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La coscienza di Zeno - Italo Svevo (Zeno's Conscience), 3.2 La Storia del Mio Matrimonio

3.2 La Storia del Mio Matrimonio

È difficile di scoprire le origini miti di un sentimento divenuto poi tanto violento, ma io sono certo che da me mancò il cosidetto coup de foudre per Ada. Quel colpo di fulmine, però, fu sostituito dalla convinzione ch'ebbi immediatamente che quella donna fosse quella di cui abbisognavo e che doveva addurmi alla salute morale e fisica per la santa monogamia. Quando vi ripenso resto sorpreso che sia mancato quel colpo di fulmine e che vi sia stata invece quella convinzione. È noto che noi uomini non cerchiamo nella moglie le qualità che adoriamo e disprezziamo nell'amante. Sembra dunque ch'io non abbia subito vista tutta la grazia e tutta la bellezza di Ada e che mi sia invece incantato ad ammirare altre qualità ch'io le attribuii di serietà e anche di energia, insomma, un po' mitigate, le qualità ch'io amavo nel padre suo. Visto che poi credetti (come credo ancora) di non essermi sbagliato e che tali qualità Ada da fanciulla avesse possedute, posso ritenermi un buon osservatore ma un buon osservatore alquanto cieco. Quella prima volta io guardai Ada con un solo desiderio: quello di innamorarmene perché bisognava passare per di là per sposarla. Mi vi accinsi con quell'energia ch'io sempre dedico alle mie pratiche igieniche. Non so dire quando vi riuscii; forse già nel tempo relativamente piccolo di quella prima visita.

Giovanni doveva aver parlato molto di me alle figliuole sue. Esse sapevano, fra altro, ch'ero passato nei miei studii dalla facoltà di legge a quella di chimica per ritornare - pur troppo! - alla prima. Cercai di spiegare: era certo che quando ci si rinchiudeva in una facoltà, la parte maggiore dello scibile restava coperta dall'ignoranza. E dicevo:

— Se ora su di me non incombesse la serietà della vita, - e non dissi che tale serietà io la sentivo da poco tempo, dacché avevo risolto di sposarmi - io sarei passato ancora di facoltà in facoltà.

Poi, per far ridere, dissi ch'era curioso ch'io abbandonassi una facoltà proprio al momento di dare gli esami.

— Era un caso - dicevo col sorriso di chi vuol far credere che stia dicendo una bugia. E invece era vero ch'io avevo cambiato di studii nelle più varie stagioni.

Partii così alla conquista di Ada e continuai sempre nello sforzo di farla ridere di me e alle spalle mie dimenticando ch'io l'avevo prescelta per la sua serietà. Io sono un po' bizzarro, ma a lei dovetti apparire veramente squilibrato. Non tutta la colpa è mia e lo si vede dal fatto che Augusta e Alberta, ch'io non avevo prescelte, mi giudicarono altrimenti. Ma Ada, che proprio allora era tanto seria da girare intorno i begli occhi alla ricerca dell'uomo ch'essa avrebbe ammesso nel suo nido, era incapace di amare la persona che la faceva ridere. Rideva, rideva a lungo, troppo a lungo e il suo riso copriva di un aspetto ridicolo la persona che l'aveva provocato. La sua era una vera inferiorità e doveva finire col danneggiarla, ma danneggiò prima me. Se avessi saputo tacere a tempo forse le cose sarebbero andate altrimenti. Intanto le avrei lasciato il tempo perché parlasse lei, mi si rivelasse e potessi guardarmene.

Le quattro fanciulle erano sedute sul piccolo sofà sul quale stavano a stento ad onta che Anna sedesse sulle ginocchia di Augusta. Erano belle così insieme. Lo constatai con un'intima soddisfazione vedendo ch'ero avviato magnificamente all'ammirazione e all'amore. Veramente belle! Il colore sbiadito di Augusta serviva a dare rilievo al color bruno delle capigliature delle altre.

Io avevo parlato dell'Università e Alberta, che stava facendo il penultimo anno del ginnasio, raccontò dei suoi studii. Si lamentò che il latino le riusciva molto difficile. Dissi di non meravigliarmene perché era una lingua che non faceva per le donne, tanto ch'io pensavo che già dagli antichi romani le donne avessero parlato l'italiano. Invece per me - asserii - il latino aveva rappresentata la materia prediletta. Poco dopo però commisi la leggerezza di fare una citazione latina che Alberta dovette correggermi. Un vero infortunio! Io non vi diedi importanza e avvertii Alberta che quando essa avesse avuto dietro di sé una diecina di semestri d'Università, anche lei avrebbe dovuto guardarsi dal fare citazioni latine.

Ada che recentemente era stata col padre per qualche mese in Inghilterra, raccontò che in quel paese molte fanciulle sapevano il latino. Poi sempre con la sua voce seria, aliena da ogni musicalità, un po' più bassa di quella che si sarebbe aspettata dalla sua gentile personcina, raccontò che le donne in Inghilterra erano tutt'altra cosa che da noi. S'associavano per scopi di beneficenza, religiosi o anche economici. Ada veniva spinta a parlare dalle sorelle che volevano riudire quelle cose che apparivano meravigliose a fanciulle della nostra città in quell'epoca. E, per compiacerle, Ada raccontò di quelle donne presidentesse, giornaliste, segretarie e propagandiste politiche che salivano il pulpito per parlare a centinaia di persone senz'arrossire e senza confondersi quando venivano interrotte o vedevano confutati i loro argomenti. Diceva semplicemente, con poco colore, senz'alcuna intenzione di far meravigliare o ridere.

Io amavo la sua parola semplice, io, che come aprivo la bocca svisavo cose o persone perché altrimenti mi sarebbe sembrato inutile di parlare. Senz'essere un oratore, avevo la malattia della parola. La parola doveva essere un avvenimento a sé per me e perciò non poteva essere imprigionata da nessun altro avvenimento.

