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Conversazioni d'autore, ‘Ahi, Sudamerica! Oriundi, tango e fútbol’ di Marco Ferrari

‘Ahi, Sudamerica! Oriundi, tango e fútbol' di Marco Ferrari

per la giornalista del TG3 e

Gigi Riva che sicuramente

tutti conoscerete anche come

giornalista dell'Espresso e

autore di di diversi libri che

hanno a che fare in qualche

modo con il calcio

tangenzialmente tra cui ricordo

uno molto bello che è il

titolo di un libro che è

intitolato come il calcio

di un'altra maniera, il calcio

di un'altra maniera, il calcio

di un'altra maniera, il calcio

più tardo, uno molto bello,

mi è piaciuto molto di

pubblicato da Sellerio, appunto

sulla guerra, sul calcio come

motivo di inizio della guerra

in Jugoslavia e abbiamo tutti

qui a parlare del libro di

Marco Ferrari A e Sud America

che abbiamo appena pubblicato e

uscito ieri in libreria, è un

libro che racconta come le

vicende eh del calcio e

l'origine eh italiana che hanno

viaggiato tra l'Italia e il

Sud America in questo continua

avanti e indietro. Allora io

comincerei a chiamando in causa

Gigi Riva con eh appunto perché

ne parlavamo un po' prima diciamo

di cominciare questa diretta eh

stiamo in mezzo diciamo stiamo

aspettando la finale degli

europei di domani dove l'Italia

vince a sconfiggere

l'Inghilterra incrociando tutte le

dita e toccando ferro ma eh ci

sono anche di diverse questioni

come dire di di geopolitica che

qualche modo che vengono chiamate

in causa e che ricordano anche

il libro di Marco. Allora Gigi se

vuoi dirci qualcosa sì ma prima

prima di di parlare di questo

vorrei fare una premessa il

libro di Marco non è solo un

libro che affronta i calciatori

che fanno la spola tra il Sud

America e l'Italia è anche un

libro che affronta un tema che

troppo spesso è è sottaciuto in

Italia che è il grande tema

dell'immigrazione in fondo tutta

la prima parte del libro

racconta eh anche pagine di

sofferenza di immigrati e

racconta del nostro rapporto

talvolta felice talvolta meno

con un fenomeno appunto che ha

fatto in nostro paese basti

ricordare e qui anche perché il

tema dell'identità è molto forte

in questo libro ed è anche un

tema assolutamente contemporaneo

che non riguarda solo eh gli

episodi anche lontani narrati da

Marco eh io ho scoperto che

secondo alcune stime gli

italiani che vivono fuori dall'Italia

figli di italiani immigrati

eccetera sono tra i centoventi e

centottanta milioni la stima come

una squadra molto larga no? E

una fetta di questi sia andata in

Sud America e pressoché ovunque

in Sud America abbia fondato

delle squadre di calcio eh con

le quali noi abbiamo un rapporto

eh viscerale talvolta di amore

qualche volta di odio nel

momento in cui ehm odio no

voglio dire diciamo così di sana

competizione nel momento in cui

le partite tra la nostra

nazionale e le partite e le

partite italiane sono

italiani spesso e volentieri

quando guardiamo un'Italia

argentina o quando guardiamo

un'Italia Uruguay eh o anche un

Italia Paraguay scopriamo che ci

sono molti nomi italiani. Ecco

Marco è andato a raccontare non

solo ehm i protagonisti di

queste vicende, alcuni

famosissimi, basti citare uno per

tutti, Schiaffino, no?

Considerato uno dei padri del

calcio, ma è andato anche a

ricostruire delle storie che se

non sono di guerra sono però di

case sono però di storie mi

ricordo una storia di quel

ragazzo se non sbaglio del San

Lorenzo che è morto a un certo

punto dopo che aveva giocato una

partita di calcio ammalato a un

polmone gli era stato ferito era

stato ferito a un polmone cioè ci

sono storie anche dolorose oltre

che oltre che storie felici

quindi è un libro è un libro che

si può leggere in molti modi lo

possono leggere gli appassionati

di calcio lo possono leggere gli

appassionati di immigrazione lo

possono leggere coloro che

coniugano appunto anche oggi che

cercano di coniugare anche oggi i

temi che riguardano l'identità e

a proposito di quello che tu mi

chiedevi se lo raccontavamo poco

prima di cominciare questa diretta

io mi ero mi sono divertito prima

di questi campionati europei a

esaminare il team delle varie

squadre i convocati delle varie

squadre arrivando a una soluzione

a una conclusione molto curiosa

che la guerra fredda che sembrava

fosse dimenticata in realtà

sopravvive nella divisione netta che

esiste tra este ove nella formazione

di queste squadre l'Ungheria ha un

solo straniero la Repubblica Ceca ne

ha zero la Polonia ne ha zero i paesi

sovranisti di Visegr ne hanno zero la

Slovacchia ne ha zero l'Ucraina ne ha

uno ed è un brasiliano curiosamente

esattamente come come come la

Russia uno pure pure brasiliano

dall'altra parte tu hai 17 svizzeri che

non sono svizzeri d'origine ai 17

francesi che non sono francesi d'origine

ai 8 inglesi che non sono inglesi

d'origine e se guardiamo l'andamento dei

campionati a dispetto della delusione

della Francia è evidente che le squadre

della mescolanza sono state più brave

delle squadre diciamo così mono etniche

e qui arriviamo al punto noi noi abbiamo

tre calciatori nella nostra nazionale

che sono tutti e tre Oriundi Toloi

Emerson e Giorginio Giorginio Oriundo per

modo di dire perché credo che sia

italiano per aver sposato un'italiana ma

insomma il tema che pone questi giocatori

che poi hanno avuto fortuna oltre che in

qualche caso nella nostra nazionale anche

nelle nazionali dei paesi che li hanno

ospitati pongono il problema dell'identità

evidentemente qual è l'identità se non

quella che uno autocertifica qualcuno ha

voluto autocertificarsi un'identità

italiana e noi abbiamo avuto un periodo

in cui gli oriundi hanno fatto la fortuna

della nostra nazionale salvo essere come

ricorda Marco ostracizzati per una parte

in cui si diceva che gli stranieri poi

minavano la possibilità che i calciatori

italiani emergessero salvo il fatto che

poi abbiamo incomportato caterve di

giocatori extra comunitari e non tutti

bravissimi no e quindi adesso c'è diciamo

così un piccolo rival di questi oriundi

che però ci riporta le origini no in

fondo il Sud America come ci racconta

bene Marco è anche e non solo ma anche

un lembo d'Italia esatto Marco te

volevi dire qualcosa su questo diciamo

perché anche se volevo dire che appunto

fino a poco tempo fa negli stadi italiani

si non si gridava e non non ci sono

negri italiani no diciamo questo al

povero Balotelli veniva gridata questa

cosa adesso appunto se c'è le cose sono

già nel giro di pochissimi anni sono

molto più complicate no diciamo perché

appunto è molto difficile dire chi quali

sono gli italiani in qualche modo insomma

Marco te volevi dire tanto ringraziare

Gigi per le belle parole il tema tanto per

cominciare Giorginio non sarebbe un

oriundo ma un rimpatriato Giorginio non

ha mai giocato in Brasile è stato

portato qui dai genitori che avevano una

casa dei nonni nel veronese ha cominciato

mi credo mi sembra nella Sambonifacese

poi andato nel Verona e via dicendo

però lui non ha mai giocato a differenza

non so di Emerson che per esempio è

stato comprato dal famoso Santos di Pelè

ma il libro analizza come ha detto Gigi

soprattutto questo fenomeno dell'altra

Italia dimenticata noi dal 1860 al

1960 abbiamo fatto partire 26 milioni

di italiani e ecco la cifra che poi

moltiplicata per generazioni supera i

cento milioni di discendenti italiani se

noi chiedessimo qual è la principale

città italiana del mondo uno risponde

Milano e Roma in realtà è San Paolo del

Brasile ci sono tre milioni e mezzo di

italiani o comunque di discendenti

italiani l'Uruguay è formato al 40%

da italiani io che sono stato spesso a

Montevideo che lavoro per un giornale in

lingua italiana Gente d'Italia e vedi

veramente un'altra Italia dimenticata

una volta l'Italia ha seguito gli

emigranti a Montevideo c'era l'ospedale

italiano, il liceo italiano tutto questo

si è perso già a Buenos Aires negli anni

30 la popolazione italiana era superiore

per numero a tutti quelli degli altri

paesi tant'è che si era posto anche il

problema del bilinguismo anche se poi

diciamo la guerra l'entrata in guerra di

Mussolini ha in qualche maniera mutato

questo orientamento anche nel calcio per

esempio il Palmeiras si chiamava palestra

Italia e per esigenze diciamo politiche

gli è stato cambiato il nome

l'identità più forte italiana secondo me

si riscontra in Argentina e in Uruguay

non è soltanto una questione di calcio

ma proprio una questione di modi di vita

di mangiare di gastronomia di

ristoranti di modo di pensare è una

palpabile anche nell'urbanistica non so

i cimiteri sono pieni di marmo di Carrara

sono scarpellini di Carrara che sono

emigrati lì i più grandi palazzo di

Buenos Aires si chiama palazzo Barolo e

quello di Montevideo palazzo Savio sono

tutte e due di Palanti e palazzo Barolo è

un enigma architettonico perché in realtà

questo Barolo che non era quello del vino

ma era un'industria alle tessile pensava

di trascinare lì i resti danteschi che

erano a Ravenna e Palanti poi ha

costruito un palazzo gemello appunto

palazzo Savio a Montevideo e i due palazzi

erano collegati da un faro che

illuminava il delta del rio della Plata

quindi c'è tutto un sistema di

italianità che si risulta anche nel

calcio perché per esempio qui sono citate

le squadre maggiori a Montevideo

ovviamente il Penarol che nient'altro

che Pinerolov fornato dai emigranti

piemontesi cito i casi appunto della

bocca perché è il più noto con scritto

Zeneise sulla maglia ma anche il river

è nato nel quartiere della bocca e San

Lorenzo la squadra del papa è stata

fondata da Don Massa che era un prete

piemontese l'indipendiente di Avellaneda

campione del mondo che io ho visto

giocare perché i miei parenti vivono

vicino a Avellaneda in realtà è

indipendiente da los padrones questo è

il titolo poi i martires sarebbe

martires di Chicago ed è appunto per

quelli che morirono a Chicago nel

famoso episodio e quindi ecco che c'è

tutta un'identità che dalla società poi

si è trasmessa anche al calcio.

