Un anno da ricordare
Con la stessa onestà con cui si allenava duramente, Bruce molto presto prese atto del fatto che proseguire l'università non era tra i suoi obiettivi. Benché come sappiamo la cultura in genere lo interessasse, e in particolar modo il confronto tra la tradizione orientale e quella occidentale fossero per lui un punto importante di riflessione, una vita di ricerca intellettuale non poteva attirarlo.
È la primavera del 1964 quando lascia la University of Washington senza aver portato a termine gli studi. Non sappiamo se in questa decisione fosse stato influenzato dal viaggio fatto a Hong Kong qualche mese prima, nel corso del quale aveva rivisto la famiglia d'origine dopo quattro anni, ma certo è che questo cambiamento sembra liberare nuove energie. Il 1964 è un anno importantissimo per lui. Il suo corpo scattante, forte, pieno di energia ha più che mai bisogno di esprimersi. Lasciata Seattle, la città di Oakland, California, diventa la sua nuova meta. Qui va inizialmente ad abitare con James Yimm Lee, uno dei grandi pionieri delle arti marziali in America. Un personaggio davvero interessante, un grande insegnante che aiutò Bruce a pubblicare il suo primo libro e a metterlo in contatto con Ed Parker, altra leggenda delle arti marziali americane.
Grazie a James Lee, Bruce aprì a Oakland, nel luglio di quell'anno, una seconda sede della scuola, che divenne presto operativa. James Lee era un personaggio davvero fuori dal comune: veterano di guerra, espertissimo artista marziale, era lui a insegnare in assenza del fondatore Bruce. Sarebbe diventato in seguito molto celebre non solo come esponente del Jeet Kune Do, la disciplina “inventata” da Bruce, ma anche per le sue spettacolari dimostrazioni di forza e destrezza tenute di fronte a un vasto pubblico. Purtroppo anche James Lee morì abbastanza presto, nel 1972, superata da poco la cinquantina, ma questa è un'altra storia. Il fatto che James Lee avesse presentato a Bruce un personaggio come Ed Parker ebbe immediatamente delle conseguenze. Parker era un vero e proprio “ricercatore” nelle arti marziali. La sua instancabile curiosità, la voglia di far conoscere in Occidente le preziose discipline orientali e un carisma fuori dal comune trovarono la loro vetrina ideale nel Long Beach International Karate Championships, un torneo di sua invenzione in cui venivano invitati i migliori talenti di tutto il mondo.
La sua concezione delle arti marziali era moderna e competente, e il suo modo di combattere rapido ed esplosivo: anche nel suo caso vi erano alla base di tutto fluidità, economia di movimenti e una speciale attenzione per i punti vitali dell'organismo di cui abbiamo parlato a proposito dei fondamenti del tai chi chuan. Parker volle chiamare questo combattimento da lui messo a punto American kenpo (il kenpo è un'arte marziale giapponese). Il Campionato di Long Beach rappresentò una vetrina strepitosa per Bruce, che mirava a farsi conoscere dai produttori di Hollywood e che, benché ancora giovanissimo, aveva le idee già molto chiare su quale sarebbe stato il suo futuro. Presto, infatti, si era fatta strada in lui l'idea che solo attraverso il cinema avrebbe potuto raggiungere un pubblico davvero vasto. L'esibizione a Long Beach rimase impressa negli annali. Parker, che certo non era un dilettante, disse che Bruce “era capace di arroventare l'atmosfera” nel corso delle sue esibizioni, e per questo lo pagò generosamente per il suo applauditissimo intervento. Delle molte performance di Bruce al torneo di quell'anno rimasero impresse nel pubblico i piegamenti sulle braccia eseguiti sorreggendosi con due sole dita di una mano e il famoso “pugno a un pollice”. Si trattava di una tecnica molto diffusa tra le arti marziali del Sud della Cina, e in particolare tra i praticanti di wing chun, che come abbiamo detto faceva del combattimento ravvicinato una delle principali caratteristiche. Con una rotazione repentina attorno all'asse centrale del corpo e una potenza esplosiva di cui il pugno diventa l'estremo vettore, il “pugno a un pollice”, sferrato letteralmente a un pollice di distanza dell'obbiettivo, può teoricamente scagliare l'avversario lontano anche molti metri. Quello che realizzava Bruce Lee era la perfezione allo stato puro, un colpo davvero tremendo, e lasciò come previsto il pubblico senza fiato.
A concludere in bellezza il 1964 contribuì anche il matrimonio – osteggiato dalla madre di lei – con Linda Emery a Seattle. Linda aveva conosciuto Bruce all'università, e in breve tempo era diventata una delle sue allieve più devote. Oggi molti dei libri che parlano di Bruce fanno riferimento a sue interviste o riportano sue introduzioni. In un certo senso Linda è stata la sacerdotessa laica del culto di Lee, anche se come accade spesso in questi casi, molti particolari della vita di questo genio delle arti marziali sono stati edulcorati. Linda amò sinceramente suo marito, e lo seguì docilmente nelle decisioni, spesso contraddittorie, da lui prese. Il suo carattere dolce e assennato, pieno di quella ragionevolezza che tante volte tornò utile per stemperare l'ardore e l'irrequietezza di Bruce, divenne un ingrediente molto importante per la realizzazione di molti degli ambiziosi sogni del Drago. Tra loro non furono quasi mai rose e fiori, ma davano l'impressione di una coppia che si amava, e in cui uno poteva contare sull'altro. In nove anni di matrimonio cambiarono casa undici volte, e soprattutto all'inizio le cose non furono molto facili. Ebbero praticamente sempre – a parte qualche breve periodo di agio economico – problemi di denaro, sin dall'inizio. Prova ne sia che il giorno del matrimonio non poterono permettersi dei veri anelli nuziali e che Bruce acquistò un anello di veri diamanti per la moglie solo una volta che si trovava a Hong Kong e aveva maggiore disponibilità di denaro.
In quegli stessi mesi del 1964 Linda rimase incinta di Brandon, che sarebbe nato il primo di febbraio dell'anno seguente, ossia, come già detto, l'ultimo giorno dell'anno del Drago secondo il calendario cinese. Per comunicare la sua gioia Bruce spedì a parenti e amici una cartolina di partecipazione, in cui era annotato il peso di Brandon (tre chili e novecento grammi) e il suo stato di ottima salute.
In quella stessa settimana morì il padre di Bruce, Hoi Chuen, e Bruce dovette correre a Hong Kong lasciando la puerpera e il neonato a casa. Dalle lettere traspare non poca apprensione per lo stato di salute di entrambi, e il desiderio di mostrare la città asiatica – che Bruce sentiva ancora come la sua casa – alla famiglia il più presto possibile.
Bruce non sapeva ancora veramente se il destino gli avrebbe fatto mettere radici nella “vecchia” Hong Kong o nella “nuova” America, ma sentiva chiaramente che adesso aveva una famiglia con sé.