Ma io avevo uno speciale odio per la perfida Albione e lo manifestai senza temere di offendere Ada che del resto non aveva manifestato né odio né amore per l'Inghilterra. Io vi avevo trascorso alcuni mesi, ma non vi avevo conosciuto alcun inglese di buona società visto che avevo smarrite in viaggio alcune lettere di presentazione ottenute da amici d'affari di mio padre. A Londra perciò avevo praticato solo alcune famiglie francesi ed italiane e finito col pensare che tutte le persone dabbene in quella città provenissero dal continente. La mia conoscenza dell'inglese era molto limitata. Con l'aiuto degli amici potei tuttavia intendere qualche cosa della vita di quegl'isolani e sopra tutto fui informato della loro antipatia per tutti i non inglesi.

Descrissi alle fanciulle il sentimento poco gradevole che mi veniva dal soggiorno in mezzo a nemici. Avrei però resistito e sopportata l'Inghilterra per quei sei mesi che mio padre e l'Olivi volevano infliggermi acciocché studiassi il commercio inglese (in cui intanto non m'imbattei mai perché pare si faccia in luoghi reconditi) se non mi fosse toccata un'avventura sgradevole. Ero andato da un libraio a cercare un vocabolario. In quel negozio, sul banco, riposava sdraiato un grosso, magnifico gatto àngora che proprio attirava le carezze sul soffice pelo. Ebbene! Solo perché dolcemente l'accarezzai, esso proditoriamente m'assaltò e mi graffiò malamente le mani. Da quel momento non seppi più sopportare l'Inghilterra e il giorno appresso mi trovavo a Parigi.

Augusta, Alberta e anche la signora Malfenti risero di cuore. Ada invece era stupita e credeva di avere frainteso. Era stato almeno il libraio stesso che m'aveva offeso e graffiato? Dovetti ripetermi, ciò ch'è noioso perché si ripete male.

Alberta, la dotta, volle aiutarmi:

— Anche gli antichi si lasciavano dirigere nelle loro decisioni dai movimenti degli animali.

Non accettai l'aiuto. Il gatto inglese non s'era mica atteggiato ad oracolo; aveva agito da fato!

Ada, coi grandi occhi spalancati, volle delle altre spiegazioni:

— E il gatto rappresentò per voi l'intero popolo inglese?

Com'ero sfortunato! Per quanto vera, quell'avventura a me era parsa istruttiva e interessante come se a scopi precisi fosse stata inventata. Per intenderla non bastava ricordare che in Italia dove conosco ed amo tanta gente, l'azione di quel gatto non avrebbe potuto assurgere a tale importanza? Ma io non dissi questo e dissi invece:

— È certo che nessun gatto italiano sarebbe capace di una tale azione.

Ada rise a lungo, molto a lungo. Mi parve persino troppo grande il mio successo perché m'immiserii e immiserii la mia avventura con ulteriori spiegazioni:

— Lo stesso libraio fu stupito del contegno del gatto che con tutti gli altri si comportava bene. L'avventura toccò a me perché ero io o forse perché ero italiano. It was really disgusting e dovetti fuggire.

Qui avvenne qualche cosa che pur avrebbe dovuto avvisarmi e salvarmi. La piccola Anna che fino ad allora era rimasta immota ad osservarmi, a gran voce si diede ad esprimere il sentimento di Ada. Gridò:

— È vero ch'è pazzo, pazzo del tutto?

La signora Malfenti la minacciò:

— Vuoi stare zitta? Non ti vergogni d'ingerirti nei discorsi dei grandi?

La minaccia fece peggio. Anna gridò:

— È pazzo! Parla coi gatti! Bisognerebbe procurarsi subito delle corde per legarlo!

Augusta, rossa dal dispiacere, si alzò e la portò via ammonendola e domandandomi nello stesso tempo scusa. Ma ancora alla porta la piccola vipera poté fissarmi negli occhi, farmi una brutta smorfia e gridarmi.

— Vedrai che ti legheranno!

Ero stato assaltato tanto impensatamente che non subito seppi trovare il modo di difendermi. Mi sentii però sollevato all'accorgermi che anche Ada era dispiacente di veder dare espressione a quel modo al suo proprio sentimento. L'impertinenza della piccina ci riavvicinava.

Raccontai ridendo di cuore ch'io a casa possedevo un certificato regolarmente bollato che attestava in tutte le forme la mia sanità di mente. Così appresero del tiro che avevo giocato al mio vecchio padre. Proposi di produrre quel certificato alla piccola Annuccia.

Quando accennai di andarmene non me lo permisero. Volevano che prima dimenticassi i graffi inflittimi da quell'altro gatto. Mi trattennero con loro, offrendomi una tazza di tè.

È certo ch'io oscuramente sentii subito che per esser gradito da Ada avrei dovuto essere un po' differente di quanto ero; pensai che mi sarebbe stato facile di divenire quale essa mi voleva. Si continuò a parlare della morte di mio padre e a me parve che rivelando il grande dolore che tuttavia mi pesava, la seria Ada avrebbe potuto sentirlo con me. Ma subito, nello sforzo di somigliarle, perdetti la mia naturalezza e perciò da lei - come si vide subito - m'allontanai. Dissi che il dolore per una simile perdita era tale che se io avessi avuto dei figliuoli avrei cercato di fare in modo che m'amassero meno per risparmiare loro più tardi di soffrire tanto per la mia dipartita. Fui un poco imbarazzato quando mi domandarono in qual modo mi sarei comportato per raggiungere tale scopo. Maltrattarli e picchiarli? Alberta, ridendo, disse:

— Il mezzo più sicuro sarebbe di ucciderli.

