×

Utilizziamo i cookies per contribuire a migliorare LingQ. Visitando il sito, acconsenti alla nostra politica dei cookie.


image

Ragazzi di Vita - Pasolini, VIII. LA COMARE SECCA (1)

VIII. LA COMARE SECCA (1)

... la Commaraccia

Secca de Strada-Giulia arza er rampino.

G. G. BELLI

--

Era la domenica dopo mattina. Tutto il bel paesaggio che si poteva godere dall'autobus di San Basilio, nel lungo pezzo di strada senza fermate da Tiburtino a Ponte Mammolo, pareva fosse formato da tanti meravigliosi pezzi immersi nell'azzurro del cielo, da lì, sotto la scarpata, fino ai monti di Tivoli, che, svaniti contro un po' di vapore, circondavano le campagne tutte punteggiate d'alberi, ponticelli, orti, fabbriche e case.

Per la Tiburtina, rasentati dall'autobus che in quel punto si lanciava ai sessanta con gran fracasso di vetri e di ferraccio, si vedevano passare solo a tratti, pigri e chiassosi, dei giovanotti vestiti a festa, a piedi o in bicicletta, o dei gruppi di ragazze. Tutto pareva verniciato a fresco, dopo la pioggia della sera prima, pure l'Aniene che, con la sua curva tra i campi, le distese di canne, le catapecchie, si snodava per i Prati Fiscali giù verso Monte Sacro.

A godersi quel bel panorama, nell'autobus vuoto e arroventato, erano due carabinieri. Due mori ciociari o salernitani, bagnati di sudore come fontanelle, con le divise estive sbottonate in ogni posto dove si potevano sbottonare, i berretti in mano, e le facce da guappi convertiti chiuse in un'espressione scocciata, inghiottivano amaro a pensare a tutta quella rottura di scatole a causa delle quattro bruciacchiature d'un ragazzino. Come l'autobus, di volata, passò il ponte sull'Aniene rasentando la fabbrica della varecchina, e andò a fermarsi davanti a una vecchia osteria, scesero, senza fretta, e senza fretta, asciugandosi coi fazzolettoni il sudore, si prepararono a farsi a fette tutta via Casal dei Pazzi, che, da sotto l'osteria, puntava, lunghissima, verso l'orizzonte brulicante d'aria calda: là in fondo Ponte Mammolo, come una cittadina araba, spargeva le sue file di casette bianche lungo le ondose curve dei campi.

Passo passo, sull'asfalto rammollito dal caldo, i due carabinieri s'incamminarono, arrivarono al bivio, presero per via Selmi e s'internarono nella borgata. Quelli che loro cercavano però non erano là. Non erano in una delle ultime casette di via Selmi, mezza costruita e mezza no, con delle tende al posto degli infissi e le donne che litigavano intorno al rubinetto della vasca. E non erano a giocare cogli altri ragazzini in mezzo alla strada o sui prati. Se per caso se lo fossero potuto immaginare, i due moretti, se lo sarebbero risparmiato tutto quel pezzo di strada a piedi. Ma vallo a sapere! E pensare che, fatalità, quando l'autobus era per imboccare il ponte sull'Aniene, se per caso dando un'occhiata al paesaggio, avessero osservato gli orti appena al di là della curva del fiume dove le pipinare dei ragazzi andavano a farsi il bagno, li avrebbero forse pure potuti vedere...

I ricercati, infatti, erano là in mezzo a quegli orti, o per dir meglio, in mezzo a una specie di giungla di frattacce e salci, di canne e puncicarelli, tra gli orti e la scarpata che scendeva a picco sull'Aniene. Mariuccio ch'era ancora così piccoletto che nemmeno aveva cominciato a andare a scuola, se ne stava a giocare, tranquillo, accucciato col sederino sui talloni, con due o tre formicole, che stuzzicava con uno zeppo. Borgo Antico lo stava a guardare, e Genesio fumava, serio, in disparte, accoccolato a terra pure lui. Seduto accanto, c'era il loro cagnoletto, di nome Fido, anche lui in un momento di riposo. Se ne stava seduto sulle zampe di dietro, e le due davanti diritte puntate a terra: e ogni tanto, con una delle due zampe di dietro, si dava una grattata sotto le ascelle. Così accomodato, quasi educatamente, si guardava intorno, ora a sinistra e ora a destra, lontano, osservando l'insieme delle cose, dai lotti di Tiburtino alle curve del fiume, e sfiorando ogni tanto con un'occhiata placida i suoi tre padroncini che, appetto a lui, erano proprio dei pischelletti, e bisognava lasciarli fare pure quando erano un pochetto sciapi.