Il mare, quell'episodio è quello del primo

maggio credo, quello in cui deriva la

celebrazione del primo maggio.

Io come editor del libro devo dire che

ho faticato molto come spesso capita con

i libri di Marco perché lui arriva sempre

con una prima versione del Datti lo

scritto che è molto diciamo di

dimensioni non enormi e poi dice ma ho

trovato un'altra storia bellissima c'è

un'altra cosa da aggiungere e quindi

ed effettivamente le storie sono belle

quindi il contenimento è sempre

drammatico diciamo perché come dire si

può non si può non si può non si può

gonfiare all'infinito. Io un capitolo

che appunto avrei voluto togliere che

invece abbiamo lasciato perché è molto

bello è quello dedicato ai ai bidoni ai

cinque bidoni dell'Inter insomma che la

la mia squadra del cuore purtroppo e

quindi su questo volevo sentire appunto

Maurizio Mannoni con cui condividiamo

questa sfortunata passione insomma.

Ma una volta ogni dieci anni una volta

ogni dieci anni io non l'ho mai vinto

sono atalantino. Hai vinto la Coppa

Italica però. La Coppa Italica se te lo

ricordi. Beh intanto noi interisti

siamo una sorta di oriunghi adesso

perché siamo proprietari dei cinesi

italiani italiani ma di proprietà

in modo che possiamo considerarci

riundi da questo punto di vista ma io

intanto volevo dire una cosa sul libro

di Marco che come sempre parte da

storie molto belle molto particolari per

fare un affresco dalle parole che ci ha

detto adesso dalle cose che ci ha detto

adesso si capisce che costruivo parla di

calcio dei calciatori ma

sullo sfondo perché poi in realtà c'è

dentro soprattutto la grande drammatica

come veniva ricordato storia

dell'immigrazione italiana soprattutto in

Sud America. C'è una cosa che ecco da

questo punto di vista che mi ha sempre

affascinato come appassionato di calcio

è la storia appunto degli emigrati

italiani in Argentina, Buenos Aires, la

fondazione del Boca, del Boca Juniors

gli emigrati genovesi soprattutto Liguri

che diedero vita a questa che è una delle

più grandi squadre, le squadre più

affascinanti, la squadra dove cominciò anche

Maradona insomma quella è una grande

storia perché ad esempio voi lo sapete

anche voi naturalmente Daniele De Rossi

che è andato a giocare lì l'ultimo

scorcio della sua carriera

ha giocato soltanto pochi mesi ma ne è

tornato ho visto delle sue interviste

assolutamente affascinato da

questa storia, dai personaggi che ancora

italiani che ancora lì si ricordano da

tanti diciamo italo argentini che

ancora ci sono e proprio perché è una

storia che va alle radici del nostro

Paese, quelle più pure, quelle più

difficili e drammatiche. Io il primo

impatto come sempre come appassionato di

calcio che ho avuto con gli Oriundi è

stato nella bocca, credo verso la fine

degli anni 60 quando comincio a

ricordarmi del vivo del calcio e

personaggi come Sivori, come Altafini,

come Sormani che hanno fatto la storia

del nostro Paese. A quel tempo

diciamo lo ricordava anche Marco Ferrari

non so forse lo ricordava Gian Giriolo

il rapporto non con questi tre in

particolare perché forse erano dei

personaggi ma insomma in genere non era

molto buono, c'erano quelli che venivano

definiti angeli dalla faccia sporca, era

un complimento a metà, per metà erano

angeli ma soprattutto avevano la faccia

sporca, nel senso che l'immagine che si

aveva di loro era di durezza soprattutto

anche a volte un po' di più di durezza,

tutti maschio, ricordate tutti questi

Oriundi argentini erano gente molto

piuttosto tosta, che avesse segnato nel

proprio DNA la vita dura, non loro,

i loro parenti, i loro genitori, i loro

nonni ed è stata sempre questa

degli Oriundi una storia affascinante.

Fino agli anni 60, agli anni 70 era una

storia anche dal punto di vista

anche sportivo affascinante, dopo e

fino anche ai tempi nostri un po' di

meno, abbiamo usato gli Oriundi,

abbiamo fatto intanto diventare

Oriundi con degli escamotage spesso

anche abbastanza discutibili, bastava

appunto un nonno, un parente lontano se

ci serviva, un brasiliano, un argentino

eccetera, prendevamo lo facevamo

nazionalizzavamo e quindi

diciamo da questo punto di vista ha perso

un po' di fascino del romantico che

questa storia ha sempre avuto come il

libro di Marco Ferrari ci ricorda. Per

quanto riguarda i bidoni dell'Inter, noi

ne abbiamo presi tanti, adesso

ricordatevi quali sono, quali sono?

Vi dico io, guarda, Elmo Bovio, Alberto

Paolo Corrioni, Cerioni, Bibiano Zapparain,

Luigi Alberto Pedemonte, Tommaso

Luisi, Luiz Volpi, siamo dopo guerra,

dopo guerra, uruguayani, erano uruguayani

che non me li ricordo. Non hanno vinto dieci partite

nell'Inter. Non hanno lasciato traccia. Non hanno

lasciato traccia nella storia dell'Inter.

No. Obiettivamente no, ma tipo uno come

Schelotto che abbiamo avuto

disgraziatamente un anno, non era anche

lui tipo riundo. Si, si, ha giocato

in Italia, anche. Però la cosa buffa di

questo di questi cinque fu Bovio che a

Modena giocava con un cappello da

impermeabile e praticamente si trovò

solo davanti al portiere, gli cascò il

cappello, si fermò per rimettere.

Arrivarono i difensori del Modena e gli

torsero la palla. E in un momento uscì di squadra.

Però Schelotto che veniva dall'Atalanta

peraltro ha fatto un gol in un derby.

Ha fatto un gol in un derby, ma diciamo non lo ricordiamo come tra i nostri.

No, lì è una storia strana. Sono cinque fratelli calciatori. Lui è l'unico che ha giocato nella

Nazionale Italiana. Gli altri sono rimasti in

Argentina.

Diciamo che a noi è bastato uno, decine.

No, invece l'Inter ha sempre avuto un

rapporto molto forte con gli argentini.

I nostri stranieri più forti,

basti pensare a Javier Zanetti che

adesso è vicepresidente, ma non soltanto

lui. Su un'Argentina, a Milano c'è una

forte comunità da questo punto di vista

coltivata dallo stesso Zanetti ma anche

da altri giocatori argentini.

Evidentemente c'è questo legame.

Marco, io ti volevo dire, perché una delle

caratteristiche di questo libro è appunto

anche quella poi di intrecciare la

grande storia con la storia del

calcio. Per cui, anche per cercare di

sfatare questo mito che purtroppo però

in libreria è un po' così, per cui

l'idea in Italia è che chi legge libri

difficilmente si interessa di calcio.

Per cui è difficilissimo riuscire ad

avere un grande successo con libri di

calcio perché in qualche modo sembrano

qualcosa che i lettori di libri non

conoscono. Noi abbiamo provato anche con

questo libro appunto a sfatare questa

cosa perché ci sembra che invece il calcio

possa essere un ottimo modo, seguendo un

po' la lezione fantastica di Osvaldo

Soriano per raccontare il mondo. Perché

scusa, ti trovo che i libri sul calcio in

Italia sono di solito autobiografie di

calciatori con dei giornalisti,

francamente no? Non è che suscitino

questo interesse. No, no, esatto, sono quasi

dei gadget che si comprano perché sia

tifosi di questo o quel calciatore

piuttosto che libri veri e propri.

Però è molto cambiato Giovanni, negli ultimi anni.

Non solo in Italia credo, scusa Marco,

la domanda era per te. Non hai finito la domanda però.

Dopo la finisco, adesso sentiamo Gigi cosa dice.

Io credo che in realtà ci sia stato

soprattutto negli ultimi anni una grande

svolta, cioè la letteratura che

tratta temi sportivi per meglio dire, non

è più considerata credo ormai da anni o

una letteratura minore come era

considerata prima. Io mi ricordo durante

gli europei di Francia, per dire di un

paese vicino a noi, uscirono 166 libri

di tema sportivo in Francia e quasi

tutti erano romanzi, cioè è vero voi

citavate Soriano e Galeano, siamo

naturalmente in tema sudamericano, però

se penso a Roland Barthes è uno che ha

scritto di sport in un modo mirabile, se

penso allo stesso Camus, se penso a

Pasolini in Italia, si pensa a

Carmelo Bene, è stato sdoganato non solo

da alcuni grandi scrittori ma persino da

case editrice che sono nate appositamente

per pubblicitare letteratura sportiva,

penso facciamo, non so se facciamo

propaganda ad altre case editrice, ma si

può, la 66 and the second, tanto per

dirne una che sta facendo un'opera

meritoria al riguardo, quindi credo che

ormai si sia entrato nell'uso,

esattamente come si diceva un tempo, i

libri che raccontano fatti veri non sono

letterature, perché letteratura è solo

fiction, a parte che io credo che non si

scrive che di se stessi, cosa che ha

fatto anche Marco in questo libro, ma in

realtà credo che i generi ormai sono

talmente mischiati per cui l'unica

divisione possibile è tra buoni libri e

cattivi libri, una frase abusata, ma

ogni tanto vale la pena dire.

A questo sono assolutamente d'accordo,

il problema è quello del pubblico in

questo caso, nel senso che io penso che

l'editoria abbia fatto un lavoro molto

buono, appunto come ricordavi te, ma anche

ci sono state cose che sono uscite per

diverse case editrici, anche Open, il

famoso di Agassi, è un grande libro e

lo sport è un po' per modo di dire

si parla della vita, però il pubblico

comunque ha sempre fatto un po' fatica a

seguire questo tipo di cose, noi speriamo

che invece, anche perché questo libro di

Marco è un libro anche di storia e noi

siamo una case editrice di storia,

possiamo provare a raccontare le cose

e avvicinare un pubblico anche diverso,

per cui ci siamo riusciti spesso con i

libri di Montagna, speriamo di riuscirci

per esempio con i libri di Marco per

quanto riguarda il calcio. Quello che ti

volevo chiedere Marco, era appunto

parlando di storia, mi pare, diciamo, te

raccontavi la storia molto bella,

racconti la storia molto bella dei

calciatori della Roma che scappano

durante il regime fascista da Roma,

perché hanno paura di essere arruolati

per costrizione, diciamo, è che è una

storia fantastica secondo me. Sì, è la

storia di tre calciatori della Roma, il

principale era Schiavo che aveva giocato

nella nazionale e altri due che

improvvisamente vengono chiamati al

commissariato dei garabinieri per il

servizio militare e quindi loro temono

di finire nella guerra di Etiopia e

quindi praticamente non si presentano

dal commissariato, vanno a casa,

prendono le valice e prendono la macchina

e scappano. La macchina viene poi

ovviamente la polizia li insegue, viene

ritrovata sotto la stazione della Spezia,

salgono su un treno, vanno a Santa

Margherita Ligure, cambiano un altro

treno per Genova, poi un altro a 20

miglia, trovano un busser e riescono ad

arrivare a Mentone e da lì prendono un

treno sempre tutti separati e così via

e riescono a giungere a Marsiglia e

prendere la nave per andare via.