Vedevo che Ada era animata dal desiderio di non spiacermi. Perciò esitava; ma ogni suo sforzo non poteva condurla oltre l'esitazione. Poi disse che vedeva ch'era per bontà ch'io pensavo di organizzare così la vita dei miei figliuoli, ma che non le pareva giusto di vivere per prepararsi alla morte. M'ostinai e asserii che la morte era la vera organizzatrice della vita. Io sempre alla morte pensavo e perciò non avevo che un solo dolore: La certezza di dover morire. Tutte le altre cose divenivano tanto poco importanti che per esse non avevo che un lieto sorriso o un riso altrettanto lieto. M'ero lasciato trascinare a dire delle cose ch'erano meno vere, specie trovandomi con lei, una parte della mia vita già tanto importante. In verità io credo di averle parlato così per il desiderio di farle sapere ch'io ero un uomo tanto lieto. Spesso la lietezza m'aveva favorito con le donne.

Pensierosa ed esitante, essa mi confessò che non amava uno stato d'animo simile. Diminuendo il valore della vita, si rendeva questa anche più pericolante di quanto madre natura avesse voluto. Veramente ella m'aveva detto che non facevo per lei, ma ero tuttavia riuscito a renderla esitante e pensierosa e mi parve un successo.

Alberta citò un filosofo antico che doveva somigliarmi nell'interpretazione della vita e Augusta disse che il riso era una gran bella cosa. Anche suo padre ne era ricco.

— Perché gli piacciono i buoni affari - disse la signora Malfenti ridendo.

Interruppi finalmente quella visita memoranda.

Non v'è niente di più difficile a questo mondo che di fare un matrimonio proprio come si vuole. Lo si vede dal caso mio ove la decisione di sposarmi aveva preceduto di tanto la scelta della fidanzata. Perché non andai a vedere tante e tante ragazze prima di sceglierne una? No! Pareva proprio mi fosse spiaciuto di vedere troppe donne e non volli faticare. Scelta la fanciulla, avrei anche potuto esaminarla un po' meglio e accertarmi almeno ch'essa sarebbe stata disposta di venirmi incontro a mezza strada come si usa nei romanzi d'amore a conclusione felice. Io, invece, elessi la fanciulla dalla voce tanto grave e dalla capigliatura un po' ribelle, ma assettata severamente e pensai che, tanto seria, non avrebbe rifiutato un uomo intelligente, non brutto, ricco e di buona famiglia come ero io. Già alle prime parole che scambiammo sentii qualche stonatura, ma la stonatura è la via all'unisono. Devo anzi confessare che pensai: «Ella deve rimanere quale è, poiché così mi piace e sarò io che mi cambierò se essa lo vorrà». In complesso ero ben modesto perché è certamente più facile di mutare sé stesso che non di rieducare altri.

Dopo brevissimo tempo la famiglia Malfenti divenne il centro della mia vita. Ogni sera la passavo con Giovanni che, dopo che m'aveva introdotto in casa sua, s'era fatto con me anche più affabile e intimo. Fu tale affabilità che mi rese invadente. Dapprima feci visita alle sue signore una volta alla settimana, poi più volte e finii coll'andare in casa sua ogni giorno a passarci varie ore del pomeriggio. Per insediarmi in quella casa non mancarono pretesti ed io credo di non sbagliare asserendo che mi fossero anche offerti. Portai talvolta con me il mio violino e passai qualche poco di musica con Augusta, la sola che in quella casa sonasse il piano. Era male che Ada non sonasse, poi era male che io sonassi tanto male il violino e malissimo che Augusta non fosse una grande musicista. Di ogni sonata io ero obbligato di eliminare qualche periodo perché troppo difficile, col pretesto non vero di non aver toccato il violino da troppo tempo. Il pianista è quasi sempre superiore al dilettante violinista e Augusta aveva una tecnica discreta, ma io, che sonavo tanto peggio di lei, non sapevo dirmene contento e pensavo: «Se sapessi sonare come lei, come sonerei meglio!» Intanto ch'io giudicavo Augusta, gli altri giudicavano me e, come appresi più tardi, non favorevolmente. Poi Augusta avrebbe volentieri ripetute le nostre sonate, ma io m'accorsi che Ada vi si annoiava e perciò finsi più volte di aver dimenticato il violino a casa. Augusta allora non ne parlò più.

Purtroppo io non vivevo solo con Ada le ore che passavo in quella casa. Essa ben presto m'accompagnò il giorno intero. Era la donna da me prescelta, era perciò già mia ed io l'adornai di tutti i sogni perché il premio della vita m'apparisse più bello. L'adornai, le prestai tutte le tante qualità di cui sentivo il bisogno e che a me mancavano, perché essa doveva divenire oltre che la mia compagna anche la mia seconda madre che m'avrebbe addotto a una vita intera, virile, di lotta, e di vittoria.

Nei miei sogni anche fisicamente l'abellìi prima di consegnarla ad altri. In realtà io nella mia vita corsi dietro a molte donne e molte di esse si lasciarono anche raggiungere. Nel sogno le raggiunsi tutte. Naturalmente non le abbellisco alterandone i tratti, ma faccio come un mio amico, pittore delicatissimo, che quando ritratta delle donne belle, pensa intensamente anche a qualche altra bella cosa per esempio a della porcellana finissima. Un sogno pericoloso perché può conferire nuovo potere alle donne di cui si sognò e che rivedendo alla luce reale conservano qualche cosa delle frutta, dei fiori e della porcellana da cui furono vestite.

M'è difficile di raccontare della mia corte ad Ada. Vi fu poi una lunga epoca della mia vita in cui io mi sforzai di dimenticare la stupida avventura che proprio mi faceva vergognare di quella vergogna che fa gridare e protestare. «Non sono io che fui tanto bestia!». E chi allora? Ma la protesta conferisce pure un po' di sollievo ed io vi insistetti. Meno male se avessi agito a quel modo un dieci anni prima, a vent'anni! Ma esser stato punito di tanta bestialità solo perché avevo deciso di sposarmi, mi pare proprio ingiusto. Io che già ero passato per ogni specie di avventure condotte sempre con uno spirito intraprendente che arrivava alla sfacciataggine, ecco ch'ero ridivenuto il ragazzetto timido che tenta di toccar la mano dell'amata magari senza ch'essa se ne avveda, eppoi adora quella parte del proprio corpo ch'ebbe l'onore di simile contatto. Questa ch'è stata la più pura avventura della mia vita, anche oggi che son vecchio io la ricordo quale la più turpe. Era fuori di posto, fuori di tempo quella roba, come se un ragazzo di dieci anni si fosse attaccato al petto della balia. Che schifo!