Tutt'a un botto, nel più bello della sua contemplazione, s'alzò e andò a annusare i calcagni di Mariuccio. - Qua. Fido, - fece Genesio, ma senza un'ombra di sorriso: si prese il cane ch'era subito corso e se lo mise tra le ginocchia allisciandolo. La bestia, beatamente, lasciò fare, socchiuse gli occhi, e parve immergersi in una specie di dormiveglia in cui gustare meglio la soddisfazione di quel momento di favore che il preferito tra i suoi padroni gli concedeva. E era raro, perché Genesio, ch'era buono di cuore e sempre combattuto, povero ragazzino, dalle emozioni e dagli affetti, nascondeva tutto dentro di sé, e parlava meno che poteva per non scoprirsi. I suoi fratellini l'avevano svagato, e lo obbedivano sempre, però mica avevano paura di lui, e qualche volta, obbedendolo con tutto il rispetto, si permettevano pure di prenderlo appena appena un pochetto in giro. Il cagnoletto sul suo grembo si stava quasi a appennicare: ma tutti quattro, quella mattina, morivano di sonno: era la loro prima mattina di libertà; e lì accanto tra l'erba secca e i fasci di canne schiacciate, si vedevano ancora le buche dove avevano dormito, come dei passerotti nel nido, o dei coniglietti. Mica s'erano pentiti, d'essersene andati di casa: anzi, i due più piccoletti erano tutti contenti; tanto ci pensava Genesio. E Genesio se ne stava accigliato, appunto, a pensarci, mentre che loro giocavano con le formicole.

- Namo, - fece a un tratto Genesio alzandosi. Senza chiedergli dove e perchè, come sempre, Borgo Antico e Mariuccio, tutti incuriositi, s'alzarono in piedi pure loro, in attesa degli avvenimenti. Il cucciolo scodinzolava intorno, tutto soddisfatto per la ripresa delle attività. Correva avanti e indietro con un continuo latrato che gli usciva dalla bocca aperta con la lingua fuori. Ma la meta, che aveva in mente Genesio, non era proprio tanto lontana. Seguirono prima la riva sinuosa e selvaggia dell'Aniene, saltando da una gobba all'altra, tra il fitto delle canne, fino all'osteria del Pescatore e la draga, poi, passato il fiume sul vecchio ponticello di mattoni, ritornarono in giù, per l'altra riva, molto piu libera, e con un sentierino che correva lungo i cespugli senza più una foglia, fino che si ritrovarono dirimpetto al posto dov'erano prima, lì sulla curva del trampolino. Come il giorno prima il vecchio ubbriacone, tutto solo, cantava:

Lasseme puntà solo la puntaaaa,

da sotto la volta del ponte, ch'era un posto a cui doveva essersi affezionato. Sulla grande spianata annerita dal fuoco, coi monconi dei gambi del grano, non si vedeva un'anima, neppure i quattro cavalli neri. Ma poi si sentì qualche voce, e infatti sotto la scarpata, a pelo dell'acqua, sulla terra smossa e sporca del giorno prima, c'erano tre o quattro bagnanti, che dovevano essere arrivati mentre i tre fratellini e Fido facevano il giro della draga. Chiacchieravano e si muovevano calmi, nella luce ancora pura, dove già stava dilagando il calore puzzolente; se ne stavano lunghi sulla polvere, con le gambe larghe, voltolandosi ogni tanto pigramente, e le loro voci risuonavano forte nell'aria silenziosa, perchè c'era poco passaggio di macchine per la Tiburtina, e la fabbrica, di fronte, era ferma.