Però qualche tempo dopo Pozzo è andato a

Buenos Aires e si è ritrovato Schiavo e

Schiavo gli ha detto purtroppo, dice ho

avuto paura e forse ho commesso l'errore

principale della mia esistenza che è

quella appunto di rinunciare a un enorme

carriera anche perché poi i tre

praticamente finirono male, nessuno

dei tre ebbe successo in

Argentina. Il loro ritorno non ebbe un

grande clamore, al contrario furono

proprio dimenticati. Sempre in tema di

politica ovviamente... dimmi. No no diceva

era perché io immaginavo questi agenti

dell'ovra che vanno a inseguire...

Certo, certo. Una storia fantastica.

Sì stamattina peraltro Romagnoli ha

dedicato la sua rubrica quotidiana

proprio alla storia di questi tre

oriundi paragonandoli appunto a

Giorginio, Toloi e Emerson. La storia di

oriundi di ieri e di oggi. Poi

naturalmente siccome come tu hai detto

non si parliamo solo di calcio ma il

calcio è anche lo sfondo di grandi eventi

per esempio quello della dittatura in

Argentina, i mondiali del 74, tutta la

repressione che c'è stata. 78, 78 Marco.

Il fatto che Menotti pur essendo

comunista abbia deciso di restare alla

guida di quella nazionale. E poi secondo

me l'altro evento più importante è la

famosa partita fantasma giocata nel 73,

lo spareggio per andare ai mondiali

tra Cile e Unione Sovietica. L'Unione

Sovietica non si presentò e l'albito

curiosamente diede il fischio di inizio

della partita con in campo solo il Cile

e gli spalti completamente pieni.

Naturalmente si scelse Valdés che era il

capitano per fare il famoso gol del 1 a 0

che avrebbe sancito il passaggio del

Cile. Però c'era un calciatore dal nome

difficilissimo, mi pare che sia, ora ci

guardo perché è difficile, Selesi, che

era di sinistra, era comunista e aveva

appoggiato poco tempo prima un

candidato di sinistra e improvvisamente

in questa partita ebbe una piccola

intuizione però aveva davanti 60.000

persone e non ebbe il coraggio, quella di

buttare la palla in fallo laterale.

Nessuno avrebbe potuto fare la rimessa.

Giovanni questo è il motivo per cui

leggendo il libro di Marco, devo

ammettere una cosa, non tutto perché me

l'hai mandato solo ieri, disgraziato, e

quindi ho potuto leggerlo a tratti ma lo

completerò, però per quello che ho letto

ho sempre avuto in testa un altro libro

che è uscito di recente che è La

solitudine del sorversivo di Marco

Bechis, perché anche Marco Bechis

racconta cose che sono legate al mondiale

del 78, a queste partite che lui sentiva,

quindi a conferma di come il sostrato del

libro di Marco è un sostrato che in

realtà usa il calcio e molto

naturalmente, ma per raccontare anche

uno specchio, una parte della nostra

storia recente, non solo della nostra

storia recente ma anche della storia

recente dei paesi dove

si affaccia, dopo di che io ho una

curiosità, se gliela posso chiedere io

Giovanni, perché l'esergo del libro è

dedicato a suo padre che l'ha portato a

vedere Boca River, mio zio, e che è il

sogno di tutti noi, Maurizio, di andare a

vedere un Boca River, lui l'ha visto,

raccontaci com'è vedere Boca River.

Boca River è veramente un'emozione, cioè

la cosa strana della bombonera

lì della bocca, di cui dedico un capitolo

perché ho un amico, Juan Battista

Stagnaro, che è di origine ligure, un

regista di cinema abbastanza famoso, era

stato anche finalista agli Oscar, lui

abitava davanti alla porta d'ingresso di

questo stadio, è incredibile, e quindi lui

da bambino vedeva tutti questi echi,

queste cose, finché poi è riuscito un

giorno a entrare nello stadio, e lo

racconto molto bello, e c'era l'allenamento

del Boca, lui era l'unico spettatore,

quindi ha avuto questa emozione di

vedere i suoi grandi giocatori lì a

pochi metri da solo, e poi ha visto la

famosa sconfitta del Boca contro il

Santos nella finale del campionato

americano, Coppa Libertadores, e quindi

per lui è rimasto in qualche maniera un

dolore non sanato, un dolore non sanato.

Io ho visto questa famosa partita, mi

sembra che... Però ci devi dire se eri per il

Boca o per il River... No, io tengo per il

Boca, diciamo che Orolina è una

situazione buffissima, perché in realtà

noi, questa zona sud di Buenos Aires è

completamente italiana, ma direi molto

ligure, perché diciamo, oltre... c'è un

ponte, si chiama Riachuelo, è un

mefitico e puzzolente fiume che divide

la zona sud della capitale dal resto

della capitale, e è quasi una città

a parte, abbiamo il quartiere della Boca,

poi abbiamo Avellaneda, Chilmes, voi

pensate che a Avellaneda ci sono due

stadi, c'è l'indipendiente

da una parte, dall'altro ce n'è un

altro, sono proprio a dieci metri di

distanza, sono due stadi,

poi c'è il Chilmes che gioca in serie A,

poi abbiamo la Nus, quindi abbiamo nel

giro di pochissimi metri, abbiamo cinque

squadre di serie A, è incredibile anche

la concorrenza, e diciamo ognuna di

queste squadre ha sicuramente una

identità politica o etnica,

l'indipendiente di Avellaneda, come

ho detto prima, è indipendientes

dallo spadrones, quindi è stata fondata

da anarchici italiani. Il Boca,

l'hai detto anche tu adesso Maurizio, è

la storia di cinque ragazzi di origine

genovese e un lucano che fondarono su una

panchina, perché la mamma di Baglietto

era stufa delle riunioni che si

svolgevano in casa sua, le ha buttate

tutti fuori, fate le riunioni in una

panchina e c'è adesso alla Boca poi

questa famosa panchina che ancora è

indicata come la panchina dove è nato

il Boca. Il Boca con scritto Zeneise è

veramente in emozione. In fatti il lucano, e ho letto

con molto gusto quello che hai detto, il

lucano non era molto d'accordo che si

chiamassero Zeneise. Sì, sì, non era

d'accordo perché era in minoranza, però

alla fine ha dovuto resistere. E lo

stesso vale per il River, anche il River

è nato alla Boca, anche se poi grazie alla

concessione del governo che gli aveva

concesso uno stadio un po' più a nord

verso Porto Madero, è emigrato

diciamo nella zona più ricca della

città e quindi per quello ancora oggi

River-Boca è un grande match

importante.

Oltre che una storia di storie veramente

incredibili e meravigliose insomma

di questa enorme metropoli che

sembra, come dice Marco, divisa da un

oceano, separata da un oceano, per cui

Genova e Buenos Aires sembrano essere in

un certo momento storico quasi la stessa

città solo separata da un piccolo

tratto di mare.

Però è anche questo libro, è anche una

serie di ritratti di personaggi

fantastici. Io devo dire la verità, avendo

letto il libro e seguito il libro, mi sono

abbastanza innamorato di Pesaola perché

è un personaggio veramente fantastico, almeno

da come lo racconta Marco, perché poi c'è

sempre come dire, il filtro.

Pesaola devo dire che l'ho conosciuto,

l'ho conosciuto sia quando era a Firenze

come allenatore, che ha vinto il

campionato della Fiorentina, ma poi a

Napoli, perché sono amico del figlio,

Mangusta, è un artista, e quindi ci ho

parlato anche a lungo. È una storia

commovente perché praticamente lui faceva

il lustra scarpe a Regianeda da bambino,

gli è morto il padre, faceva il lustra

scarpe da bambino e il fratello maggiore,

considerando che lui poteva essere un

calciatore, lo portava sempre

ad allenarsi tutti i giorni, gli diceva

guarda, usa il piede sinistro, impara a

usare il piede sinistro perché di piedi

destro c'è pieno, di sinistro ce n'è poco.

Quindi questo ragazzino, lustra scarpe

nella piazza principale di Regianeda,

quando non aveva un cliente, prendeva un

pallone e cercava di giocare di sinistro.

È una storia emozionante. Poi è venuto in

Italia, si è sposata con una persona,

un'attrice mi sembra, a Novara e poi ha

vissuto il suo periodo migliore nel

Napoli e poi come allenatore nella

Fiorentina. L'altro personaggio che

secondo me è incredibile è il Toto Lorenzo,

sia come giocatore della San Pedroria che

come allenatore di Lazio, anche se tradì

la Lazio e andò alla Roma. Lui aveva

tutto, come dire, un sistema, come dire,

tutto suo di preparare le partite.

Allora intanto portava una gallina, no?

Portava la gallina, prendeva un gatto

morto e la notte lo piantava nel campo

dove potevano giocare, metteva tutti

degli amuleti nel spogliataglio

dicendo, non sentite, qui c'è il malocchio,

togliamolo, aveva tutte delle erbe, delle

ande e così via. Passava con il rosso

perché diceva che portava fortuna con il

Pullman della Lazio, solo che una volta ha fatto un

incidente e da quel momento l'autista

si è rifiutato e la cosa più curiosa è

stata questa, che aveva un derby con la

Roma ed era quasi sicuro di perdere e

allora praticamente per, come dire, per

incuriosire gli avversari, prima

dell'entrata della partita si è

presentato in mutande con un mangianastri

con un tango e si è messo a ballare

davanti a quelli della Roma e questi

erano tutti sconvolgenti, ma che fa

questo? È impazzito, cioè era tutto

un modo di fare originalissimo.

Era fatto un altro e contro l'altro lo riportò in Italia a Giorgio

Chinaglia quando divenne... Esattamente, poi alla fine è

ritornato con Giorgio Chinaglia.

Dopo di altro personaggio, no?

