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Conversazioni d'autore, 'Contro lo smart working' di S. Balzano

'Contro lo smart working' di S. Balzano

Buonasera, benvenuti a questa discussione che riguarda un piccolo libro, o a partire

da un piccolo libro ma molto agguerrito, già dal titolo, contro lo smart working, che è

l'altezza pubblicato di recente di Samiro Balzano che è un giovane agguerrito appunto

sindacalista, in realtà è anche uno studioso di cose del lavoro, del rapporto soprattutto

fra il diritto al lavoro, le garanzie connesse al tema del lavoro e la Costituzione, il grande

progetto costituzionale che la Costituzione del 48 rappresenta, cioè qualcosa che è

proiettato in avanti, mi sembra che lui insista molto su questo, è un agguerrito amabile

sindacalista, dice Rignola, questa cosa la dico perché lui ci tiene molto, cioè la

patria di Livittoro, forse sarà quella terra, saranno quelle forze tellure che toglie della

Puglia che gli hanno dato questa spinta a scrivere un pamflette appunto contro lo smart

working. A discutere con lui c'è Cesare D'Abbiano che è stato, penso che in qualche modo ancora un

po' si consideri nel senso che è una matrice originaria troppo importante, sindacalista,

ha avuto responsabilità rilevanti nella CGL e poi però è un politico, è stato, ha avuto

ruolo di governo, è stato ministro del lavoro nel secondo governo Prodi ed appartiene quindi

alla sinistra storica, possiamo dire. Quindi abbiamo due, in teoria uno potrebbe dire ma sono

due figure, uno sindacalista, un altro un ministro del lavoro, ex ministro del lavoro della sinistra

storica, andranno troppo d'accordo, io penso che ci siano alcuni elementi comuni però ci

sono anche delle relazioni di discussione, intuisco, per cui non aspettatevi una cosa così,

in cui tutti, in cui lavoreremo sebbene. Il mio è un compito semplicemente di così, di dare un po'

di alzare la palla e parto con una domanda generale, cioè che è questa, in qualche modo

partirei, forse partirei da Cesare Damiano, gli effetti della pandemia, della crisi del coronavirus

sono stati drammatici da tanti punti di vista, certamente anche sul fronte del lavoro,

si molti sottolineano, io sono d'accordo, che in qualche modo il coronavirus abbia rappresentato

un'accelerazione di processi che erano in atto, però questa accelerazione, ad esempio nel campo

della tecnologia, della tecnologia applicata al lavoro, può anche comportare appunto dei problemi.

La sua posizione qual è rispetto al tema dello smart work? Intanto come dobbiamo intenderlo? Si

differenzia da altre forme come il telelavoro? È un'opportunità? È un rischio? Insomma,

dobbiamo essere apocalittici o integrati? Ora, Savino non dico che sia apocalittico,

però insomma è molto critico. Io partirei appunto da Cesare Damiano per capire qual è la posizione

di chi ha avuto e ha un ruolo istituzionale e che però allo stesso tempo ha un'origine

partigiana, cioè nel senso che è dalla parte del lavoro e dei lavoratori. Molti hanno la

sensazione che lo smart working possa essere un grande problema più che una grande opportunità.

Lei cosa ne pensa? Intanto è giusto quello che lei ha detto, distinguiamo perché si fa una gran

confusione. Il lavoro agile non è il telelavoro, il lavoro agile non è il lavoro da remoto. Quello

praticato fin qui parlo in particolare della pubblica amministrazione non è lavoro agile,

è lavoro costretto da remoto, costretto da una pandemia, penso che sia stata anche una scelta

opportuna. Questa è la prima questione. La seconda questione, io sono stato relatore

della legge nella passata legislatura alla Camera, ero Presidente di Commissione Lavoro,

la cornice legislativa è una cornice relativamente debole, fissa alcuni parametri

essenziali. Quindi a mio avviso nel momento in cui abbiamo avuto questa accelerazione sarebbe

necessario passare dalla cornice fragile ad una contrattazione di merito, non basta quella

cornice. Secondo me non si tratta di fare una nuova legge, si tratta di passare la palla alle

parti sociali perché la materia venga regolamentata, tenendo conto di quello che l'esperienza ci ha

insegnato in questi mesi. Detto questo, il lavoro agile, allora non è telelavoro, non è lavoro da

remoto, che cos'è? È una forma mista che può essere esercitata da coloro che svolgono determinati

lavori, determinate attività. Scherzando, dico sempre, non è che mi porto a casa la siviera del

forno di colata, non è che mi porto un pezzo di catena di montaggio, a meno che con il 3D un domani

in camera da letto non mi produco un pezzo da montare su un'automobile, questo non lo so ancora

e non ci voglio pensare. Stiamo parlando di determinati lavori di concetto, di natura

tecnica, amministrativi, culturali, comunicativi. Questi lavori in una società dematerializzata

possono ragionevolmente anche rappresentare un terzo del totale dell'attuale forza lavoro.

Naturalmente se parlo dell'INAIL, di cui sono componente del Consiglio di Amministrazione,

è un conto, se parlo di un'azienda metalmeccanica è un altro conto, quel terzo prendiamolo come

media. Detto questo, si tratta di un lavoro che per sua natura dovrebbe essere svolto in presenza

e a distanza, non è svolto tutto a distanza, se in presenza ovviamente non è lavoro agile.

Che cosa dice la legge? La legge dice alcune cose, ma quelle essenziali riprese anche dalla

contrattazione sono poi due. Io ho tenuto molto in considerazione un punto, non dobbiamo commettere

l'errore, il libro di Savino parla molto della flexicurity e del fallimento della flexicurity,

a mio avviso è un fallimento, e quindi non siamo di fronte all'ennesima forma di lavoro

flessibile a disposizione delle imprese. Qui io lo voglio dire con chiarezza, il lavoro agile

è lavoro subordinato a tempo indeterminato, se il contratto era a tempo indeterminato,

che ha le stesse condizioni normative salariali, gli stessi diritti di chi svolge il proprio lavoro

in presenza. Sgombriamo subito il campo da una formula ambigua a metà tra lavoro dipendente

e lavoro autonomo? No, è lavoro dipendente che ha un contratto di lavoro uguale a quello di

coloro colleghi che fanno quella mansione, che stanno in quell'azienda in presenza. La seconda

questione che la legge fissa è il tema della disconnessione, la disconnessione come si dice

un po' per scontata e andrebbe anche indagata ulteriormente, ma tutto questo secondo me non

basta. Veniamo a queste accelerazioni, è evidente che la pandemia ha prodotto delle

accelerazioni, come sempre un'accelerazione può fare qualche sbandata, confondiamo il lavoro agile

col lavoro da remoto della pubblica amministrazione. Nel privato le cose vanno un po' diversamente,

quindi sono probabilmente meno incidenti percentualmente e un pochino più regolate.

Fa del bene o fa del male? Allora, io ho letto il libro, io non sono apocalittico e non sono

integrato, io sono un negoziatore, quindi io dico che fa del bene se lo regoliamo per fare del bene,

se lo regoliamo per fare del male, cioè non lo regoliamo, può fare del male. L'argomento che

Savino usa, quello della disintegrazione della comunità, non lo trovo del tutto convincente,

è un pericolo. Mi ricorda, essendo anziano, la polemica che si sviluppò all'inizio degli anni

70, all'epoca ero un giovane funzionario della Fioncgl, mi mandarono a Mirafiori a fare scuola,

e se le mandate a Mirafiori a quel tempo significava 74, avere a che fare con una

fabbrica con 60 mila dipendenti su tre turni, 220 porte di ingresso e di uscita, con tutto il

corollario di 60 mila dipendenti, una città nella città, con tutto il corollario politico e sindacale,

e non soltanto, perché non ci siamo fatti mancare niente in quegli anni, avevamo le Brigate Rosse,

Prima Linea, INAR, tutte le sigle sindacali, tutte le sigle di partito che stazionavano,

alcuni in modo occulto, i brigatisti venuti dal nulla non li conoscevamo ma li frequentavamo,

senza saperlo purtroppo, e poi chi faceva politica ritenendo quell'azienda l'azienda

simbolo. Quale fu la discussione a proposito degli impiegati? La Fiat voleva introdurre in

quegli anni l'orario flessibile, che adesso farebbe ridere, anziché entrare gli impiegati,

non gli operai perché la catena di montaggio giri la rotella e parte, non è che puoi dire

io arrivo fra un'ora, agli impiegati è concesso di entrare in un range orario compreso fra le 8

orario normale e le 9 e chiaramente se entri alle 9 anziché uscire alle 5 e usci alle 6 è

una scelta che oggi farebbe sorridere, ma di prima flessibilità. Il dibattito che si scatenò era

appunto sul tema che Savino ha evocato, quello della disgregazione della comunità, in questo

modo il padrone, si diceva all'epoca non datore di lavoro, il padrone era l'operai, lo sappiamo,

anche nei film a classe operaia va in paradiso eccetera, la disgregazione della comunità era

diventata un po' un'ossessione, il tentativo del padrone di disgregare la comunità attraverso

questa flessibilità che rende meno controllabile la forza lavoro impiegatizia, che già di per sé

era molto distante dal sindacato, noi impiegati eravamo un nucleo, io ero un impiegato iscritto

alla fione, un po' una mosca bianca in un palazzo uffici di 800 impiegati, io lavoravo alla SKF,

una multinazionale, quindi ero un po' anomalo. Quindi a me non convince l'idea del pericolo

della disgregazione, se dovessi dire io sono per pesare il bene e il male e sono per contrattare,

mi pare che alcuni sindacati, penso Cifa Consal, abbiano fatto degli accordi in questo senso sulla

regolazione dello smart working, del lavoro agile, altri sindacati, il sindacato dei metalmeccanici

Finfionwin con Confindustria, Federmeccanica, hanno disciplinato, ma dicendo quelle due cose

che ho ricordato prima, diritto alla disconnessione, stessi diritti di chi lavora con il lavoro agile,

di chi sta in presenza, che mi sembra insufficiente, lo stesso le telecomunicazioni,

forse nel settore bancario e in altri settori ci sono delle esperienze un pochino più avanzate

data la tipologia del lavoro. Sapendo e concludo perché non voglio farla lunga,

però poi avrei degli argomenti da sviluppare, che quando dico negoziare tutto, accettare la sfida,

si tratta di fare come sempre il buono e il cattivo, perché il lavoro agile ha del buono

e del cattivo e non possiamo limitarci a che lavoro dipendente ci vuole la disconnessione,

il discorso deve essere contrattualmente molto più sviluppato, ma lo vorrei dire in un secondo

tempo perché ho già parlato troppo. Si potrebbe obiettare che a partire dagli anni 80 la desgregazione

della comunità del lavoro sia avvenuta poderosamente, per una serie di passaggi,

vicende complesse e in qualche modo questo porta ad oggi e mi porta anche a dare un po' la palla,

a sollecitare Savino Balsano a dirci perché lui teme così tanto che lo smart working sia,

e la retorica sullo smart working, perché è il dubbio, il libro si apre così che c'è anche

tutta una narrazione francamente a volte urticante, perché falsa fondamentalmente,

pubblicitaria, sembra uno spot appunto, sulle magnifiche sorti progressive dello smart working.

Mi sembra che l'idea di Savino Balsano sia che lo smart working rischia di essere il colpo di

grazia alla dimensione collettiva del lavoro, che è un fondamento costituzionale oltretutto. Perché

Savino, perché temi così tanto? Poi ci sono anche tanti altri aspetti e problemi che metti in luce

nel libro, ne parleremo anche appunto lo stesso Cesare Damiano li evocava, però intanto qual è

il punto di fondo? Allora è chiaro che, prima di tutto ringrazio l'onorevole Damiano per aver

accettato l'invito a fare questa chiacchierata, ne sono davvero contento. L'onorevole Damiano

ha citato tutta una serie di punti che magari avremo modo di approfondire insieme, a partire

dalla idea di come gestire questo fenomeno, perché su una cosa siamo d'accordo, questo è un fenomeno

che va gestito, l'onorevole Damiano riserverebbe ruolo alla contrattazione collettiva, anche io da

sindacalista sono diciamo particolarmente avvezzo a contrattare, certo è che questo è un tema di

tale impatto e di tale rilevanza che probabilmente un intervento di legislazione di sostegno, come

viene definita tecnicamente in materia di lavoro, probabilmente invece è necessario. Quindi

sicuramente siamo d'accordo sul fatto che la cornice è assai fragile, probabilmente ci dividiamo

un pochino su quella che può essere una soluzione. Relativamente alla domanda di Nello, che tra

l'altro io l'ho già fatto in privato, ma lo sai io ci tengo a farlo anche pubblicamente, questo libro

a Nello deve molto, deve un confronto come dire vibrante, vivace, anche critico, che abbiamo avuto

prima dell'uscita, quindi sono davvero felice di averti qui. Peraltro io penso che questo sia

davvero un libro necessario, al netto del fatto che l'abbia scritto io, ma davvero io vi invito

ad operare qualsiasi motore di ricerca, a fare una ricerca sugli store online, magari ancora in

libreria, dei libri pubblicati sulla materia e vi renderete conto come la narrazione attorno al tema

dello smart working, attorno al tema del lavoro agile, sia davvero unidirezionale. Veramente

raramente un dibattito in materia di lavoro, io non ho una memoria storica paragonabile a quella

dei miei interlocutori, però diciamo che, in base a ciò che so, raramente nell'ambito delle

discussioni in materia di lavoro c'è stato un tale appiattimento circa l'unica visione,

l'unica chiave interpretativa di un fenomeno. Oggi lo smart working viene dipinto generalmente,

comunemente, come una grande opportunità, come la svolta del futuro. Su una cosa tutti

ciò che scrivono, tutti coloro i quali scrivono di smart working, me compreso, sono d'accordo,

ovvero lo smart working ha un potenziale di impatto e di trasformazione del mondo del lavoro

incredibile mai visto prima. Su questo siamo tutti d'accordo, chi ne parla bene e chi ne parla male.

Sostiene che lo smart working abbia una capacità di rivoluzionare il mondo del lavoro probabilmente

mai vista prima. C'è chi paragona lo smart working alla rivoluzione industriale, c'è chi è ancora

più emfatico, cioè su questo siamo davvero tutti d'accordo. Ciò che ci divide, in realtà io faccio

parte di una fazione decisamente minoritaria, a quanto pare, è la valutazione, il giudizio di

valore circa gli effetti di questa rivoluzione. E vengo al punto che dice Nello, in realtà,

nella sua domanda Nello ha un pochino anticipato quello che avrei voluto dire,

in effetti la comunità del lavoro ne è risultata incredibilmente indebolita. Io ricordo un pranzo

con il professor Pederossi, si parlava di questo libro, a un certo punto Nello mi domandava,

io gli evocavo questa comunità del lavoro, questa comunità del lavoro, a un certo punto il professor

Pederossi mi spiazza, ma esiste ancora questa comunità del lavoro? C'è ancora questa comunità

del lavoro? Beh, questa è una domanda importante, perché la comunità del lavoro esce profondamente

indebolita da 30 anni di precarizzazione. Io nel libro lo scrivo e sono convintissimo del fatto

che il diritto del lavoro, i diritti dei lavoratori, svolgono una funzione quasi didascalica,

quasi educativa, per certi versi prescrittiva, di come le dinamiche collettive sui luoghi di

lavoro, che hanno, come giustamente veniva ricordato, una enorme rilevanza costituzionale,

debbano avvenire. Ciò significa che andando ad incidere sulle regole in materia di lavoro,

stiamo facendo delle riforme di potere. Il percorso di precarizzazione, che parte col

pacchetto 3, ma poi abbiamo la legge Biagi e poi abbiamo gli interventi di flessibilizzazione nei

rapporti di lavoro, io cito la drammatica riforma del 2012, la legge Fornero in materia di lei

integra, ma il Jobsect, che è stato un intervento ulteriormente erosivo di quelli che sono dei

diritti che nell'ambito del rapporto di lavoro devono essere presidiati. Ecco, tutti questi

interventi, che cose hanno fatto? Hanno avuto delle conseguenze sul piano individuale, sulle

quali si mette sempre l'accento, e qui c'è la grande lacuna, secondo me, che il nostro stesso

fronte, il fronte di coloro i quali sono estremamente critici nei confronti di queste

riforme, però ha, ovvero si insiste sempre e costantemente, pervicacemente, sull'impatto

individuale sulle persone. Che è importante, cioè, sottolineare come un soggetto che prima aveva

diritto a X oggi abbia diritto a X meno qualcosa, è certamente un elemento da sottolineare, è

importante farlo. Ma le dinamiche collettive? Cioè, vedete, io recentemente ho scritto, ne sono

convintissimo, non so se su questo riservo un passaggio nel libro, c'è un rapporto fortissimo

tra precarietà e morti sul lavoro. Fortissimo. Eppure, se leggete in materia di salute e sicurezza

sui luoghi di lavoro, si insiste sulla normativa, appunto, in materia di salute e sicurezza sui

luoghi di lavoro, laddove si definisce la salute quale assenza di malattia. Cioè, la salute deve

essere uno stato di benessere sui luoghi di lavoro, cioè una posizione decisamente avanguardista,

decisamente protettiva. Eppure, contiamo 20.000 morti sul lavoro negli ultimi 10 anni,

una media di due morti al giorno sui luoghi di lavoro. E come mai si verifica questo,

al netto dell'alleggerimento del regime sanzionatorio in materia di salute e sicurezza?

