Anabasi (363) - Ep. 9 (3)
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Nel quinto secolo abbiamo altri scrittori cristiani che narrano questo evento, chiaramente percepito come epocale da parte di generazioni successive di Romani. Socrate Scolastico scrive che fu un demone divino vendicatore dei cristiani a colpire Giuliano. Sozomene, un altro scrittore cristiano, va oltre e sposa la versione di Libanio, dicendo che fu veramente un soldato seguace di Gesù a togliere di mezzo, su inspirazione divina, l'imperatore Apostata: evidentemente al suo tempo questa versione, che tacciava i cristiani di alto tradimento, era stata sdoganata da altri decenni di storia cristiana dell'impero.
La versione definitiva non la sapremo mai ma si noti come la versione cambi a seconda di quanto sia espediente per l'autore e l'epoca. Io personalmente non credo alla versione della congiura cristiana, preferita per motivi opposti da Libanio dal cristiano Sozomene: una congiura di solito prevede già un accordo sul successore e vedremo che questo non sarà il caso. Probabile che fu davvero l'imponderabile, ovvero un bizzarro incidente con conseguenze disastrose per il prosieguo di una guerra che era tutto meno che persa.
Comunque sia Giuliano fu trasportato, svenuto, su uno scudo e depositato nella sua tenda per essere curato. Anche Ammiano a questo punto credo inventi una storia inverosimile che vede Giuliano filosofeggiare nella sua tenda a riguardo della morte e del mestiere di imperatore: l'intero discorso è sospetto perché sembra costruito per paragonare la morte di Giuliano a quella di Socrate, forse la più celebre morte dell'antichità.
Adrian Murdoch nel libro “Giuliano l'apostata, l'ultimo pagano” spende molte pagine nel cercare di analizzare le varie versioni della morte di Giuliano, in modo da arrivare il più vicino possibile alla verità. La versione di quanto accadde nella tenda dell'imperatore morente scritta di Marcellino non regge per una serie di dettagli: innanzitutto c'è la questione della successione. Marcellino cerca di giustificare in modo tenue il comportamento a prima vista irresponsabile di Giuliano: questi, pur cosciente di essere in punto di morte non nominò mai un erede, cosa che sembra fuori carattere per un imperatore accorto e coscienzioso come Giuliano, soprattutto considerando che la fede del nuovo imperatore avrebbe probabilmente determinato il destino delle sue riforme. Inoltre Marcellino sembra credere che Giuliano morì quello stesso giorno, il 26 Giugno. Ma sappiamo che la causa della morte non fu direttamente la ferita infertagli dalla lancia ma con molta probabilità fu un'infezione: ci vuole tempo perché un'infezione faccia il suo corso e quindi probabilmente Giuliano morirà alcuni giorni dopo.
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L'imperatore Giuliano viene ucciso da San Mercurio, chiesa di Bet Mercurios in Etiopia. L'eco lontana della morte dell'Apostata giunse persino in questi lontani luoghi raggiunti dal Cristianesimo.
È possibile quindi che Giuliano non nominò un erede semplicemente perché non credette, per alcuni giorni, che stesse morendo. Finché l'infezione fece il suo corso e lo rese incosciente prima che potesse effettivamente farlo. Qualunque cosa accadde il breve regno di Giuliano terminò lì, nel mezzo del deserto della Mesopotamia, all'età di soli 32 anni. Aveva regnato per 6 anni come Cesare e poi poco più di un anno e mezzo come Augusto.
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Vi potreste chiedere perché ho passato diversi episodi dedicati a Giuliano: in fondo il suo è un regno breve e che non alterò in modo importante il corso della storia Romana e italiana, corso che Costantino aveva impostato su un binario del tutto nuovo e che continuerà nel suo percorso inesorabile dopo la morte di Giuliano. Atanasio di Alessandria, sempre lui, dirà che il regno di Giuliano fu una nuvola passeggera: in sole due parole c'è tutto quello che Giuliano rappresentò secondo gli intellettuali cristiani e ancora molti storici fino ad oggi: una nuvola, ovvero una minaccia per la fede cristiana, ma passeggera. Un'anomalia che la storia avrebbe corretto prima o poi anche se il giovane imperatore filosofo non avesse incontrato il suo destino nelle sabbie della Mesopotamia.
Eppure non ne son così certo: la storia non è una marcia inesorabile di eventi e, occasionalmente, dei singoli uomini possono deviarne il corso, se esistono le condizioni necessarie: uno di questi uomini fu Costantino, un altro avrebbe potuto essere suo nipote. Ai tempi di Giuliano l'impero era stato governato da imperatori cristiani per soli cinquanta anni e i pagani erano ancora, probabilmente, la maggioranza della popolazione anche se non più la maggioranza dell'élite che governava l'impero. Se Giuliano avesse avuto il dono di una vita lunga e di un lungo regno quella stessa élite si sarebbe formata secondo le sue leggi e il suo volere e forse la cristianità sarebbe stata riportata nell'alveo in cui era fino al terzo secolo dopo cristo: una minoranza dell'impero, magari con uno status più definito sul suo ruolo.
In verità però neanche io sono del tutto certo che Giuliano avrebbe avuto questo impatto anche se fosse vissuto a lungo: l'identità religiosa è una delle più tenaci e resistenti. Con il tempo è possibile che l'opposizione alla politica chiaramente anticristiana di Giuliano sarebbe cresciuta, coalizzandosi in un candidato antagonista al trono imperiale: ne sarebbero potenzialmente seguite guerre civili che avrebbero indebolito lo stato romano. Inoltre la fede di Giuliano – come abbiamo visto – era una fede molto particolare e diversa anche dal “vecchio” politeismo: era una sorta di proto-monoteismo neoplatonico, molto in voga in una ristretta clique di intellettuali pagani ma distante dal coacervo di culti antichissimi che erano ancora praticati da tanti nelle campagne dell'impero.