Come spiegare poi la mia lunga esitazione di parlare chiaro e dire alla fanciulla: Risolviti! Mi vuoi o non mi vuoi? Io andavo a quella casa arrivandovi dai miei sogni; contavo gli scalini che mi conducevano a quel primo piano dicendomi che se erano dispari ciò avrebbe provato ch'essa m'amava ed erano sempre dispari essendovene quarantatré. Arrivavo a lei accompagnato da tanta sicurezza e finivo col parlare di tutt'altra cosa. Ada non aveva ancora trovata l'occasione di significarmi il suo disdegno ed io tacevo! Anch'io al posto di Ada avrei accolto quel giovinetto di trent'anni a calci nel sedere!

Devo dire che in certo rapporto io non somigliavo esattamente al ventenne innamorato il quale tace aspettando che l'amata gli si getti al collo. Non m'aspettavo niente di simile. Io avrei parlato, ma più tardi. Se non procedevo, ciò era dovuto ai dubbii su me stesso. Io m'aspettavo di divenire più nobile, più forte, più degno della mia divina fanciulla. Ciò poteva avvenire da un giorno all'altro. Perché non aspettare?

Mi vergogno anche di non essermi accorto a tempo ch'ero avviato ad un fiasco simile. Avevo da fare con una fanciulla delle più semplici e fu a forza di sognarne ch'essa m'apparì quale una civetta delle più consumate. Ingiusto quell'enorme mio rancore quand'essa riuscì a farmi vedere ch'essa di me non ne voleva sapere. Ma io avevo mescolato tanto intimamente la realtà ai sogni che non riuscivo a convincermi ch'essa mai m'avesse baciato.

È proprio un indizio di scarsa virilità quello di fraintendere le donne. Prima non avevo sbagliato mai e devo credere di essermi ingannato sul conto di Ada per avere da bel principio falsati i miei rapporti con lei. A lei m'ero avvicinato non per conquistarla ma per sposarla ciò ch'è una via insolita dell'amore, una via ben larga, una via ben comoda, ma che conduce non alla mèta per quanto ben vicino ad essa. All'amore cui così si giunge manca la caratteristica principale: l'assoggettamento della femmina. Così il maschio si prepara alla sua parte in una grande inerzia che può estendersi a tutti i suoi sensi, anche a quelli della vista e dell'udito.

Io portai giornalmente dei fiori a tutt'e tre le fanciulle e a tutt'e tre regalai le mie bizzarrie e, sopra tutto, con una leggerezza incredibile, giornalmente feci loro la mia autobiografia.

A tutti avviene di ricordarsi con più fervore del passato quando il presente acquista un'importanza maggiore. Dicesi anzi che i moribondi, nell'ultima febbre, rivedano tutta la loro vita. Il mio passato m'afferrava ora con la violenza dell'ultimo addio perché io avevo il sentimento di allontanarmene di molto. E parlai sempre di questo passato alle tre fanciulle, incoraggiato dall'attenzione intensa di Augusta e di Alberta che, forse, copriva la disattenzione di Ada di cui non sono sicuro. Augusta, con la sua indole dolce, facilmente si commoveva e Alberta stava a sentire le mie descrizioni di scapigliatura studentesca con le guancie arrossate dal desiderio di poter in avvenire passare anch'essa per avventure simili.

Molto tempo dopo appresi da Augusta che nessuna delle tre fanciulle aveva creduto che le mie storielle fossero vere. Ad Augusta apparvero perciò più preziose perché, inventate da me, le sembrava fossero più mie che se il destino me le avesse inflitte. Ad Alberta quella parte in cui non credette fu tuttavia gradevole perché vi scorse degli ottimi suggerimenti. La sola che si fosse indignata delle mie bugie fu la seria Ada. Coi miei sforzi a me toccava come a quel tiratore cui era riuscito di colpire il centro del bersaglio, però di quello posto accanto al suo.

Eppure in gran parte quelle storielle erano vere. Non so più dire in quanta parte perché avendole raccontate a tante altre donne prima che alle figlie del Malfenti, esse, senza ch'io lo volessi, si alterarono per divenire più espressive. Erano vere dal momento che io non avrei più saputo raccontarle altrimenti. Oggidì non m'importa di provarne la verità. Non vorrei disingannare Augusta che ama crederle di mia invenzione. In quanto ad Ada io credo che ormai ella abbia cambiato di parere e le ritenga vere.

Il mio totale insuccesso con Ada si manifestò proprio nel momento in cui giudicavo di dover finalmente parlar chiaro. Ne accolsi l'evidenza con sorpresa e dapprima con incredulità. Non era stata detta da lei una sola parola che avesse manifestata la sua avversione per me ed io intanto chiusi gli occhi per non vedere quei piccoli atti che non mi significavano una grande simpatia. Eppoi io stesso non avevo detta la parola necessaria e potevo persino figurarmi che Ada non sapesse ch'io ero là pronto per sposarla e potesse credere che io - lo studente bizzarro e poco virtuoso - volessi tutt'altra cosa.

Il malinteso si prolungava sempre a causa di quelle mie intenzioni troppo decisamente matrimoniali. Vero è che oramai desideravo tutta Ada cui avevo continuato a levigare assiduamente le guancie, a impicciolire le mani e i piedi e ad isveltire e affinare la taglia. La desideravo quale moglie e quale amante. Ma è decisivo il modo con cui si avvicina per la prima volta una donna.


