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"Una fra tante" di Emma (alias Emilia Ferretti Viola), Capitolo tredicesimo

Capitolo tredicesimo

Barberina incominciava ad alzarsi per qualche ora. Aveva dal medico il permesso di andare a prendere un po' d'aria in un cortile dell'ospedale, e di questo permesso si valsero i suoi protettori per effettuare la sua liberazione. Coll'aiuto della suora, in una camera che serviva da ripostiglio, la giovanetta si travestì. Indossò l'abito che le aveva preparato la monaca, fasciò una parte del viso come ci avesse male, e guidata dalla suora scese in un cortile. Anche un'altra donna, mandata appositamente, l'accompagnava. Barberina tremando come una foglia baciò la mano della buona monaca e seguì la donna che la condusse fuori dall'ospedale. Una vettura pubblica attendeva a poca distanza di lì, e un prete, nel quale la Barberina non ravvisò subito il suo protettore, aprì lo sportello, e dopo averle fatte entrare, sedette di faccia a loro.

La fanciulla, tutta raggomitolata nel fondo della carrozza ardiva appena alzare lo sguardo di tempo in tempo verso di lui; poi guardava con terrore le vie che percorrevano.

Ora finalmente si rendeva conto dell'impressione paurosa che le aveva fatta la città, la prima volta che v'era entrata; il vago senso di paura che le aveva ispirato tutto quel movimento, quel lusso, quella folla. Le era parso allora che quella gran città covasse nascostamente dolori intensi, sofferenze ignote, e che ci fossero dei tristi misteri dietro a tutto quel lusso ingegnoso e svariato.

Ciò che allora aveva soltanto presentito, adesso lo sapeva.

La carrozza si fermò dinanzi ad un cancello in una parte remota della città.

Barberina vide una casa circondata da ortaglie e da lunghi pergolati, e in lontananza scorse la bianca catena dè suoi monti. A quella vista il cuore le si allargò, e i suoi sguardi si fissarono con intenso desiderio su quelle vette lontane.

Il prete la condusse amorevolmente entro il cancello, e la fece entrare nella casa; e quivi la Barberina fu messa in una camera, dove la fecero riposare e le dettero di che ristorarsi.

La sera dello stesso giorno essa doveva partire.

La fanciulla aspettava trepidante quel momento.

Quando fu buio, la fecero escire di nuovo da quella casa, la misero in una carrozza e un altro prete che essa non conosceva, l'accompagnò. Il buon sacerdote che aveva fatto tanto per la sua liberazione le fece ancora molti avvertimenti e le dette una lettera da consegnarsi al parroco del suo paese; poi le disse addio.

La carrozza partì.

Era salva?

Barberina traversando le vie della città, guardava paurosa i fanali accesi, le vetrine illuminate delle botteghe, le case alte e buie. Alla svolta di una via s'accorse che passavano vicino a quel luogo dove l'avevano tormentata tanto. Allora chiuse gli occhi e non guardò più, finché giunti alla stazione le dissero di scendere di carrozza.

La povera Barberina tremava forte forte in quel momento, per la paura e per la speranza; e quando le misero in mano il suo biglietto di ferrovia e la fecero salire in un vagone, e le dissero addio, non ebbe voce per ringraziare, né forza per stringere quelle mani liberatrici che tanto avevano fatto per lei.

La macchina fischiò con violenza rabbiosa. Barberina si scosse tutta a quel rumore improvviso. Le pareva che quel fischio che passava stridendo sopra la città, dovesse svegliarvi le cose che dormivano, e giungere perfino in quel luogo infame, ove la padrona vegliava a quest'ora, inesorabile e feroce, come il venditore di schiavi fra la sua merce. Ma quel fischio morì nella notte senza risvegliarvi un'eco. La gran città sparì a poco a poco dall'orizzonte co' suoi lumi, i suoi campanili e le macchie nere dei suoi tetti. Un infinito numero di stelle brillò nel silenzio della notte, laddove prima si era veduta in lontananza come mostro informe la figura fantastica e vaporosa della città con le sue centinaia di fanali simili ad occhi pieni di luce. Quegli occhi di fuoco non guardavano più il riposo sereno delle grandi campagne che dormivano nell'ombra; l'attrazione di quelle luci febbrili, di quei palazzi monumentali e di quelle case agglomerate non esercitava più nella notte la sua fatale potenza. La città era sparita e il convoglio correva rapidamente verso le alte montagne.