Beh, si registra perché un lavoratore sottoposto alla ritorsione legata alla precarietà del suo

rapporto di lavoro certamente non andrà a denunciare il datore di lavoro che non rispetti

i presidi in materia di salute e sicurezza. Quindi ecco che le regole in materia di lavoro hanno

una capacità di incidere sulla comunità del lavoro e sulla sua capacità di rivendicare

migliori condizioni notevolissime. Lo smart working si inserisce in questo ambito. Perché

donorevole Damiano giustamente, condivido profondamente, diceva chi è in smart working

deve avere gli stessi diritti di chi non lo soffreisce al lavoro agile. Dobbiamo lavorare

in questa direzione. Ma oggi cosa sta succedendo? Cioè al netto del dover essere, rispetto al quale

sono felicissimo e non avevo dubbi rispetto al fatto che l'onorevole Damiano voglia impegnarsi

e io se posso dare una mano sono a disposizione, ma qual è lo stato attuale delle cose? I lavoratori

in regime di lavoro agile hanno gli stessi diritti di coloro i quali non sono in lavoro agile,

di coloro i quali non sono in smart working? No, non ce li hanno. Non ce li hanno dal punto

di vista retributivo ad esempio, perché lavorano di più. Chi parla con i lavoratori quotidianamente

sa che in smart working si lavora di più. Se tu lavori di più e vieni pagato uguale,

significa che vieni pagato meno. Quindi anche un presidio legalmente protetto,

quale il pari trattamento economico, già nei fatti possiamo dire che non viene rispettato.

Senza entrare nel merito di tutti i regime delle indennità. Pensiamo al ticket pasto,

che lo perdi quando sei in smart working. E allora qualcuno ti potrebbe dire, magari citando

una recente sentenza della morte di Cassazione, il ticket pasto ha una funzione indennitaria

di ristoro. Tu sei in lavoro agile, non ti spetta. Ok, ma quante volte ci capita mentre

facciamo la spesa di dover aspettare qualche minuto in più in pazienti che quello davanti

a noi sta pagando la spesa con il ticket pasto? Cioè, ce lo possiamo dire che formalmente

ha una funzione indennitaria, ma tra di noi, tra amici, ce lo possiamo anche riconoscere

che il ticket pasto è un istituto retributivo a tutti gli effetti e che tanto vero è spesso

oggetto di contrattazione collettiva anche per i vantaggi fiscali legati al ticket pasto

di cui godono le aziende. Cioè, la realtà va analizzata anche per quel che è. Lo smart

working come si declinerà nel futuro? Io personalmente ritengo che uno smart working

residuale, limitato a pochi giorni al mese o a pochi, uno o due giorni a settimana,

magari era inizialmente l'idea del legislatore del 2017, sia un'idea già superata. Io non credo

che la grande multinazionale, la grande azienda, la grande impresa punti a quello. Anche perché,

se dovessimo soppesare i vantaggi della grande azienda, i vantaggi della grande azienda

emergeranno laddove lo smart working diventa un paradigma generalizzato di prestazione lavorativa.

Noi abbiamo grandi aziende che stanno già dismettendo il patrimonio immobiliare,

mentre noi stiamo parlando in questo momento. Per dismettere il patrimonio immobiliare tu devi

avere uno smart working ordinario e generalizzato, perché se tu due o tre giorni a settimana i

lavoratori li devi ospitare, tu quel patrimonio immobiliare non lo puoi dismettere. Quindi è

facile prevedere, spero di sbagliare, spero di sbagliare, ma è facile prevedere che l'obiettivo,

soprattutto dei grandi gruppi, sia quello di introdurre una modalità ordinaria e generalizzata

di prestazione lavorativa. E questo cambia tutto. La contrattazione collettiva, che citava l'onorevole

Damiano giustamente, io per esempio conosco quella del settore del credito, prevede un ricorso massimo

allo smart working, massimo, di pochi giorni al mese. Su questo possiamo ragionare. Allora qualcuno

potrebbe dirmi, ma perché questo libro è contro lo smart working? Too cool. Perché secondo me,

e secondo chi ha creduto in questo libro, l'idea è che si voglia implementare questo

modello di smart working, ordinario e generalizzato. E gli effetti saranno drammatici. L'onorevole

Damiano è stato un sindacalista importante. Io nel mio piccolo cerco di dare il mio contributo

all'attività sindacale che tanto amo, al mondo del sindacato che tanto amo, nonostante la

parentesi di grave difficoltà in termini di fiducia il sindacato sta vivendo. Ma quanto è

difficile fare proselitismo? Quanto è difficile oggi fare proselitismo? Il mio è un sindacato in

grande crescita e di questo sono contento, e penso ci siano dei motivi, soprattutto in una

parentesi di grandi crisi del sindacato. Ma quanto è difficile convincere le persone a

sostenere la propria causa? Esponiti. Soprattutto oggi che c'è questo tasso di precarietà così

forte, così penetrante, così intimo nella vita delle persone. Esponiti, iscriviti al sindacato,

sostieni la mia azione sindacale. Già oggi è difficilissimo. Immaginatevi l'attività di

proselitismo declinata in smart working ordinario e generalizzato. Tu non conosci il lavoratore,

il lavoratore non conosce te, il lavoratore non è consapevole di un aspetto fondamentale,

ovvero che ciò che lo affligge, affligge anche altri. Questo è un elemento di rimente,

perché questa, io sono convinto che alla base dell'attività sindacale, non solo dei sindacalisti,

ma anche e soprattutto dei lavoratori, ci sia un sentimento che è la solidarietà. Il rapporto

solidaristico non si tesse laddove io non sono convinto che faccio parte di una comunità,

faccio parte di un gruppo. E un lavoratore chiuso all'interno di un loculo, di un ovetto di presunta

autosufficienza, sarà propenso fisiologicamente a creare questi legami? Anche perché una delle

narrazioni più mendaci attorno allo smart working, senza quelle citate del lavoro in spiaggia,

il lavoro nel cotteggio in montagna, che non ritengo nemmeno di dover citare, è quella per cui uno in

smart working è creativo. Ieri ho partecipato a un dibattitore televisivo e qualcuno mi diceva,

eh sai, in smart working uno può lavorare vicino all'anziano che gli dà dei consigli per sviluppare

una buona creatività. Questa è l'obiezione che mi è stata posta. Ma io vedo altro. Io vedo call

center, interi contact center di centinaia e centinaia di lavoratori che lavorano in smart

working. Che lavorano da soli a casa, tempestati di telefonate di clienti, al 99% dei casi imbufaliti,

perché uno che chiama un contact center non chiama per dire, ah, volevo solo dirvi che sono

soddisfatto del servizio che mi erogate. Generalmente chiama per scaricare forti,

a volte condivisibili, a volte lecite frustrazioni. Ecco, attorno allo smart working, concludo,

concludo, si rincorrono narrazioni al limite del surreale, dalle stesse immagini, anche dal

punto di vista delle immagini. Provate a fare una ricerca di smart working su Google e poi

selezionate immagini. Ti esce quello che sta sulla spiaggia, ti esce quello che sta in montagna,

quello che sta nella casa bellissima. Lo smart working acuisce le differenze,

contrariamente a quanto stabilisce l'articolo 3 della Costituzione, perché le case degli

italiani sono diverse. Fare smart working a casa mia o fare smart working a casa di Agnelli non è

la stessa cosa. Su cose molto diverse. Quindi acuisce le differenze lo smart working. E questo

è un elemento che noi dobbiamo considerare. La differenza tra normativa e smart working e

telelavoro sta anche in questo. In materia di smart working il datore di lavoro ha l'unico

obbligo di informare i lavoratori circa i rischi in materia di salute e sicurezza. Questo non

avviene nel telelavoro. Ecco, sono tutti aspetti che vanno ampiamente trattati e quindi, insomma,

questo libro è stata un'occasione per poterlo fare e questo confronto ne è un'altra.

Bene, grazie. Samiro insiste molto sulla questione dell'isolamento, dell'atomismo,

diciamo, che è un'accelerazione dell'uso del smart working generalizzata potrebbe comportare.

Anche mettendola, forse, si potrebbe mettere insieme con alcune posizioni che emergono e

che sono esplicite sul cosiddetto great reset. Penso al libro di Klaus Schwab, il direttore di

Davos, quindi dei riconi del mondo, che delinea un resettaggio mondiale, globale, utilizzando la

finestra di opportunità, come viene definita da loro, del coronavirus. Poi, se si va a vedere,

al di dentro di tanta retorica, anche così, persino solidaristica progressiva, apparentemente,

poi però, andando al sodo, si trova che c'è fondamentalmente lo smart working e le grandi

reti del commercio internazionale, dell'e-commerce e giganti del web. Il che è un po' qualche,

io sarò malevolo, ma qualche dubbio lo fa venire. Mi è venuta in mente questa categoria, però ora

passo subito la parola a Cesare Ramiano, però la cosa forse, penso che risuonerà,

li farà piacere, forse perché subito mi è venuta in mente la categoria di rivoluzione passiva. Non

vorrei che questa accelerazione fosse l'occasione per uscire dalla crisi del neoliberismo ancora

peggio. Così provocatoriamente gli lancio la palla. È quello che io temo. Io in questi giorni

mi sforzo di dire una cosa apparentemente semplice. Mi auguro che questa transizione,

la nuova parola di moda, dopo quella bruttissima parola che era Ristori, che vuol dire una

restituzione dei risorsi, una ricompensa agli stori. Comunque questa transizione,

che viene aggettivata transizione ecologica, transizione digitale, transizione infrastrutturale,

sia che si tratti di infrastrutture materiali o immateriali, mi auguro che sia anche una

transizione sociale. Io sono un antiliberista storico, sono un keynesiano convinto come molti

sanno e non vorrei che questa montagna di risorse sulle quali stiamo discutendo,

che ammontano complessivamente secondo le ricerche del mio centro studi di lavoro

welfare, a più di 400 miliardi di euro, tra quello che è stato speso e quello che verrà

speso, faccio presente che dall'inizio della pandemia ad oggi sono stati spesi barra stanziati

almeno 150 miliardi a sostegno delle imprese del lavoro, già stanziati spesi, altri 200 nei prossimi

cinque anni, aggiungiamo i prossimi scostamenti di bilancio, non abbiamo ottimizzato il MES,

altri 36, la Banca Europea degli investimenti altri 40, il SURE non è tutto consumato,

altri 26, quindi questa montagna di risorse fosse semplicemente una spinta quantitativa

alla ripartenza e non una spinta qualitativa con il rischio di essere ancora peggio del

trentennio neoliberista. Lo dico perché io faccio un paragone con gli anni 60,

avevamo il boom dell'economia, ero un ragazzino avevo 12 anni nel 60, 60, 61, 62 crescevamo al

ritmo della Cina, gli anziani ricordano, voi non lo ricordate perché siete ragazzi,

che all'epoca c'era Canzonissima, nel 62 a dirigere Canzonissima c'erano Dario Fo e Frank Aramio,

in uno sketch loro parlavano delle cadute dall'alto del lavoratore dell'edilizia che non

aveva le imbragature, le coperture, le tutele, l'impalcatura e quindi parlavano all'epoca di

questa forma avida di capitalismo nella crescita, nel boom dell'economia, del resto questa forma di

capitalismo avido la vediamo ai giorni nostri, abbiamo degli esempi recenti, dell'altro ieri il

Ponte Morandi, di qualche giorno fa della funivia, pare che siamo delle forme aberranti, avide,

crudeli di capitalismo, che non ha niente a che vedere col sano profitto, direbbero i protestanti.

E che cosa successe? Per quello sketch nel 62 Dario Fo e Frank Aramio furono cacciati dalla RAI,

perché parlavano di morti sul lavoro. Ora dico a Savino, sui morti sul lavoro,

io che ho la memoria storica voglio solo ricordarti che nel boom degli anni 60 morivano

ogni anno 4.000 persone, 11 al giorno, poi siamo arrivati al 2008 con 1.600 morti al giorno,

all'inizio degli anni 2000. Poi dopo il decreto 81 di cui sono padre, il testo unico sulla salute e

sicurezza, siamo passati a 1.000, una cifra enorme, 4.000, 1.600, 1.000, cifra enorme.

Però qualcosa è successo nel frattempo, qualcosa è successo, io sono ancora orgoglioso del fatto

che come Ministro del Lavoro accanto al decreto ho messo alcune norme, ho messo la norma della

comunicazione obbligatoria dell'inizio lavoro prima che si comincia a lavorare. Vi ricordate

che prima di quella norma che io ho messo a quel tempo, l'INAIL si trovava di fronte in modo

inaspettato a un cumulo di morti di circa 50 anni che morivano nel primo giorno di lavoro e

chi erano? Venivano regolarizzati i post mortem perché erano al nero. La comunicazione obbligatoria

ha debellato quella piaga medioevale. Sono contento che vanno messa una norma nella

quale si diceva che se un'azienda viene sorpresa ad avere più del 20% di lavoratori al nero,

si sospende istantaneamente l'attività. Io ho sospeso 5.000 aziende, mi hanno accusato di tutto,

di voler lavorare contro l'impresa, mai avuto questa vocazione. 2500 hanno regolarizzato,

2500 sono scomparse perché vivevano esclusivamente di lavoro nero, di mancanza di sicurezza. Quindi

abbiamo dei modelli alle spalle che sono dei modelli poco virtuosi. Ed è vero che nell'ultimo

trentennio, partiamo da Treu, che in realtà con quel pacchetto come fu definito all'epoca

disciplinò esclusivamente il lavoro interinale. L'unica cosa che fece Treu fu la disciplina del

lavoro interinale che esisteva in tutta l'Europa, quella modalità nel resto del mondo fu disciplinato

in ritardo in Italia. Devo dire che io contro il lavoro interinale non ho mai detto molto,

se non contro la parte di agenzie che lavorano in modo non trasparente ci sono, ma la gran parte

risponde ad una questione, il mio mantra è sempre stato che la flessibilità deve costare di più.

Quando tu prendi un lavoratore in interinale, ma può essere anche una collaboratrice familiare,

come mi è capitato, anziché pagare 10 euro all'ora paghi 20 euro all'ora. Lo scambio e pago

e ho un tempo a disposizione che non è sotto la mia responsabilità perché c'è un terzo che lo

gestisce, ma quando la flessibilità costa il doppio va bene. E quando, come è capitato negli

ultimi 30 anni, persino la legislazione, complice anche la sinistra in alcuni casi, ha fatto costare

addirittura meno il lavoro flessibile rispetto al lavoro stabile a tempo indeterminato per quel

poco che è rimasto di stabilità del lavoro. Quindi alle spalle abbiamo la disgregazione

della comunità e come? Io direi abbiamo la disgregazione del mercato del lavoro. I flussi

in ingresso, non dico lo stocco occupazionale che ovviamente ha un andamento diverso, prevale ancora

il tempo indeterminato, ma i flussi, quelli che stanno arrivando, sono prevalentemente flessibili

precari. E' evidente, lì è avvenuta la disgregazione. Del resto nel tuo libro Savino

tu citi splendidamente quella frase che ha pronunciato Monti quando uno dice che i giovani

devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. Del resto,

diciamo la verità, che monotonia un posto fisso per tutta la vita? E' più bello cambiare,

avere delle sfide, come se i lavori fossero lì a disposizione. Io sono entrato a lavorare il primo

ottobre del 1968, avevo tretto il palazzo uffici SKF 800 impiegati, avevo conseguito la maturità,

avevo 20 anni, avevo 5 offerte di lavoro, banche, assicurazioni, industrie, 5 offerte di lavoro a

tempo indeterminato. Dopo un mese di ingresso lì ero a tempo indeterminato, i miei colleghi sono

rimasti in quarant'anni, non si sono annoiati, si sono rassicurati. Qui stiamo in una situazione

in cui vince l'estremismo, che scambia il posto fisso di Checco Zalone con la ragionevole continuità

del lavoro, che io credo che debba tornare ad essere una rivendicazione. Io ho fatto con Mimmo

Carriere un libro che è appena uscito, come cambia il lavoro nell'era del Covid, ma non è che devo

fare propaganda, è un libro fuori mercato, è semplicemente di studio, perché sono carriere

della sapienza, abbiamo studiato l'impatto del Covid sul lavoro. I lavoratori in lavoro agile

sono prevalentemente soddisfatti, avvoca popoli e soddisfazioni, al tempo stesso insicurezza e

paura, paura della propria condizione generale, non di quella modalità di lavoro. Se c'è da

preoccuparsi non l'hanno ancora percepito. L'indagine che abbiamo condotto in INAIL,

tra i lavoratori obbligati allo smart, e per favore non fateci tornare in presenza. Vox

Populi va in quella direzione, che poi noi dobbiamo anche leggere dietro. Dopodiché,

alle spalle abbiamo un mercato del lavoro che si è disgregato, frammentato, il fallimento

dell'inganno della Flex Security, che è stata una flessibilità senza sicurezza,

la Flex Insecurity. Io non ho mai condiviso, pur rispettando la figura di Marco Biagi,

il rispetto è anche la chiarezza delle idee culturali, la legge Biagi, la legge 30,

ho ritenuto che non andasse nella direzione da me auspicata, ho combattuto cercando di

riportare delle correzioni in Parlamento contro il Jobs Act prima edizione e devo dire

che abbiamo semplicemente fatto qualche correzione. Mi conforta, ho scritto un saggio su questo

punto, il fatto che di recente alcune sentenze della Corte Costituzionale abbiano giudicato

incostituzionali sia l'articolo 3,1 del Jobs Act, laddove il risarcimento è legato

all'anzianità e quindi si restituisce al giudice la potestà di definire il risarcimento

in relazione al contesto in cui avviene il licenziamento e abbiano definito anche il

legittimo, la norma della stessa legge Fornero, l'impossibilità della reintegra nel posto

di lavoro, l'idea che quando un licenziamento, qualsiasi sia la natura di questo licenziamento,

sia illegittimo, anche economicamente parlando, la reintegra debba essere nella disponibilità

del giudice. Qualche passo la Corte lo sta facendo in barba alle leggi che abbiamo.