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Tutte queste speculazioni poi non tengono conto del perché Giuliano finì per morire in Mesopotamia: la ragione principale, al di là del suo coraggio ai confini dell'incoscienza, è che Giuliano si trovava in una situazione strategico-militare assai precaria nella quale si era ficcato lui stesso, iniziando una campagna militare a prima vista molto ben pensata e supportata logisticamente ma che non aveva tenuto conto della realtà strategica del rapporto con l'Iran: la Persia era uno stato con risorse paragonabili a quelle dell'impero Romano, almeno della sua parte orientale. Inoltre la rivoluzione della tecnologia militare difensiva rendeva la conquista di territori imperiali un processo lento, costoso e complesso come dimostrano decenni di guerre dalla morte di Costantino, nelle quali pare che i persiani avessero avuto normalmente la meglio ma che si ridussero al più in qualche città romana saccheggiata. I due imperi si stavano dissanguando vicendevolmente, spendendo le tasse faticosamente raccolte dai loro sudditi. La guerra rovinava inoltre l'economia dei percorsi carovanieri vitali che collegavano l'Eurasia per una sterile guerra di posizione che dopo la morte di Giuliano continuerà per quasi trecento anni, a fasi alterne, fino allo stremo di entrambi gli imperi. Chi di voi sa come finisce questa storia sa che entrambi saranno investiti da un temporale proveniente dalle sabbie del deserto dal quale non si riprenderanno mai.
Giuliano ammirava molto Marco Aurelio: l'imperatore filosofo che era diventato imperatore soldato e che aveva respinto Quadi e Marcomanni. Forse però si sarebbe dovuto inspirare, almeno per quanto riguarda la Persia, ad un altro imperatore romano: ovvero Adriano, che seppe comprendere che la pace con i vicini orientali fosse più importante di nuovi territori. Adriano abbandonò la Mesopotamia e l'Armenia conquistate da Traiano, restituendole ai Parti. La pace conquistata con la Partia fu una delle cause principali del periodo aureo dell'impero, il secondo secolo: la civiltà romana poté fiorire anche perché non sottoposta ad una strenua guerra di confine, nella tranquillità donata dalla certezza di avere comunque il vantaggio strategico con qualunque vicino.
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Questo stato di cose cambiò con l'arrivo dei sasanidi nel terzo secolo e l'inizio di una nuova fase di guerra totale con l'Iran: è questa probabilmente la causa ultima della fine del principato. Quella crisi, la crisi del terzo secolo, portò l'Impero Romano sull'orlo della distruzione. Gli imperatori illirici riuscirono a raccogliere ogni energia rimasta ad un impero reso esausto da guerre, pestilenze e instabilità politico-militare. Con uno sforzo immane l'impero riuscì ad affrontare il nemico orientale, sconfiggendolo e costruendo un imponente apparato difensivo in oriente in quella che era la Mesopotamia settentrionale. Costantino aveva gettato alle ortiche tutto questo iniziando nuovamente le ostilità, una guerra che al tempo di Giuliano era oramai in corso da una generazione. Io penso che Giuliano avrebbe dovuto trovare la forza dentro di sé di porre fine alla guerra, come aveva chiesto anche Shapur, e di non seguire i suoi sogni da Alessandro Magno. Ma anche qui va tenuto conto del peculiare meccanismo del consenso ai tempi dell'Impero Romano: nulla donava legittimità a governare come una grande vittoria e non c'era vittoria più grande, potenzialmente, di una contro l'Iran. Giuliano non seppe resistere alla tentazione di avvolgersi in una grande vittoria da spendere per poi riformare lo stato e la politica religiosa imperiale.
Gli storici non amano le storie riempite di sé, ma per fortuna io non sono uno storico e mi sono permesso il lusso di speculare un po' su quello che avrebbe potuto essere. Spero di lasciare sempre le considerazioni sui potenziali futuri ad un minimo tollerabile ma penso abbiate capito che la storia di Giuliano mi affascina molto, come ha affascinato generazioni e generazioni di storici e scrittori: è la vicenda di un personaggio unico nella storia romana, un imperatore intelligente, coscienzioso, ambizioso, forte, rispettato e ultimamente fallimentare. Credo che non smetteremo mai di chiederci cosa avrebbe potuto essere e non fu. Credo anche che si tratti di un momento di chiusura di qualcosa, non è la fine dell'Impero Romano, che durerà ancora in una forma o in un'altra per più di mille anni. Ma la morte di Giuliano è la fine di un certo tipo di Impero Romano, come vedremo.
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È ora il tempo di lasciare il nostro Giuliano, morto nella tenda imperiale. Il suo esercito non è affatto in salvo e ora è senza il suo leader, lontanissimo dalle sue basi e quasi alla fame. Nel prossimo episodio vedremo cosa farà l'esercito per districarsi dalla situazione terribile in cui si è ritrovato. Ritroveremo il nostro Ammiano Marcellino, anche lui bloccato nel deserto con il corpo esanime del suo amato imperatore, nel cuore di un esercito privo di leader, alla fame e circondato da popolazioni ostili e dal temibile esercito persiano. Sono certo che siate in pensiero quanto me per la sua salute. Come per i diecimila di Senofonte 700 anni prima, ritrovare il mare non sarà una passeggiata.