Quando sorse l'alba splendida e pura, Barberina era salva.


Capitolo tredicesimo

Barberina incominciava ad alzarsi per qualche ora. Aveva dal medico il permesso di andare a prendere un po' d'aria in un cortile dell'ospedale, e di questo permesso si valsero i suoi protettori per effettuare la sua liberazione. Coll'aiuto della suora, in una camera che serviva da ripostiglio, la giovanetta si travestì. Indossò l'abito che le aveva preparato la monaca, fasciò una parte del viso come ci avesse male, e guidata dalla suora scese in un cortile. Anche un'altra donna, mandata appositamente, l'accompagnava. Barberina tremando come una foglia baciò la mano della buona monaca e seguì la donna che la condusse fuori dall'ospedale. Una vettura pubblica attendeva a poca distanza di lì, e un prete, nel quale la Barberina non ravvisò subito il suo protettore, aprì lo sportello, e dopo averle fatte entrare, sedette di faccia a loro.

La fanciulla, tutta raggomitolata nel fondo della carrozza ardiva appena alzare lo sguardo di tempo in tempo verso di lui; poi guardava con terrore le vie che percorrevano.

Ora finalmente si rendeva conto dell'impressione paurosa che le aveva fatta la città, la prima volta che v'era entrata; il vago senso di paura che le aveva ispirato tutto quel movimento, quel lusso, quella folla. Le era parso allora che quella gran città covasse nascostamente dolori intensi, sofferenze ignote, e che ci fossero dei tristi misteri dietro a tutto quel lusso ingegnoso e svariato.

Ciò che allora aveva soltanto presentito, adesso lo sapeva.

La carrozza si fermò dinanzi ad un cancello in una parte remota della città.

Barberina vide una casa circondata da ortaglie e da lunghi pergolati, e in lontananza scorse la bianca catena dè suoi monti. A quella vista il cuore le si allargò, e i suoi sguardi si fissarono con intenso desiderio su quelle vette lontane.

Il prete la condusse amorevolmente entro il cancello, e la fece entrare nella casa; e quivi la Barberina fu messa in una camera, dove la fecero riposare e le dettero di che ristorarsi.

La sera dello stesso giorno essa doveva partire.

La fanciulla aspettava trepidante quel momento.

Quando fu buio, la fecero escire di nuovo da quella casa, la misero in una carrozza e un altro prete che essa non conosceva, l'accompagnò. Il buon sacerdote che aveva fatto tanto per la sua liberazione le fece ancora molti avvertimenti e le dette una lettera da consegnarsi al parroco del suo paese; poi le disse addio.

La carrozza partì.

Era salva?

Barberina traversando le vie della città, guardava paurosa i fanali accesi, le vetrine illuminate delle botteghe, le case alte e buie. Alla svolta di una via s'accorse che passavano vicino a quel luogo dove l'avevano tormentata tanto. Allora chiuse gli occhi e non guardò più, finché giunti alla stazione le dissero di scendere di carrozza.

La povera Barberina tremava forte forte in quel momento, per la paura e per la speranza; e quando le misero in mano il suo biglietto di ferrovia e la fecero salire in un vagone, e le dissero addio, non ebbe voce per ringraziare, né forza per stringere quelle mani liberatrici che tanto avevano fatto per lei.

La macchina fischiò con violenza rabbiosa. Barberina si scosse tutta a quel rumore improvviso. Le pareva che quel fischio che passava stridendo sopra la città, dovesse svegliarvi le cose che dormivano, e giungere perfino in quel luogo infame, ove la padrona vegliava a quest'ora, inesorabile e feroce, come il venditore di schiavi fra la sua merce. Ma quel fischio morì nella notte senza risvegliarvi un'eco. La gran città sparì a poco a poco dall'orizzonte co' suoi lumi, i suoi campanili e le macchie nere dei suoi tetti. Un infinito numero di stelle brillò nel silenzio della notte, laddove prima si era veduta in lontananza come mostro informe la figura fantastica e vaporosa della città con le sue centinaia di fanali simili ad occhi pieni di luce. Quegli occhi di fuoco non guardavano più il riposo sereno delle grandi campagne che dormivano nell'ombra; l'attrazione di quelle luci febbrili, di quei palazzi monumentali e di quelle case agglomerate non esercitava più nella notte la sua fatale potenza. La città era sparita e il convoglio correva rapidamente verso le alte montagne.

Quando sorse l'alba splendida e pura, Barberina era salva.