Marco, se mi avessi chiamato prima di

scrivere il libro, se mi avessi chiamato

prima di scrivere il libro ti avrei

raccontato altri episodi perché il mio

più caro amico, l'amico proprio delle

elementari e delle medie, ha giocato in

quella Lazio con l'Orenzo ed era il suo

bersaglio preferito, si chiama

Filisetti, Daniele. Anche il mio migliore

amico ha giocato nella Lazio, Borgo,

capitano dell'Ospezia poi, Sergio Borgo.

E quindi Daniele ha subito

alcune di queste cose. La gallina, lui l'ha

provata sul lungomare, notte alle 5,

quando l'Orenzo lo svegliò per vedere se

questo, scusate la parola ma cito tra

virgolette stopper del cazzo, svegliati

che voglio vedere se sei pronto.

Lanciava la gallina e via, dovevi inseguirla.

Ma la cosa più curiosa che fece è che un

lunedì chiamò Daniele per dirgli, doveva

essere San Doria a Lazio e gli chiese

lo sai chi devi chi devi marcare domenica?

Dice no mister, non lo so. Devi marcare

Francis. Dice va bene, ma lo sai quanto

pesa Francis? No mister, pesa 74 kg e tu

pesi 78. Entro domenica devi pesare 74 kg.

Minestrone, mezzogiorno e sera, Daniele

la domenica pesava 74 kg, ha salito i

gradini di Marassi, girava tutto lo stadio

perché non stava in piedi. Francis ha fatto

due gol nel giro di un quarto d'ora. Daniele

sostituito e la partita è finita 2 a 2.

No poi era buffissimo perché lui, Felisetti

e altri difensori, ungeva le mani di

Peperoncino e gli diceva quando tu sei

vicino all'attaccante sfrega gli la mano

nella faccia del centravanti.

I vostri oriondi preferiti quali sono?

Se posso chiedervelo.

Angelillo. Angelillo anche per la storia

d'amore romantica.

Angelillo ma lo ricordo poco, appunto di

quelli che mi ricordo, come si fa a non dire

Sivori, Altafini.

Abbiamo avuto anche l'ombre verticale

come allenatore che per me era rimasto

sempre, anche se ci ha fatto perdere uno

scudetto, però è sempre una figura abbastanza

non era un riundo.

A me piace molto Cesarini, appunto

quello della famosa Zona di Guarini perché

praticamente nella casta Juventus lui

era invece un argentino nell'anno, anche

se era nato in Italia, emigrato da

bambino e riportato indietro e quindi

tutti lo controllavano, avevano

assoldato i ragazzi della primavera per

controllarlo. Allora lui praticamente

pagava di più di quello che dava il

presidente per essere libero la notte.

Tutto questo non bastò e a un certo punto

Cesarini si fece un bel locale notturno

e fece un'orchestra di piemontesi

vestiti tutti da gauccio e quindi lui

praticamente la mattina quando c'era

l'allenamento andava vestito con lo

smoking della notte all'allenamento, nel

migliore dei casi, nei peggiori arrivava

con una vestaglia e sotto era mezzo nudo

perché era appena stato alzato, risvegliato

dal letto da qualche dirigente

juventino. E poi la cosa buffissima era

questo, lui era un po' svogliato in campo

ma quando finiva i soldi andava là e

diceva al conte Mazzonis, guardi domenica

c'è il Milan, se mi dà paga doppia faccio

un gol e lui riusciva proprio al

novantesimo appunto in zona Cesarini a

fare questo famoso gol che gli valeva il

doppio dei soldi che gli doveva la

Juventus. Insomma, gli racconti sarebbero

infiniti, c'è anche una cosa che è un

altro capitolo fantastico che abbiamo

dovuto, come dire, eliminare perché

se no il libro non sarebbe mai arrivato a

finire e Marco se lo vuoi dire questo

forse qualcuno di voi. È l'armarico di

questo libro caro Giovanni, ma a un

certo punto Sivori venne nominato

comisario tecnico della nazionale di

calcio, è argentina e doveva giocare due

partite, una a Buenos Aires e l'altra in

quota nella capitale della Bolivia a

3500 metri e quindi allora lui

praticamente fece una convocazione

normale per la nazionale che giocava a

Buenos Aires e poi fece una nazionale

fantasma, la mandò su Leande a 3500

metri, solo che quelli della

federazione non li riconobbero come

convocati della nazionale, quindi li

lasciarono praticamente lì. Questi poveri

calciatori per riuscire a mangiare

dovevano fare delle partite

praticamente con le formazioni locale a

3500 metri e in cambio riuscivano a

ottenere in pranzo una trattoria per

riuscire a sopravvivere. Poi finalmente

è andata bene alle due nazionali perché

la prima ha vinto a Buenos Aires e la

seconda ha vinto in Bogotà a 3500

metri, di quella nazionale ne è stato

salvato solo uno che è andato ai mondiali

che era Kempes, l'unico salvato dalla

nazionale fantasma. Però questo

possiamo dircelo solo adesso in diretta

perché Giovanni Carletti... A questo punto

la tua promessa deve essere quella che

questo cosa assieme a un'altra che voglio

dirti, sai qual è il difetto di questo

libro? Che non hai trattato i cestisti.

Per esempio Ginobili, per esempio

Delfino, anche lì c'è tutta una tradizione

diciamo così da esplorare di personaggi.

Ginobili ha vinto un'Olimpiade

addirittura, se non mi sbaglio, oltre a

vincere qualche titolo dell'NBA.

Anche nel basket Oscar il

brasiliano, insomma, c'hai terreno per

cominciare. Noi abbiamo parlato

della musica perché tutto il capitolo

del tango è tutto un capitolo, si a parte

Gardel di cui origine è incerta, ma

insomma c'è tutto un capitolo che è

dedicato al tango e soprattutto agli

italiani che hanno formato il tango. Il

famoso discovolo che disse

il tango un pensiero triste che si

balla, dicepolo scusate, il tango un

pensiero triste che si balla. Poi abbiamo

la storia di Astor Piazzolla che il padre

era un barbiere di trani e la madre

era lucchese. Poi abbiamo la storia di

Gugliese che il grande maestro è stato

scenduto dal lavoro durante la

dittatura dei generali.

Dicevo, scusa, che si intreccia con la

storia, appunto, perché altrimenti

sarebbe giusto apposto, ma la storia

del tango si intreccia fortemente con

quella del calcio, tu lo mostri, tu lo

racconti, insomma ci sono vari episodi in

cui questa musica, anche

questa oriunda, in qualche modo ha una

relazione strettissima con il calcio e i

calciatori soprattutto. Quindi, insomma,

appunto come abbiamo scritto

nella quarta, il libro che ha anche una

colonna sonora clandestina in qualche

modo, che bisognerebbe mettere sul

giradischi quando si legge

questi tanghi di Piazzolla e di Gardel

sarebbe bene, insomma, come dire, averli

pronti, insomma, perché funzionano molto

bene ad accompagnare la lettura.

Grande Marco Ferrari, un bellissimo libro, dai.

Grazie a voi, grazie a voi. Grazie moltissimo di

essere stati qui con noi. Però dicci una cosa

sull'oriundo alla guida dello Spezia adesso.

Ah, Tiago Motta, devi parlarne te, sei

interista, voi due siete interisti.

Tiago Motta, una sorpresa per tutti. Come

allenatore, non ne sappiamo neanche, anzi

abbiamo, nutriamo qualche serio dubbio

francamente. Dopo italiano, guarda caso,

italiano abbiamo preso un oriundo.

Speriamo che sia un po' più rapido

diciamo come allenatore rispetto a come

era come giocava.

Un calciatore. La cosa buffa è che la Fiorentina

quando ha preso, ha rubato

Italiana allo Spezia, ha messo come

colonna sonora italiano, italiano vero di

Totò Cotugno che anche lui è uno spezzino.

Quindi cioè ci hanno tolto anche l'inno, ci

hanno tolto l'allenatore e l'inno quelli

della Fiorentina. Va bene.

In campionato, due a zero.

Però Cotugno non è, non mi sembra che sia

proprio spezzino. È nato a Vivizzano ma ha

vissuto, ha vissuto.

Anche te non ti stai allargando troppo.

No, guarda, io devo essere sincero, vi

devo raccontare un episodio perché mio

padre gestiva un circolo dell'Arci, si

chiamava la Nevea, dove suonava il papà di

Totò Cotugno con Totò Cotugno e suo

fratello batterista. Quindi io ho passato

l'infanzia con la famiglia Cotugno. Non

solo, ma siccome si faceva tardi la

notte, quando tornavamo a casa, io abitavo

un po' sopra Cotugno, si si andava a piedi

lungo questo sentiero e si andava a casa.

E mi ricordo che il papà non lasciava

mai la fisarmonica in questo circolo

perché non si fidava troppo, lasciava la

batteria e si portava in spalla la

fisarmonica a casa, vicino a casa mia.

Quindi voglio dire di Totò Cotugno posso

parlarne.

No, no, no, dicevo come il fatto che

l'avevi trasformato in spezzino.

E no, ha vissuto tutta la vita, è nato,

perché sua madre è di Vivizzano, quindi è

nata a Vivizzano, ma sua sorella abita a

Spezia, abitava a Rebocco, nel quartiere

di Rebocco, come Mannoni abitava nel

quartiere di Migliarine, come te abitavi

in centro perché te sei più fortunato di

noi.

E quanto vanno in identità ormai è

plurale, Cotugno, Catturia,

Berlino, un po' tutto, quindi non possiamo

chiuderlo in un'unica identità.

Esatto, siamo tutti oriundi di qualcun

altro.

Esatto.

Allora vi ringrazio tantissimo perché è

stato per me un piacere e un onore

poter insomma condividere il tempo con

voi e parlare di, e mi sarei fermato molto

a lungo, però siamo ormai oltre quello

che ci è concesso, se no tra poco ci

tagliano, e quindi speriamo di avere

presto occasione magari di parlarne dal

vivo di questo libro molto bello di

Marco Ferrari,

Ai Sud America, che naturalmente è una

citazione di Paolo Conte, anche un altro

che ha sentito molto, come dire,

l'influsso di questa, di questa mitico

Sud America di cui parla Marco nel libro.

Se quest'estate ci invita a Porto Venere

veniamo volentieri.

Grazie di nuovo.

Anche a Monte Rosso volentieri.

Anche a Monte Rosso, anche a Monte Rosso.

Grazie, arrivederci.

Buona serata a tutti e buon weekend.

Arrivederci.

Eccoci, allora ci siamo.


