Capitolo ottavo (prima parte)
Capitolo ottavo
La casa alla quale erano dirette le due donne non distava molto da quella della vecchia. Era situata anch'essa in una via stretta e buia, nella quale regnava una grande tranquillità e un gran silenzio. Le carrozze vi passavano di rado, v'erano poche botteghe, quasi tutte povere e mal fornite, e sebbene quella via fosse situata quasi nel centro della città, pure era così poco frequentata, come fosse posta nella parte più remota di essa. Quando Barberina entrò nella porta di quella casa, fu maravigliata di trovarsi di faccia ad una bella scala con tappeti, con imbottiture di velluto alle ringhiere di ferro, con eleganti candelabri ornati da gran palle di vetro fine, lavorate e scannellate.
Quel lusso l'intimidì, e nel mettere la grossa suola delle sue scarpe su quel bel tappeto a fiori, le pareva d'insudiciarlo, e salì tutta confusa e sgomenta, pensando che se anche il quartiere dei suoi futuri padroni era tanto di lusso, non si sarebbero mai potuti accontentare del servizio d'una povera ragazza, com'era lei. A destra, al primo piano v'era una bella porta con vetrata in colori, mentre dall'altra parte, proprio dirimpetto, era una porticina semplice e chiusa come se non vi stesse nessuno; ma la vecchia si fermò subito precisamente davanti a quella, come conoscesse da un pezzo la casa, e tirando la cordicella di un campanello mezzo nascosta dietro al telaio della porta, disse alla Barberina: - Eccoci!
La porta s'aprì poco dopo e una donna di mezz'età salutò familiarmente la vecchia, dicendole che la padrona l'aspettava, e aggiungendo: - Passate, passate, essa v'aspetta nel salottino dei conti. - Le fece entrare.
La Barberina si trovò in un andito pressoché buio, lungo lungo, e seguì la vecchia quasi a tastoni.
Il cuore le batteva forte forte.
Doveva vedere una nuova padrona e presentarlese per la prima volta; e la poverina tutta sgomenta, pensava che certamente non sarebbe piaciuta, che era troppo rozza e ignorante per servire una signora che abitava in una casa tanto bella, che la sua timidità e la sua inesperienza sarebbero apparse in ogni sua parola, e tremava di non essere ben accolta.
La signora, alla quale la Barberina fu presentata quasi subito, era ancora una bella donna di forse quarant'anni. Vestiva con eleganza ed alla povera ragazza parve superba e severa.
La signora, dopoché la vecchia le ebbe parlato, guardò la Barberina da capo a piedi con una cert'aria sprezzante e sfacciata ad un tempo, che rammentò alla poveretta il modo di guardare dè compratori di pecore e di vitelli, quando venivano su nei suoi monti per fare degli acquisti. Era uno sguardo duro e fisso che le metteva paura.
- Va bene, - disse con tono freddo e indifferente la signora, mentre la fissava sempre; - va bene, se volete, potete restare...
Barberina, vincendo la sua timidità, volle ringraziarla, ma la signora l'interruppe con un sorriso freddo e ironico. - Basta, basta. Andate su, non ho tempo da perdere; questa donna vi indicherà la vostra camera e vi porterà un vestito e della roba; non potete restare qui con gli abiti che avete addosso.
La ragazza, confusa, non sapeva come esprimerle la sua riconoscenza, e le disse che la mettessero pur subito a lavorare, che avrebbe incominciato volentieri il suo servizio, perché si sentiva bene e non aveva bisogno di riposare.
- Saprete poi quello che dovrete fare, - rispose la signora, con quella sua solita aria di sprezzo; - per oggi non ho bisogno di voi. Andate.
Barberina non ardì rispondere, fece un inchino, salutò con uno sguardo e un sorriso affettuoso la vecchia, la quale, desiderando forse di restar sola con la signora, le fece cenno di seguire una persona di servizio che l'aspettava sull'uscio. - Mettila nella camera rossa, al secondo piano, - disse la signora alla fantesca, mentre questa stava per escire, seguìta dalla Barberina.
La donna, senza aprir bocca, fece camminare un pezzo la Barberina per degli anditi, le fece salire delle scale, e finalmente, dopo essere andata a cercare una chiave, si fermò davanti ad un uscio, l'aprì e la fece entrare in una bella camera, ariosa, pulita, nella quale era un bel letto parato. - Questa è la mia camera? - esclamò la Barberina. - Una così bella camera per me?
- Sì, - rispose laconicamente la donna, - questa camera è la sua: - e fece una mossa per andar via.