Uno di quei quattro cinque era il Caciotta. - Magara, - stava dicendo nostalgicamente, quando Genesio e gli altri pischellini s'accostarono, -magara che fusse venuta de moda 'anno scorzo, sta canzona!

A cantare quella canzone era il Zinzello, che, forse insoddisfatto del bagno del sabato, era tornato a darsi un'insaponata, stavolta senza i suoi due cani. Gridava disperato, con quanta voce aveva nei polmoni, ignudo e secco come un alicione, dietro una fratta:

I' songo carcerato e mamma more...

- Pecché vorressi che sta canzona fusse stata de moda 'anno scorzo? -s'informò Alduccio, ch'era lì, cogli occhi rossi di sonno come due cicatrici.

- Pecché-e? - disse il Caciotta, - ma pecché quanno che stavo a Porta Portese, 'anno scorzo, me la sarebbe potuta cantà!

- Capirai, - ghignò Alduccio.

- Sa' quanto me sarebbe annato de cantà sta canzona! proseguì entusiasmato e patetico il Caciotta, - quanno che stavo in carcere io pure! Ammazzete! Me 'a sarebbe cantata de sera, prima d'annà a dormì. - E, con tutta la passione, si mise a cantare pure lui dietro al Zinzello, ma ognuno cantava per conto suo, uno più appassionato dell'altro, il Zinzello di là e il Caciotta di qua di un cespuglio sventrato e pieno di porcheria.

- Te 'hanno fatto piccolo er mazzo, eh! - disse il Begalone, - quanno che stavi carcerato!

- Che voi fà! - disse fatale il Caciotta, interrompendosi per un momento di cantare.

- Ma li mortacci sua, - mormorò Genesio, accigliato a mezza voce, come tra di sé, standosene accoccolato poco più sopra sull'orlo slabbrato della scesa. Mariuccio e Borgo Antico lo guardarono fissi. Era la prima volta che diceva tutta per intero quella parolaccia.

- Si te sentiva mamma, - fece piano piano Mariuccio, come con un sospiro, guardando impensierito il fratello, - che te faceva? - Genesio gli lanciò una delle sue occhiate inespressive, e tornò a immergersi nella contemplazione dei malandri di Tiburtino. La madre di Genesio, di Borgo Antico e di Mariuccio, era una marchigiana che chissà in che modo, durante la guerra, aveva sposato un muratore di Andria. Beccava ogni giorno, povera donna, e s'era ridotta a fare una vita peggio delle bestie. Eppure, come lei diceva nei momenti di tregua alle vicine, ci teneva ancora alla buona educazione dei figli. Adesso era là che piangeva, prima perché s'era accorta che i figli col loro cagnoletto in casa non c'erano più, poi perché s'era vista arrivare in casa i carabinieri che li cercavano: ma loro tre, ch'erano il suo ritratto sputato, fuori e pure dentro, erano troppo distratti in quel momento per pensare a lei. - A Borgo Antì, - fece dal basso il Begalone smicciandolo, -cantala tu sta canzona!

- 'Un la so sta canzona, - rispose pronto Borgo Antico, indurendo il suo faccino marrone.

- N'è vvero, - disse Mariuccio, - 'a sa!

Il Begalone ebbe uno scatto di rabbia, s'avvicinò, e diede un colpo col dito sotto la scucchietta di Borgo Antico: - Me fai rabbia, me fai, - disse. Poi con una luce minacciosa nella sua faccia di maomettano: - Canta, si no te meno, aggiunse. Borgo Antico facendo il broncio, con la testa tirata tra le ginocchia, cominciò a cantare a pieni polmoni Carcerato.

Aldo approfittò del momento che nessuno gli dava retta, e s'andò a mettere discosto, come se si volesse fare una dormita: si distese sull'erba lavata dalla pioggia della sera prima e ribruciata dal sole, con la pancia in giù e la faccia contro le braccia incrociate.