Questo abbiamo alle spalle, purtroppo, e di fronte a noi c'è l'intelligenza artificiale

e adesso noi siamo in mezzo perché l'intelligenza artificiale. Savino dovrebbe scrivere un altro

libro contro l'intelligenza artificiale per dire il giorno in cui i robot sostituiranno

sulla linea di montaggio i lavoratori che cosa succederà, meno incidenti sul lavoro sicuramente,

ma anche meno posti di lavoro. Non sappiamo, poi anche qui c'è chi dice che l'impatto della

transizione ecologico-digitale farà più lavoro, meno lavoro, più occupati, più disoccupati. Lo

vedremo e lo studieremo. Allora, arrivando a noi, ci scambiamo un po' i ruoli perché mi pare che tu

sei un giovanotto molto intelligente e, come si è stato definito, molto agguerrito. Ne avessimo di

persone come te perché hai l'irruenza che io avevo la tua età. Alle volte sei un po' estremista,

come io ero alla tua età. Io ero estremista. Poi mi sono iscritto al Partito Comunista nel 1975 e

come si dice ho perso l'estremismo. Giustamente io appartengo a quelle grandi scuole di formazione

politico-culturale sindacale, il Partito Comunista. Era una scuola di vita, di cultura, di politica,

di istituzionale. Ti insegnavano, ti guidavano, ti facevano provare. Dovevi studiare tanto,

c'era una selezione feroce e avevo la tua irruenza. Ero un estremista prima. Poi pian pianino

si cambia. Non sei un estremista, tu sei agguerrito. Non penso che tu sia un estremista,

anzi il libro è molto bello, è molto stimolante e l'ho letto con piacere perché utilizzerò anche

alcune cose che hai scritto nelle mie discussioni. Allora, detto questo, è evidente che io e te

dobbiamo scambiarci i ruoli. Tu sei il parlamentare, io torno a fare il sindacalista.

Tu dai degli stimoli più culturali, io sono più terra-terra in questa discussione. Allora ti dico,

negoziare. Hai ragione tu, facciamo attenzione a quello che succede. Evidente, è dimostrato che il

lavoro agile aumenta la produttività del lavoro. Evidente, ma io credo che sia certificato. Le

recenti indagini di stottisfazione e insicurezza per la condizione di lavoro in generale,

per la condizione materiale, perché tutti percepiscono che ci sono i lavoratori poveri

e i pensionati poveri, cosa che non succedeva alla mia generazione, aumenta la produttività.

Allora, io dico, negoziare partendo da un punto. Cambia la nozione dell'ora lavorata. Io sono uno

che ho vissuto sulle catene di montaggio, le ho studiate, quelle della Fiat. Lì c'era il ritmo,

tre secondi a vita per otto ore. Adesso c'è l'algoritmo. Lì c'era il caposquadra,

l'algoritmo e la pedalata del rider. Quindi, nel lavoro agile, la mutazione della remunerazione

è che quell'ora lavorata si trasforma in obiettivo. Io spero che non ci sia una torsione maledetta

nella quale qualcuno sarà portato a dire che così non è più lavoro dipendente, ma diventa

lavoro autonomo. Occhio alla penna. Quindi, da lavoro dipendente a lavoro indipendente.

Quindi, il cambiamento di nozione del lavoro da ritmo a obiettivo, prima questione. La questione

diciamo della concezione del pagamento. Secondo, è evidente che aumenta la produttività, perché se tu

hai una piccola febbre, la febbre di ciatola, e sei in lavoro agile, lavori con la febbre. Non

fai la mutua, come si diceva una volta. Non prendi la giornata di malattia che ti compete. Non fai

l'istraordinario, se sei l'obiettivo. Pensa che risparmio. Se il 30% è in lavoro agile, vuol dire

che risparmi il 15% dello spazio. Quindi, pensa che risparmio di affitti. Pensa che risparmio di

energia. Allora, noi a Rinald ci stiamo ponendo questo problema. Io dico, il problema non è il

buono pasto, che effettivamente non ne paga. È un'indennità legata a un evento, il pasto. Ma

tutto quello che ho detto, tutto quel monte di risparmi, trasformiamolo in quota parte,

in beneficio che aumenta il premio di produttività. Cioè bisogna rinegoziare i premi di produttività

per aumentarli in relazione ai risparmi conseguiti con la nuova modalità organizzativa. Non la lasci

solo da una parte, la distribuisci. Io penso che questo sia un punto. Fermo restando,

parliamoci chiaro, questa pandemia ci costringerà a fare i conti con le pandemie. Io ho fatto il

Covid, ho fatto la puntura antinfluenzale, antipolmonite e AstraZeneca. Sono un virus

vivente. Mi sono misurato, dovrei avere più di 38 di indice o 3000. Io sono un anticorpo.

Allora, qual è il punto perché parlo di questa faccenda? Noi saremmo costretti,

in questa situazione, ogni anno a fare il richiamo a vaccinarci come vaccinavamo quelli

più anziani contro l'influenza. Le pandemie ci saranno la riprogettazione dei luoghi di lavoro,

smart e non smart. Ci saranno più spazi, la reazione nelle aule in cui si insegna,

ai bambini o alle università, negli ospedali, il rifare tutta l'impiantistica perché dovrei

avere l'aria sanificata in permanenza, le distanze fra un lavoratore e un altro,

la catena di montaggio. Se la distanza è un metro deve diventare due metri,

ma se diventa due metri è metà produzione o raddoppio dei turni. Ammesso che tu non faccia

già due turni. Non parlo delle banche, parlo della Fiat. Non c'è più FCA, quel che è rimasto.

Quindi è evidente che qui c'è una riprogettazione che per il sindacato può essere un terreno molto

secondo, sempre che questo tasso di innovazione sociale, di transizione sociale ci sia. E io

sono molto preoccupato perché da quello che vedo, per fortuna, il governo ha detto che dal

codice degli appalti scompare la reintroduzione del massimo ribasso. Tiro un respiro di sollievo,

perché il massimo ribasso è un cancro. Io spero che non si alzi la percentuale

dei subappalti, perché la percentuale dei subappalti sappiamo che cosa significa. Io

spero che si migliore ancora un po' la normativa. Io ad esempio penso che per quanto riguarda la

questione blocco dei licenziamenti, sia sbagliato che scada a giugno il blocco dei licenziamenti.

La proposta di Orlando era giusta, andiamo fino ad agosto. Si trattava di fare una semplice

operazione di sincronia, altri due mesi di cassa integrazione covid gratis, come abbiamo fatto

per il recente passato, perché lo scambio è stato di mettere 20 miliardi che abbiamo

speso di cassa covid gratis in cambio tu non licenzi. Questo è stato lo scambio. Andava

fatto fino alla fine di agosto, quello scambio, sapendo che siamo già a giugno. Aggiungevi

luglio in cassa integrazione, ad agosto non ci vai perché ci sono le ferie, quindi avremo avuto

con un miliardo, una spesa di un miliardo, abbiamo il sure che ci arriva, che sono tanti

miliardi, abbiamo preso più di tutti in Europa, avremo avuto la possibilità di aggiustarla. Per

questo io insisto molto sul fatto che questa transizione abbia anche un elemento sociale

al suo interno, così come sulla prevenzione. Investire soldi per prevenire gli incidenti.

Sapete come funziona? I soldi si mettono sulla carta ma non si spendono e quando non si spendono,

anziché fare prevenzione, diminuiscono il peso del debito dello Stato. Io mi sono stancato,

perché se faccio l'elenco di tutte le misure di prevenzione che abbiamo avuto, compresa la

pensione flessibile dagli esodati, a quota 100, all'appe sociale, a opzione donna, ai lavori

usuranti, state pur certi, conti alla mano, abbiamo messo il 100 e abbiamo speso il 50.

E quello che è avanzato non è stato impiegato per una moral suasion, per fare prevenzione,

è tornato alla tesoreria dello Stato per diminuire il debito. E allora fare prevenzione,

spendere i soldi e poi alla fine diminuire il debito, per carità il debito va diminuito,

ma non diminuiamolo non utilizzando la spesa sociale, perché le norme sono troppo restrittive.

Quindi qui c'è veramente un nuovo paradigma da riscrivere. Lì dentro, sullo smart working,

io adesso faccio il sindacalista e Savino fa il politico, ci siamo scambiati i ruoli,

lui fa le leggi, io faccio la contrattazione, io dico contrattiamo le migliori condizioni per

evitare che quella misura, come si dice, si volga contro di noi, che si corrono quei pericoli che

giustamente vengono evidenziati in questo libro molto interessante.

Eccolo, è ritornato, è riuscito per un momento il politico Savino Balzano,

adesso ha il compito di tradurre il proposto, non è facile. Sì, è chiuso molto d'accordo sulla

centralità della questione sociale e direi anche delle garanzie democratiche di libertà.

Allora io ci provo…

Con le modernizzazioni si finisce male, diciamo, perché a volte sono devianti. Ti sentiamo e non

ti vediamo, te vedevamo prima, ora ti rivediamo un po'.

Io sono mortificato ma c'è stato un blackout.

Ah, ok. Riesci a parlare? C'è un problema di linea.

Io ti passerei, se è possibile, oppure te li colleghi con il cellulare,

se hai un problema di connessione.

Io sono mortificato ma c'è stato un blackout nel quartiere e la connessione…

Però noi ti sentiamo, ti vediamo un po' offuscato, però ti sentiamo. Forse perché hai cambiato

mestiere, sei stato politico e quindi ti si vede in maniera meno nitida, più offuscata.

Allora io ci provo, provo a rispondere.

Mi sentite?

Sì.

Ok, allora, veramente in ordine sparso perché l'Onorevole Damiano ha sottolineato tanti

aspetti. Prima di tutto, sono molto contento che abbia letto il mio libro e che lo voglia

utilizzare. Vuol dire che il libro, l'obiettivo che c'eravamo posti anche con la casa editrice,

è stato raggiunto, cioè animare il dibattito e quindi creare un libro che invitasse alla

militanza e alla partecipazione. Sono molto contento, vuol dire, di aver in qualche modo

interessato l'Onorevole Damiano e rispetto anche al fatto che voglio utilizzare certi

contenuti. È inutile stare a, come dire, a sottolineare eccessivamente ciò che ci divide.

Ho un'idea molto diversa del lavoro interinale. Il mio rapporto di lavoro è fatto di due persone.

Quando si interpone l'agenzia di somministrazione io provo una certa orticaria. Parlate con

un sindacalista che ha iniziato a fare sindacato con un contratto precario. Quindi, diciamo,

abbastanza puntuto, diciamo, nelle mie idee. Quindi, ripeto, il lavoro di somministrazione,

soprattutto se a tempo indeterminato, il cosiddetto staff leasing, mi vede veramente

contrario. Ho un'altra idea circa il livello di soddisfazione dei lavoratori in smart working.

Io percepisco altro. Parlo quotidianamente con i lavoratori e percepisco sensazioni molto

differenti. La produttività aumenta, certo aumenta, però non sono registrate tutte le

ore di lavoro che i lavoratori svolgono in smart working, perché lavorano di più e

molte di queste ore non vengono registrate. Argomento tutto perché ho paura che salti

la connessione, quindi vorrei citare almeno i punti principali. Il ruolo dei giovani mi

ha colpito il riferimento dell'onorevole Damiano al ruolo dei giovani e vi racconto

che questa mattina, perché ieri sono stato fortemente criticato circa il fatto che un

giovane come me, 34 anni, abbia un po' questo atteggiamento contrario a questa innovazione

tecnologica dello smart working. Invece vi racconto che questa mattina sono stato contattato

da una studentessa universitaria, tra l'altro mi è apparsa stare molto sul pezzo, che sta

facendo una tesi magistrale all'università e voleva dialogare con me circa l'impatto

che le nuove tecnologie hanno sulla contrattazione collettiva e sulle dinamiche sindacali e salariali.

Penso che i giovani, forse per la loro forte sensibilità alle tematiche della tecnologia,

possano essere quelli che vedono più lontano i rischi che questo sistema può avere sui

diritti delle persone. La tecnologia non deve governarci, la tecnologia apre scenari e noi

decidiamo che cosa fare della tecnologia, quale direzione intraprendere. La tecnologia

può essere utilizzata per efficientare i processi, per meglio conciliare i tempi di

vita e il lavoro, ma può anche essere utilizzata per introdurre come avviene quotidianamente

per ricaccia e azione di controllo a distanza della vita dei lavoratori. Questo lo dobbiamo

impedire, la tecnologia va declinata secondo la direzione che noi scegliamo e che reputiamo

opportuna. Su una cosa sono veramente d'accordo con l'onorevole Damiano e voglio sottolineare,

è importante il ruolo dello Stato, è fondamentale il ruolo dello Stato. Non possiamo affidare

allo smart working il compito di abbattere il livello di inquinamento, possiamo affidare

allo smart working il compito di risolvere il problema del traffico nelle nostre città,

non possiamo affidare allo smart working il compito di tenere gente a casa che assista

gli anziani o che assista i bambini. Questo supporto deve provenire dallo Stato, dal welfare

state, non da lavoro agile tenendo la gente a casa che va a supplire il ruolo dello Stato

e delle istituzioni. Quindi questo è un altro aspetto che secondo me va fortemente enfatizzato

e va osteggiata questa idea per cui lo smart working sia la soluzione ad ogni problema.

Mi sentite ancora? Ulteriore aspetto relativamente ai morti sul lavoro. Certo, i morti sul lavoro

sono diminuiti anche per la normativa. Io stesso, come dire, ho sottolineato gli aspetti

positivi di quelle norme ma ricordiamo anche che è lo sviluppo tecnologico che riduce

anche l'impatto dei morti sul lavoro. Questo è un elemento che noi dobbiamo considerare.

Resta inteso il fatto che comunque i numeri che caratterizzano la nostra cronaca, come

giustamente diceva l'onorevole Damiano, sono numeri altissimi e questo non possiamo più

permettercelo, non possiamo più accettarlo, non è da paese civile e dobbiamo continuare

ad impegnarci su questo. Sarebbero veramente tante le cose da trattare, il tema della disconnessione,

come vedete peraltro affidarsi alla tecnologia, come questa diretta ci sta dimostrando, è

anche un po' rischioso perché poi quando la tecnologia ti abbandona il nostro rapporto

umano è in pericolo e questa presentazione è in pericolo perché il blackout nel quartiere

mette a repentaglio la mia connessione internet e c'è il rischio che io possa perdere il

privilegio di continuare a dialogare con voi e a dialogare con la gente che con pazienza

ci sta ascoltando. Quindi facciamo attenzione. Un ultimo aspetto, Nello, davvero, il risparmio.

