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Ragazzi di Vita - Pasolini, VII. DENTRO ROMA (5)

VII. DENTRO ROMA (5)

I lumicini del Verano erano là che brillavano, tremolando, tranquilli, fitti, a centinaia, tra i cipressi, nei loculi che sporgevano sopra il muraglione. E pure il Portonaccio al capolinea, poco più in là del cavalcavia della stazione Tiburtina, era silenzioso con solo qualche tram e qualche autobus vuoto e fermo, come una macchia scura nell'aria stinta e più rattristata che rischiarata da qualche fanale e dal cielo sereno. Un 309 era fermo davanti al chiosco dei giornali chiuso, e, più in là, la pensilina senza un'anima.

- Vedemo un po' quanto tengo 'n zaccoccia, - disse il Begalone, rovesciando la fodera della tasca e cacciando la grana. - Cinquantacinque lire, - fece, - quaranta pell'auto, e co du scudi se famo na bbomba, se famo, eh Ardù? - E fàmose sta bomba, - fece con voce rauca Alduccio. Stava a morire di fame, ma non ci pensava per niente alla bomba, e restava lì curvo dietro il Bègalo. Il Bègalo si comprò una bomba alla bancarella ormai quasi vuota. - Tiè, magna, - disse, mettendo la bomba fredda vicino alla bocca d'Alduccio. Alduccio ci diede un morso con la bocca storta. -N'antro, - fece il Begalone. - None, basta, - disse Alduccio voltando la testa dall'altra parte. - Aòh, - gridò il Begalo, - mejo, così me 'a magno tutta io. - E si mise a mangiarla, ridendo con la bocca piena. - Ridi, ridi, vaffan..., - ciancicò sempre più nero Alduccio. - Montamo che? - fece dopo un poco il Begalone, come ebbe finito di masticare; e tutto allegro saltò sul predellino. Alduccio senza dir niente salì dietro a lui, sull'autobus semivuoto, trascinando i piedi, senza togliersi le mani di tasca. Il Begalone invece era salito fischiettando il charleston. - Du bijetti a fattori, - gridò. -Te sento, te sento, - fece il fattorino, staccando piano piano due biglietti dal blocchetto, - senza che strilli tanto.

Sull'autobus c'erano una dozzina di persone mezze addormentate: una cieca ch'era stata a chiedere l'elemosina accompagnata da un uomo che pareva Cavour, due suonatori coi loro strumenti insaccati dentro delle fodere di tela nera, con la testa che gli sbiellava, un brigadiere dei carabinieri, due o tre operai, e qualche giovanotto che tornava dal cinema.

Il Bègalo e Alduccio s'andarono a sbragare a gambe lunghe sui primi sedili, e il Bègalo, siccome Alduccio stava zitto, cominciò a canticchiare a mezza voce. Lì sotto, in piedi, il conducente chiacchierava col capoccia, e, più indietro, oltre i muraglioni, brillavano, tremolando, i lumicini del Verano. In quel silenzio e in quel malinconico puzzo di panni di povera gente, tutt'a un botto, entrò un ragazzo con un giubbetto inglese, un biondino con una faccia da morto di fame di sette generazioni, e si mise in mezzo al corridoio, voltato verso la gente. Mentre che nessuno lo filava per niente, lui si raschiò due tre volte, coscienzioso, la gola, poi si mise di botto a cantare. Tutti allora si voltarono a guardarlo, e lui, impunito, continuava a cantare forte, con una voce nasale, pronunciando accuratamente tutte le parole della canzone.

Vola! Vola! Vola!,

cantava: il Bègalo e Alduccio smicciavano con la coda dell'occhio il loro collega al lavoro. Qua e là a qualcuno scappava da ridere, e stava lì con la bocca aperta a guardare, qualcun altro invece un poco in imbarazzo teneva la faccia voltata verso il finestrino.