- Ma che cosa debbo fare? - domandò la Barberina maravigliata. - Dov'è la cucina, dove debbo andare per fare il mio servizio? - Per ora stia qui, - rispose ancora la fantesca.
- Mi manderanno qui il lavoro? dovrò forse cucire di bianco? Oh, mi insegni un poco lei, quello che devo fare! Vorrei proprio farlo per bene il mio dovere e accontentare la signora.
- Per ora non ci pensi: - replicò l'altra imperiosamente. - La signora vuole che la stia qui; obbedisca senza chieder tanto; vedrà che se ne troverà contenta: - e andò via, lasciando la Barberina più maravigliata di prima.
La mobiglia della camera era piuttosto bella, e la povera ragazza stette un pezzo prima di risolversi a mettersi a sedere sopra una di quelle belle seggiole ricoperte di una stoffa in lana rossa, simile a quella che aveva ammirata tante volte nel salotto dei suoi antichi padroni.
Passò del tempo prima che venissero a chiamarla o a portarle la roba promessale dalla signora.
Che gran signora doveva essere, pensava fra sé la Barberina, se le regalava subito, appena entrata in casa sua, e se voleva che le sue persone di servizio fossero tutte ben vestite!
Le finestre della camera erano aperte, ma le gelosie chiuse sino a metà altezza della finestra non lasciavano penetrare nella camera senonché la luce che veniva dall'alto. Barberina, stanca di starsene oziosa ad aspettare, s'avvicinò alla finestra e volle aprire le gelosie. Ma erano chiuse e assicurate in modo che non le riescì di aprirle.
Guardò allora traverso le piccole sbarre di legno e vide un giardinetto chiuso fra delle case e delle mura, umido e malinconico, senza che in esso crescesse neppure un fiore; delle donne litigavano in un cortile vicino, e le loro voci stridule, e le parole ingiuriose e sconce che profferivano, arrivavano chiare e distinte agli orecchi della Barberina, quasi fossero vicine a lei o nella stessa camera.
La ragazza si allontanò dalla finestra.
Le metteva malinconia il guardare in quel giardino buio e desolato, e anche le voci di quelle donne le mettevano una certa paura addosso, come se quelle ingiurie oscene fossero dirette a lei.
Finalmente la fantesca di prima ricomparve, portando sul braccio della roba.
- Ecco quello che le manda la padrona per rivestirla; il resto l'avrà poi. Badi che questa roba gliela consegno io, che è sua, e che non voglio poi delle storie, e che s'abbia a dire che non l'ha avuta o che io non gliel'ho data. Barberina, un po' offesa e un po' sgomenta dal tono imperioso della fantesca, e dai sospetti che manifestava, ringraziò timidamente, dicendo che sarebbe sempre stata grata alla signora della sua bontà; ma la donna tagliò corto a questi discorsi, dicendo che la stesse attenta alla roba che le consegnava; e le presentò un bel vestito di lana leggera, in colori chiari, e fatto come quelli delle signore; le dette della bella biancheria e le fece provare due o tre paia di scarpe, perché scegliesse quel paio che le stava meglio. Le intimò di vestirsi e ripulirsi, perché la signora di gente mal vestita in casa sua non ne voleva, e siccome la ragazza chiedeva sempre quali erano i servizi che doveva fare e perché non la mettevano al lavoro, la donna le disse che bisognava che prima la si rivestisse.
- La roba sua la metta tutta insieme, ne faccia un involto e lo dia a me; la sua roba la riporremo, e quando lei andasse via di qui, le sarà tutta riconsegnata.
La Barberina non ci capiva proprio niente a questi discorsi, ma il fare autorevole, quasi prepotente della donna l'intimidiva troppo, perché ardisse di interrogarla o di opporsi alla sua volontà. - Debbo vestirmi subito? - domandò tutta confusa la ragazza.
- Ma sicuro; sono qui per questo e aspetto di ricevere la sua roba.
La Barberina guardava e toccava con maraviglia il bel vestito che doveva indossare. Non ne aveva mai portati di così belli, né in colori tanto chiari. Le faceva piacere di mettersi addosso quella bella stoffa, eppure provava una ripugnanza nascosta e dolorosa all'idea di dover svestire il modesto abitino di tela che le aveva comprato la sua buona signora di prima. Era un abitino scuro, e la sua signora le aveva sempre detto che una ragazzina nel suo stato non doveva mettersi certi abiti di colori chiassosi o fatti alla moda, come quelli delle signore. La sua prima padrona le aveva dato più volte dei buoni consigli, le aveva parlato dei pericoli che minacciano le giovanette abbandonate, le imprudenti e leggere; ed ora, improvvisamente, quei consigli si affacciavano alla sua memoria, e le pareva di udire in sé una voce che le gridasse di non levare il suo povero abitino e di non mettere quella bella veste.