L'on. Damiano citava il risparmio. Il risparmio ha una funzione politica. Questo risparmio

va socializzato perché negli anni scorsi, va socializzato anche con istituti retributivi,

perché negli anni scorsi nei piani industriali hanno chiesto ai lavoratori, le grandi aziende,

sacrifici immensi per rilanciare le aziende. Quindi si è creata una commissione tra capitale

e lavoro. Questa commissione invece la si vuole abbandonare quando la grande multinazionale

vuole afferrare e arraffare tutto il risparmio derivante dallo smart working. Anche su questo

dobbiamo riflettere. Ecco, una bella legge che dia sostegno alla contrattazione collettiva che

poi dovrà fare la sua parte. Ci sono tanti interventi. A me sembra che, con molti commenti

più che domande, emerge una spaccatura. C'è chi dice, no ma in fondo io nel smart working ci sto

benissimo. Però bisogna capire che cosa vuol dire. Cioè se è un mero ripiegamento individualistico,

privatistico, oppure se è anche una valutazione degli impatti complessivi a lungo termine sul

lavoro, sui luoghi di lavoro, sui diritti, sui legami con gli altri. E altri invece,

in maniera molto dura, sottolineano alcune cose che sono già state dette, cioè l'effetto di

isolamento, precarizzazione ulteriore di solitudine del lavoratore. Il fatto che succeda

la solidarietà tra i lavoratori e anche poi altri aspetti, ovvero il fatto che di fatto si lavora

di più, la distinzione tra tempi di vita e tempi di lavoro. E quindi anche la sfera

dell'autonomia personale, privata, viene toccata pesantemente. E diciamo il fatto che in qualche

modo tutta una serie di spese, anche legate alle utenze domestiche, oppure il fatto che di fatto

la possibilità di fare strani ordinari viene tolta, incida presuntamente. Poi ci sarebbe da

fare tutto il discorso, ora non mi ci metto, ma entrerei in campo sull'università dove insegno,

o anche mi pare nella scuola, ma l'università è ancora più forte e c'è quest'idea che la

comunità non conta. Cioè ciò che ha fatto l'università, quella che è la sua identità

da mille anni, è irrilevante. Un millennio di civilizzazione viene spazzato via come niente

fosse, mettendoci al posto delle caricature di università. Queste sono le telematiche. Per me

questo è fuori dal mondo, io su questo sono pronto a fare una battaglia furiosa. Qui mi tolgo dal

ruolo di moderatore e entro in campo forse più agguerrito di Savino. Certamente le cose che diceva

Cesare Damiano sono importanti nel senso di dire che gestiamo questa cosa tenendo presente dei

principi di fondo, diciamo di solidarietà sociale. Io sono d'accordo e quindi non rifiutiamola a

priori. Naturalmente io un'inquietudine ce l'ho perché vedo un rischio di decivilizzazione,

di modernizzazione deviante, di strisciante isolamento, di ripiegamento privatistico,

che quindi è una questione di filosofia politica, diciamo così, di filosofia sociale. Per cui,

come dire, certo la politica del diritto conta, certo l'immaginare delle regole adeguate può

limitare, fare da freno rispetto a rischi, benissimo. C'è forse anche una questione più

di fondo, cioè che il dubbio di essere di fronte a una transizione epocale decivilizzante,

che passivizza la cittadinanza e l'elemento del lavoro è centrale nella cittadinanza,

e che francamente azzera lo spazio della rivendicabilità dei diritti come collettivo.

Perché se uno ragione in termini singoli e dice vabbè ma io come singolo me la risolvo da solo,

perché magari sono in una posizione di forza, è comodo, ma quello non so i diritti, è un'altra

cosa, è un regresso neofeudale. Va bene, me l'avete provocato, come diceva qualcuno. Però,

insomma, alla fine, vedendo i commenti, effettivamente tende a riprodursi uno schema

molto binario e quasi apocalittico integrato, in effetti. Un'ultima battuta, diciamo così,

sia a Damiano che a Savino e poi chiudiamo ringraziandomi.

Battuta libera. Allora, essendomi formato in gioventù sui libri di Marcuse, di Baransuisi

e di Gorz, non ho dubbi come Savino sulla non neutralità della scienza e della tecnica.

Evidente. So perfettamente che va indirizzata e governata politicamente. Io sono per il primato

della politica. Seconda questione, tra i diritti contrattuali, oltre che contenuti

nell'impianto legislativo, c'è il diritto del lavoratore a dare il proprio consenso

nell'aderire a quella modalità di lavoro. Lasciamo fuori il momento dell'emergenza che

ha cancellato quel consenso, ma è emergenza alla normalità che quel lavoratore che svolge

quel lavoro da dipendente con gli stessi diritti del collega che sta in presenza lo fa attraverso

un consenso tra lui e il datore di lavoro. Inoltre, la legge stabilisce anche la durata

dell'orario di lavoro. Il miglioramento della produttività deriva dall'intensità della

prestazione, dei tempi morti che si guadagnano. Poi se il lavoratore sfora sponte sua o il

datore di lavoro invita a sforare. Questo sta nel campo dei milioni di casi che un sindacalista

esamina tutti i giorni di inosservanza delle regole dei dispositivi. Per quanto riguarda

i morti sul lavoro, è evidente che lo sviluppo tecnologico ha influito. Io quando ho cominciato

a vedere le linee di montaggio vi ricordo che gli operai che montavano nella carrozzeria alla

porta 2 di Mirafiori, la parte finale, assemblavano la carrozzeria al pianale, lavoravano otto ore

dentro le fosse a braccia alzate, avvitavano a braccia alzate. Poi la lotta sindacale ha costretto

ad adottare il cosiddetto modello svedese, il modello Volvo. Scomparse le fosse, l'operaio

era all'altezza dell'automobile, un robot girava l'automobile e l'avvitamento era orizzontale.

Tu stai otto ore, poi sono diventate sette e mezzo nel 1978 con la mezz'ora conquistata per la

messa dietro l'orario di lavoro. Fai la differenza tra otto ore a braccia alzata ad avvitare con un

avvitatore elettronico o elettrico del tempo e a braccia orizzontale, una bella differenza. Pensate

alla verniciatura dell'automobile, poi pensate allo spruzzo a mano con la mascherina. Eri andato

in pensione lunedì e rimorto il martedì con i polmoni bruciati, adesso ci sono le cabine di

verniciatura con il silicone che le sigilla e il robot di verniciatura che vernicia al posto

dell'operaio. Potrei fare altri miglia esempi, ma quelli sono anche i risultati non solo dell'azione

unilaterale, lungimirante del datore di lavoro, dell'imprenditore, della lotta sindacale,

della contrattazione del sindacato. Quindi io insisto su questo punto. C'è un attore importante,

il sindacato, le parti sociali. Io sono poco convinto, Savino, che sia necessario fare un'altra

legge in queste condizioni dello sconsiglio. Fare una legge sullo smartphone lascia perdere.

Teniamoci quell'impianto fragile e contrattate, fedetevela a voi, soprattutto nei settori come

i vostri, che sono molto organizzati, in modo tale che ci sia poi qualcosa che assomiglia ad un

accordo interconfederale che vale per l'insieme dei laboratori. Io prediligerei personalmente non

la legge ma la contrattazione. Ho molta fiducia nella contrattazione. Poi è dura. Tu sei figlio

di Di Vittorio, come me. Di Vittorio nel 1956 fa l'autocritica e dice in quel famoso direttivo

della CGL, a proposito della sconfitta della fioma alle elezioni di commissione interna alla Fiat,

ha detto «Cari compagni e cari compagni, è vero che ci hanno messo nei reparti confino,

perché eravamo iscritti alla CGL e fra parenti dal Partito Comunista e Socialista, è vero che

ci hanno discriminati, è vero che hanno contato i voti che dovevano essere segreti per le elezioni

delle commissioni interne perché impedivano di mescolare le schede, è vero che ci hanno

minacciato il licenziamento, è vero che ci hanno umiliati nel lavoro perché difendevano i diritti

dei lavoratori». Ma quella sconfitta non è solo figlia della repressione padronale di Valletta

degli anni 54-55, è anche figlia del fatto che non abbiamo compreso che stava arrivando una

modalità di lavoro, il forte ilorismo, la catena di montaggio che ci obbligava, e non l'abbiamo

fatto, non a predicare il socialismo ma a contrattare i secondi sulla catena di montaggio,

le pause, i carichi di lavoro, la paga legata alla prestazione, i premi di produttività,

e noi questo non l'abbiamo fatto e anche questo è un elemento della nostra sconfitta,

noi siamo figli di quella storia lì. Quindi io penso che l'azione del sindacato sia un'azione

molto importante e anche in questa circostanza con tutti i dubbi, le paure, le preoccupazioni,

dobbiamo fare i conti con questa modalità, è una modalità che c'è inarrestabile,

regolamentarla contrattualmente secondo me è la via maestra, naturalmente questa è un'opinione

garbata in una bellissima discussione che abbiamo fatto oggi.

Prima di passare la palla a Savino, voglio dire molto brevemente due cose, una cosa che

viene chiesta a me in qualche modo, quale sarebbe la differenza tra lezioni in presenza

fisica e lezioni in presenza digitale con comunità digitali? Molto semplice, le comunità

digitali sono fittizie, non esistono, sono dei surrogati, una posizione di genere presuppone

l'idea che fare lezione sia trasmettere nozioncine liofilizzate e preconfezionate in un vaso vuoto e

totalmente inerte, non è questo il rapporto tra docente e studente, fra maestro e allievo,

non è così che si costruisce un sapere, innanzitutto si insegna cos'è la costruzione

di un sapere, lo si può sperimentare solo in una comunità reale, di questo sono convintissimo

che sia un tema di civiltà, tra l'altro le non comunità, le comunità fittizie sono veicolo di

spoliticizzazione e di passivizzazione e quindi hanno un effetto poveroso non solo dal punto di

vista del sapere ma dal punto di vista politico, diciamo così, democratico. Questa è una parentesi

mia a cui tengo moltissimo, aggiungo però che c'era una domanda di Anna Cavaliere che credo sia

molto importante, una domanda, una sottolineatura, il lavoro di cura è il lavoro e quindi non è

conciliabile con lo smart working, cioè come si mette insieme il lavoro di cura con lo smart

working? A Savino? Ci sono infatti delle attività che non possono assolutamente essere delegate allo

smart working, non tutto il lavoro evidentemente è riconducibile al lavoro agile, peraltro lo stesso

onorevole Damiano giustamente sottolineava come la cornice della legge del 2017 sia una cornice

fragile ed è una cornice che lascia spazi dal mio punto di vista davvero inquietanti, vedete il

punto è questo, cercare di capire, cercare di prevedere come l'onorevole Damiano giustamente ci

invita a fare, qual è la direzione che si sta intraprendendo? Nel piano COLAO che è un documento

che ha una certa importanza evidentemente rispetto a quelle che sono le traiettorie che si rischia

di intraprendere, vuole il superamento del tempo massimo di lavoro, c'è scritto, si pone questo

obiettivo negli cosiddetti stati generali, si puntava a questo, se prendiamo l'accordo sottoscritto

tra i sindacati a cui io faccio orgogliosamente parte, di cui io faccio orgogliosamente parte,

ma nei confronti di quali io sono ipercritico, se prendiamo l'accordo del 10 marzo scorso

sottoscritto da sindacati e governo, lì si ambisce, c'è scritto, ad un lavoro agile che eviti l'iper

regolamentazione, c'è un lavoro agile che non sia particolarmente regolamentato nell'ambito di un

lavoro agile che lo stesso Cesare Damiano colloca all'interno di una cornice fragile,

quali sono gli effetti di questa visione, di questa impostazione? Per me sono effetti assai

pericolosi. La contrattazione collettiva, ma certamente onorevole, su questo noi siamo

d'accordo, io sono un sindacalista, io credo nel sindacato, follemente, ciecamente, il sindacato ha

una funzione sociale fondamentale, chi parla di rappresentanza diretta nei luoghi di lavoro,

non ha idea di che cosa significa rappresentare i diritti dei lavoratori, parla senza cognizione

di causa, il ruolo di rappresentanza di contrattazione del sindacato è fondamentale,

peraltro tutelato all'articolo 39 della Costituzione, ma ci sono tanti ambiti nei

quali il sindacato non c'è, tanti ambiti nei quali il sindacato è fragile, tanti ambiti dove il

sindacato non ha la forza di imporre una contrattazione che sia adeguata. Certo, giustamente

l'onorevole Lemiano parlava di accordi interconfederali che possono avere una valenza,

diciamo, stiracchiandoli un pochino erga omnes, ma dal mio punto di vista noto anche il fenomeno

dei contratti pirata, dell'illusione della rappresentanza sindacale, dei contratti, diciamo,

ritagliati un pochino comodamente, anche lì io vedo dei rischi che sono notevoli. Insomma,

lo smart working, se assunto come paradigma ordinario del lavoro, come modello ordinario

e generalizzato di prestazione lavorativa, si presta a rischi incredibili e io, citando anche

quei documenti di cui parlavamo un attimo fa, prevedo con una certa tristezza, con una certa

malinconia che la direzione che si voglia intraprendere è quella. Peraltro, ma guardate,

sarà banale, potrebbe essere anche presa come qualunquista questa mia affermazione conclusiva,

però io voglio far notare una cosa. Io non riesco a individuare, nella volontà soprattutto delle

grandi associazioni datoriali, ma anche di una certa politica, di gran parte della politica,

e su questo l'onorevole Lemiano secondo me siamo d'accordo, tant'è vero che lui mi suggerisce di

evitare di fare una legge in questa fase, quindi evidentemente su questo siamo d'accordo. È tanto

tempo che io non intravedo un'azione di politica pro labor, è tanto tempo che io non intravedo

un'azione politica, ecco appunto, o datoriale illuminata a vantaggio dei lavoratori. E allora,

a me verrebbe da sospettare, spero di essere, come dire, mal fidato, che se si va con l'acceleratore

a tavoletta in quella direzione, probabilmente, ancora una volta e anche in questo caso,

l'intento non è quello di meglio conciliare i nostri tempi di vita di lavoro, farci lavorare

in un ambiente creativo, lontano dallo stress e lontano dallo smog. Probabilmente con questa

carotina che ha delle esternalità positive immediate, ce le ha, è innegabile, però forse

si intende nascondere un altro ortaggio, diciamo, di minor gradimento, mettiamolo in questi termini,

e quindi questo è il rischio che io intravedo e che secondo me rendeva necessario questo libro.

E sottolineo ancora una volta, voglio ringraziare sinceramente l'onorevole Damiano, perché io credo

che sia davvero apprezzabile, lo dico al di là di ogni retorica, il fatto che abbia letto il libro,

che per me non è scontato, lo ha letto, il fatto che abbia, come dire, prende in carico alcune

delle istanze in esso contenute, quindi io lo ringrazio di cuore e spero che questo dialogo

possa continuare nella società civile, come ogni cittadino dovrebbe fare, che questi temi siano

attuali e soprattutto che attorno a questo tema si sviluppi un sano e democratico pluralismo,

che è una cosa di cui abbiamo un disperato bisogno, perché ripeto, la narrazione attorno

al lavoro agile ha del surreale, è sfociata dal mio punto di vista oltre i limiti del grottesco,

quindi io credo che far, come dire, emergere visioni alternative ringrazio ancora chi ha

creduto in questo progetto, perché per me ha prestato un servizio di cittadinanza,

di civiltà, perché è un tema così importante che ha la capacità di impattare così drammaticamente

in positivo e negativo, dipende dai punti di vista del mondo del lavoro, ricordo che la

nostra Costituzione sancisce un rapporto intimo tra lavoro e democrazia all'articolo 1, fatto che

questa modalità di lavoro abbia la capacità di impattare così fortemente questo ambito,

insomma ci chiami all'obbligo di riflettere in merito al lavoro agile con, come dire,

veramente animati da vocazioni democratiche inclusive pluralista. Grazie ancora e grazie

Nevo per aver moderato questo incontro in maniera così... Grazie a voi, stanno arrivando

ancora domande ma dobbiamo chiudere per forza, perché dimostra che la questione è molto

appunto dibattuta, andava affrontata anche prendendola di petto e credo che questa

discussione non avevamo dubbi, l'abbiamo sentata profigua perché se è discusso nel merito sono

emerse delle differenze, sono emerse anche delle affinità, credo che sia emerso soprattutto la

consapevolezza della dimensione sociale e solidaristica e collettiva del lavoro. Certo,

non è tutto quello che è accaduto negli ultimi 30 anni o 40 anni, mi verrebbe da dire, andato in

un altro verso. Facciamo in modo che questo che sta accadendo, che è anche appunto una terra

incognita, non si sa dove si andrà a finire, rappresenti un'occasione di, almeno per quello

che mi riguarda, ma penso siate d'accordo su questo, di un recupero, di una svolta, diciamo così,

rispetto a quello che sono stati gli ultimi 30-40 anni. Va bene, grazie, grazie a tutti.

Grazie, buona serata. Grazie, arrivederci, alla prossima.