- Mo si nun te sbrighi a vvolà, 'auto parte, e te saluto Gesucrì, - disse il Begalone, tanto per rompere il ghiaccio; mentre Alduccio approfittava di quel broccolo ch'era venuto lì a cantare per pensare meglio ai fatti suoi. Ma il ragazzo cantò la sua canzone da cima a fondo, nel silenzio completo dell'autobus e di tutto il piazzale, e poi andò in giro tra i passeggeri per farsi dare qualcosa. Il Begalone scosse la sua capoccia di frate beccamorto, gonfiando il collo come un tacchino, e cacciò le ultime cinque lire che gli restavano. Fatto il suo dovere, il biondino, zitto com'era venuto, saltò giù dal predellino. - Mo che ha rimediato 'a grana, taja, - disse il Bègalo, col cuore trafitto dal pensiero delle cinque lire. - Vola, vola, - gli fece dietro benché ormai quello non lo sentisse, - vola li mortacci tua -. Poi si piegò con la faccia gialla sotto il naso d'Alduccio: - Vola, vola, - ripeté. Alduccio gli diede una gomitata sotto il mento che gli fece sbattere la capoccia contro lo schienale, e lo guardò furente negli occhi, pronto a fare a botte se quello diceva ancora una parola. Ma il Bègalo lasciò perdere. In quel momento l'autista lemme lemme salì sull'autobus, ma invece di mettersi al volante s'allungò sul sedile con un'espressione d'inedia in quella faccia nera da Giuda: si mise le mani tra le gambe, e lì parve appennicarsi. Una voce lugubre si levò in fondo all'autobus: - A moro, ma che stamo a ffà la buca qua? - Ma quello niente. - E vola, vola, vola, - commentò forte il Bègalo. A quelle due uscite, l'interno dell'autobus si rianimò, e tutti dissero più o meno la loro; quando ebbero scherzato un po', uno dopo l'altro con qualche sparata, sulla guerra in Corea e su Rebecchini, l'autista cominciò a dare dei segni di vita: si raddrizzò, acchiappò pigramente la leva del freno, il carrettone cominciò a sussultare e a espettorare, e traballando sul selciato partì per la Tiburina vuota e buia.

- Te saluto, a Ardù, - disse il Begalone a Alduccio come furono in fondo a Tiburtino, presso i loro lotti, e se ne andò su per la scala scrostata.

- Te saluto, - ciancicò Alduccio, continuando a camminare verso casa sua, un poco più in su, lungo la strada deserta. Ma anche fosse stata piena di gente, lui non avrebbe visto nessuno. I lampioni spandevano ognuno la sua chiazza di luce sull'asfalto e sulle pareti giallognole dei lotti, che si stendevano in file a decine tutti uguali, tra cortiletti di terra battuta, tutti uguali. Passarono cinque o sei pischelli suonando degli strumenti, uno un'armonica, uno un tamburo, uno le nacchere, e sparirono giù, in mezzo a quei lotti, finché la loro samba divenne un tu-tùn, tu-tùn che pareva vagasse in una città morta. Un ubbriaco, con la faccia ch'era una vampata di fuoco sotto il berrettaccio sporco, lanciava ogni tanto un fischio, perché l'amante venisse ad aprirgli, mentre il marito dormiva. Due giovanotti chiacchieravano piano di certi loro affari ma con le voci che risuonavano lo stesso nitide, in mezzo a uno dei cortili, con le file dei sostegni di pietra per mettere i panni ad asciugare, che parevano tante forche allineate nella penombra.

La porta della casa d'Alduccio era semiaperta, e la luce accesa. S'una sedia stava seduta la sorella; in piedi, in fondo alla cucina tutta in disordine, la madre ancora gridava. I piatti sul secchiaio erano da lavare, per terra era tutto pieno di zozzerie, e sul tavolo, sotto la luce della lampadina che faceva luccicare il bagnato, c'erano ancora due o tre pezzi di pane, una scodella sporca e un coltello. Pure la porta di una delle due camere era mezza aperta, e nel buio si vedeva vestito, con le gambe larghe, il padre d'Alduccio, sul letto matrimoniale, dove dormiva anche l'ultima figlia piccoletta; gli altri piccoli dormivano per terra su dei materassi. L'altra camera, invece, dove dormiva tutta la famiglia del Riccetto, era chiusa, e pareva che, là dentro, non ci fosse nessuno.