3.2 La Storia del Mio Matrimonio 3.2 Die Geschichte meiner Ehe 3.2 Η ιστορία του γάμου μου 3.2 The Story of My Marriage 3.2 L'histoire de mon mariage 3.2 A história do meu casamento

È difficile di scoprire le origini miti di un sentimento divenuto poi tanto violento, ma io sono certo che da me mancò il cosidetto coup de foudre per Ada. Quel colpo di fulmine, però, fu sostituito dalla convinzione ch'ebbi immediatamente che quella donna fosse quella di cui abbisognavo e che doveva addurmi alla salute morale e fisica per la santa monogamia. Quando vi ripenso resto sorpreso che sia mancato quel colpo di fulmine e che vi sia stata invece quella convinzione. È noto che noi uomini non cerchiamo nella moglie le qualità che adoriamo e disprezziamo nell'amante. Sembra dunque ch'io non abbia subito vista tutta la grazia e tutta la bellezza di Ada e che mi sia invece incantato ad ammirare altre qualità ch'io le attribuii di serietà e anche di energia, insomma, un po' mitigate, le qualità ch'io amavo nel padre suo. Visto che poi credetti (come credo ancora) di non essermi sbagliato e che tali qualità Ada da fanciulla avesse possedute, posso ritenermi un buon osservatore ma un buon osservatore alquanto cieco. Quella prima volta io guardai Ada con un solo desiderio: quello di innamorarmene perché bisognava passare per di là per sposarla. Mi vi accinsi con quell'energia ch'io sempre dedico alle mie pratiche igieniche. Non so dire quando vi riuscii; forse già nel tempo relativamente piccolo di quella prima visita.

Giovanni doveva aver parlato molto di me alle figliuole sue. Esse sapevano, fra altro, ch'ero passato nei miei studii dalla facoltà di legge a quella di chimica per ritornare - pur troppo! - alla prima. Cercai di spiegare: era certo che quando ci si rinchiudeva in una facoltà, la parte maggiore dello scibile restava coperta dall'ignoranza. E dicevo:

— Se ora su di me non incombesse la serietà della vita, - e non dissi che tale serietà io la sentivo da poco tempo, dacché avevo risolto di sposarmi - io sarei passato ancora di facoltà in facoltà.

Poi, per far ridere, dissi ch'era curioso ch'io abbandonassi una facoltà proprio al momento di dare gli esami.

— Era un caso - dicevo col sorriso di chi vuol far credere che stia dicendo una bugia. E invece era vero ch'io avevo cambiato di studii nelle più varie stagioni.

Partii così alla conquista di Ada e continuai sempre nello sforzo di farla ridere di me e alle spalle mie dimenticando ch'io l'avevo prescelta per la sua serietà. Io sono un po' bizzarro, ma a lei dovetti apparire veramente squilibrato. Non tutta la colpa è mia e lo si vede dal fatto che Augusta e Alberta, ch'io non avevo prescelte, mi giudicarono altrimenti. Ma Ada, che proprio allora era tanto seria da girare intorno i begli occhi alla ricerca dell'uomo ch'essa avrebbe ammesso nel suo nido, era incapace di amare la persona che la faceva ridere. Rideva, rideva a lungo, troppo a lungo e il suo riso copriva di un aspetto ridicolo la persona che l'aveva provocato. La sua era una vera inferiorità e doveva finire col danneggiarla, ma danneggiò prima me. Se avessi saputo tacere a tempo forse le cose sarebbero andate altrimenti. Intanto le avrei lasciato il tempo perché parlasse lei, mi si rivelasse e potessi guardarmene.

Le quattro fanciulle erano sedute sul piccolo sofà sul quale stavano a stento ad onta che Anna sedesse sulle ginocchia di Augusta. Erano belle così insieme. Lo constatai con un'intima soddisfazione vedendo ch'ero avviato magnificamente all'ammirazione e all'amore. Veramente belle! Il colore sbiadito di Augusta serviva a dare rilievo al color bruno delle capigliature delle altre.

Io avevo parlato dell'Università e Alberta, che stava facendo il penultimo anno del ginnasio, raccontò dei suoi studii. Si lamentò che il latino le riusciva molto difficile. Dissi di non meravigliarmene perché era una lingua che non faceva per le donne, tanto ch'io pensavo che già dagli antichi romani le donne avessero parlato l'italiano. Invece per me - asserii - il latino aveva rappresentata la materia prediletta. Poco dopo però commisi la leggerezza di fare una citazione latina che Alberta dovette correggermi. Un vero infortunio! Io non vi diedi importanza e avvertii Alberta che quando essa avesse avuto dietro di sé una diecina di semestri d'Università, anche lei avrebbe dovuto guardarsi dal fare citazioni latine.

Ada che recentemente era stata col padre per qualche mese in Inghilterra, raccontò che in quel paese molte fanciulle sapevano il latino. Poi sempre con la sua voce seria, aliena da ogni musicalità, un po' più bassa di quella che si sarebbe aspettata dalla sua gentile personcina, raccontò che le donne in Inghilterra erano tutt'altra cosa che da noi. S'associavano per scopi di beneficenza, religiosi o anche economici. Ada veniva spinta a parlare dalle sorelle che volevano riudire quelle cose che apparivano meravigliose a fanciulle della nostra città in quell'epoca. E, per compiacerle, Ada raccontò di quelle donne presidentesse, giornaliste, segretarie e propagandiste politiche che salivano il pulpito per parlare a centinaia di persone senz'arrossire e senza confondersi quando venivano interrotte o vedevano confutati i loro argomenti. Diceva semplicemente, con poco colore, senz'alcuna intenzione di far meravigliare o ridere.

Io amavo la sua parola semplice, io, che come aprivo la bocca svisavo cose o persone perché altrimenti mi sarebbe sembrato inutile di parlare. Senz'essere un oratore, avevo la malattia della parola. La parola doveva essere un avvenimento a sé per me e perciò non poteva essere imprigionata da nessun altro avvenimento.