'Contro lo smart working' di S. Balzano Gegen intelligente Arbeit" von S. Balzano 'Against smart working' by S. Balzano Contra el trabajo inteligente" de S. Balzano Contra o trabalho inteligente", por S. Balzano Против умной работы" С. Бальзано S. Balzano 的“反对聪明工作”

Buonasera, benvenuti a questa discussione che riguarda un piccolo libro, o a partire

da un piccolo libro ma molto agguerrito, già dal titolo, contro lo smart working, che è

l'altezza pubblicato di recente di Samiro Balzano che è un giovane agguerrito appunto

sindacalista, in realtà è anche uno studioso di cose del lavoro, del rapporto soprattutto

fra il diritto al lavoro, le garanzie connesse al tema del lavoro e la Costituzione, il grande

progetto costituzionale che la Costituzione del 48 rappresenta, cioè qualcosa che è

proiettato in avanti, mi sembra che lui insista molto su questo, è un agguerrito amabile

sindacalista, dice Rignola, questa cosa la dico perché lui ci tiene molto, cioè la

patria di Livittoro, forse sarà quella terra, saranno quelle forze tellure che toglie della

Puglia che gli hanno dato questa spinta a scrivere un pamflette appunto contro lo smart

working. A discutere con lui c'è Cesare D'Abbiano che è stato, penso che in qualche modo ancora un

po' si consideri nel senso che è una matrice originaria troppo importante, sindacalista,

ha avuto responsabilità rilevanti nella CGL e poi però è un politico, è stato, ha avuto

ruolo di governo, è stato ministro del lavoro nel secondo governo Prodi ed appartiene quindi

alla sinistra storica, possiamo dire. Quindi abbiamo due, in teoria uno potrebbe dire ma sono

due figure, uno sindacalista, un altro un ministro del lavoro, ex ministro del lavoro della sinistra

storica, andranno troppo d'accordo, io penso che ci siano alcuni elementi comuni però ci

sono anche delle relazioni di discussione, intuisco, per cui non aspettatevi una cosa così,

in cui tutti, in cui lavoreremo sebbene. Il mio è un compito semplicemente di così, di dare un po'

di alzare la palla e parto con una domanda generale, cioè che è questa, in qualche modo

partirei, forse partirei da Cesare Damiano, gli effetti della pandemia, della crisi del coronavirus

sono stati drammatici da tanti punti di vista, certamente anche sul fronte del lavoro,

si molti sottolineano, io sono d'accordo, che in qualche modo il coronavirus abbia rappresentato

un'accelerazione di processi che erano in atto, però questa accelerazione, ad esempio nel campo

della tecnologia, della tecnologia applicata al lavoro, può anche comportare appunto dei problemi.

La sua posizione qual è rispetto al tema dello smart work? Intanto come dobbiamo intenderlo? Si

differenzia da altre forme come il telelavoro? È un'opportunità? È un rischio? Insomma,

dobbiamo essere apocalittici o integrati? Ora, Savino non dico che sia apocalittico,

però insomma è molto critico. Io partirei appunto da Cesare Damiano per capire qual è la posizione

di chi ha avuto e ha un ruolo istituzionale e che però allo stesso tempo ha un'origine

partigiana, cioè nel senso che è dalla parte del lavoro e dei lavoratori. Molti hanno la

sensazione che lo smart working possa essere un grande problema più che una grande opportunità.

Lei cosa ne pensa? Intanto è giusto quello che lei ha detto, distinguiamo perché si fa una gran

confusione. Il lavoro agile non è il telelavoro, il lavoro agile non è il lavoro da remoto. Quello

praticato fin qui parlo in particolare della pubblica amministrazione non è lavoro agile,

è lavoro costretto da remoto, costretto da una pandemia, penso che sia stata anche una scelta

opportuna. Questa è la prima questione. La seconda questione, io sono stato relatore

della legge nella passata legislatura alla Camera, ero Presidente di Commissione Lavoro,

la cornice legislativa è una cornice relativamente debole, fissa alcuni parametri

essenziali. Quindi a mio avviso nel momento in cui abbiamo avuto questa accelerazione sarebbe

necessario passare dalla cornice fragile ad una contrattazione di merito, non basta quella

cornice. Secondo me non si tratta di fare una nuova legge, si tratta di passare la palla alle

parti sociali perché la materia venga regolamentata, tenendo conto di quello che l'esperienza ci ha

insegnato in questi mesi. Detto questo, il lavoro agile, allora non è telelavoro, non è lavoro da

remoto, che cos'è? È una forma mista che può essere esercitata da coloro che svolgono determinati

lavori, determinate attività. Scherzando, dico sempre, non è che mi porto a casa la siviera del

forno di colata, non è che mi porto un pezzo di catena di montaggio, a meno che con il 3D un domani

in camera da letto non mi produco un pezzo da montare su un'automobile, questo non lo so ancora

e non ci voglio pensare. Stiamo parlando di determinati lavori di concetto, di natura

tecnica, amministrativi, culturali, comunicativi. Questi lavori in una società dematerializzata

possono ragionevolmente anche rappresentare un terzo del totale dell'attuale forza lavoro.

Naturalmente se parlo dell'INAIL, di cui sono componente del Consiglio di Amministrazione,

è un conto, se parlo di un'azienda metalmeccanica è un altro conto, quel terzo prendiamolo come

media. Detto questo, si tratta di un lavoro che per sua natura dovrebbe essere svolto in presenza

e a distanza, non è svolto tutto a distanza, se in presenza ovviamente non è lavoro agile.

Che cosa dice la legge? La legge dice alcune cose, ma quelle essenziali riprese anche dalla

contrattazione sono poi due. Io ho tenuto molto in considerazione un punto, non dobbiamo commettere

l'errore, il libro di Savino parla molto della flexicurity e del fallimento della flexicurity,

a mio avviso è un fallimento, e quindi non siamo di fronte all'ennesima forma di lavoro

flessibile a disposizione delle imprese. Qui io lo voglio dire con chiarezza, il lavoro agile

è lavoro subordinato a tempo indeterminato, se il contratto era a tempo indeterminato,

che ha le stesse condizioni normative salariali, gli stessi diritti di chi svolge il proprio lavoro

in presenza. Sgombriamo subito il campo da una formula ambigua a metà tra lavoro dipendente

e lavoro autonomo? No, è lavoro dipendente che ha un contratto di lavoro uguale a quello di

coloro colleghi che fanno quella mansione, che stanno in quell'azienda in presenza. La seconda

questione che la legge fissa è il tema della disconnessione, la disconnessione come si dice

un po' per scontata e andrebbe anche indagata ulteriormente, ma tutto questo secondo me non

basta. Veniamo a queste accelerazioni, è evidente che la pandemia ha prodotto delle

accelerazioni, come sempre un'accelerazione può fare qualche sbandata, confondiamo il lavoro agile

col lavoro da remoto della pubblica amministrazione. Nel privato le cose vanno un po' diversamente,

quindi sono probabilmente meno incidenti percentualmente e un pochino più regolate.

Fa del bene o fa del male? Allora, io ho letto il libro, io non sono apocalittico e non sono

integrato, io sono un negoziatore, quindi io dico che fa del bene se lo regoliamo per fare del bene,

se lo regoliamo per fare del male, cioè non lo regoliamo, può fare del male. L'argomento che

Savino usa, quello della disintegrazione della comunità, non lo trovo del tutto convincente,

è un pericolo. Mi ricorda, essendo anziano, la polemica che si sviluppò all'inizio degli anni

70, all'epoca ero un giovane funzionario della Fioncgl, mi mandarono a Mirafiori a fare scuola,

e se le mandate a Mirafiori a quel tempo significava 74, avere a che fare con una

fabbrica con 60 mila dipendenti su tre turni, 220 porte di ingresso e di uscita, con tutto il

corollario di 60 mila dipendenti, una città nella città, con tutto il corollario politico e sindacale,

e non soltanto, perché non ci siamo fatti mancare niente in quegli anni, avevamo le Brigate Rosse,

Prima Linea, INAR, tutte le sigle sindacali, tutte le sigle di partito che stazionavano,

alcuni in modo occulto, i brigatisti venuti dal nulla non li conoscevamo ma li frequentavamo,

senza saperlo purtroppo, e poi chi faceva politica ritenendo quell'azienda l'azienda

simbolo. Quale fu la discussione a proposito degli impiegati? La Fiat voleva introdurre in

quegli anni l'orario flessibile, che adesso farebbe ridere, anziché entrare gli impiegati,

non gli operai perché la catena di montaggio giri la rotella e parte, non è che puoi dire

io arrivo fra un'ora, agli impiegati è concesso di entrare in un range orario compreso fra le 8

orario normale e le 9 e chiaramente se entri alle 9 anziché uscire alle 5 e usci alle 6 è

una scelta che oggi farebbe sorridere, ma di prima flessibilità. Il dibattito che si scatenò era

appunto sul tema che Savino ha evocato, quello della disgregazione della comunità, in questo

modo il padrone, si diceva all'epoca non datore di lavoro, il padrone era l'operai, lo sappiamo,

anche nei film a classe operaia va in paradiso eccetera, la disgregazione della comunità era

diventata un po' un'ossessione, il tentativo del padrone di disgregare la comunità attraverso

questa flessibilità che rende meno controllabile la forza lavoro impiegatizia, che già di per sé

era molto distante dal sindacato, noi impiegati eravamo un nucleo, io ero un impiegato iscritto

alla fione, un po' una mosca bianca in un palazzo uffici di 800 impiegati, io lavoravo alla SKF,

una multinazionale, quindi ero un po' anomalo. Quindi a me non convince l'idea del pericolo

della disgregazione, se dovessi dire io sono per pesare il bene e il male e sono per contrattare,

mi pare che alcuni sindacati, penso Cifa Consal, abbiano fatto degli accordi in questo senso sulla

regolazione dello smart working, del lavoro agile, altri sindacati, il sindacato dei metalmeccanici

Finfionwin con Confindustria, Federmeccanica, hanno disciplinato, ma dicendo quelle due cose

che ho ricordato prima, diritto alla disconnessione, stessi diritti di chi lavora con il lavoro agile,

di chi sta in presenza, che mi sembra insufficiente, lo stesso le telecomunicazioni,

forse nel settore bancario e in altri settori ci sono delle esperienze un pochino più avanzate

data la tipologia del lavoro. Sapendo e concludo perché non voglio farla lunga,

però poi avrei degli argomenti da sviluppare, che quando dico negoziare tutto, accettare la sfida,

si tratta di fare come sempre il buono e il cattivo, perché il lavoro agile ha del buono

e del cattivo e non possiamo limitarci a che lavoro dipendente ci vuole la disconnessione,

il discorso deve essere contrattualmente molto più sviluppato, ma lo vorrei dire in un secondo

tempo perché ho già parlato troppo. Si potrebbe obiettare che a partire dagli anni 80 la desgregazione

della comunità del lavoro sia avvenuta poderosamente, per una serie di passaggi,

vicende complesse e in qualche modo questo porta ad oggi e mi porta anche a dare un po' la palla,

a sollecitare Savino Balsano a dirci perché lui teme così tanto che lo smart working sia,

e la retorica sullo smart working, perché è il dubbio, il libro si apre così che c'è anche

tutta una narrazione francamente a volte urticante, perché falsa fondamentalmente,

pubblicitaria, sembra uno spot appunto, sulle magnifiche sorti progressive dello smart working.

Mi sembra che l'idea di Savino Balsano sia che lo smart working rischia di essere il colpo di

grazia alla dimensione collettiva del lavoro, che è un fondamento costituzionale oltretutto. Perché

Savino, perché temi così tanto? Poi ci sono anche tanti altri aspetti e problemi che metti in luce

nel libro, ne parleremo anche appunto lo stesso Cesare Damiano li evocava, però intanto qual è

il punto di fondo? Allora è chiaro che, prima di tutto ringrazio l'onorevole Damiano per aver

accettato l'invito a fare questa chiacchierata, ne sono davvero contento. L'onorevole Damiano

ha citato tutta una serie di punti che magari avremo modo di approfondire insieme, a partire

dalla idea di come gestire questo fenomeno, perché su una cosa siamo d'accordo, questo è un fenomeno

che va gestito, l'onorevole Damiano riserverebbe ruolo alla contrattazione collettiva, anche io da

sindacalista sono diciamo particolarmente avvezzo a contrattare, certo è che questo è un tema di

tale impatto e di tale rilevanza che probabilmente un intervento di legislazione di sostegno, come

viene definita tecnicamente in materia di lavoro, probabilmente invece è necessario. Quindi

sicuramente siamo d'accordo sul fatto che la cornice è assai fragile, probabilmente ci dividiamo

un pochino su quella che può essere una soluzione. Relativamente alla domanda di Nello, che tra

l'altro io l'ho già fatto in privato, ma lo sai io ci tengo a farlo anche pubblicamente, questo libro

a Nello deve molto, deve un confronto come dire vibrante, vivace, anche critico, che abbiamo avuto

prima dell'uscita, quindi sono davvero felice di averti qui. Peraltro io penso che questo sia

davvero un libro necessario, al netto del fatto che l'abbia scritto io, ma davvero io vi invito

ad operare qualsiasi motore di ricerca, a fare una ricerca sugli store online, magari ancora in

libreria, dei libri pubblicati sulla materia e vi renderete conto come la narrazione attorno al tema

dello smart working, attorno al tema del lavoro agile, sia davvero unidirezionale. Veramente

raramente un dibattito in materia di lavoro, io non ho una memoria storica paragonabile a quella

dei miei interlocutori, però diciamo che, in base a ciò che so, raramente nell'ambito delle

discussioni in materia di lavoro c'è stato un tale appiattimento circa l'unica visione,

l'unica chiave interpretativa di un fenomeno. Oggi lo smart working viene dipinto generalmente,

comunemente, come una grande opportunità, come la svolta del futuro. Su una cosa tutti

ciò che scrivono, tutti coloro i quali scrivono di smart working, me compreso, sono d'accordo,

ovvero lo smart working ha un potenziale di impatto e di trasformazione del mondo del lavoro

incredibile mai visto prima. Su questo siamo tutti d'accordo, chi ne parla bene e chi ne parla male.

Sostiene che lo smart working abbia una capacità di rivoluzionare il mondo del lavoro probabilmente

mai vista prima. C'è chi paragona lo smart working alla rivoluzione industriale, c'è chi è ancora

più emfatico, cioè su questo siamo davvero tutti d'accordo. Ciò che ci divide, in realtà io faccio

parte di una fazione decisamente minoritaria, a quanto pare, è la valutazione, il giudizio di

valore circa gli effetti di questa rivoluzione. E vengo al punto che dice Nello, in realtà,

nella sua domanda Nello ha un pochino anticipato quello che avrei voluto dire,

in effetti la comunità del lavoro ne è risultata incredibilmente indebolita. Io ricordo un pranzo

con il professor Pederossi, si parlava di questo libro, a un certo punto Nello mi domandava,

io gli evocavo questa comunità del lavoro, questa comunità del lavoro, a un certo punto il professor

Pederossi mi spiazza, ma esiste ancora questa comunità del lavoro? C'è ancora questa comunità

del lavoro? Beh, questa è una domanda importante, perché la comunità del lavoro esce profondamente

indebolita da 30 anni di precarizzazione. Io nel libro lo scrivo e sono convintissimo del fatto

che il diritto del lavoro, i diritti dei lavoratori, svolgono una funzione quasi didascalica,

quasi educativa, per certi versi prescrittiva, di come le dinamiche collettive sui luoghi di

lavoro, che hanno, come giustamente veniva ricordato, una enorme rilevanza costituzionale,

debbano avvenire. Ciò significa che andando ad incidere sulle regole in materia di lavoro,

stiamo facendo delle riforme di potere. Il percorso di precarizzazione, che parte col

pacchetto 3, ma poi abbiamo la legge Biagi e poi abbiamo gli interventi di flessibilizzazione nei

rapporti di lavoro, io cito la drammatica riforma del 2012, la legge Fornero in materia di lei

integra, ma il Jobsect, che è stato un intervento ulteriormente erosivo di quelli che sono dei

diritti che nell'ambito del rapporto di lavoro devono essere presidiati. Ecco, tutti questi

interventi, che cose hanno fatto? Hanno avuto delle conseguenze sul piano individuale, sulle

quali si mette sempre l'accento, e qui c'è la grande lacuna, secondo me, che il nostro stesso

fronte, il fronte di coloro i quali sono estremamente critici nei confronti di queste

riforme, però ha, ovvero si insiste sempre e costantemente, pervicacemente, sull'impatto

individuale sulle persone. Che è importante, cioè, sottolineare come un soggetto che prima aveva

diritto a X oggi abbia diritto a X meno qualcosa, è certamente un elemento da sottolineare, è

importante farlo. Ma le dinamiche collettive? Cioè, vedete, io recentemente ho scritto, ne sono

convintissimo, non so se su questo riservo un passaggio nel libro, c'è un rapporto fortissimo

tra precarietà e morti sul lavoro. Fortissimo. Eppure, se leggete in materia di salute e sicurezza

sui luoghi di lavoro, si insiste sulla normativa, appunto, in materia di salute e sicurezza sui

luoghi di lavoro, laddove si definisce la salute quale assenza di malattia. Cioè, la salute deve

essere uno stato di benessere sui luoghi di lavoro, cioè una posizione decisamente avanguardista,

decisamente protettiva. Eppure, contiamo 20.000 morti sul lavoro negli ultimi 10 anni,

una media di due morti al giorno sui luoghi di lavoro. E come mai si verifica questo,

al netto dell'alleggerimento del regime sanzionatorio in materia di salute e sicurezza?