- M'ammazzo, m'ammazzo, - stava a gridare la sorella, stringendosi la testa tra le braccine magre e nude, come se c'avesse i crampi. - Magara, -disse tra i denti Alduccio, senza guardare in faccia nessuno, e andandosene verso la sua branda, contro la parete della camera dov'era disteso suo padre. Tutt'a un botto la sorella s'alzò dalla sedia e si gettò verso la porta. -Fèrmete, - disse Alduccio prendendola per la vita e ricacciandola in mezzo alla cucina, con una spinta che la fece cadere per terra.

Lei rimase lì come si trovava, tra la sedia rovesciata e il tavolo, continuando a piangere senza lacrime, di rabbia, contorcendosi sopra il pavimento bagnato.

- Chiudi 'a porta, - disse la madre a Alduccio.

- E chiùditela! - fece lui, prendendo dalla tavola un pezzo di pane e cacciandoselo in bocca.

- A disgrazziato! - gli gridò la madre, non tanto forte per non farsi sentire dai vicini e perciò più imbestialita ancora: era scapigliata e mezza ignuda come l'aveva lasciata, con le zinne tutte sudate che quasi le uscivano dalla veste aperta. Andò a chiudere la porta trascinando i piedi scalzi sulle mattonelle.

- Sto magnaccia infame! - riprese, mentre che, distesa per terra, la sorella faceva un verso come se rantolasse, dicendo ogni tanto a mezza voce: - Dio Dio. - Alduccio ingollò un boccone di pane, e andò al rubinetto a bersi una sorsata d'acqua. Barcollando, in mutande e con ancora addosso la giacca nera di lavoro, il padre attraversò la cucina, cieco pel vino che aveva bevuto, coi capelli spettinati e sudati sulla fronte. Stette un poco lì fermo, forse perchè s'era scordato che cosa aveva intenzione di fare: poi alzò una mano, se la portò davanti alla bocca, e la mosse su e giù, nell'aria, dall'altezza del cuore a un punto indeterminato all'altezza del naso: come se sottolineasse un lungo e complicato discorso che non gli usciva di bocca. Alla fine, come s'accorse che non ce la faceva a esprimersi, ripartì di corsa verso il letto. Alduccio andò fuori un momento per fare un bisogno, ché negli appartamenti dei lotti i gabinetti non c'erano, e come rientrò, la madre lo tornò a prendere di petto: - Tutto er giorno fori casa, - disse. - Beve, magna, e mai na vorta che portasse a casa na lira, mai.

Alduccio si voltò di scatto: - Già m'hai stufato, a ma', piantala, - gridò.

- E quanno 'a pianto, - fece lei gettandosi indietro i capelli dagli occhi e staccando quelli ch'erano appiccicati alla gola sudata e nuda fin quasi ai capezzoli, - hai voja de sentimme baccajà, ancora, brutto dilinquente!

Alduccio, cieco di rabbia, le sputò davanti ai piedi il boccone dello sfilatino che s'era messo a mangiare: - Ecco - fece, - tiè, sputo! - Urtò il tavolo, voltandosi per andare in camera, e fece cadere la scodella e il coltello che c'erano sopra. - Questo me ridai indietro? - fece la madre andandogli appresso, - che te credi de rimettete a paro con questo? -Vaffan.. ., - le disse Alduccio. - Vacce tu, a chiavicone zozzo, come ce sei stato infin'adesso, - gridò la madre. Alduccio non ci vide più e si chinò a afferrare il coltello che gli era caduto davanti ai piedi sul pavimento sporco.