‘Ahi, Sudamerica! Oriundi, tango e fútbol' di Marco Ferrari 'Ouch, South America! Oriundi, tango and fútbol' by Marco Ferrari ¡Ay, Sudamérica! Oriundi, tango y fútbol' por Marco Ferrari

per la giornalista del TG3 e

Gigi Riva che sicuramente

tutti conoscerete anche come

giornalista dell'Espresso e

autore di di diversi libri che

hanno a che fare in qualche

modo con il calcio

tangenzialmente tra cui ricordo

uno molto bello che è il

titolo di un libro che è

intitolato come il calcio

di un'altra maniera, il calcio

di un'altra maniera, il calcio

di un'altra maniera, il calcio

più tardo, uno molto bello,

mi è piaciuto molto di

pubblicato da Sellerio, appunto

sulla guerra, sul calcio come

motivo di inizio della guerra

in Jugoslavia e abbiamo tutti

qui a parlare del libro di

Marco Ferrari A e Sud America

che abbiamo appena pubblicato e

uscito ieri in libreria, è un

libro che racconta come le

vicende eh del calcio e

l'origine eh italiana che hanno

viaggiato tra l'Italia e il

Sud America in questo continua

avanti e indietro. Allora io

comincerei a chiamando in causa

Gigi Riva con eh appunto perché

ne parlavamo un po' prima diciamo

di cominciare questa diretta eh

stiamo in mezzo diciamo stiamo

aspettando la finale degli

europei di domani dove l'Italia

vince a sconfiggere

l'Inghilterra incrociando tutte le

dita e toccando ferro ma eh ci

sono anche di diverse questioni

come dire di di geopolitica che

qualche modo che vengono chiamate

in causa e che ricordano anche

il libro di Marco. Allora Gigi se

vuoi dirci qualcosa sì ma prima

prima di di parlare di questo

vorrei fare una premessa il

libro di Marco non è solo un

libro che affronta i calciatori

che fanno la spola tra il Sud

America e l'Italia è anche un

libro che affronta un tema che

troppo spesso è è sottaciuto in

Italia che è il grande tema

dell'immigrazione in fondo tutta

la prima parte del libro

racconta eh anche pagine di

sofferenza di immigrati e

racconta del nostro rapporto

talvolta felice talvolta meno

con un fenomeno appunto che ha

fatto in nostro paese basti

ricordare e qui anche perché il

tema dell'identità è molto forte

in questo libro ed è anche un

tema assolutamente contemporaneo

che non riguarda solo eh gli

episodi anche lontani narrati da

Marco eh io ho scoperto che

secondo alcune stime gli

italiani che vivono fuori dall'Italia

figli di italiani immigrati

eccetera sono tra i centoventi e

centottanta milioni la stima come

una squadra molto larga no? E

una fetta di questi sia andata in

Sud America e pressoché ovunque

in Sud America abbia fondato

delle squadre di calcio eh con

le quali noi abbiamo un rapporto

eh viscerale talvolta di amore

qualche volta di odio nel

momento in cui ehm odio no

voglio dire diciamo così di sana

competizione nel momento in cui

le partite tra la nostra

nazionale e le partite e le

partite italiane sono

italiani spesso e volentieri

quando guardiamo un'Italia

argentina o quando guardiamo

un'Italia Uruguay eh o anche un

Italia Paraguay scopriamo che ci

sono molti nomi italiani. Ecco

Marco è andato a raccontare non

solo ehm i protagonisti di

queste vicende, alcuni

famosissimi, basti citare uno per

tutti, Schiaffino, no?

Considerato uno dei padri del

calcio, ma è andato anche a

ricostruire delle storie che se

non sono di guerra sono però di

case sono però di storie mi

ricordo una storia di quel

ragazzo se non sbaglio del San

Lorenzo che è morto a un certo

punto dopo che aveva giocato una

partita di calcio ammalato a un

polmone gli era stato ferito era

stato ferito a un polmone cioè ci

sono storie anche dolorose oltre

che oltre che storie felici

quindi è un libro è un libro che

si può leggere in molti modi lo

possono leggere gli appassionati

di calcio lo possono leggere gli

appassionati di immigrazione lo

possono leggere coloro che

coniugano appunto anche oggi che

cercano di coniugare anche oggi i

temi che riguardano l'identità e

a proposito di quello che tu mi

chiedevi se lo raccontavamo poco

prima di cominciare questa diretta

io mi ero mi sono divertito prima

di questi campionati europei a

esaminare il team delle varie

squadre i convocati delle varie

squadre arrivando a una soluzione

a una conclusione molto curiosa

che la guerra fredda che sembrava

fosse dimenticata in realtà

sopravvive nella divisione netta che

esiste tra este ove nella formazione

di queste squadre l'Ungheria ha un

solo straniero la Repubblica Ceca ne

ha zero la Polonia ne ha zero i paesi

sovranisti di Visegr ne hanno zero la

Slovacchia ne ha zero l'Ucraina ne ha

uno ed è un brasiliano curiosamente

esattamente come come come la

Russia uno pure pure brasiliano

dall'altra parte tu hai 17 svizzeri che

non sono svizzeri d'origine ai 17

francesi che non sono francesi d'origine

ai 8 inglesi che non sono inglesi

d'origine e se guardiamo l'andamento dei

campionati a dispetto della delusione

della Francia è evidente che le squadre

della mescolanza sono state più brave

delle squadre diciamo così mono etniche

e qui arriviamo al punto noi noi abbiamo

tre calciatori nella nostra nazionale

che sono tutti e tre Oriundi Toloi

Emerson e Giorginio Giorginio Oriundo per

modo di dire perché credo che sia

italiano per aver sposato un'italiana ma

insomma il tema che pone questi giocatori

che poi hanno avuto fortuna oltre che in

qualche caso nella nostra nazionale anche

nelle nazionali dei paesi che li hanno

ospitati pongono il problema dell'identità

evidentemente qual è l'identità se non

quella che uno autocertifica qualcuno ha

voluto autocertificarsi un'identità

italiana e noi abbiamo avuto un periodo

in cui gli oriundi hanno fatto la fortuna

della nostra nazionale salvo essere come

ricorda Marco ostracizzati per una parte

in cui si diceva che gli stranieri poi

minavano la possibilità che i calciatori

italiani emergessero salvo il fatto che

poi abbiamo incomportato caterve di

giocatori extra comunitari e non tutti

bravissimi no e quindi adesso c'è diciamo

così un piccolo rival di questi oriundi

che però ci riporta le origini no in

fondo il Sud America come ci racconta

bene Marco è anche e non solo ma anche

un lembo d'Italia esatto Marco te

volevi dire qualcosa su questo diciamo

perché anche se volevo dire che appunto

fino a poco tempo fa negli stadi italiani

si non si gridava e non non ci sono

negri italiani no diciamo questo al

povero Balotelli veniva gridata questa

cosa adesso appunto se c'è le cose sono

già nel giro di pochissimi anni sono

molto più complicate no diciamo perché

appunto è molto difficile dire chi quali

sono gli italiani in qualche modo insomma

Marco te volevi dire tanto ringraziare

Gigi per le belle parole il tema tanto per

cominciare Giorginio non sarebbe un

oriundo ma un rimpatriato Giorginio non

ha mai giocato in Brasile è stato

portato qui dai genitori che avevano una

casa dei nonni nel veronese ha cominciato

mi credo mi sembra nella Sambonifacese

poi andato nel Verona e via dicendo

però lui non ha mai giocato a differenza

non so di Emerson che per esempio è

stato comprato dal famoso Santos di Pelè

ma il libro analizza come ha detto Gigi

soprattutto questo fenomeno dell'altra

Italia dimenticata noi dal 1860 al

1960 abbiamo fatto partire 26 milioni

di italiani e ecco la cifra che poi

moltiplicata per generazioni supera i

cento milioni di discendenti italiani se

noi chiedessimo qual è la principale

città italiana del mondo uno risponde

Milano e Roma in realtà è San Paolo del

Brasile ci sono tre milioni e mezzo di

italiani o comunque di discendenti

italiani l'Uruguay è formato al 40%

da italiani io che sono stato spesso a

Montevideo che lavoro per un giornale in

lingua italiana Gente d'Italia e vedi

veramente un'altra Italia dimenticata

una volta l'Italia ha seguito gli

emigranti a Montevideo c'era l'ospedale

italiano, il liceo italiano tutto questo

si è perso già a Buenos Aires negli anni

30 la popolazione italiana era superiore

per numero a tutti quelli degli altri

paesi tant'è che si era posto anche il

problema del bilinguismo anche se poi

diciamo la guerra l'entrata in guerra di

Mussolini ha in qualche maniera mutato

questo orientamento anche nel calcio per

esempio il Palmeiras si chiamava palestra

Italia e per esigenze diciamo politiche

gli è stato cambiato il nome

l'identità più forte italiana secondo me

si riscontra in Argentina e in Uruguay

non è soltanto una questione di calcio

ma proprio una questione di modi di vita

di mangiare di gastronomia di

ristoranti di modo di pensare è una

palpabile anche nell'urbanistica non so

i cimiteri sono pieni di marmo di Carrara

sono scarpellini di Carrara che sono

emigrati lì i più grandi palazzo di

Buenos Aires si chiama palazzo Barolo e

quello di Montevideo palazzo Savio sono

tutte e due di Palanti e palazzo Barolo è

un enigma architettonico perché in realtà

questo Barolo che non era quello del vino

ma era un'industria alle tessile pensava

di trascinare lì i resti danteschi che

erano a Ravenna e Palanti poi ha

costruito un palazzo gemello appunto

palazzo Savio a Montevideo e i due palazzi

erano collegati da un faro che

illuminava il delta del rio della Plata

quindi c'è tutto un sistema di

italianità che si risulta anche nel

calcio perché per esempio qui sono citate

le squadre maggiori a Montevideo

ovviamente il Penarol che nient'altro

che Pinerolov fornato dai emigranti

piemontesi cito i casi appunto della

bocca perché è il più noto con scritto

Zeneise sulla maglia ma anche il river

è nato nel quartiere della bocca e San

Lorenzo la squadra del papa è stata

fondata da Don Massa che era un prete

piemontese l'indipendiente di Avellaneda

campione del mondo che io ho visto

giocare perché i miei parenti vivono

vicino a Avellaneda in realtà è

indipendiente da los padrones questo è

il titolo poi i martires sarebbe

martires di Chicago ed è appunto per

quelli che morirono a Chicago nel

famoso episodio e quindi ecco che c'è

tutta un'identità che dalla società poi

si è trasmessa anche al calcio.