Beh, si registra perché un lavoratore sottoposto alla ritorsione legata alla precarietà del suo

rapporto di lavoro certamente non andrà a denunciare il datore di lavoro che non rispetti

i presidi in materia di salute e sicurezza. Quindi ecco che le regole in materia di lavoro hanno

una capacità di incidere sulla comunità del lavoro e sulla sua capacità di rivendicare

migliori condizioni notevolissime. Lo smart working si inserisce in questo ambito. Perché

donorevole Damiano giustamente, condivido profondamente, diceva chi è in smart working

deve avere gli stessi diritti di chi non lo soffreisce al lavoro agile. Dobbiamo lavorare

in questa direzione. Ma oggi cosa sta succedendo? Cioè al netto del dover essere, rispetto al quale

sono felicissimo e non avevo dubbi rispetto al fatto che l'onorevole Damiano voglia impegnarsi

e io se posso dare una mano sono a disposizione, ma qual è lo stato attuale delle cose? I lavoratori

in regime di lavoro agile hanno gli stessi diritti di coloro i quali non sono in lavoro agile,

di coloro i quali non sono in smart working? No, non ce li hanno. Non ce li hanno dal punto

di vista retributivo ad esempio, perché lavorano di più. Chi parla con i lavoratori quotidianamente

sa che in smart working si lavora di più. Se tu lavori di più e vieni pagato uguale,

significa che vieni pagato meno. Quindi anche un presidio legalmente protetto,

quale il pari trattamento economico, già nei fatti possiamo dire che non viene rispettato.

Senza entrare nel merito di tutti i regime delle indennità. Pensiamo al ticket pasto,

che lo perdi quando sei in smart working. E allora qualcuno ti potrebbe dire, magari citando

una recente sentenza della morte di Cassazione, il ticket pasto ha una funzione indennitaria

di ristoro. Tu sei in lavoro agile, non ti spetta. Ok, ma quante volte ci capita mentre

facciamo la spesa di dover aspettare qualche minuto in più in pazienti che quello davanti

a noi sta pagando la spesa con il ticket pasto? Cioè, ce lo possiamo dire che formalmente

ha una funzione indennitaria, ma tra di noi, tra amici, ce lo possiamo anche riconoscere

che il ticket pasto è un istituto retributivo a tutti gli effetti e che tanto vero è spesso

oggetto di contrattazione collettiva anche per i vantaggi fiscali legati al ticket pasto

di cui godono le aziende. Cioè, la realtà va analizzata anche per quel che è. Lo smart

working come si declinerà nel futuro? Io personalmente ritengo che uno smart working

residuale, limitato a pochi giorni al mese o a pochi, uno o due giorni a settimana,

magari era inizialmente l'idea del legislatore del 2017, sia un'idea già superata. Io non credo

che la grande multinazionale, la grande azienda, la grande impresa punti a quello. Anche perché,

se dovessimo soppesare i vantaggi della grande azienda, i vantaggi della grande azienda

emergeranno laddove lo smart working diventa un paradigma generalizzato di prestazione lavorativa.

Noi abbiamo grandi aziende che stanno già dismettendo il patrimonio immobiliare,

mentre noi stiamo parlando in questo momento. Per dismettere il patrimonio immobiliare tu devi

avere uno smart working ordinario e generalizzato, perché se tu due o tre giorni a settimana i

lavoratori li devi ospitare, tu quel patrimonio immobiliare non lo puoi dismettere. Quindi è

facile prevedere, spero di sbagliare, spero di sbagliare, ma è facile prevedere che l'obiettivo,

soprattutto dei grandi gruppi, sia quello di introdurre una modalità ordinaria e generalizzata

di prestazione lavorativa. E questo cambia tutto. La contrattazione collettiva, che citava l'onorevole

Damiano giustamente, io per esempio conosco quella del settore del credito, prevede un ricorso massimo

allo smart working, massimo, di pochi giorni al mese. Su questo possiamo ragionare. Allora qualcuno

potrebbe dirmi, ma perché questo libro è contro lo smart working? Too cool. Perché secondo me,

e secondo chi ha creduto in questo libro, l'idea è che si voglia implementare questo

modello di smart working, ordinario e generalizzato. E gli effetti saranno drammatici. L'onorevole

Damiano è stato un sindacalista importante. Io nel mio piccolo cerco di dare il mio contributo

all'attività sindacale che tanto amo, al mondo del sindacato che tanto amo, nonostante la

parentesi di grave difficoltà in termini di fiducia il sindacato sta vivendo. Ma quanto è

difficile fare proselitismo? Quanto è difficile oggi fare proselitismo? Il mio è un sindacato in

grande crescita e di questo sono contento, e penso ci siano dei motivi, soprattutto in una

parentesi di grandi crisi del sindacato. Ma quanto è difficile convincere le persone a

sostenere la propria causa? Esponiti. Soprattutto oggi che c'è questo tasso di precarietà così

forte, così penetrante, così intimo nella vita delle persone. Esponiti, iscriviti al sindacato,

sostieni la mia azione sindacale. Già oggi è difficilissimo. Immaginatevi l'attività di

proselitismo declinata in smart working ordinario e generalizzato. Tu non conosci il lavoratore,

il lavoratore non conosce te, il lavoratore non è consapevole di un aspetto fondamentale,

ovvero che ciò che lo affligge, affligge anche altri. Questo è un elemento di rimente,

perché questa, io sono convinto che alla base dell'attività sindacale, non solo dei sindacalisti,

ma anche e soprattutto dei lavoratori, ci sia un sentimento che è la solidarietà. Il rapporto

solidaristico non si tesse laddove io non sono convinto che faccio parte di una comunità,

faccio parte di un gruppo. E un lavoratore chiuso all'interno di un loculo, di un ovetto di presunta

autosufficienza, sarà propenso fisiologicamente a creare questi legami? Anche perché una delle

narrazioni più mendaci attorno allo smart working, senza quelle citate del lavoro in spiaggia,

il lavoro nel cotteggio in montagna, che non ritengo nemmeno di dover citare, è quella per cui uno in

smart working è creativo. Ieri ho partecipato a un dibattitore televisivo e qualcuno mi diceva,

eh sai, in smart working uno può lavorare vicino all'anziano che gli dà dei consigli per sviluppare

una buona creatività. Questa è l'obiezione che mi è stata posta. Ma io vedo altro. Io vedo call

center, interi contact center di centinaia e centinaia di lavoratori che lavorano in smart

working. Che lavorano da soli a casa, tempestati di telefonate di clienti, al 99% dei casi imbufaliti,

perché uno che chiama un contact center non chiama per dire, ah, volevo solo dirvi che sono

soddisfatto del servizio che mi erogate. Generalmente chiama per scaricare forti,

a volte condivisibili, a volte lecite frustrazioni. Ecco, attorno allo smart working, concludo,

concludo, si rincorrono narrazioni al limite del surreale, dalle stesse immagini, anche dal

punto di vista delle immagini. Provate a fare una ricerca di smart working su Google e poi

selezionate immagini. Ti esce quello che sta sulla spiaggia, ti esce quello che sta in montagna,

quello che sta nella casa bellissima. Lo smart working acuisce le differenze,

contrariamente a quanto stabilisce l'articolo 3 della Costituzione, perché le case degli

italiani sono diverse. Fare smart working a casa mia o fare smart working a casa di Agnelli non è

la stessa cosa. Su cose molto diverse. Quindi acuisce le differenze lo smart working. E questo

è un elemento che noi dobbiamo considerare. La differenza tra normativa e smart working e

telelavoro sta anche in questo. In materia di smart working il datore di lavoro ha l'unico

obbligo di informare i lavoratori circa i rischi in materia di salute e sicurezza. Questo non

avviene nel telelavoro. Ecco, sono tutti aspetti che vanno ampiamente trattati e quindi, insomma,

questo libro è stata un'occasione per poterlo fare e questo confronto ne è un'altra.

Bene, grazie. Samiro insiste molto sulla questione dell'isolamento, dell'atomismo,

diciamo, che è un'accelerazione dell'uso del smart working generalizzata potrebbe comportare.

Anche mettendola, forse, si potrebbe mettere insieme con alcune posizioni che emergono e

che sono esplicite sul cosiddetto great reset. Penso al libro di Klaus Schwab, il direttore di

Davos, quindi dei riconi del mondo, che delinea un resettaggio mondiale, globale, utilizzando la

finestra di opportunità, come viene definita da loro, del coronavirus. Poi, se si va a vedere,

al di dentro di tanta retorica, anche così, persino solidaristica progressiva, apparentemente,

poi però, andando al sodo, si trova che c'è fondamentalmente lo smart working e le grandi

reti del commercio internazionale, dell'e-commerce e giganti del web. Il che è un po' qualche,

io sarò malevolo, ma qualche dubbio lo fa venire. Mi è venuta in mente questa categoria, però ora

passo subito la parola a Cesare Ramiano, però la cosa forse, penso che risuonerà,

li farà piacere, forse perché subito mi è venuta in mente la categoria di rivoluzione passiva. Non

vorrei che questa accelerazione fosse l'occasione per uscire dalla crisi del neoliberismo ancora

peggio. Così provocatoriamente gli lancio la palla. È quello che io temo. Io in questi giorni

mi sforzo di dire una cosa apparentemente semplice. Mi auguro che questa transizione,

la nuova parola di moda, dopo quella bruttissima parola che era Ristori, che vuol dire una

restituzione dei risorsi, una ricompensa agli stori. Comunque questa transizione,

che viene aggettivata transizione ecologica, transizione digitale, transizione infrastrutturale,

sia che si tratti di infrastrutture materiali o immateriali, mi auguro che sia anche una

transizione sociale. Io sono un antiliberista storico, sono un keynesiano convinto come molti

sanno e non vorrei che questa montagna di risorse sulle quali stiamo discutendo,

che ammontano complessivamente secondo le ricerche del mio centro studi di lavoro

welfare, a più di 400 miliardi di euro, tra quello che è stato speso e quello che verrà

speso, faccio presente che dall'inizio della pandemia ad oggi sono stati spesi barra stanziati

almeno 150 miliardi a sostegno delle imprese del lavoro, già stanziati spesi, altri 200 nei prossimi

cinque anni, aggiungiamo i prossimi scostamenti di bilancio, non abbiamo ottimizzato il MES,

altri 36, la Banca Europea degli investimenti altri 40, il SURE non è tutto consumato,

altri 26, quindi questa montagna di risorse fosse semplicemente una spinta quantitativa

alla ripartenza e non una spinta qualitativa con il rischio di essere ancora peggio del

trentennio neoliberista. Lo dico perché io faccio un paragone con gli anni 60,

avevamo il boom dell'economia, ero un ragazzino avevo 12 anni nel 60, 60, 61, 62 crescevamo al

ritmo della Cina, gli anziani ricordano, voi non lo ricordate perché siete ragazzi,

che all'epoca c'era Canzonissima, nel 62 a dirigere Canzonissima c'erano Dario Fo e Frank Aramio,

in uno sketch loro parlavano delle cadute dall'alto del lavoratore dell'edilizia che non

aveva le imbragature, le coperture, le tutele, l'impalcatura e quindi parlavano all'epoca di

questa forma avida di capitalismo nella crescita, nel boom dell'economia, del resto questa forma di

capitalismo avido la vediamo ai giorni nostri, abbiamo degli esempi recenti, dell'altro ieri il

Ponte Morandi, di qualche giorno fa della funivia, pare che siamo delle forme aberranti, avide,

crudeli di capitalismo, che non ha niente a che vedere col sano profitto, direbbero i protestanti.

E che cosa successe? Per quello sketch nel 62 Dario Fo e Frank Aramio furono cacciati dalla RAI,

perché parlavano di morti sul lavoro. Ora dico a Savino, sui morti sul lavoro,

io che ho la memoria storica voglio solo ricordarti che nel boom degli anni 60 morivano

ogni anno 4.000 persone, 11 al giorno, poi siamo arrivati al 2008 con 1.600 morti al giorno,

all'inizio degli anni 2000. Poi dopo il decreto 81 di cui sono padre, il testo unico sulla salute e

sicurezza, siamo passati a 1.000, una cifra enorme, 4.000, 1.600, 1.000, cifra enorme.

Però qualcosa è successo nel frattempo, qualcosa è successo, io sono ancora orgoglioso del fatto

che come Ministro del Lavoro accanto al decreto ho messo alcune norme, ho messo la norma della

comunicazione obbligatoria dell'inizio lavoro prima che si comincia a lavorare. Vi ricordate

che prima di quella norma che io ho messo a quel tempo, l'INAIL si trovava di fronte in modo

inaspettato a un cumulo di morti di circa 50 anni che morivano nel primo giorno di lavoro e

chi erano? Venivano regolarizzati i post mortem perché erano al nero. La comunicazione obbligatoria

ha debellato quella piaga medioevale. Sono contento che vanno messa una norma nella

quale si diceva che se un'azienda viene sorpresa ad avere più del 20% di lavoratori al nero,

si sospende istantaneamente l'attività. Io ho sospeso 5.000 aziende, mi hanno accusato di tutto,

di voler lavorare contro l'impresa, mai avuto questa vocazione. 2500 hanno regolarizzato,

2500 sono scomparse perché vivevano esclusivamente di lavoro nero, di mancanza di sicurezza. Quindi

abbiamo dei modelli alle spalle che sono dei modelli poco virtuosi. Ed è vero che nell'ultimo

trentennio, partiamo da Treu, che in realtà con quel pacchetto come fu definito all'epoca

disciplinò esclusivamente il lavoro interinale. L'unica cosa che fece Treu fu la disciplina del

lavoro interinale che esisteva in tutta l'Europa, quella modalità nel resto del mondo fu disciplinato

in ritardo in Italia. Devo dire che io contro il lavoro interinale non ho mai detto molto,

se non contro la parte di agenzie che lavorano in modo non trasparente ci sono, ma la gran parte

risponde ad una questione, il mio mantra è sempre stato che la flessibilità deve costare di più.

Quando tu prendi un lavoratore in interinale, ma può essere anche una collaboratrice familiare,

come mi è capitato, anziché pagare 10 euro all'ora paghi 20 euro all'ora. Lo scambio e pago

e ho un tempo a disposizione che non è sotto la mia responsabilità perché c'è un terzo che lo

gestisce, ma quando la flessibilità costa il doppio va bene. E quando, come è capitato negli

ultimi 30 anni, persino la legislazione, complice anche la sinistra in alcuni casi, ha fatto costare

addirittura meno il lavoro flessibile rispetto al lavoro stabile a tempo indeterminato per quel

poco che è rimasto di stabilità del lavoro. Quindi alle spalle abbiamo la disgregazione

della comunità e come? Io direi abbiamo la disgregazione del mercato del lavoro. I flussi

in ingresso, non dico lo stocco occupazionale che ovviamente ha un andamento diverso, prevale ancora

il tempo indeterminato, ma i flussi, quelli che stanno arrivando, sono prevalentemente flessibili

precari. E' evidente, lì è avvenuta la disgregazione. Del resto nel tuo libro Savino

tu citi splendidamente quella frase che ha pronunciato Monti quando uno dice che i giovani

devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. Del resto,

diciamo la verità, che monotonia un posto fisso per tutta la vita? E' più bello cambiare,

avere delle sfide, come se i lavori fossero lì a disposizione. Io sono entrato a lavorare il primo

ottobre del 1968, avevo tretto il palazzo uffici SKF 800 impiegati, avevo conseguito la maturità,

avevo 20 anni, avevo 5 offerte di lavoro, banche, assicurazioni, industrie, 5 offerte di lavoro a

tempo indeterminato. Dopo un mese di ingresso lì ero a tempo indeterminato, i miei colleghi sono

rimasti in quarant'anni, non si sono annoiati, si sono rassicurati. Qui stiamo in una situazione

in cui vince l'estremismo, che scambia il posto fisso di Checco Zalone con la ragionevole continuità

del lavoro, che io credo che debba tornare ad essere una rivendicazione. Io ho fatto con Mimmo

Carriere un libro che è appena uscito, come cambia il lavoro nell'era del Covid, ma non è che devo

fare propaganda, è un libro fuori mercato, è semplicemente di studio, perché sono carriere

della sapienza, abbiamo studiato l'impatto del Covid sul lavoro. I lavoratori in lavoro agile

sono prevalentemente soddisfatti, avvoca popoli e soddisfazioni, al tempo stesso insicurezza e

paura, paura della propria condizione generale, non di quella modalità di lavoro. Se c'è da

preoccuparsi non l'hanno ancora percepito. L'indagine che abbiamo condotto in INAIL,

tra i lavoratori obbligati allo smart, e per favore non fateci tornare in presenza. Vox

Populi va in quella direzione, che poi noi dobbiamo anche leggere dietro. Dopodiché,

alle spalle abbiamo un mercato del lavoro che si è disgregato, frammentato, il fallimento

dell'inganno della Flex Security, che è stata una flessibilità senza sicurezza,

la Flex Insecurity. Io non ho mai condiviso, pur rispettando la figura di Marco Biagi,

il rispetto è anche la chiarezza delle idee culturali, la legge Biagi, la legge 30,

ho ritenuto che non andasse nella direzione da me auspicata, ho combattuto cercando di

riportare delle correzioni in Parlamento contro il Jobs Act prima edizione e devo dire

che abbiamo semplicemente fatto qualche correzione. Mi conforta, ho scritto un saggio su questo

punto, il fatto che di recente alcune sentenze della Corte Costituzionale abbiano giudicato

incostituzionali sia l'articolo 3,1 del Jobs Act, laddove il risarcimento è legato

all'anzianità e quindi si restituisce al giudice la potestà di definire il risarcimento

in relazione al contesto in cui avviene il licenziamento e abbiano definito anche il

legittimo, la norma della stessa legge Fornero, l'impossibilità della reintegra nel posto

di lavoro, l'idea che quando un licenziamento, qualsiasi sia la natura di questo licenziamento,

sia illegittimo, anche economicamente parlando, la reintegra debba essere nella disponibilità

del giudice. Qualche passo la Corte lo sta facendo in barba alle leggi che abbiamo.