VII. DENTRO ROMA (5) VII. DENTRO DE ROMA (5)

I lumicini del Verano erano là che brillavano, tremolando, tranquilli, fitti, a centinaia, tra i cipressi, nei loculi che sporgevano sopra il muraglione. E pure il Portonaccio al capolinea, poco più in là del cavalcavia della stazione Tiburtina, era silenzioso con solo qualche tram e qualche autobus vuoto e fermo, come una macchia scura nell'aria stinta e più rattristata che rischiarata da qualche fanale e dal cielo sereno. Un 309 era fermo davanti al chiosco dei giornali chiuso, e, più in là, la pensilina senza un'anima.

- Vedemo un po' quanto tengo 'n zaccoccia, - disse il Begalone, rovesciando la fodera della tasca e cacciando la grana. - Cinquantacinque lire, - fece, - quaranta pell'auto, e co du scudi se famo na bbomba, se famo, eh Ardù? - E fàmose sta bomba, - fece con voce rauca Alduccio. Stava a morire di fame, ma non ci pensava per niente alla bomba, e restava lì curvo dietro il Bègalo. Il Bègalo si comprò una bomba alla bancarella ormai quasi vuota. - Tiè, magna, - disse, mettendo la bomba fredda vicino alla bocca d'Alduccio. Alduccio ci diede un morso con la bocca storta. -N'antro, - fece il Begalone. - None, basta, - disse Alduccio voltando la testa dall'altra parte. - Aòh, - gridò il Begalo, - mejo, così me 'a magno tutta io. - E si mise a mangiarla, ridendo con la bocca piena. - Ridi, ridi, vaffan..., - ciancicò sempre più nero Alduccio. - Montamo che? - fece dopo un poco il Begalone, come ebbe finito di masticare; e tutto allegro saltò sul predellino. Alduccio senza dir niente salì dietro a lui, sull'autobus semivuoto, trascinando i piedi, senza togliersi le mani di tasca. Il Begalone invece era salito fischiettando il charleston. - Du bijetti a fattori, - gridò. -Te sento, te sento, - fece il fattorino, staccando piano piano due biglietti dal blocchetto, - senza che strilli tanto.

Sull'autobus c'erano una dozzina di persone mezze addormentate: una cieca ch'era stata a chiedere l'elemosina accompagnata da un uomo che pareva Cavour, due suonatori coi loro strumenti insaccati dentro delle fodere di tela nera, con la testa che gli sbiellava, un brigadiere dei carabinieri, due o tre operai, e qualche giovanotto che tornava dal cinema.

Il Bègalo e Alduccio s'andarono a sbragare a gambe lunghe sui primi sedili, e il Bègalo, siccome Alduccio stava zitto, cominciò a canticchiare a mezza voce. Lì sotto, in piedi, il conducente chiacchierava col capoccia, e, più indietro, oltre i muraglioni, brillavano, tremolando, i lumicini del Verano. In quel silenzio e in quel malinconico puzzo di panni di povera gente, tutt'a un botto, entrò un ragazzo con un giubbetto inglese, un biondino con una faccia da morto di fame di sette generazioni, e si mise in mezzo al corridoio, voltato verso la gente. Mentre che nessuno lo filava per niente, lui si raschiò due tre volte, coscienzioso, la gola, poi si mise di botto a cantare. Tutti allora si voltarono a guardarlo, e lui, impunito, continuava a cantare forte, con una voce nasale, pronunciando accuratamente tutte le parole della canzone.

Vola! Vola! Vola!,

cantava: il Bègalo e Alduccio smicciavano con la coda dell'occhio il loro collega al lavoro. Qua e là a qualcuno scappava da ridere, e stava lì con la bocca aperta a guardare, qualcun altro invece un poco in imbarazzo teneva la faccia voltata verso il finestrino.