Il mare, quell'episodio è quello del primo

maggio credo, quello in cui deriva la

celebrazione del primo maggio.

Io come editor del libro devo dire che

ho faticato molto come spesso capita con

i libri di Marco perché lui arriva sempre

con una prima versione del Datti lo

scritto che è molto diciamo di

dimensioni non enormi e poi dice ma ho

trovato un'altra storia bellissima c'è

un'altra cosa da aggiungere e quindi

ed effettivamente le storie sono belle

quindi il contenimento è sempre

drammatico diciamo perché come dire si

può non si può non si può non si può

gonfiare all'infinito. Io un capitolo

che appunto avrei voluto togliere che

invece abbiamo lasciato perché è molto

bello è quello dedicato ai ai bidoni ai

cinque bidoni dell'Inter insomma che la

la mia squadra del cuore purtroppo e

quindi su questo volevo sentire appunto

Maurizio Mannoni con cui condividiamo

questa sfortunata passione insomma.

Ma una volta ogni dieci anni una volta

ogni dieci anni io non l'ho mai vinto

sono atalantino. Hai vinto la Coppa

Italica però. La Coppa Italica se te lo

ricordi. Beh intanto noi interisti

siamo una sorta di oriunghi adesso

perché siamo proprietari dei cinesi

italiani italiani ma di proprietà

in modo che possiamo considerarci

riundi da questo punto di vista ma io

intanto volevo dire una cosa sul libro

di Marco che come sempre parte da

storie molto belle molto particolari per

fare un affresco dalle parole che ci ha

detto adesso dalle cose che ci ha detto

adesso si capisce che costruivo parla di

calcio dei calciatori ma

sullo sfondo perché poi in realtà c'è

dentro soprattutto la grande drammatica

come veniva ricordato storia

dell'immigrazione italiana soprattutto in

Sud America. C'è una cosa che ecco da

questo punto di vista che mi ha sempre

affascinato come appassionato di calcio

è la storia appunto degli emigrati

italiani in Argentina, Buenos Aires, la

fondazione del Boca, del Boca Juniors

gli emigrati genovesi soprattutto Liguri

che diedero vita a questa che è una delle

più grandi squadre, le squadre più

affascinanti, la squadra dove cominciò anche

Maradona insomma quella è una grande

storia perché ad esempio voi lo sapete

anche voi naturalmente Daniele De Rossi

che è andato a giocare lì l'ultimo

scorcio della sua carriera

ha giocato soltanto pochi mesi ma ne è

tornato ho visto delle sue interviste

assolutamente affascinato da

questa storia, dai personaggi che ancora

italiani che ancora lì si ricordano da

tanti diciamo italo argentini che

ancora ci sono e proprio perché è una

storia che va alle radici del nostro

Paese, quelle più pure, quelle più

difficili e drammatiche. Io il primo

impatto come sempre come appassionato di

calcio che ho avuto con gli Oriundi è

stato nella bocca, credo verso la fine

degli anni 60 quando comincio a

ricordarmi del vivo del calcio e

personaggi come Sivori, come Altafini,

come Sormani che hanno fatto la storia

del nostro Paese. A quel tempo

diciamo lo ricordava anche Marco Ferrari

non so forse lo ricordava Gian Giriolo

il rapporto non con questi tre in

particolare perché forse erano dei

personaggi ma insomma in genere non era

molto buono, c'erano quelli che venivano

definiti angeli dalla faccia sporca, era

un complimento a metà, per metà erano

angeli ma soprattutto avevano la faccia

sporca, nel senso che l'immagine che si

aveva di loro era di durezza soprattutto

anche a volte un po' di più di durezza,

tutti maschio, ricordate tutti questi

Oriundi argentini erano gente molto

piuttosto tosta, che avesse segnato nel

proprio DNA la vita dura, non loro,

i loro parenti, i loro genitori, i loro

nonni ed è stata sempre questa

degli Oriundi una storia affascinante.

Fino agli anni 60, agli anni 70 era una

storia anche dal punto di vista

anche sportivo affascinante, dopo e

fino anche ai tempi nostri un po' di

meno, abbiamo usato gli Oriundi,

abbiamo fatto intanto diventare

Oriundi con degli escamotage spesso

anche abbastanza discutibili, bastava

appunto un nonno, un parente lontano se

ci serviva, un brasiliano, un argentino

eccetera, prendevamo lo facevamo

nazionalizzavamo e quindi

diciamo da questo punto di vista ha perso

un po' di fascino del romantico che

questa storia ha sempre avuto come il

libro di Marco Ferrari ci ricorda. Per

quanto riguarda i bidoni dell'Inter, noi

ne abbiamo presi tanti, adesso

ricordatevi quali sono, quali sono?

Vi dico io, guarda, Elmo Bovio, Alberto

Paolo Corrioni, Cerioni, Bibiano Zapparain,

Luigi Alberto Pedemonte, Tommaso

Luisi, Luiz Volpi, siamo dopo guerra,

dopo guerra, uruguayani, erano uruguayani

che non me li ricordo. Non hanno vinto dieci partite

nell'Inter. Non hanno lasciato traccia. Non hanno

lasciato traccia nella storia dell'Inter.

No. Obiettivamente no, ma tipo uno come

Schelotto che abbiamo avuto

disgraziatamente un anno, non era anche

lui tipo riundo. Si, si, ha giocato

in Italia, anche. Però la cosa buffa di

questo di questi cinque fu Bovio che a

Modena giocava con un cappello da

impermeabile e praticamente si trovò

solo davanti al portiere, gli cascò il

cappello, si fermò per rimettere.

Arrivarono i difensori del Modena e gli

torsero la palla. E in un momento uscì di squadra.

Però Schelotto che veniva dall'Atalanta

peraltro ha fatto un gol in un derby.

Ha fatto un gol in un derby, ma diciamo non lo ricordiamo come tra i nostri.

No, lì è una storia strana. Sono cinque fratelli calciatori. Lui è l'unico che ha giocato nella

Nazionale Italiana. Gli altri sono rimasti in

Argentina.

Diciamo che a noi è bastato uno, decine.

No, invece l'Inter ha sempre avuto un

rapporto molto forte con gli argentini.

I nostri stranieri più forti,

basti pensare a Javier Zanetti che

adesso è vicepresidente, ma non soltanto

lui. Su un'Argentina, a Milano c'è una

forte comunità da questo punto di vista

coltivata dallo stesso Zanetti ma anche

da altri giocatori argentini.

Evidentemente c'è questo legame.

Marco, io ti volevo dire, perché una delle

caratteristiche di questo libro è appunto

anche quella poi di intrecciare la

grande storia con la storia del

calcio. Per cui, anche per cercare di

sfatare questo mito che purtroppo però

in libreria è un po' così, per cui

l'idea in Italia è che chi legge libri

difficilmente si interessa di calcio.

Per cui è difficilissimo riuscire ad

avere un grande successo con libri di

calcio perché in qualche modo sembrano

qualcosa che i lettori di libri non

conoscono. Noi abbiamo provato anche con

questo libro appunto a sfatare questa

cosa perché ci sembra che invece il calcio

possa essere un ottimo modo, seguendo un

po' la lezione fantastica di Osvaldo

Soriano per raccontare il mondo. Perché

scusa, ti trovo che i libri sul calcio in

Italia sono di solito autobiografie di

calciatori con dei giornalisti,

francamente no? Non è che suscitino

questo interesse. No, no, esatto, sono quasi

dei gadget che si comprano perché sia

tifosi di questo o quel calciatore

piuttosto che libri veri e propri.

Però è molto cambiato Giovanni, negli ultimi anni.

Non solo in Italia credo, scusa Marco,

la domanda era per te. Non hai finito la domanda però.

Dopo la finisco, adesso sentiamo Gigi cosa dice.

Io credo che in realtà ci sia stato

soprattutto negli ultimi anni una grande

svolta, cioè la letteratura che

tratta temi sportivi per meglio dire, non

è più considerata credo ormai da anni o

una letteratura minore come era

considerata prima. Io mi ricordo durante

gli europei di Francia, per dire di un

paese vicino a noi, uscirono 166 libri

di tema sportivo in Francia e quasi

tutti erano romanzi, cioè è vero voi

citavate Soriano e Galeano, siamo

naturalmente in tema sudamericano, però

se penso a Roland Barthes è uno che ha

scritto di sport in un modo mirabile, se

penso allo stesso Camus, se penso a

Pasolini in Italia, si pensa a

Carmelo Bene, è stato sdoganato non solo

da alcuni grandi scrittori ma persino da

case editrice che sono nate appositamente

per pubblicitare letteratura sportiva,

penso facciamo, non so se facciamo

propaganda ad altre case editrice, ma si

può, la 66 and the second, tanto per

dirne una che sta facendo un'opera

meritoria al riguardo, quindi credo che

ormai si sia entrato nell'uso,

esattamente come si diceva un tempo, i

libri che raccontano fatti veri non sono

letterature, perché letteratura è solo

fiction, a parte che io credo che non si

scrive che di se stessi, cosa che ha

fatto anche Marco in questo libro, ma in

realtà credo che i generi ormai sono

talmente mischiati per cui l'unica

divisione possibile è tra buoni libri e

cattivi libri, una frase abusata, ma

ogni tanto vale la pena dire.

A questo sono assolutamente d'accordo,

il problema è quello del pubblico in

questo caso, nel senso che io penso che

l'editoria abbia fatto un lavoro molto

buono, appunto come ricordavi te, ma anche

ci sono state cose che sono uscite per

diverse case editrici, anche Open, il

famoso di Agassi, è un grande libro e

lo sport è un po' per modo di dire

si parla della vita, però il pubblico

comunque ha sempre fatto un po' fatica a

seguire questo tipo di cose, noi speriamo

che invece, anche perché questo libro di

Marco è un libro anche di storia e noi

siamo una case editrice di storia,

possiamo provare a raccontare le cose

e avvicinare un pubblico anche diverso,

per cui ci siamo riusciti spesso con i

libri di Montagna, speriamo di riuscirci

per esempio con i libri di Marco per

quanto riguarda il calcio. Quello che ti

volevo chiedere Marco, era appunto

parlando di storia, mi pare, diciamo, te

raccontavi la storia molto bella,

racconti la storia molto bella dei

calciatori della Roma che scappano

durante il regime fascista da Roma,

perché hanno paura di essere arruolati

per costrizione, diciamo, è che è una

storia fantastica secondo me. Sì, è la

storia di tre calciatori della Roma, il

principale era Schiavo che aveva giocato

nella nazionale e altri due che

improvvisamente vengono chiamati al

commissariato dei garabinieri per il

servizio militare e quindi loro temono

di finire nella guerra di Etiopia e

quindi praticamente non si presentano

dal commissariato, vanno a casa,

prendono le valice e prendono la macchina

e scappano. La macchina viene poi

ovviamente la polizia li insegue, viene

ritrovata sotto la stazione della Spezia,

salgono su un treno, vanno a Santa

Margherita Ligure, cambiano un altro

treno per Genova, poi un altro a 20

miglia, trovano un busser e riescono ad

arrivare a Mentone e da lì prendono un

treno sempre tutti separati e così via

e riescono a giungere a Marsiglia e

prendere la nave per andare via.