Ma io avevo uno speciale odio per la perfida Albione e lo manifestai senza temere di offendere Ada che del resto non aveva manifestato né odio né amore per l'Inghilterra. Io vi avevo trascorso alcuni mesi, ma non vi avevo conosciuto alcun inglese di buona società visto che avevo smarrite in viaggio alcune lettere di presentazione ottenute da amici d'affari di mio padre. A Londra perciò avevo praticato solo alcune famiglie francesi ed italiane e finito col pensare che tutte le persone dabbene in quella città provenissero dal continente. La mia conoscenza dell'inglese era molto limitata. Mi conocimiento del inglés era muy limitado. Con l'aiuto degli amici potei tuttavia intendere qualche cosa della vita di quegl'isolani e sopra tutto fui informato della loro antipatia per tutti i non inglesi.

Descrissi alle fanciulle il sentimento poco gradevole che mi veniva dal soggiorno in mezzo a nemici. Avrei però resistito e sopportata l'Inghilterra per quei sei mesi che mio padre e l'Olivi volevano infliggermi acciocché studiassi il commercio inglese (in cui intanto non m'imbattei mai perché pare si faccia in luoghi reconditi) se non mi fosse toccata un'avventura sgradevole. Ero andato da un libraio a cercare un vocabolario. In quel negozio, sul banco, riposava sdraiato un grosso, magnifico gatto àngora che proprio attirava le carezze sul soffice pelo. Ebbene! Solo perché dolcemente l'accarezzai, esso proditoriamente m'assaltò e mi graffiò malamente le mani. Da quel momento non seppi più sopportare l'Inghilterra e il giorno appresso mi trovavo a Parigi.

Augusta, Alberta e anche la signora Malfenti risero di cuore. Ada invece era stupita e credeva di avere frainteso. Era stato almeno il libraio stesso che m'aveva offeso e graffiato? Dovetti ripetermi, ciò ch'è noioso perché si ripete male.

Alberta, la dotta, volle aiutarmi:

— Anche gli antichi si lasciavano dirigere nelle loro decisioni dai movimenti degli animali.

Non accettai l'aiuto. Il gatto inglese non s'era mica atteggiato ad oracolo; aveva agito da fato!

Ada, coi grandi occhi spalancati, volle delle altre spiegazioni:

— E il gatto rappresentò per voi l'intero popolo inglese?

Com'ero sfortunato! Per quanto vera, quell'avventura a me era parsa istruttiva e interessante come se a scopi precisi fosse stata inventata. Per intenderla non bastava ricordare che in Italia dove conosco ed amo tanta gente, l'azione di quel gatto non avrebbe potuto assurgere a tale importanza? Ma io non dissi questo e dissi invece:

— È certo che nessun gatto italiano sarebbe capace di una tale azione.

Ada rise a lungo, molto a lungo. Ada se rió durante mucho, mucho tiempo. Mi parve persino troppo grande il mio successo perché m'immiserii e immiserii la mia avventura con ulteriori spiegazioni:

— Lo stesso libraio fu stupito del contegno del gatto che con tutti gli altri si comportava bene. L'avventura toccò a me perché ero io o forse perché ero italiano. It was really disgusting e dovetti fuggire.

Qui avvenne qualche cosa che pur avrebbe dovuto avvisarmi e salvarmi. La piccola Anna che fino ad allora era rimasta immota ad osservarmi, a gran voce si diede ad esprimere il sentimento di Ada. Gridò:

— È vero ch'è pazzo, pazzo del tutto?

La signora Malfenti la minacciò:

— Vuoi stare zitta? Non ti vergogni d'ingerirti nei discorsi dei grandi?

La minaccia fece peggio. Anna gridò:

— È pazzo! Parla coi gatti! Bisognerebbe procurarsi subito delle corde per legarlo!

Augusta, rossa dal dispiacere, si alzò e la portò via ammonendola e domandandomi nello stesso tempo scusa. Ma ancora alla porta la piccola vipera poté fissarmi negli occhi, farmi una brutta smorfia e gridarmi.

— Vedrai che ti legheranno!

Ero stato assaltato tanto impensatamente che non subito seppi trovare il modo di difendermi. Mi sentii però sollevato all'accorgermi che anche Ada era dispiacente di veder dare espressione a quel modo al suo proprio sentimento. L'impertinenza della piccina ci riavvicinava.

Raccontai ridendo di cuore ch'io a casa possedevo un certificato regolarmente bollato che attestava in tutte le forme la mia sanità di mente. Così appresero del tiro che avevo giocato al mio vecchio padre. Proposi di produrre quel certificato alla piccola Annuccia.

Quando accennai di andarmene non me lo permisero. Volevano che prima dimenticassi i graffi inflittimi da quell'altro gatto. Mi trattennero con loro, offrendomi una tazza di tè.

È certo ch'io oscuramente sentii subito che per esser gradito da Ada avrei dovuto essere un po' differente di quanto ero; pensai che mi sarebbe stato facile di divenire quale essa mi voleva. Si continuò a parlare della morte di mio padre e a me parve che rivelando il grande dolore che tuttavia mi pesava, la seria Ada avrebbe potuto sentirlo con me. Ma subito, nello sforzo di somigliarle, perdetti la mia naturalezza e perciò da lei - come si vide subito - m'allontanai. Dissi che il dolore per una simile perdita era tale che se io avessi avuto dei figliuoli avrei cercato di fare in modo che m'amassero meno per risparmiare loro più tardi di soffrire tanto per la mia dipartita. Fui un poco imbarazzato quando mi domandarono in qual modo mi sarei comportato per raggiungere tale scopo. Maltrattarli e picchiarli? Alberta, ridendo, disse:

— Il mezzo più sicuro sarebbe di ucciderli.

