazione digitale ha spiazzato, ha frammentato, non c'è solo

il Tg1, faccio vedere il Corriere della Sera, piuttosto che i grandi giornali, ma c'è un

insieme di canali comunicativi e Internet in particolare, ha pesato questo aspetto,

è stato rilevante in qualche modo, ti sembra? Sicuramente, ma soprattutto io credo che dopo

non sarà più come prima, questo passaggio cambierà profondamente il nostro modo di

lavorare, per quel che mi riguarda ad esempio io da mesi i miei corsi all'Università di

Ubbino li ho tenuti così, webinar, webinar è così come le mie riunioni e incontri che

sto facendo con voi, ma le lezioni ti garantisco è pesante, ti danno delle opportunità, però

è pesante, ho anche scritto, lo trovate sul sito dell'Università di Ubbino, un'intervista

ho fatto proprio su come cambierà e come ha cambiato già di fatto ad esempio l'insegnamento,

questa esperienza che non sarà più come prima, anche se non sono tra quelli che dicono

che l'insegnamento a distanza, l'insegnamento attraverso il canale digitale sostituirà

quello faccia a faccia, quello di persona in aula, non è così perché è insostituibile,

però è vero che ti dà delle opportunità in più, integrerai questi due canali, vi

faccio un esempio, nei miei due corsi che io tengo, analisi dell'opinione pubblica e di

fatto sistema politico europeo, vabbè, tutti i testi che ho scritto per questi dito, sono

ora e qua, le tre testi comunque, io l'ultimo mese ho avuto insieme a me a tenere corsi

e lezioni, che so, analisi dell'opinione pubblica, Nando Pagnoncelli, Gigi Riva, Marco

Damilano, Giorgio Zanchini e ho concluso con Franceschini, con il ministro Franceschini,

che è notoriamente uno che usa poco i nuovi media, mi interessava capire però in che modo

questo l'avesse, come fosse cambiato, o avesse percepito cambiato il proprio ruolo, ma il

sistema politico europeo ha avuto appunto, Marc Lazar, Lucio Caracciolo, il giorno in

cui si discuteva al vertice europeo, nel caso italiano, c'era Romano Prodi e ancora del

resto, e questo è comunque l'accordo per noi, deve venire Paolo Gentiloni, che è

un amico, quindi queste cose, è evidente, guardate quasi tutti questi esperti, specialisti

sono già venuti ai miei corsi, con fatica, provate a pensare quello che significa venire

a Roma, se ci siete mai stati, è bellissima anche perché è inaccessibile, quasi inarrivabile,

quindi non puoi immaginare di averli comunque tutti insieme in uno stesso corso.

Immagino che io l'anno prossimo, sperando che le cose si siano relativamente normalizzate,

immagino che io l'anno prossimo associerò la mia presenza in aula fondamentale con gli

studenti a questo medium, di fatto alla comunicazione a distanza, che permetterà ad esempio di

avere oltre a me anche gli amici con lei, gli esperti di cui abbiamo parlato adesso,

online, con loro, discutendoli insieme, questo è un modo di vedere come ha già cambiato

il nostro modo di fare, anche se non è sostitutivo, ma ci ha costretti a pensare a quanto abbia

diffuso, ma avete idea di quante persone di una certa età, lontane dalle nuove tecnologie,

si sono avvicinate, quanti nonni, nonne o persone abbiano potuto di fatto parlare con

i nipoti, rivederli in questo modo e prima non ci avrebbero mai pensato, sono stati tra

virgolette tecnologizzati per quello, per cui non sarà più come prima, però allo stesso

tempo dobbiamo normalizzarne anche l'accesso ai luoghi.

Ci sono tanti interventi e domande, li leggo uno che mi fa molto piacere perché è un

signore che si chiama Savino Borracino che dice suggerisco di leggere l'Italia e le sue

storie di John Foote, che è un libro che abbiamo pubblicato qualche tempo fa, Nannà

Cecchi ci dice abbiamo tutti oggi paura e poi chiede come si chiama il cane, l'abbiamo

detto Nannà, si chiama Dylan, giusto? Sì, esattamente, voi sapete, Dylan Dogg.