Questo abbiamo alle spalle, purtroppo, e di fronte a noi c'è l'intelligenza artificiale

e adesso noi siamo in mezzo perché l'intelligenza artificiale. Savino dovrebbe scrivere un altro

libro contro l'intelligenza artificiale per dire il giorno in cui i robot sostituiranno

sulla linea di montaggio i lavoratori che cosa succederà, meno incidenti sul lavoro sicuramente,

ma anche meno posti di lavoro. Non sappiamo, poi anche qui c'è chi dice che l'impatto della

transizione ecologico-digitale farà più lavoro, meno lavoro, più occupati, più disoccupati. Lo

vedremo e lo studieremo. Allora, arrivando a noi, ci scambiamo un po' i ruoli perché mi pare che tu

sei un giovanotto molto intelligente e, come si è stato definito, molto agguerrito. Ne avessimo di

persone come te perché hai l'irruenza che io avevo la tua età. Alle volte sei un po' estremista,

come io ero alla tua età. Io ero estremista. Poi mi sono iscritto al Partito Comunista nel 1975 e

come si dice ho perso l'estremismo. Giustamente io appartengo a quelle grandi scuole di formazione

politico-culturale sindacale, il Partito Comunista. Era una scuola di vita, di cultura, di politica,

di istituzionale. Ti insegnavano, ti guidavano, ti facevano provare. Dovevi studiare tanto,

c'era una selezione feroce e avevo la tua irruenza. Ero un estremista prima. Poi pian pianino

si cambia. Non sei un estremista, tu sei agguerrito. Non penso che tu sia un estremista,

anzi il libro è molto bello, è molto stimolante e l'ho letto con piacere perché utilizzerò anche

alcune cose che hai scritto nelle mie discussioni. Allora, detto questo, è evidente che io e te

dobbiamo scambiarci i ruoli. Tu sei il parlamentare, io torno a fare il sindacalista.

Tu dai degli stimoli più culturali, io sono più terra-terra in questa discussione. Allora ti dico,

negoziare. Hai ragione tu, facciamo attenzione a quello che succede. Evidente, è dimostrato che il

lavoro agile aumenta la produttività del lavoro. Evidente, ma io credo che sia certificato. Le

recenti indagini di stottisfazione e insicurezza per la condizione di lavoro in generale,

per la condizione materiale, perché tutti percepiscono che ci sono i lavoratori poveri

e i pensionati poveri, cosa che non succedeva alla mia generazione, aumenta la produttività.

Allora, io dico, negoziare partendo da un punto. Cambia la nozione dell'ora lavorata. Io sono uno

che ho vissuto sulle catene di montaggio, le ho studiate, quelle della Fiat. Lì c'era il ritmo,

tre secondi a vita per otto ore. Adesso c'è l'algoritmo. Lì c'era il caposquadra,

l'algoritmo e la pedalata del rider. Quindi, nel lavoro agile, la mutazione della remunerazione

è che quell'ora lavorata si trasforma in obiettivo. Io spero che non ci sia una torsione maledetta

nella quale qualcuno sarà portato a dire che così non è più lavoro dipendente, ma diventa

lavoro autonomo. Occhio alla penna. Quindi, da lavoro dipendente a lavoro indipendente.

Quindi, il cambiamento di nozione del lavoro da ritmo a obiettivo, prima questione. La questione

diciamo della concezione del pagamento. Secondo, è evidente che aumenta la produttività, perché se tu

hai una piccola febbre, la febbre di ciatola, e sei in lavoro agile, lavori con la febbre. Non

fai la mutua, come si diceva una volta. Non prendi la giornata di malattia che ti compete. Non fai

l'istraordinario, se sei l'obiettivo. Pensa che risparmio. Se il 30% è in lavoro agile, vuol dire

che risparmi il 15% dello spazio. Quindi, pensa che risparmio di affitti. Pensa che risparmio di

energia. Allora, noi a Rinald ci stiamo ponendo questo problema. Io dico, il problema non è il

buono pasto, che effettivamente non ne paga. È un'indennità legata a un evento, il pasto. Ma

tutto quello che ho detto, tutto quel monte di risparmi, trasformiamolo in quota parte,

in beneficio che aumenta il premio di produttività. Cioè bisogna rinegoziare i premi di produttività

per aumentarli in relazione ai risparmi conseguiti con la nuova modalità organizzativa. Non la lasci

solo da una parte, la distribuisci. Io penso che questo sia un punto. Fermo restando,

parliamoci chiaro, questa pandemia ci costringerà a fare i conti con le pandemie. Io ho fatto il

Covid, ho fatto la puntura antinfluenzale, antipolmonite e AstraZeneca. Sono un virus

vivente. Mi sono misurato, dovrei avere più di 38 di indice o 3000. Io sono un anticorpo.

Allora, qual è il punto perché parlo di questa faccenda? Noi saremmo costretti,

in questa situazione, ogni anno a fare il richiamo a vaccinarci come vaccinavamo quelli

più anziani contro l'influenza. Le pandemie ci saranno la riprogettazione dei luoghi di lavoro,

smart e non smart. Ci saranno più spazi, la reazione nelle aule in cui si insegna,

ai bambini o alle università, negli ospedali, il rifare tutta l'impiantistica perché dovrei

avere l'aria sanificata in permanenza, le distanze fra un lavoratore e un altro,

la catena di montaggio. Se la distanza è un metro deve diventare due metri,

ma se diventa due metri è metà produzione o raddoppio dei turni. Ammesso che tu non faccia

già due turni. Non parlo delle banche, parlo della Fiat. Non c'è più FCA, quel che è rimasto.

Quindi è evidente che qui c'è una riprogettazione che per il sindacato può essere un terreno molto

secondo, sempre che questo tasso di innovazione sociale, di transizione sociale ci sia. E io

sono molto preoccupato perché da quello che vedo, per fortuna, il governo ha detto che dal

codice degli appalti scompare la reintroduzione del massimo ribasso. Tiro un respiro di sollievo,

perché il massimo ribasso è un cancro. Io spero che non si alzi la percentuale

dei subappalti, perché la percentuale dei subappalti sappiamo che cosa significa. Io

spero che si migliore ancora un po' la normativa. Io ad esempio penso che per quanto riguarda la

questione blocco dei licenziamenti, sia sbagliato che scada a giugno il blocco dei licenziamenti.

La proposta di Orlando era giusta, andiamo fino ad agosto. Si trattava di fare una semplice

operazione di sincronia, altri due mesi di cassa integrazione covid gratis, come abbiamo fatto

per il recente passato, perché lo scambio è stato di mettere 20 miliardi che abbiamo

speso di cassa covid gratis in cambio tu non licenzi. Questo è stato lo scambio. Andava

fatto fino alla fine di agosto, quello scambio, sapendo che siamo già a giugno. Aggiungevi

luglio in cassa integrazione, ad agosto non ci vai perché ci sono le ferie, quindi avremo avuto

con un miliardo, una spesa di un miliardo, abbiamo il sure che ci arriva, che sono tanti

miliardi, abbiamo preso più di tutti in Europa, avremo avuto la possibilità di aggiustarla. Per

questo io insisto molto sul fatto che questa transizione abbia anche un elemento sociale

al suo interno, così come sulla prevenzione. Investire soldi per prevenire gli incidenti.

Sapete come funziona? I soldi si mettono sulla carta ma non si spendono e quando non si spendono,

anziché fare prevenzione, diminuiscono il peso del debito dello Stato. Io mi sono stancato,

perché se faccio l'elenco di tutte le misure di prevenzione che abbiamo avuto, compresa la

pensione flessibile dagli esodati, a quota 100, all'appe sociale, a opzione donna, ai lavori

usuranti, state pur certi, conti alla mano, abbiamo messo il 100 e abbiamo speso il 50.

E quello che è avanzato non è stato impiegato per una moral suasion, per fare prevenzione,

è tornato alla tesoreria dello Stato per diminuire il debito. E allora fare prevenzione,

spendere i soldi e poi alla fine diminuire il debito, per carità il debito va diminuito,

ma non diminuiamolo non utilizzando la spesa sociale, perché le norme sono troppo restrittive.

Quindi qui c'è veramente un nuovo paradigma da riscrivere. Lì dentro, sullo smart working,

io adesso faccio il sindacalista e Savino fa il politico, ci siamo scambiati i ruoli,

lui fa le leggi, io faccio la contrattazione, io dico contrattiamo le migliori condizioni per

evitare che quella misura, come si dice, si volga contro di noi, che si corrono quei pericoli che

giustamente vengono evidenziati in questo libro molto interessante.

Eccolo, è ritornato, è riuscito per un momento il politico Savino Balzano,

adesso ha il compito di tradurre il proposto, non è facile. Sì, è chiuso molto d'accordo sulla

centralità della questione sociale e direi anche delle garanzie democratiche di libertà.

Allora io ci provo…

Con le modernizzazioni si finisce male, diciamo, perché a volte sono devianti. Ti sentiamo e non

ti vediamo, te vedevamo prima, ora ti rivediamo un po'.

Io sono mortificato ma c'è stato un blackout.

Ah, ok. Riesci a parlare? C'è un problema di linea.

Io ti passerei, se è possibile, oppure te li colleghi con il cellulare,

se hai un problema di connessione.

Io sono mortificato ma c'è stato un blackout nel quartiere e la connessione…

Però noi ti sentiamo, ti vediamo un po' offuscato, però ti sentiamo. Forse perché hai cambiato

mestiere, sei stato politico e quindi ti si vede in maniera meno nitida, più offuscata.

Allora io ci provo, provo a rispondere.

Mi sentite?

Sì.

Ok, allora, veramente in ordine sparso perché l'Onorevole Damiano ha sottolineato tanti

aspetti. Prima di tutto, sono molto contento che abbia letto il mio libro e che lo voglia

utilizzare. Vuol dire che il libro, l'obiettivo che c'eravamo posti anche con la casa editrice,

è stato raggiunto, cioè animare il dibattito e quindi creare un libro che invitasse alla

militanza e alla partecipazione. Sono molto contento, vuol dire, di aver in qualche modo

interessato l'Onorevole Damiano e rispetto anche al fatto che voglio utilizzare certi

contenuti. È inutile stare a, come dire, a sottolineare eccessivamente ciò che ci divide.

Ho un'idea molto diversa del lavoro interinale. Il mio rapporto di lavoro è fatto di due persone.

Quando si interpone l'agenzia di somministrazione io provo una certa orticaria. Parlate con

un sindacalista che ha iniziato a fare sindacato con un contratto precario. Quindi, diciamo,

abbastanza puntuto, diciamo, nelle mie idee. Quindi, ripeto, il lavoro di somministrazione,

soprattutto se a tempo indeterminato, il cosiddetto staff leasing, mi vede veramente

contrario. Ho un'altra idea circa il livello di soddisfazione dei lavoratori in smart working.

Io percepisco altro. Parlo quotidianamente con i lavoratori e percepisco sensazioni molto

differenti. La produttività aumenta, certo aumenta, però non sono registrate tutte le

ore di lavoro che i lavoratori svolgono in smart working, perché lavorano di più e

molte di queste ore non vengono registrate. Argomento tutto perché ho paura che salti

la connessione, quindi vorrei citare almeno i punti principali. Il ruolo dei giovani mi

ha colpito il riferimento dell'onorevole Damiano al ruolo dei giovani e vi racconto

che questa mattina, perché ieri sono stato fortemente criticato circa il fatto che un

giovane come me, 34 anni, abbia un po' questo atteggiamento contrario a questa innovazione

tecnologica dello smart working. Invece vi racconto che questa mattina sono stato contattato

da una studentessa universitaria, tra l'altro mi è apparsa stare molto sul pezzo, che sta

facendo una tesi magistrale all'università e voleva dialogare con me circa l'impatto

che le nuove tecnologie hanno sulla contrattazione collettiva e sulle dinamiche sindacali e salariali.

Penso che i giovani, forse per la loro forte sensibilità alle tematiche della tecnologia,

possano essere quelli che vedono più lontano i rischi che questo sistema può avere sui

diritti delle persone. La tecnologia non deve governarci, la tecnologia apre scenari e noi

decidiamo che cosa fare della tecnologia, quale direzione intraprendere. La tecnologia

può essere utilizzata per efficientare i processi, per meglio conciliare i tempi di

vita e il lavoro, ma può anche essere utilizzata per introdurre come avviene quotidianamente

per ricaccia e azione di controllo a distanza della vita dei lavoratori. Questo lo dobbiamo

impedire, la tecnologia va declinata secondo la direzione che noi scegliamo e che reputiamo

opportuna. Su una cosa sono veramente d'accordo con l'onorevole Damiano e voglio sottolineare,

è importante il ruolo dello Stato, è fondamentale il ruolo dello Stato. Non possiamo affidare

allo smart working il compito di abbattere il livello di inquinamento, possiamo affidare

allo smart working il compito di risolvere il problema del traffico nelle nostre città,

non possiamo affidare allo smart working il compito di tenere gente a casa che assista

gli anziani o che assista i bambini. Questo supporto deve provenire dallo Stato, dal welfare

state, non da lavoro agile tenendo la gente a casa che va a supplire il ruolo dello Stato

e delle istituzioni. Quindi questo è un altro aspetto che secondo me va fortemente enfatizzato

e va osteggiata questa idea per cui lo smart working sia la soluzione ad ogni problema.

Mi sentite ancora? Ulteriore aspetto relativamente ai morti sul lavoro. Certo, i morti sul lavoro

sono diminuiti anche per la normativa. Io stesso, come dire, ho sottolineato gli aspetti

positivi di quelle norme ma ricordiamo anche che è lo sviluppo tecnologico che riduce

anche l'impatto dei morti sul lavoro. Questo è un elemento che noi dobbiamo considerare.

Resta inteso il fatto che comunque i numeri che caratterizzano la nostra cronaca, come

giustamente diceva l'onorevole Damiano, sono numeri altissimi e questo non possiamo più

permettercelo, non possiamo più accettarlo, non è da paese civile e dobbiamo continuare

ad impegnarci su questo. Sarebbero veramente tante le cose da trattare, il tema della disconnessione,

come vedete peraltro affidarsi alla tecnologia, come questa diretta ci sta dimostrando, è

anche un po' rischioso perché poi quando la tecnologia ti abbandona il nostro rapporto

umano è in pericolo e questa presentazione è in pericolo perché il blackout nel quartiere

mette a repentaglio la mia connessione internet e c'è il rischio che io possa perdere il

privilegio di continuare a dialogare con voi e a dialogare con la gente che con pazienza

ci sta ascoltando. Quindi facciamo attenzione. Un ultimo aspetto, Nello, davvero, il risparmio.