Vedevo che Ada era animata dal desiderio di non spiacermi. Perciò esitava; ma ogni suo sforzo non poteva condurla oltre l'esitazione. Poi disse che vedeva ch'era per bontà ch'io pensavo di organizzare così la vita dei miei figliuoli, ma che non le pareva giusto di vivere per prepararsi alla morte. M'ostinai e asserii che la morte era la vera organizzatrice della vita. Io sempre alla morte pensavo e perciò non avevo che un solo dolore: La certezza di dover morire. Tutte le altre cose divenivano tanto poco importanti che per esse non avevo che un lieto sorriso o un riso altrettanto lieto. M'ero lasciato trascinare a dire delle cose ch'erano meno vere, specie trovandomi con lei, una parte della mia vita già tanto importante. In verità io credo di averle parlato così per il desiderio di farle sapere ch'io ero un uomo tanto lieto. Spesso la lietezza m'aveva favorito con le donne.

Pensierosa ed esitante, essa mi confessò che non amava uno stato d'animo simile. Diminuendo il valore della vita, si rendeva questa anche più pericolante di quanto madre natura avesse voluto. Veramente ella m'aveva detto che non facevo per lei, ma ero tuttavia riuscito a renderla esitante e pensierosa e mi parve un successo.

Alberta citò un filosofo antico che doveva somigliarmi nell'interpretazione della vita e Augusta disse che il riso era una gran bella cosa. Anche suo padre ne era ricco.

— Perché gli piacciono i buoni affari - disse la signora Malfenti ridendo.

Interruppi finalmente quella visita memoranda.

Non v'è niente di più difficile a questo mondo che di fare un matrimonio proprio come si vuole. Lo si vede dal caso mio ove la decisione di sposarmi aveva preceduto di tanto la scelta della fidanzata. Perché non andai a vedere tante e tante ragazze prima di sceglierne una? No! Pareva proprio mi fosse spiaciuto di vedere troppe donne e non volli faticare. Scelta la fanciulla, avrei anche potuto esaminarla un po' meglio e accertarmi almeno ch'essa sarebbe stata disposta di venirmi incontro a mezza strada come si usa nei romanzi d'amore a conclusione felice. Io, invece, elessi la fanciulla dalla voce tanto grave e dalla capigliatura un po' ribelle, ma assettata severamente e pensai che, tanto seria, non avrebbe rifiutato un uomo intelligente, non brutto, ricco e di buona famiglia come ero io. Già alle prime parole che scambiammo sentii qualche stonatura, ma la stonatura è la via all'unisono. Devo anzi confessare che pensai: «Ella deve rimanere quale è, poiché così mi piace e sarò io che mi cambierò se essa lo vorrà». In complesso ero ben modesto perché è certamente più facile di mutare sé stesso che non di rieducare altri.

Dopo brevissimo tempo la famiglia Malfenti divenne il centro della mia vita. Ogni sera la passavo con Giovanni che, dopo che m'aveva introdotto in casa sua, s'era fatto con me anche più affabile e intimo. Fu tale affabilità che mi rese invadente. Dapprima feci visita alle sue signore una volta alla settimana, poi più volte e finii coll'andare in casa sua ogni giorno a passarci varie ore del pomeriggio. Per insediarmi in quella casa non mancarono pretesti ed io credo di non sbagliare asserendo che mi fossero anche offerti. Portai talvolta con me il mio violino e passai qualche poco di musica con Augusta, la sola che in quella casa sonasse il piano. Era male che Ada non sonasse, poi era male che io sonassi tanto male il violino e malissimo che Augusta non fosse una grande musicista. Di ogni sonata io ero obbligato di eliminare qualche periodo perché troppo difficile, col pretesto non vero di non aver toccato il violino da troppo tempo. Il pianista è quasi sempre superiore al dilettante violinista e Augusta aveva una tecnica discreta, ma io, che sonavo tanto peggio di lei, non sapevo dirmene contento e pensavo: «Se sapessi sonare come lei, come sonerei meglio!» Intanto ch'io giudicavo Augusta, gli altri giudicavano me e, come appresi più tardi, non favorevolmente. Poi Augusta avrebbe volentieri ripetute le nostre sonate, ma io m'accorsi che Ada vi si annoiava e perciò finsi più volte di aver dimenticato il violino a casa. Augusta allora non ne parlò più.

Purtroppo io non vivevo solo con Ada le ore che passavo in quella casa. Essa ben presto m'accompagnò il giorno intero. Era la donna da me prescelta, era perciò già mia ed io l'adornai di tutti i sogni perché il premio della vita m'apparisse più bello. L'adornai, le prestai tutte le tante qualità di cui sentivo il bisogno e che a me mancavano, perché essa doveva divenire oltre che la mia compagna anche la mia seconda madre che m'avrebbe addotto a una vita intera, virile, di lotta, e di vittoria.

Nei miei sogni anche fisicamente l'abellìi prima di consegnarla ad altri. In realtà io nella mia vita corsi dietro a molte donne e molte di esse si lasciarono anche raggiungere. Nel sogno le raggiunsi tutte. Naturalmente non le abbellisco alterandone i tratti, ma faccio come un mio amico, pittore delicatissimo, che quando ritratta delle donne belle, pensa intensamente anche a qualche altra bella cosa per esempio a della porcellana finissima. Un sogno pericoloso perché può conferire nuovo potere alle donne di cui si sognò e che rivedendo alla luce reale conservano qualche cosa delle frutta, dei fiori e della porcellana da cui furono vestite.

M'è difficile di raccontare della mia corte ad Ada. Vi fu poi una lunga epoca della mia vita in cui io mi sforzai di dimenticare la stupida avventura che proprio mi faceva vergognare di quella vergogna che fa gridare e protestare. «Non sono io che fui tanto bestia!». E chi allora? Ma la protesta conferisce pure un po' di sollievo ed io vi insistetti. Meno male se avessi agito a quel modo un dieci anni prima, a vent'anni! Ma esser stato punito di tanta bestialità solo perché avevo deciso di sposarmi, mi pare proprio ingiusto. Io che già ero passato per ogni specie di avventure condotte sempre con uno spirito intraprendente che arrivava alla sfacciataggine, ecco ch'ero ridivenuto il ragazzetto timido che tenta di toccar la mano dell'amata magari senza ch'essa se ne avveda, eppoi adora quella parte del proprio corpo ch'ebbe l'onore di simile contatto. Questa ch'è stata la più pura avventura della mia vita, anche oggi che son vecchio io la ricordo quale la più turpe. Era fuori di posto, fuori di tempo quella roba, come se un ragazzo di dieci anni si fosse attaccato al petto della balia. Che schifo!