Mentre che Borgo Antico cantava, Genesio senza dire una parola scese giù per la scarpata, e Mariuccio e Fido gli andarono dietro rotolando giù per il terriccio a quattro zampe. Arrivato sul pelo dell'acqua, Genesio si fermò un momento a guardare soprappensiero il fiume che correva davanti a lui, sotto i muraglioni della fabbrica della varecchina, con nell'altra scarpata il solco bianco dello scolo. Poi, senza fretta, di fronte a Mariuccio e Fido che lo stavano a guardare col dovuto rispetto, accucciati per terra, si cominciò a spogliare. Con attenzione si sfilò i calzoncini induriti dal sudore e dalla polvere, la maglietta, la canottiera rosa, le scarpe e i pedalini: restò, snello e un po' secchetto, con le scapole che un po' gli sporgevano, quasi del tutto ignudo: non del tutto, perchè mica era uno spudorato come quelli di Tiburtino dell'età sua. S'era tenuto su le mutandine a sacco, che lo coprivano tutto, davanti e di dietro. - Tiè, -disse a Mariuccio, allungandogli il pacco dei panni, che aveva meticolosamente avvoltolato e stretto con la cinta. - No, aspetta, -aggiunse asciutto. Risciolse la cinta, srotolò il pacco dei panni, e dalla saccoccia dei calzoncini levò una cicca, che s'accendette, e un pettinino. Fumando si pettinò con molta attenzione, chiedendo a Mariuccio se la scrima era diritta o storta, e poi facendosi una specie di onda sulla fronte, nera, lucida, e senza un capello fuori posto. Alla fine, riconsegnati i panni legati al fratello, annunciò secco, come se il fatto non fosse suo: - Oggi traverso fiume. - Mariuccio lo guardò un attimo, capendo che il momento era emozionante, poi si mise a strillare con la sua voce di cuccioletto: - A Borgo Antì, a Borgo Antì! - Borgo Antico cantò in tutta fretta, con l'acceleratore, le ultime parole che gli restavano della canzone, e si sporse sull'orlo senza dir niente.

- A Borgo Antì, - disse frettoloso e allegro Mariuccio, oggi Genesio dice che traversa fiume.

VIII. LA COMARE SECCA (1) VIII. THE DRY COMARE (1) VIII. EL COMARE SECO (1) VIII. O COMARE SECO (1)

... la Commaraccia

Secca de Strada-Giulia arza er rampino.

G. G. BELLI

--

Era la domenica dopo mattina. Tutto il bel paesaggio che si poteva godere dall'autobus di San Basilio, nel lungo pezzo di strada senza fermate da Tiburtino a Ponte Mammolo, pareva fosse formato da tanti meravigliosi pezzi immersi nell'azzurro del cielo, da lì, sotto la scarpata, fino ai monti di Tivoli, che, svaniti contro un po' di vapore, circondavano le campagne tutte punteggiate d'alberi, ponticelli, orti, fabbriche e case.

Per la Tiburtina, rasentati dall'autobus che in quel punto si lanciava ai sessanta con gran fracasso di vetri e di ferraccio, si vedevano passare solo a tratti, pigri e chiassosi, dei giovanotti vestiti a festa, a piedi o in bicicletta, o dei gruppi di ragazze. Tutto pareva verniciato a fresco, dopo la pioggia della sera prima, pure l'Aniene che, con la sua curva tra i campi, le distese di canne, le catapecchie, si snodava per i Prati Fiscali giù verso Monte Sacro.

A godersi quel bel panorama, nell'autobus vuoto e arroventato, erano due carabinieri. Due mori ciociari o salernitani, bagnati di sudore come fontanelle, con le divise estive sbottonate in ogni posto dove si potevano sbottonare, i berretti in mano, e le facce da guappi convertiti chiuse in un'espressione scocciata, inghiottivano amaro a pensare a tutta quella rottura di scatole a causa delle quattro bruciacchiature d'un ragazzino. Come l'autobus, di volata, passò il ponte sull'Aniene rasentando la fabbrica della varecchina, e andò a fermarsi davanti a una vecchia osteria, scesero, senza fretta, e senza fretta, asciugandosi coi fazzolettoni il sudore, si prepararono a farsi a fette tutta via Casal dei Pazzi, che, da sotto l'osteria, puntava, lunghissima, verso l'orizzonte brulicante d'aria calda: là in fondo Ponte Mammolo, come una cittadina araba, spargeva le sue file di casette bianche lungo le ondose curve dei campi.