L'on. Damiano citava il risparmio. Il risparmio ha una funzione politica. Questo risparmio

va socializzato perché negli anni scorsi, va socializzato anche con istituti retributivi,

perché negli anni scorsi nei piani industriali hanno chiesto ai lavoratori, le grandi aziende,

sacrifici immensi per rilanciare le aziende. Quindi si è creata una commissione tra capitale

e lavoro. Questa commissione invece la si vuole abbandonare quando la grande multinazionale

vuole afferrare e arraffare tutto il risparmio derivante dallo smart working. Anche su questo

dobbiamo riflettere. Ecco, una bella legge che dia sostegno alla contrattazione collettiva che

poi dovrà fare la sua parte. Ci sono tanti interventi. A me sembra che, con molti commenti

più che domande, emerge una spaccatura. C'è chi dice, no ma in fondo io nel smart working ci sto

benissimo. Però bisogna capire che cosa vuol dire. Cioè se è un mero ripiegamento individualistico,

privatistico, oppure se è anche una valutazione degli impatti complessivi a lungo termine sul

lavoro, sui luoghi di lavoro, sui diritti, sui legami con gli altri. E altri invece,

in maniera molto dura, sottolineano alcune cose che sono già state dette, cioè l'effetto di

isolamento, precarizzazione ulteriore di solitudine del lavoratore. Il fatto che succeda

la solidarietà tra i lavoratori e anche poi altri aspetti, ovvero il fatto che di fatto si lavora

di più, la distinzione tra tempi di vita e tempi di lavoro. E quindi anche la sfera

dell'autonomia personale, privata, viene toccata pesantemente. E diciamo il fatto che in qualche

modo tutta una serie di spese, anche legate alle utenze domestiche, oppure il fatto che di fatto

la possibilità di fare strani ordinari viene tolta, incida presuntamente. Poi ci sarebbe da

fare tutto il discorso, ora non mi ci metto, ma entrerei in campo sull'università dove insegno,

o anche mi pare nella scuola, ma l'università è ancora più forte e c'è quest'idea che la

comunità non conta. Cioè ciò che ha fatto l'università, quella che è la sua identità

da mille anni, è irrilevante. Un millennio di civilizzazione viene spazzato via come niente

fosse, mettendoci al posto delle caricature di università. Queste sono le telematiche. Per me

questo è fuori dal mondo, io su questo sono pronto a fare una battaglia furiosa. Qui mi tolgo dal

ruolo di moderatore e entro in campo forse più agguerrito di Savino. Certamente le cose che diceva

Cesare Damiano sono importanti nel senso di dire che gestiamo questa cosa tenendo presente dei

principi di fondo, diciamo di solidarietà sociale. Io sono d'accordo e quindi non rifiutiamola a

priori. Naturalmente io un'inquietudine ce l'ho perché vedo un rischio di decivilizzazione,

di modernizzazione deviante, di strisciante isolamento, di ripiegamento privatistico,

che quindi è una questione di filosofia politica, diciamo così, di filosofia sociale. Per cui,

come dire, certo la politica del diritto conta, certo l'immaginare delle regole adeguate può

limitare, fare da freno rispetto a rischi, benissimo. C'è forse anche una questione più

di fondo, cioè che il dubbio di essere di fronte a una transizione epocale decivilizzante,

che passivizza la cittadinanza e l'elemento del lavoro è centrale nella cittadinanza,

e che francamente azzera lo spazio della rivendicabilità dei diritti come collettivo.

Perché se uno ragione in termini singoli e dice vabbè ma io come singolo me la risolvo da solo,

perché magari sono in una posizione di forza, è comodo, ma quello non so i diritti, è un'altra

cosa, è un regresso neofeudale. Va bene, me l'avete provocato, come diceva qualcuno. Però,

insomma, alla fine, vedendo i commenti, effettivamente tende a riprodursi uno schema

molto binario e quasi apocalittico integrato, in effetti. Un'ultima battuta, diciamo così,

sia a Damiano che a Savino e poi chiudiamo ringraziandomi.

Battuta libera. Allora, essendomi formato in gioventù sui libri di Marcuse, di Baransuisi

e di Gorz, non ho dubbi come Savino sulla non neutralità della scienza e della tecnica.

Evidente. So perfettamente che va indirizzata e governata politicamente. Io sono per il primato

della politica. Seconda questione, tra i diritti contrattuali, oltre che contenuti

nell'impianto legislativo, c'è il diritto del lavoratore a dare il proprio consenso

nell'aderire a quella modalità di lavoro. Lasciamo fuori il momento dell'emergenza che

ha cancellato quel consenso, ma è emergenza alla normalità che quel lavoratore che svolge

quel lavoro da dipendente con gli stessi diritti del collega che sta in presenza lo fa attraverso

un consenso tra lui e il datore di lavoro. Inoltre, la legge stabilisce anche la durata

dell'orario di lavoro. Il miglioramento della produttività deriva dall'intensità della

prestazione, dei tempi morti che si guadagnano. Poi se il lavoratore sfora sponte sua o il

datore di lavoro invita a sforare. Questo sta nel campo dei milioni di casi che un sindacalista

esamina tutti i giorni di inosservanza delle regole dei dispositivi. Per quanto riguarda

i morti sul lavoro, è evidente che lo sviluppo tecnologico ha influito. Io quando ho cominciato

a vedere le linee di montaggio vi ricordo che gli operai che montavano nella carrozzeria alla

porta 2 di Mirafiori, la parte finale, assemblavano la carrozzeria al pianale, lavoravano otto ore

dentro le fosse a braccia alzate, avvitavano a braccia alzate. Poi la lotta sindacale ha costretto

ad adottare il cosiddetto modello svedese, il modello Volvo. Scomparse le fosse, l'operaio

era all'altezza dell'automobile, un robot girava l'automobile e l'avvitamento era orizzontale.

Tu stai otto ore, poi sono diventate sette e mezzo nel 1978 con la mezz'ora conquistata per la

messa dietro l'orario di lavoro. Fai la differenza tra otto ore a braccia alzata ad avvitare con un

avvitatore elettronico o elettrico del tempo e a braccia orizzontale, una bella differenza. Pensate

alla verniciatura dell'automobile, poi pensate allo spruzzo a mano con la mascherina. Eri andato

in pensione lunedì e rimorto il martedì con i polmoni bruciati, adesso ci sono le cabine di

verniciatura con il silicone che le sigilla e il robot di verniciatura che vernicia al posto

dell'operaio. Potrei fare altri miglia esempi, ma quelli sono anche i risultati non solo dell'azione

unilaterale, lungimirante del datore di lavoro, dell'imprenditore, della lotta sindacale,

della contrattazione del sindacato. Quindi io insisto su questo punto. C'è un attore importante,

il sindacato, le parti sociali. Io sono poco convinto, Savino, che sia necessario fare un'altra

legge in queste condizioni dello sconsiglio. Fare una legge sullo smartphone lascia perdere.

Teniamoci quell'impianto fragile e contrattate, fedetevela a voi, soprattutto nei settori come

i vostri, che sono molto organizzati, in modo tale che ci sia poi qualcosa che assomiglia ad un

accordo interconfederale che vale per l'insieme dei laboratori. Io prediligerei personalmente non

la legge ma la contrattazione. Ho molta fiducia nella contrattazione. Poi è dura. Tu sei figlio

di Di Vittorio, come me. Di Vittorio nel 1956 fa l'autocritica e dice in quel famoso direttivo

della CGL, a proposito della sconfitta della fioma alle elezioni di commissione interna alla Fiat,

ha detto «Cari compagni e cari compagni, è vero che ci hanno messo nei reparti confino,

perché eravamo iscritti alla CGL e fra parenti dal Partito Comunista e Socialista, è vero che

ci hanno discriminati, è vero che hanno contato i voti che dovevano essere segreti per le elezioni

delle commissioni interne perché impedivano di mescolare le schede, è vero che ci hanno

minacciato il licenziamento, è vero che ci hanno umiliati nel lavoro perché difendevano i diritti

dei lavoratori». Ma quella sconfitta non è solo figlia della repressione padronale di Valletta

degli anni 54-55, è anche figlia del fatto che non abbiamo compreso che stava arrivando una

modalità di lavoro, il forte ilorismo, la catena di montaggio che ci obbligava, e non l'abbiamo

fatto, non a predicare il socialismo ma a contrattare i secondi sulla catena di montaggio,

le pause, i carichi di lavoro, la paga legata alla prestazione, i premi di produttività,

e noi questo non l'abbiamo fatto e anche questo è un elemento della nostra sconfitta,

noi siamo figli di quella storia lì. Quindi io penso che l'azione del sindacato sia un'azione

molto importante e anche in questa circostanza con tutti i dubbi, le paure, le preoccupazioni,

dobbiamo fare i conti con questa modalità, è una modalità che c'è inarrestabile,

regolamentarla contrattualmente secondo me è la via maestra, naturalmente questa è un'opinione

garbata in una bellissima discussione che abbiamo fatto oggi.

Prima di passare la palla a Savino, voglio dire molto brevemente due cose, una cosa che

viene chiesta a me in qualche modo, quale sarebbe la differenza tra lezioni in presenza

fisica e lezioni in presenza digitale con comunità digitali? Molto semplice, le comunità

digitali sono fittizie, non esistono, sono dei surrogati, una posizione di genere presuppone

l'idea che fare lezione sia trasmettere nozioncine liofilizzate e preconfezionate in un vaso vuoto e

totalmente inerte, non è questo il rapporto tra docente e studente, fra maestro e allievo,

non è così che si costruisce un sapere, innanzitutto si insegna cos'è la costruzione

di un sapere, lo si può sperimentare solo in una comunità reale, di questo sono convintissimo

che sia un tema di civiltà, tra l'altro le non comunità, le comunità fittizie sono veicolo di

spoliticizzazione e di passivizzazione e quindi hanno un effetto poveroso non solo dal punto di

vista del sapere ma dal punto di vista politico, diciamo così, democratico. Questa è una parentesi

mia a cui tengo moltissimo, aggiungo però che c'era una domanda di Anna Cavaliere che credo sia

molto importante, una domanda, una sottolineatura, il lavoro di cura è il lavoro e quindi non è

conciliabile con lo smart working, cioè come si mette insieme il lavoro di cura con lo smart

working? A Savino? Ci sono infatti delle attività che non possono assolutamente essere delegate allo

smart working, non tutto il lavoro evidentemente è riconducibile al lavoro agile, peraltro lo stesso

onorevole Damiano giustamente sottolineava come la cornice della legge del 2017 sia una cornice

fragile ed è una cornice che lascia spazi dal mio punto di vista davvero inquietanti, vedete il

punto è questo, cercare di capire, cercare di prevedere come l'onorevole Damiano giustamente ci

invita a fare, qual è la direzione che si sta intraprendendo? Nel piano COLAO che è un documento

che ha una certa importanza evidentemente rispetto a quelle che sono le traiettorie che si rischia

di intraprendere, vuole il superamento del tempo massimo di lavoro, c'è scritto, si pone questo

obiettivo negli cosiddetti stati generali, si puntava a questo, se prendiamo l'accordo sottoscritto

tra i sindacati a cui io faccio orgogliosamente parte, di cui io faccio orgogliosamente parte,

ma nei confronti di quali io sono ipercritico, se prendiamo l'accordo del 10 marzo scorso

sottoscritto da sindacati e governo, lì si ambisce, c'è scritto, ad un lavoro agile che eviti l'iper

regolamentazione, c'è un lavoro agile che non sia particolarmente regolamentato nell'ambito di un

lavoro agile che lo stesso Cesare Damiano colloca all'interno di una cornice fragile,

quali sono gli effetti di questa visione, di questa impostazione? Per me sono effetti assai

pericolosi. La contrattazione collettiva, ma certamente onorevole, su questo noi siamo

d'accordo, io sono un sindacalista, io credo nel sindacato, follemente, ciecamente, il sindacato ha

una funzione sociale fondamentale, chi parla di rappresentanza diretta nei luoghi di lavoro,

non ha idea di che cosa significa rappresentare i diritti dei lavoratori, parla senza cognizione

di causa, il ruolo di rappresentanza di contrattazione del sindacato è fondamentale,

peraltro tutelato all'articolo 39 della Costituzione, ma ci sono tanti ambiti nei

quali il sindacato non c'è, tanti ambiti nei quali il sindacato è fragile, tanti ambiti dove il

sindacato non ha la forza di imporre una contrattazione che sia adeguata. Certo, giustamente

l'onorevole Lemiano parlava di accordi interconfederali che possono avere una valenza,

diciamo, stiracchiandoli un pochino erga omnes, ma dal mio punto di vista noto anche il fenomeno

dei contratti pirata, dell'illusione della rappresentanza sindacale, dei contratti, diciamo,

ritagliati un pochino comodamente, anche lì io vedo dei rischi che sono notevoli. Insomma,

lo smart working, se assunto come paradigma ordinario del lavoro, come modello ordinario

e generalizzato di prestazione lavorativa, si presta a rischi incredibili e io, citando anche

quei documenti di cui parlavamo un attimo fa, prevedo con una certa tristezza, con una certa

malinconia che la direzione che si voglia intraprendere è quella. Peraltro, ma guardate,

sarà banale, potrebbe essere anche presa come qualunquista questa mia affermazione conclusiva,

però io voglio far notare una cosa. Io non riesco a individuare, nella volontà soprattutto delle

grandi associazioni datoriali, ma anche di una certa politica, di gran parte della politica,

e su questo l'onorevole Lemiano secondo me siamo d'accordo, tant'è vero che lui mi suggerisce di

evitare di fare una legge in questa fase, quindi evidentemente su questo siamo d'accordo. È tanto

tempo che io non intravedo un'azione di politica pro labor, è tanto tempo che io non intravedo

un'azione politica, ecco appunto, o datoriale illuminata a vantaggio dei lavoratori. E allora,

a me verrebbe da sospettare, spero di essere, come dire, mal fidato, che se si va con l'acceleratore

a tavoletta in quella direzione, probabilmente, ancora una volta e anche in questo caso,

l'intento non è quello di meglio conciliare i nostri tempi di vita di lavoro, farci lavorare

in un ambiente creativo, lontano dallo stress e lontano dallo smog. Probabilmente con questa

carotina che ha delle esternalità positive immediate, ce le ha, è innegabile, però forse

si intende nascondere un altro ortaggio, diciamo, di minor gradimento, mettiamolo in questi termini,

e quindi questo è il rischio che io intravedo e che secondo me rendeva necessario questo libro.

E sottolineo ancora una volta, voglio ringraziare sinceramente l'onorevole Damiano, perché io credo

che sia davvero apprezzabile, lo dico al di là di ogni retorica, il fatto che abbia letto il libro,

che per me non è scontato, lo ha letto, il fatto che abbia, come dire, prende in carico alcune

delle istanze in esso contenute, quindi io lo ringrazio di cuore e spero che questo dialogo

possa continuare nella società civile, come ogni cittadino dovrebbe fare, che questi temi siano

attuali e soprattutto che attorno a questo tema si sviluppi un sano e democratico pluralismo,

che è una cosa di cui abbiamo un disperato bisogno, perché ripeto, la narrazione attorno

al lavoro agile ha del surreale, è sfociata dal mio punto di vista oltre i limiti del grottesco,

quindi io credo che far, come dire, emergere visioni alternative ringrazio ancora chi ha

creduto in questo progetto, perché per me ha prestato un servizio di cittadinanza,

di civiltà, perché è un tema così importante che ha la capacità di impattare così drammaticamente

in positivo e negativo, dipende dai punti di vista del mondo del lavoro, ricordo che la

nostra Costituzione sancisce un rapporto intimo tra lavoro e democrazia all'articolo 1, fatto che

questa modalità di lavoro abbia la capacità di impattare così fortemente questo ambito,

insomma ci chiami all'obbligo di riflettere in merito al lavoro agile con, come dire,

veramente animati da vocazioni democratiche inclusive pluralista. Grazie ancora e grazie

Nevo per aver moderato questo incontro in maniera così... Grazie a voi, stanno arrivando

ancora domande ma dobbiamo chiudere per forza, perché dimostra che la questione è molto

appunto dibattuta, andava affrontata anche prendendola di petto e credo che questa

discussione non avevamo dubbi, l'abbiamo sentata profigua perché se è discusso nel merito sono

emerse delle differenze, sono emerse anche delle affinità, credo che sia emerso soprattutto la

consapevolezza della dimensione sociale e solidaristica e collettiva del lavoro. Certo,

non è tutto quello che è accaduto negli ultimi 30 anni o 40 anni, mi verrebbe da dire, andato in

un altro verso. Facciamo in modo che questo che sta accadendo, che è anche appunto una terra

incognita, non si sa dove si andrà a finire, rappresenti un'occasione di, almeno per quello

che mi riguarda, ma penso siate d'accordo su questo, di un recupero, di una svolta, diciamo così,

rispetto a quello che sono stati gli ultimi 30-40 anni. Va bene, grazie, grazie a tutti.

Grazie, buona serata. Grazie, arrivederci, alla prossima.