Però qualche tempo dopo Pozzo è andato a

Buenos Aires e si è ritrovato Schiavo e

Schiavo gli ha detto purtroppo, dice ho

avuto paura e forse ho commesso l'errore

principale della mia esistenza che è

quella appunto di rinunciare a un enorme

carriera anche perché poi i tre

praticamente finirono male, nessuno

dei tre ebbe successo in

Argentina. Il loro ritorno non ebbe un

grande clamore, al contrario furono

proprio dimenticati. Sempre in tema di

politica ovviamente... dimmi. No no diceva

era perché io immaginavo questi agenti

dell'ovra che vanno a inseguire...

Certo, certo. Una storia fantastica.

Sì stamattina peraltro Romagnoli ha

dedicato la sua rubrica quotidiana

proprio alla storia di questi tre

oriundi paragonandoli appunto a

Giorginio, Toloi e Emerson. La storia di

oriundi di ieri e di oggi. Poi

naturalmente siccome come tu hai detto

non si parliamo solo di calcio ma il

calcio è anche lo sfondo di grandi eventi

per esempio quello della dittatura in

Argentina, i mondiali del 74, tutta la

repressione che c'è stata. 78, 78 Marco.

Il fatto che Menotti pur essendo

comunista abbia deciso di restare alla

guida di quella nazionale. E poi secondo

me l'altro evento più importante è la

famosa partita fantasma giocata nel 73,

lo spareggio per andare ai mondiali

tra Cile e Unione Sovietica. L'Unione

Sovietica non si presentò e l'albito

curiosamente diede il fischio di inizio

della partita con in campo solo il Cile

e gli spalti completamente pieni.

Naturalmente si scelse Valdés che era il

capitano per fare il famoso gol del 1 a 0

che avrebbe sancito il passaggio del

Cile. Però c'era un calciatore dal nome

difficilissimo, mi pare che sia, ora ci

guardo perché è difficile, Selesi, che

era di sinistra, era comunista e aveva

appoggiato poco tempo prima un

candidato di sinistra e improvvisamente

in questa partita ebbe una piccola

intuizione però aveva davanti 60.000

persone e non ebbe il coraggio, quella di

buttare la palla in fallo laterale.

Nessuno avrebbe potuto fare la rimessa.

Giovanni questo è il motivo per cui

leggendo il libro di Marco, devo

ammettere una cosa, non tutto perché me

l'hai mandato solo ieri, disgraziato, e

quindi ho potuto leggerlo a tratti ma lo

completerò, però per quello che ho letto

ho sempre avuto in testa un altro libro

che è uscito di recente che è La

solitudine del sorversivo di Marco

Bechis, perché anche Marco Bechis

racconta cose che sono legate al mondiale

del 78, a queste partite che lui sentiva,

quindi a conferma di come il sostrato del

libro di Marco è un sostrato che in

realtà usa il calcio e molto

naturalmente, ma per raccontare anche

uno specchio, una parte della nostra

storia recente, non solo della nostra

storia recente ma anche della storia

recente dei paesi dove

si affaccia, dopo di che io ho una

curiosità, se gliela posso chiedere io

Giovanni, perché l'esergo del libro è

dedicato a suo padre che l'ha portato a

vedere Boca River, mio zio, e che è il

sogno di tutti noi, Maurizio, di andare a

vedere un Boca River, lui l'ha visto,

raccontaci com'è vedere Boca River.

Boca River è veramente un'emozione, cioè

la cosa strana della bombonera

lì della bocca, di cui dedico un capitolo

perché ho un amico, Juan Battista

Stagnaro, che è di origine ligure, un

regista di cinema abbastanza famoso, era

stato anche finalista agli Oscar, lui

abitava davanti alla porta d'ingresso di

questo stadio, è incredibile, e quindi lui

da bambino vedeva tutti questi echi,

queste cose, finché poi è riuscito un

giorno a entrare nello stadio, e lo

racconto molto bello, e c'era l'allenamento

del Boca, lui era l'unico spettatore,

quindi ha avuto questa emozione di

vedere i suoi grandi giocatori lì a

pochi metri da solo, e poi ha visto la

famosa sconfitta del Boca contro il

Santos nella finale del campionato

americano, Coppa Libertadores, e quindi

per lui è rimasto in qualche maniera un

dolore non sanato, un dolore non sanato.

Io ho visto questa famosa partita, mi

sembra che... Però ci devi dire se eri per il

Boca o per il River... No, io tengo per il

Boca, diciamo che Orolina è una

situazione buffissima, perché in realtà

noi, questa zona sud di Buenos Aires è

completamente italiana, ma direi molto

ligure, perché diciamo, oltre... c'è un

ponte, si chiama Riachuelo, è un

mefitico e puzzolente fiume che divide

la zona sud della capitale dal resto

della capitale, e è quasi una città

a parte, abbiamo il quartiere della Boca,

poi abbiamo Avellaneda, Chilmes, voi

pensate che a Avellaneda ci sono due

stadi, c'è l'indipendiente

da una parte, dall'altro ce n'è un

altro, sono proprio a dieci metri di

distanza, sono due stadi,

poi c'è il Chilmes che gioca in serie A,

poi abbiamo la Nus, quindi abbiamo nel

giro di pochissimi metri, abbiamo cinque

squadre di serie A, è incredibile anche

la concorrenza, e diciamo ognuna di

queste squadre ha sicuramente una

identità politica o etnica,

l'indipendiente di Avellaneda, come

ho detto prima, è indipendientes

dallo spadrones, quindi è stata fondata

da anarchici italiani. Il Boca,

l'hai detto anche tu adesso Maurizio, è

la storia di cinque ragazzi di origine

genovese e un lucano che fondarono su una

panchina, perché la mamma di Baglietto

era stufa delle riunioni che si

svolgevano in casa sua, le ha buttate

tutti fuori, fate le riunioni in una

panchina e c'è adesso alla Boca poi

questa famosa panchina che ancora è

indicata come la panchina dove è nato

il Boca. Il Boca con scritto Zeneise è

veramente in emozione. In fatti il lucano, e ho letto

con molto gusto quello che hai detto, il

lucano non era molto d'accordo che si

chiamassero Zeneise. Sì, sì, non era

d'accordo perché era in minoranza, però

alla fine ha dovuto resistere. E lo

stesso vale per il River, anche il River

è nato alla Boca, anche se poi grazie alla

concessione del governo che gli aveva

concesso uno stadio un po' più a nord

verso Porto Madero, è emigrato

diciamo nella zona più ricca della

città e quindi per quello ancora oggi

River-Boca è un grande match

importante.

Oltre che una storia di storie veramente

incredibili e meravigliose insomma

di questa enorme metropoli che

sembra, come dice Marco, divisa da un

oceano, separata da un oceano, per cui

Genova e Buenos Aires sembrano essere in

un certo momento storico quasi la stessa

città solo separata da un piccolo

tratto di mare.

Però è anche questo libro, è anche una

serie di ritratti di personaggi

fantastici. Io devo dire la verità, avendo

letto il libro e seguito il libro, mi sono

abbastanza innamorato di Pesaola perché

è un personaggio veramente fantastico, almeno

da come lo racconta Marco, perché poi c'è

sempre come dire, il filtro.

Pesaola devo dire che l'ho conosciuto,

l'ho conosciuto sia quando era a Firenze

come allenatore, che ha vinto il

campionato della Fiorentina, ma poi a

Napoli, perché sono amico del figlio,

Mangusta, è un artista, e quindi ci ho

parlato anche a lungo. È una storia

commovente perché praticamente lui faceva

il lustra scarpe a Regianeda da bambino,

gli è morto il padre, faceva il lustra

scarpe da bambino e il fratello maggiore,

considerando che lui poteva essere un

calciatore, lo portava sempre

ad allenarsi tutti i giorni, gli diceva

guarda, usa il piede sinistro, impara a

usare il piede sinistro perché di piedi

destro c'è pieno, di sinistro ce n'è poco.

Quindi questo ragazzino, lustra scarpe

nella piazza principale di Regianeda,

quando non aveva un cliente, prendeva un

pallone e cercava di giocare di sinistro.

È una storia emozionante. Poi è venuto in

Italia, si è sposata con una persona,

un'attrice mi sembra, a Novara e poi ha

vissuto il suo periodo migliore nel

Napoli e poi come allenatore nella

Fiorentina. L'altro personaggio che

secondo me è incredibile è il Toto Lorenzo,

sia come giocatore della San Pedroria che

come allenatore di Lazio, anche se tradì

la Lazio e andò alla Roma. Lui aveva

tutto, come dire, un sistema, come dire,

tutto suo di preparare le partite.

Allora intanto portava una gallina, no?

Portava la gallina, prendeva un gatto

morto e la notte lo piantava nel campo

dove potevano giocare, metteva tutti

degli amuleti nel spogliataglio

dicendo, non sentite, qui c'è il malocchio,

togliamolo, aveva tutte delle erbe, delle

ande e così via. Passava con il rosso

perché diceva che portava fortuna con il

Pullman della Lazio, solo che una volta ha fatto un

incidente e da quel momento l'autista

si è rifiutato e la cosa più curiosa è

stata questa, che aveva un derby con la

Roma ed era quasi sicuro di perdere e

allora praticamente per, come dire, per

incuriosire gli avversari, prima

dell'entrata della partita si è

presentato in mutande con un mangianastri

con un tango e si è messo a ballare

davanti a quelli della Roma e questi

erano tutti sconvolgenti, ma che fa

questo? È impazzito, cioè era tutto

un modo di fare originalissimo.

Era fatto un altro e contro l'altro lo riportò in Italia a Giorgio

Chinaglia quando divenne... Esattamente, poi alla fine è

ritornato con Giorgio Chinaglia.

Dopo di altro personaggio, no?