- Mo si nun te sbrighi a vvolà, 'auto parte, e te saluto Gesucrì, - disse il Begalone, tanto per rompere il ghiaccio; mentre Alduccio approfittava di quel broccolo ch'era venuto lì a cantare per pensare meglio ai fatti suoi. Ma il ragazzo cantò la sua canzone da cima a fondo, nel silenzio completo dell'autobus e di tutto il piazzale, e poi andò in giro tra i passeggeri per farsi dare qualcosa. Il Begalone scosse la sua capoccia di frate beccamorto, gonfiando il collo come un tacchino, e cacciò le ultime cinque lire che gli restavano. Fatto il suo dovere, il biondino, zitto com'era venuto, saltò giù dal predellino. - Mo che ha rimediato 'a grana, taja, - disse il Bègalo, col cuore trafitto dal pensiero delle cinque lire. - Vola, vola, - gli fece dietro benché ormai quello non lo sentisse, - vola li mortacci tua -. Poi si piegò con la faccia gialla sotto il naso d'Alduccio: - Vola, vola, - ripeté. Alduccio gli diede una gomitata sotto il mento che gli fece sbattere la capoccia contro lo schienale, e lo guardò furente negli occhi, pronto a fare a botte se quello diceva ancora una parola. Ma il Bègalo lasciò perdere. In quel momento l'autista lemme lemme salì sull'autobus, ma invece di mettersi al volante s'allungò sul sedile con un'espressione d'inedia in quella faccia nera da Giuda: si mise le mani tra le gambe, e lì parve appennicarsi. Una voce lugubre si levò in fondo all'autobus: - A moro, ma che stamo a ffà la buca qua? - Ma quello niente. - E vola, vola, vola, - commentò forte il Bègalo. A quelle due uscite, l'interno dell'autobus si rianimò, e tutti dissero più o meno la loro; quando ebbero scherzato un po', uno dopo l'altro con qualche sparata, sulla guerra in Corea e su Rebecchini, l'autista cominciò a dare dei segni di vita: si raddrizzò, acchiappò pigramente la leva del freno, il carrettone cominciò a sussultare e a espettorare, e traballando sul selciato partì per la Tiburina vuota e buia.

- Te saluto, a Ardù, - disse il Begalone a Alduccio come furono in fondo a Tiburtino, presso i loro lotti, e se ne andò su per la scala scrostata.

- Te saluto, - ciancicò Alduccio, continuando a camminare verso casa sua, un poco più in su, lungo la strada deserta. Ma anche fosse stata piena di gente, lui non avrebbe visto nessuno. I lampioni spandevano ognuno la sua chiazza di luce sull'asfalto e sulle pareti giallognole dei lotti, che si stendevano in file a decine tutti uguali, tra cortiletti di terra battuta, tutti uguali. Passarono cinque o sei pischelli suonando degli strumenti, uno un'armonica, uno un tamburo, uno le nacchere, e sparirono giù, in mezzo a quei lotti, finché la loro samba divenne un tu-tùn, tu-tùn che pareva vagasse in una città morta. Un ubbriaco, con la faccia ch'era una vampata di fuoco sotto il berrettaccio sporco, lanciava ogni tanto un fischio, perché l'amante venisse ad aprirgli, mentre il marito dormiva. Due giovanotti chiacchieravano piano di certi loro affari ma con le voci che risuonavano lo stesso nitide, in mezzo a uno dei cortili, con le file dei sostegni di pietra per mettere i panni ad asciugare, che parevano tante forche allineate nella penombra.

La porta della casa d'Alduccio era semiaperta, e la luce accesa. S'una sedia stava seduta la sorella; in piedi, in fondo alla cucina tutta in disordine, la madre ancora gridava. I piatti sul secchiaio erano da lavare, per terra era tutto pieno di zozzerie, e sul tavolo, sotto la luce della lampadina che faceva luccicare il bagnato, c'erano ancora due o tre pezzi di pane, una scodella sporca e un coltello. Pure la porta di una delle due camere era mezza aperta, e nel buio si vedeva vestito, con le gambe larghe, il padre d'Alduccio, sul letto matrimoniale, dove dormiva anche l'ultima figlia piccoletta; gli altri piccoli dormivano per terra su dei materassi. L'altra camera, invece, dove dormiva tutta la famiglia del Riccetto, era chiusa, e pareva che, là dentro, non ci fosse nessuno.