Come spiegare poi la mia lunga esitazione di parlare chiaro e dire alla fanciulla: Risolviti! Mi vuoi o non mi vuoi? Io andavo a quella casa arrivandovi dai miei sogni; contavo gli scalini che mi conducevano a quel primo piano dicendomi che se erano dispari ciò avrebbe provato ch'essa m'amava ed erano sempre dispari essendovene quarantatré. Arrivavo a lei accompagnato da tanta sicurezza e finivo col parlare di tutt'altra cosa. Ada non aveva ancora trovata l'occasione di significarmi il suo disdegno ed io tacevo! Anch'io al posto di Ada avrei accolto quel giovinetto di trent'anni a calci nel sedere!

Devo dire che in certo rapporto io non somigliavo esattamente al ventenne innamorato il quale tace aspettando che l'amata gli si getti al collo. Non m'aspettavo niente di simile. Io avrei parlato, ma più tardi. Se non procedevo, ciò era dovuto ai dubbii su me stesso. Io m'aspettavo di divenire più nobile, più forte, più degno della mia divina fanciulla. Ciò poteva avvenire da un giorno all'altro. Perché non aspettare?

Mi vergogno anche di non essermi accorto a tempo ch'ero avviato ad un fiasco simile. Avevo da fare con una fanciulla delle più semplici e fu a forza di sognarne ch'essa m'apparì quale una civetta delle più consumate. Ingiusto quell'enorme mio rancore quand'essa riuscì a farmi vedere ch'essa di me non ne voleva sapere. Ma io avevo mescolato tanto intimamente la realtà ai sogni che non riuscivo a convincermi ch'essa mai m'avesse baciato.

È proprio un indizio di scarsa virilità quello di fraintendere le donne. Prima non avevo sbagliato mai e devo credere di essermi ingannato sul conto di Ada per avere da bel principio falsati i miei rapporti con lei. A lei m'ero avvicinato non per conquistarla ma per sposarla ciò ch'è una via insolita dell'amore, una via ben larga, una via ben comoda, ma che conduce non alla mèta per quanto ben vicino ad essa. All'amore cui così si giunge manca la caratteristica principale: l'assoggettamento della femmina. Così il maschio si prepara alla sua parte in una grande inerzia che può estendersi a tutti i suoi sensi, anche a quelli della vista e dell'udito.

Io portai giornalmente dei fiori a tutt'e tre le fanciulle e a tutt'e tre regalai le mie bizzarrie e, sopra tutto, con una leggerezza incredibile, giornalmente feci loro la mia autobiografia.

A tutti avviene di ricordarsi con più fervore del passato quando il presente acquista un'importanza maggiore. Dicesi anzi che i moribondi, nell'ultima febbre, rivedano tutta la loro vita. Il mio passato m'afferrava ora con la violenza dell'ultimo addio perché io avevo il sentimento di allontanarmene di molto. E parlai sempre di questo passato alle tre fanciulle, incoraggiato dall'attenzione intensa di Augusta e di Alberta che, forse, copriva la disattenzione di Ada di cui non sono sicuro. Augusta, con la sua indole dolce, facilmente si commoveva e Alberta stava a sentire le mie descrizioni di scapigliatura studentesca con le guancie arrossate dal desiderio di poter in avvenire passare anch'essa per avventure simili.

Molto tempo dopo appresi da Augusta che nessuna delle tre fanciulle aveva creduto che le mie storielle fossero vere. Ad Augusta apparvero perciò più preziose perché, inventate da me, le sembrava fossero più mie che se il destino me le avesse inflitte. Ad Alberta quella parte in cui non credette fu tuttavia gradevole perché vi scorse degli ottimi suggerimenti. La sola che si fosse indignata delle mie bugie fu la seria Ada. Coi miei sforzi a me toccava come a quel tiratore cui era riuscito di colpire il centro del bersaglio, però di quello posto accanto al suo.

Eppure in gran parte quelle storielle erano vere. Non so più dire in quanta parte perché avendole raccontate a tante altre donne prima che alle figlie del Malfenti, esse, senza ch'io lo volessi, si alterarono per divenire più espressive. Erano vere dal momento che io non avrei più saputo raccontarle altrimenti. Oggidì non m'importa di provarne la verità. Non vorrei disingannare Augusta che ama crederle di mia invenzione. In quanto ad Ada io credo che ormai ella abbia cambiato di parere e le ritenga vere.

Il mio totale insuccesso con Ada si manifestò proprio nel momento in cui giudicavo di dover finalmente parlar chiaro. Ne accolsi l'evidenza con sorpresa e dapprima con incredulità. Non era stata detta da lei una sola parola che avesse manifestata la sua avversione per me ed io intanto chiusi gli occhi per non vedere quei piccoli atti che non mi significavano una grande simpatia. Eppoi io stesso non avevo detta la parola necessaria e potevo persino figurarmi che Ada non sapesse ch'io ero là pronto per sposarla e potesse credere che io - lo studente bizzarro e poco virtuoso - volessi tutt'altra cosa.

Il malinteso si prolungava sempre a causa di quelle mie intenzioni troppo decisamente matrimoniali. Vero è che oramai desideravo tutta Ada cui avevo continuato a levigare assiduamente le guancie, a impicciolire le mani e i piedi e ad isveltire e affinare la taglia. La desideravo quale moglie e quale amante. Ma è decisivo il modo con cui si avvicina per la prima volta una donna.