Marco, se mi avessi chiamato prima di

scrivere il libro, se mi avessi chiamato

prima di scrivere il libro ti avrei

raccontato altri episodi perché il mio

più caro amico, l'amico proprio delle

elementari e delle medie, ha giocato in

quella Lazio con l'Orenzo ed era il suo

bersaglio preferito, si chiama

Filisetti, Daniele. Anche il mio migliore

amico ha giocato nella Lazio, Borgo,

capitano dell'Ospezia poi, Sergio Borgo.

E quindi Daniele ha subito

alcune di queste cose. La gallina, lui l'ha

provata sul lungomare, notte alle 5,

quando l'Orenzo lo svegliò per vedere se

questo, scusate la parola ma cito tra

virgolette stopper del cazzo, svegliati

che voglio vedere se sei pronto.

Lanciava la gallina e via, dovevi inseguirla.

Ma la cosa più curiosa che fece è che un

lunedì chiamò Daniele per dirgli, doveva

essere San Doria a Lazio e gli chiese

lo sai chi devi chi devi marcare domenica?

Dice no mister, non lo so. Devi marcare

Francis. Dice va bene, ma lo sai quanto

pesa Francis? No mister, pesa 74 kg e tu

pesi 78. Entro domenica devi pesare 74 kg.

Minestrone, mezzogiorno e sera, Daniele

la domenica pesava 74 kg, ha salito i

gradini di Marassi, girava tutto lo stadio

perché non stava in piedi. Francis ha fatto

due gol nel giro di un quarto d'ora. Daniele

sostituito e la partita è finita 2 a 2.

No poi era buffissimo perché lui, Felisetti

e altri difensori, ungeva le mani di

Peperoncino e gli diceva quando tu sei

vicino all'attaccante sfrega gli la mano

nella faccia del centravanti.

I vostri oriondi preferiti quali sono?

Se posso chiedervelo.

Angelillo. Angelillo anche per la storia

d'amore romantica.

Angelillo ma lo ricordo poco, appunto di

quelli che mi ricordo, come si fa a non dire

Sivori, Altafini.

Abbiamo avuto anche l'ombre verticale

come allenatore che per me era rimasto

sempre, anche se ci ha fatto perdere uno

scudetto, però è sempre una figura abbastanza

non era un riundo.

A me piace molto Cesarini, appunto

quello della famosa Zona di Guarini perché

praticamente nella casta Juventus lui

era invece un argentino nell'anno, anche

se era nato in Italia, emigrato da

bambino e riportato indietro e quindi

tutti lo controllavano, avevano

assoldato i ragazzi della primavera per

controllarlo. Allora lui praticamente

pagava di più di quello che dava il

presidente per essere libero la notte.

Tutto questo non bastò e a un certo punto

Cesarini si fece un bel locale notturno

e fece un'orchestra di piemontesi

vestiti tutti da gauccio e quindi lui

praticamente la mattina quando c'era

l'allenamento andava vestito con lo

smoking della notte all'allenamento, nel

migliore dei casi, nei peggiori arrivava

con una vestaglia e sotto era mezzo nudo

perché era appena stato alzato, risvegliato

dal letto da qualche dirigente

juventino. E poi la cosa buffissima era

questo, lui era un po' svogliato in campo

ma quando finiva i soldi andava là e

diceva al conte Mazzonis, guardi domenica

c'è il Milan, se mi dà paga doppia faccio

un gol e lui riusciva proprio al

novantesimo appunto in zona Cesarini a

fare questo famoso gol che gli valeva il

doppio dei soldi che gli doveva la

Juventus. Insomma, gli racconti sarebbero

infiniti, c'è anche una cosa che è un

altro capitolo fantastico che abbiamo

dovuto, come dire, eliminare perché

se no il libro non sarebbe mai arrivato a

finire e Marco se lo vuoi dire questo

forse qualcuno di voi. È l'armarico di

questo libro caro Giovanni, ma a un

certo punto Sivori venne nominato

comisario tecnico della nazionale di

calcio, è argentina e doveva giocare due

partite, una a Buenos Aires e l'altra in

quota nella capitale della Bolivia a

3500 metri e quindi allora lui

praticamente fece una convocazione

normale per la nazionale che giocava a

Buenos Aires e poi fece una nazionale

fantasma, la mandò su Leande a 3500

metri, solo che quelli della

federazione non li riconobbero come

convocati della nazionale, quindi li

lasciarono praticamente lì. Questi poveri

calciatori per riuscire a mangiare

dovevano fare delle partite

praticamente con le formazioni locale a

3500 metri e in cambio riuscivano a

ottenere in pranzo una trattoria per

riuscire a sopravvivere. Poi finalmente

è andata bene alle due nazionali perché

la prima ha vinto a Buenos Aires e la

seconda ha vinto in Bogotà a 3500

metri, di quella nazionale ne è stato

salvato solo uno che è andato ai mondiali

che era Kempes, l'unico salvato dalla

nazionale fantasma. Però questo

possiamo dircelo solo adesso in diretta

perché Giovanni Carletti... A questo punto

la tua promessa deve essere quella che

questo cosa assieme a un'altra che voglio

dirti, sai qual è il difetto di questo

libro? Che non hai trattato i cestisti.

Per esempio Ginobili, per esempio

Delfino, anche lì c'è tutta una tradizione

diciamo così da esplorare di personaggi.

Ginobili ha vinto un'Olimpiade

addirittura, se non mi sbaglio, oltre a

vincere qualche titolo dell'NBA.

Anche nel basket Oscar il

brasiliano, insomma, c'hai terreno per

cominciare. Noi abbiamo parlato

della musica perché tutto il capitolo

del tango è tutto un capitolo, si a parte

Gardel di cui origine è incerta, ma

insomma c'è tutto un capitolo che è

dedicato al tango e soprattutto agli

italiani che hanno formato il tango. Il

famoso discovolo che disse

il tango un pensiero triste che si

balla, dicepolo scusate, il tango un

pensiero triste che si balla. Poi abbiamo

la storia di Astor Piazzolla che il padre

era un barbiere di trani e la madre

era lucchese. Poi abbiamo la storia di

Gugliese che il grande maestro è stato

scenduto dal lavoro durante la

dittatura dei generali.

Dicevo, scusa, che si intreccia con la

storia, appunto, perché altrimenti

sarebbe giusto apposto, ma la storia

del tango si intreccia fortemente con

quella del calcio, tu lo mostri, tu lo

racconti, insomma ci sono vari episodi in

cui questa musica, anche

questa oriunda, in qualche modo ha una

relazione strettissima con il calcio e i

calciatori soprattutto. Quindi, insomma,

appunto come abbiamo scritto

nella quarta, il libro che ha anche una

colonna sonora clandestina in qualche

modo, che bisognerebbe mettere sul

giradischi quando si legge

questi tanghi di Piazzolla e di Gardel

sarebbe bene, insomma, come dire, averli

pronti, insomma, perché funzionano molto

bene ad accompagnare la lettura.

Grande Marco Ferrari, un bellissimo libro, dai.

Grazie a voi, grazie a voi. Grazie moltissimo di

essere stati qui con noi. Però dicci una cosa

sull'oriundo alla guida dello Spezia adesso.

Ah, Tiago Motta, devi parlarne te, sei

interista, voi due siete interisti.

Tiago Motta, una sorpresa per tutti. Come

allenatore, non ne sappiamo neanche, anzi

abbiamo, nutriamo qualche serio dubbio

francamente. Dopo italiano, guarda caso,

italiano abbiamo preso un oriundo.

Speriamo che sia un po' più rapido

diciamo come allenatore rispetto a come

era come giocava.

Un calciatore. La cosa buffa è che la Fiorentina

quando ha preso, ha rubato

Italiana allo Spezia, ha messo come

colonna sonora italiano, italiano vero di

Totò Cotugno che anche lui è uno spezzino.

Quindi cioè ci hanno tolto anche l'inno, ci

hanno tolto l'allenatore e l'inno quelli

della Fiorentina. Va bene.

In campionato, due a zero.

Però Cotugno non è, non mi sembra che sia

proprio spezzino. È nato a Vivizzano ma ha

vissuto, ha vissuto.

Anche te non ti stai allargando troppo.

No, guarda, io devo essere sincero, vi

devo raccontare un episodio perché mio

padre gestiva un circolo dell'Arci, si

chiamava la Nevea, dove suonava il papà di

Totò Cotugno con Totò Cotugno e suo

fratello batterista. Quindi io ho passato

l'infanzia con la famiglia Cotugno. Non

solo, ma siccome si faceva tardi la

notte, quando tornavamo a casa, io abitavo

un po' sopra Cotugno, si si andava a piedi

lungo questo sentiero e si andava a casa.

E mi ricordo che il papà non lasciava

mai la fisarmonica in questo circolo

perché non si fidava troppo, lasciava la

batteria e si portava in spalla la

fisarmonica a casa, vicino a casa mia.

Quindi voglio dire di Totò Cotugno posso

parlarne.

No, no, no, dicevo come il fatto che

l'avevi trasformato in spezzino.

E no, ha vissuto tutta la vita, è nato,

perché sua madre è di Vivizzano, quindi è

nata a Vivizzano, ma sua sorella abita a

Spezia, abitava a Rebocco, nel quartiere

di Rebocco, come Mannoni abitava nel

quartiere di Migliarine, come te abitavi

in centro perché te sei più fortunato di

noi.

E quanto vanno in identità ormai è

plurale, Cotugno, Catturia,

Berlino, un po' tutto, quindi non possiamo

chiuderlo in un'unica identità.

Esatto, siamo tutti oriundi di qualcun

altro.

Esatto.

Allora vi ringrazio tantissimo perché è

stato per me un piacere e un onore

poter insomma condividere il tempo con

voi e parlare di, e mi sarei fermato molto

a lungo, però siamo ormai oltre quello

che ci è concesso, se no tra poco ci

tagliano, e quindi speriamo di avere

presto occasione magari di parlarne dal

vivo di questo libro molto bello di

Marco Ferrari,

Ai Sud America, che naturalmente è una

citazione di Paolo Conte, anche un altro

che ha sentito molto, come dire,

l'influsso di questa, di questa mitico

Sud America di cui parla Marco nel libro.

Se quest'estate ci invita a Porto Venere

veniamo volentieri.

Grazie di nuovo.

Anche a Monte Rosso volentieri.

Anche a Monte Rosso, anche a Monte Rosso.

Grazie, arrivederci.

Buona serata a tutti e buon weekend.

Arrivederci.

Eccoci, allora ci siamo.