Passo passo, sull'asfalto rammollito dal caldo, i due carabinieri s'incamminarono, arrivarono al bivio, presero per via Selmi e s'internarono nella borgata. Quelli che loro cercavano però non erano là. Non erano in una delle ultime casette di via Selmi, mezza costruita e mezza no, con delle tende al posto degli infissi e le donne che litigavano intorno al rubinetto della vasca. E non erano a giocare cogli altri ragazzini in mezzo alla strada o sui prati. Se per caso se lo fossero potuto immaginare, i due moretti, se lo sarebbero risparmiato tutto quel pezzo di strada a piedi. Ma vallo a sapere! E pensare che, fatalità, quando l'autobus era per imboccare il ponte sull'Aniene, se per caso dando un'occhiata al paesaggio, avessero osservato gli orti appena al di là della curva del fiume dove le pipinare dei ragazzi andavano a farsi il bagno, li avrebbero forse pure potuti vedere...

I ricercati, infatti, erano là in mezzo a quegli orti, o per dir meglio, in mezzo a una specie di giungla di frattacce e salci, di canne e puncicarelli, tra gli orti e la scarpata che scendeva a picco sull'Aniene. Mariuccio ch'era ancora così piccoletto che nemmeno aveva cominciato a andare a scuola, se ne stava a giocare, tranquillo, accucciato col sederino sui talloni, con due o tre formicole, che stuzzicava con uno zeppo. Borgo Antico lo stava a guardare, e Genesio fumava, serio, in disparte, accoccolato a terra pure lui. Seduto accanto, c'era il loro cagnoletto, di nome Fido, anche lui in un momento di riposo. Se ne stava seduto sulle zampe di dietro, e le due davanti diritte puntate a terra: e ogni tanto, con una delle due zampe di dietro, si dava una grattata sotto le ascelle. Così accomodato, quasi educatamente, si guardava intorno, ora a sinistra e ora a destra, lontano, osservando l'insieme delle cose, dai lotti di Tiburtino alle curve del fiume, e sfiorando ogni tanto con un'occhiata placida i suoi tre padroncini che, appetto a lui, erano proprio dei pischelletti, e bisognava lasciarli fare pure quando erano un pochetto sciapi.

Tutt'a un botto, nel più bello della sua contemplazione, s'alzò e andò a annusare i calcagni di Mariuccio. - Qua. Fido, - fece Genesio, ma senza un'ombra di sorriso: si prese il cane ch'era subito corso e se lo mise tra le ginocchia allisciandolo. La bestia, beatamente, lasciò fare, socchiuse gli occhi, e parve immergersi in una specie di dormiveglia in cui gustare meglio la soddisfazione di quel momento di favore che il preferito tra i suoi padroni gli concedeva. E era raro, perché Genesio, ch'era buono di cuore e sempre combattuto, povero ragazzino, dalle emozioni e dagli affetti, nascondeva tutto dentro di sé, e parlava meno che poteva per non scoprirsi. I suoi fratellini l'avevano svagato, e lo obbedivano sempre, però mica avevano paura di lui, e qualche volta, obbedendolo con tutto il rispetto, si permettevano pure di prenderlo appena appena un pochetto in giro. Il cagnoletto sul suo grembo si stava quasi a appennicare: ma tutti quattro, quella mattina, morivano di sonno: era la loro prima mattina di libertà; e lì accanto tra l'erba secca e i fasci di canne schiacciate, si vedevano ancora le buche dove avevano dormito, come dei passerotti nel nido, o dei coniglietti. Mica s'erano pentiti, d'essersene andati di casa: anzi, i due più piccoletti erano tutti contenti; tanto ci pensava Genesio. E Genesio se ne stava accigliato, appunto, a pensarci, mentre che loro giocavano con le formicole.