- M'ammazzo, m'ammazzo, - stava a gridare la sorella, stringendosi la testa tra le braccine magre e nude, come se c'avesse i crampi. - Magara, -disse tra i denti Alduccio, senza guardare in faccia nessuno, e andandosene verso la sua branda, contro la parete della camera dov'era disteso suo padre. Tutt'a un botto la sorella s'alzò dalla sedia e si gettò verso la porta. -Fèrmete, - disse Alduccio prendendola per la vita e ricacciandola in mezzo alla cucina, con una spinta che la fece cadere per terra.

Lei rimase lì come si trovava, tra la sedia rovesciata e il tavolo, continuando a piangere senza lacrime, di rabbia, contorcendosi sopra il pavimento bagnato.

- Chiudi 'a porta, - disse la madre a Alduccio.

- E chiùditela! - fece lui, prendendo dalla tavola un pezzo di pane e cacciandoselo in bocca.

- A disgrazziato! - gli gridò la madre, non tanto forte per non farsi sentire dai vicini e perciò più imbestialita ancora: era scapigliata e mezza ignuda come l'aveva lasciata, con le zinne tutte sudate che quasi le uscivano dalla veste aperta. Andò a chiudere la porta trascinando i piedi scalzi sulle mattonelle.

- Sto magnaccia infame! - riprese, mentre che, distesa per terra, la sorella faceva un verso come se rantolasse, dicendo ogni tanto a mezza voce: - Dio Dio. - Alduccio ingollò un boccone di pane, e andò al rubinetto a bersi una sorsata d'acqua. Barcollando, in mutande e con ancora addosso la giacca nera di lavoro, il padre attraversò la cucina, cieco pel vino che aveva bevuto, coi capelli spettinati e sudati sulla fronte. Stette un poco lì fermo, forse perchè s'era scordato che cosa aveva intenzione di fare: poi alzò una mano, se la portò davanti alla bocca, e la mosse su e giù, nell'aria, dall'altezza del cuore a un punto indeterminato all'altezza del naso: come se sottolineasse un lungo e complicato discorso che non gli usciva di bocca. Alla fine, come s'accorse che non ce la faceva a esprimersi, ripartì di corsa verso il letto. Alduccio andò fuori un momento per fare un bisogno, ché negli appartamenti dei lotti i gabinetti non c'erano, e come rientrò, la madre lo tornò a prendere di petto: - Tutto er giorno fori casa, - disse. - Beve, magna, e mai na vorta che portasse a casa na lira, mai.

Alduccio si voltò di scatto: - Già m'hai stufato, a ma', piantala, - gridò.

- E quanno 'a pianto, - fece lei gettandosi indietro i capelli dagli occhi e staccando quelli ch'erano appiccicati alla gola sudata e nuda fin quasi ai capezzoli, - hai voja de sentimme baccajà, ancora, brutto dilinquente!

Alduccio, cieco di rabbia, le sputò davanti ai piedi il boccone dello sfilatino che s'era messo a mangiare: - Ecco - fece, - tiè, sputo! - Urtò il tavolo, voltandosi per andare in camera, e fece cadere la scodella e il coltello che c'erano sopra. - Questo me ridai indietro? - fece la madre andandogli appresso, - che te credi de rimettete a paro con questo? -Vaffan.. ., - le disse Alduccio. - Vacce tu, a chiavicone zozzo, come ce sei stato infin'adesso, - gridò la madre. Alduccio non ci vide più e si chinò a afferrare il coltello che gli era caduto davanti ai piedi sul pavimento sporco.