Poi Giovanni Verga, dato che c'è questa tendenza anche a chiedere agli scienziati di predire

il futuro, quindi non si scappa, a proposito Zaia dice, potrebbe Zaia prendere il posto

di Salvini come leader della Lega?

Allora ho la risposta in due parti, la prima l'ha già sentita, mi chiedono sempre con

la vera e io ogni volta, come dire, sempre rispondo allo stesso modo, faccio ricercatore

nella vista sociale, politica, quello che volete, per cui io al massimo prevedo il presente,

noi prevediamo il presente e semmai il passato e spesso non siamo d'accordo neanche su quello,

quindi il futuro non lo so e non lo voglio prevedere, non è il mio mestiere.

Di Zaia mi chiedono tutti, sempre e io vi rivolgo a lui, però è evidente che l'importante

è un'altra cosa, immaginarci, chiarire il perché, l'abbiamo già detto il perché

di certo una delle ragioni per cui oggi è successo è che non ci pensa minimamente a

diventare l'alternativa a Salvini, il suo ruolo nazionale, l'abbiamo già detto, deriva

dalla sua esperienza di governatore, e non ci credono neppure qua in Veneto, in questo

sondaggio che ho pubblicato due giorni fa c'era anche la domanda quale sarà il futuro

di Zaia, deve andare a guidare il paese etc., ma penso che sia il 20-30% che pensi a questo.

Guardate che ci aveva già pensato qualcun altro prima di lui, oltre al fatto che ha

fatto la sanità se non sbaglio, in passato, però lui era stato candidato come leader

della destra da Berlusconi, che è uno che se ne intende nel 2017 e si è guardato bene

dal seguire questo consiglio, avrebbe fatto una brutta fine immagino.

Ti ringrazio molto per quello che hai detto sul futuro, approfitto per leggerti, forse

non la conosci, una meravigliosa citazione di un gran duomo che era peraltro un tecnico,

se non addirittura un tecnocrate, che si chiamava Tommaso Padella Schioppa, a proposito del

futuro, lui che si occupava di banca, di finanza, quindi di annale democrazia fatta da Zagrebelsky

a Torino, dice questa cosa bellissima, mi viene in mente quello che hai detto tu, lo

dice nel 26 aprile 2009, dice chi vi parla non ha il dono di conoscere il futuro, anzi,

ritiene che sia sempre davanti a noi più di un futuro possibile e che, quali uomini

nella storia, il nostro compito sia ad operarci perché si erizi il migliore tra essi, non

speculare su come andrà a finire per fare scommesse sul probabile vincitore, non è

bellissimo? Grandissimo, non è solo bellissimo! Allora, io credo che l'analisi è fondamentale,

quella che tu ci hai dato e ti ringrazio molto oggi anche in questa nostra conversazione,

è un'analisi fondamentale, perché se tu vuoi ad operarti perché il futuro sia migliore,

non solo speculare, devi partire dall'analisi, dalla conoscenza e da questo io credo possiamo

chiedere agli studiosi e agli analisti come te.

Sì, ma credo davvero che tu possa lavorare, noi lavoriamo sul presente, possiamo intervenire

sui meccanismi che regolano la società, l'economia, la politica, peraltro io sono multidisciplinare,

per quello ho scritto quel libretto su Gramsci, Manzoni e mia suocera, nel senso che noi abbiamo

il senso comune, quello che ci aiuta, era appunto Gramsci che commentando, riprendeva

Manzoni a proposito della peste e diceva che c'è un'economia che non è una economia

che non è una economia, quindi al tempo della peste c'erano alcune persone di buon senso

che non credevano all'esistenza degli utori, ma il senso comune impediva loro di manifestarsi,

ecco perché quello è la realtà sociale.

Certo, tra l'altro quando mi chiedono una definizione dell'editore, cosa fa l'editore,

dicono sempre che l'editore ha come suo massimo obiettivo trasformare le idee in senso comune,

quindi ci troviamo, pensa Bauman all'idea della società liquida, quello è nato con

un libro ed è diventato quasi una cosa da bar!

Certo, infatti la società liquida ti fa l'aperitivo!