- Namo, - fece a un tratto Genesio alzandosi. Senza chiedergli dove e perchè, come sempre, Borgo Antico e Mariuccio, tutti incuriositi, s'alzarono in piedi pure loro, in attesa degli avvenimenti. Il cucciolo scodinzolava intorno, tutto soddisfatto per la ripresa delle attività. Correva avanti e indietro con un continuo latrato che gli usciva dalla bocca aperta con la lingua fuori. Ma la meta, che aveva in mente Genesio, non era proprio tanto lontana. Seguirono prima la riva sinuosa e selvaggia dell'Aniene, saltando da una gobba all'altra, tra il fitto delle canne, fino all'osteria del Pescatore e la draga, poi, passato il fiume sul vecchio ponticello di mattoni, ritornarono in giù, per l'altra riva, molto piu libera, e con un sentierino che correva lungo i cespugli senza più una foglia, fino che si ritrovarono dirimpetto al posto dov'erano prima, lì sulla curva del trampolino. Come il giorno prima il vecchio ubbriacone, tutto solo, cantava:

Lasseme puntà solo la puntaaaa,

da sotto la volta del ponte, ch'era un posto a cui doveva essersi affezionato. Sulla grande spianata annerita dal fuoco, coi monconi dei gambi del grano, non si vedeva un'anima, neppure i quattro cavalli neri. Ma poi si sentì qualche voce, e infatti sotto la scarpata, a pelo dell'acqua, sulla terra smossa e sporca del giorno prima, c'erano tre o quattro bagnanti, che dovevano essere arrivati mentre i tre fratellini e Fido facevano il giro della draga. Chiacchieravano e si muovevano calmi, nella luce ancora pura, dove già stava dilagando il calore puzzolente; se ne stavano lunghi sulla polvere, con le gambe larghe, voltolandosi ogni tanto pigramente, e le loro voci risuonavano forte nell'aria silenziosa, perchè c'era poco passaggio di macchine per la Tiburtina, e la fabbrica, di fronte, era ferma.

Uno di quei quattro cinque era il Caciotta. - Magara, - stava dicendo nostalgicamente, quando Genesio e gli altri pischellini s'accostarono, -magara che fusse venuta de moda 'anno scorzo, sta canzona!

A cantare quella canzone era il Zinzello, che, forse insoddisfatto del bagno del sabato, era tornato a darsi un'insaponata, stavolta senza i suoi due cani. Gridava disperato, con quanta voce aveva nei polmoni, ignudo e secco come un alicione, dietro una fratta:

I' songo carcerato e mamma more...

- Pecché vorressi che sta canzona fusse stata de moda 'anno scorzo? -s'informò Alduccio, ch'era lì, cogli occhi rossi di sonno come due cicatrici.

- Pecché-e? - disse il Caciotta, - ma pecché quanno che stavo a Porta Portese, 'anno scorzo, me la sarebbe potuta cantà!

- Capirai, - ghignò Alduccio.

- Sa' quanto me sarebbe annato de cantà sta canzona! proseguì entusiasmato e patetico il Caciotta, - quanno che stavo in carcere io pure! Ammazzete! Me 'a sarebbe cantata de sera, prima d'annà a dormì. - E, con tutta la passione, si mise a cantare pure lui dietro al Zinzello, ma ognuno cantava per conto suo, uno più appassionato dell'altro, il Zinzello di là e il Caciotta di qua di un cespuglio sventrato e pieno di porcheria.

- Te 'hanno fatto piccolo er mazzo, eh! - disse il Begalone, - quanno che stavi carcerato!

- Che voi fà! - disse fatale il Caciotta, interrompendosi per un momento di cantare.

- Ma li mortacci sua, - mormorò Genesio, accigliato a mezza voce, come tra di sé, standosene accoccolato poco più sopra sull'orlo slabbrato della scesa. Mariuccio e Borgo Antico lo guardarono fissi. Era la prima volta che diceva tutta per intero quella parolaccia.

- Si te sentiva mamma, - fece piano piano Mariuccio, come con un sospiro, guardando impensierito il fratello, - che te faceva? - Genesio gli lanciò una delle sue occhiate inespressive, e tornò a immergersi nella contemplazione dei malandri di Tiburtino. La madre di Genesio, di Borgo Antico e di Mariuccio, era una marchigiana che chissà in che modo, durante la guerra, aveva sposato un muratore di Andria. Beccava ogni giorno, povera donna, e s'era ridotta a fare una vita peggio delle bestie. Eppure, come lei diceva nei momenti di tregua alle vicine, ci teneva ancora alla buona educazione dei figli. Adesso era là che piangeva, prima perché s'era accorta che i figli col loro cagnoletto in casa non c'erano più, poi perché s'era vista arrivare in casa i carabinieri che li cercavano: ma loro tre, ch'erano il suo ritratto sputato, fuori e pure dentro, erano troppo distratti in quel momento per pensare a lei. - A Borgo Antì, - fece dal basso il Begalone smicciandolo, -cantala tu sta canzona!

- 'Un la so sta canzona, - rispose pronto Borgo Antico, indurendo il suo faccino marrone.

- N'è vvero, - disse Mariuccio, - 'a sa!

Il Begalone ebbe uno scatto di rabbia, s'avvicinò, e diede un colpo col dito sotto la scucchietta di Borgo Antico: - Me fai rabbia, me fai, - disse. Poi con una luce minacciosa nella sua faccia di maomettano: - Canta, si no te meno, aggiunse. Borgo Antico facendo il broncio, con la testa tirata tra le ginocchia, cominciò a cantare a pieni polmoni Carcerato.

Aldo approfittò del momento che nessuno gli dava retta, e s'andò a mettere discosto, come se si volesse fare una dormita: si distese sull'erba lavata dalla pioggia della sera prima e ribruciata dal sole, con la pancia in giù e la faccia contro le braccia incrociate.

Mentre che Borgo Antico cantava, Genesio senza dire una parola scese giù per la scarpata, e Mariuccio e Fido gli andarono dietro rotolando giù per il terriccio a quattro zampe. Arrivato sul pelo dell'acqua, Genesio si fermò un momento a guardare soprappensiero il fiume che correva davanti a lui, sotto i muraglioni della fabbrica della varecchina, con nell'altra scarpata il solco bianco dello scolo. Poi, senza fretta, di fronte a Mariuccio e Fido che lo stavano a guardare col dovuto rispetto, accucciati per terra, si cominciò a spogliare. Con attenzione si sfilò i calzoncini induriti dal sudore e dalla polvere, la maglietta, la canottiera rosa, le scarpe e i pedalini: restò, snello e un po' secchetto, con le scapole che un po' gli sporgevano, quasi del tutto ignudo: non del tutto, perchè mica era uno spudorato come quelli di Tiburtino dell'età sua. S'era tenuto su le mutandine a sacco, che lo coprivano tutto, davanti e di dietro. - Tiè, -disse a Mariuccio, allungandogli il pacco dei panni, che aveva meticolosamente avvoltolato e stretto con la cinta. - No, aspetta, -aggiunse asciutto. Risciolse la cinta, srotolò il pacco dei panni, e dalla saccoccia dei calzoncini levò una cicca, che s'accendette, e un pettinino. Fumando si pettinò con molta attenzione, chiedendo a Mariuccio se la scrima era diritta o storta, e poi facendosi una specie di onda sulla fronte, nera, lucida, e senza un capello fuori posto. Alla fine, riconsegnati i panni legati al fratello, annunciò secco, come se il fatto non fosse suo: - Oggi traverso fiume. - Mariuccio lo guardò un attimo, capendo che il momento era emozionante, poi si mise a strillare con la sua voce di cuccioletto: - A Borgo Antì, a Borgo Antì! - Borgo Antico cantò in tutta fretta, con l'acceleratore, le ultime parole che gli restavano della canzone, e si sporse sull'orlo senza dir niente.

- A Borgo Antì, - disse frettoloso e allegro Mariuccio, oggi Genesio dice che traversa fiume.