Esatto, Francesco Chirico lo cito perché dice no, Zaya resta legata alla sua regione

e a livello nazionale non ha tutto questo consenso, quindi conferma, Antonia Carparelli

che lavora qui in Italia alla Commissione europea…

Preciso, non è che non abbia tutto questo senso, è il secondo almeno nella mia graduatoria

dopo il Presidente, ma non lo avrebbe se si candidasse a fare il leader nazionale.

Antonia Carparelli che appunto lavora alla Commissione europea in Italia dice, grande

Padova Schioppa, grazie di ricordarlo.

Vorrei concludere come facciamo in queste conversazioni chiedendoti di consigliarci

un libro, Ilbo, qualunque, quello che ti viene…

Io ve ne consiglio in seguito e di fila, ora ve li mostro tre, nel senso che due sono di

narrativa e in casa l'intellettuale, quella che legge davvero la realtà, è mia moglie

Paola, che conoscete bene voi almeno.

Ilbo, tenilo più distante, Limonov di Carrèr che è a Delfi.

Non ci sei tu, però sono tutti i miei libri che possono prendere, non è che non ci sia

più qualcosa da leggere, invece questo è mio, è di Querini, Culture Ibride di Canquini,

che ha ispirato la mia democrazia di fatto ibrida che ho pubblicato con, esattamente

con te, con voi, con la terza, nel senso che era un modo, visto che i tipi di governo e

democrazia che vi avevo citato prima, che fanno parte di quella tipologia definita da

quando voi parlate di democrazia dei partiti, democrazia del pubblico, Bernard Manheim parla

di questo, fa evidentemente riferimento, anche se non era sua intenzione, a modelli

di democrazia, governo meglio, governo rappresentativo che è definito dai sistemi di comunicazione,

pensateci, la democrazia dei partiti e al tempo in cui i partiti erano il principale

sistema di comunicazione, erano dovunque, i partiti di massa, erano loro che di fatto

gestivano la comunicazione politica, non solo la selezione, dall'alto in basso in tutto

il territorio. Poi l'avvento dei media e produce, determina

di fatto, i media di massa, continuo a chiamarli media, io sono come Augeas media e il plurale

di medium va bene, è latino, non è inglese, non è media, la democrazia del pubblico,

esattamente la democrazia al tempo dei media di massa, dove non per caso, proprio il medium,

la televisione in particolar modo, personalizza tutto, perché in televisione non ci vanno

le masse, non ci vanno i partiti, ci vanno le persone e dove le ideologie sono di fatto

a loro volta, progressivamente, rimpiazzate dai messaggi, quindi dalla comunicazione e

dove di fatto, anche in questo caso, all'organizzazione, al posto dell'organizzazione, noi troviamo

sempre di più chi? Coloro che costruiscono i messaggi, di fatto le agenzie di comunicazione.

Dopo, noi cosa abbiamo? Abbiamo la democrazia immediata, la chiamo io e la democrazia sessuale,

senza media, senza mediatori, al tempo della rete, al tempo di fatto del digitale, quella

che io poi alla fine chiamo anche democrazia ibrida, perché? Perché se noi pensiamo a

come si afferma Beppe Grillo, nel 2013, nel 2014, le elezioni politiche e poi le 5 stelle

e poi le europee, noi vediamo che è un soggetto che usa tutti questi media, utilizza certo

la rete, ma attraverso la rete comunica i flash mob e convoca i flash mob, le mobilitazioni

di piazza che sono tipiche della democrazia dei partiti e poi cosa fa? Trascura la televisione,

vi ricordate dove è andato l'ultima settimana possibile prima del voto? È andato da Bruno

Vespa, non da qualsiasi, dalla trasmissione televisiva per definizione, quindi televisione,

quindi digitale, quindi la piazza, tutti i modelli di partito.

Ti devo interrompere con molto dispiacere perché abbiamo esaurito il tempo, c'è una

regola per cui si interrompe.

Ti esauriti anche io tutti quanti, vero?

No, ti ascolteremo ancora per molto perché è un piacere.

Io devo uscire con Dilan.

Infatti io ti volevo dire grazie, salutaci Paola prima di tutto naturalmente, ma anche

Dilan che mi sembra sia stata una presenza rapida, ma significativa.

Grazie a tutti voi, grazie.

Grazie a tutti.

Grazie a tutti.