E a misura che così pensava e che sentiva nascere in sé le incertezze del timore, svaniva in lei tutto il piacere di mettersi quella bella biancheria, di provarsi quel bel vestito.
La donna incominciava a dare segni manifesti d'impazienza. - Insomma, - disse finalmente, - a che fine volta e rivolta ogni cosa fra le mani? Sono qui ad aspettare e non ho tempo da perdere.
- Ma è proprio necessario... - azzardò timidamente la Barberina, - che io mi metta oggi questa veste?
- Ma sicuro eh! Vorrebbe forse starsene a quel modo? La signora l'ha ordinato e mi pare che la dovrebbe essere contenta. In confronto di... - ma qui la Barberina l'interruppe vivamente. - Ma perché questo vestito è più bello del suo? Non è lei una persona di servizio come me e più di me, - aggiunse umilmente, perché il fare di prepotenza di quella donna l'intimidiva assai. - Non faccia tante storie: - rispose l'altra con impazienza. - Lo capirà fra poco il perché, e se vuole, anderà a chiederlo alla padrona. Il mio è un servizio diverso dal suo, - e fece una smorfia ironica e sfacciata. - Su via bambina, spicciamoci, alla padrona le chiacchiere non piacciono, e se non vuol essere mandata via...
- Mandata via! - Barberina ripensò con terrore alla strada, alla gente che non conosceva, all'abbandono pel quale aveva tanto sofferto in quella stessa mattina, e ringraziò Dio d'averle fatto trovare un asilo, un padrone e una casa ove ricoverarsi. Non fece più obbiezioni; e ritraendosi vergognosa e timida in un canto per non farsi vedere da quella donna, che senza nessun riguardo se ne stava in mezzo alla camera osservandola sfacciatamente, si spogliò e si rivestì.
- Siete un bel pezzo di ragazza; - disse la donna, e aggiunse qualche altra osservazione che fece diventare la Barberina rossa rossa come un galletto.
Se la sua padrona di prima avesse sentito! pensò fra sé la Barberina, chi sa che cosa avrebbe detto! Doveva pure essere una gran sfacciata la servente!
- Si guardi nella spera ora, - disse costei, contando la roba che la Barberina s'era levata e facendone un involto. - Oh non s'incomodi, - esclamò la ragazza confusa, vedendo che l'altra raccoglieva i suoi abiti caduti a terra, - tocca a me a servire gli altri. - Eh! eh! con quel visino! - rispose ironicamente la donna. - Ma la si guardi dunque nella spera.
La Barberina obbedì, e quasi quasi non si riconobbe. La ragazza che vedeva nello specchio le parve un'altra; si vide più grande, più snella, ma non per questo le parve che il suo aspetto avesse migliorato; quell'aria da signorina della quale andava debitrice all'abbigliamento elegante che portava, le sembrò una maschera bugiarda, e si vergognò profondamente nel vedersi vestita a quel modo, come se avesse voluto con quel lusso rinnegare se stessa, i suoi parenti, le persone che amava di più. - Come mai, - disse allora alla fantesca, - potrò lavorare e far le faccende con questo bell'abito? È proprio sicura che la signora intenda che io lo metta nei giorni di lavoro?
- Se glielo manda vuol dire che desidera che se lo metta, - e la donna con le vecchie vesti della Barberina sotto al braccio stava per andarsene.
- Ma... e i miei vestiti? - domandò timidamente la ragazza.
- Li ripongo in un luogo sicuro e li potrà riavere quando vuole, - replicò subito l'altra. - Sì... grazie... - rispose un po' confusa la Barberina, perché, a dire il vero... non vorrei per tutto al mondo escire di casa vestita così. - Perché? - domandò maravigliata la donna, fermandosi sull'uscio. - Avrei troppa paura d'esser presa per una... via... m'intende... una ragazza poco per bene. La donna la fissò un momento con certi occhi furbi e curiosi, nei quali si leggeva una grande maraviglia e uno scherno grossolano e volgare, come di chi ride di un'oscenità o di un dolore. - Una ragazza per bene! - esclamò con una smorfia da monello, che contrasse il suo viso di cinquant'anni in un modo veramente buffo. - Per bene! - ripeté, e dette in uno scoppio di risa chiudendo l'uscio dietro a sé. Barberina la sentì ridere ancora nell'andito, finché a poco a poco quella sghignazzata o finì o si perdette nella lontananza. Ma perché rideva quella donna? Di che cosa?
Barberina si rimise a sedere sopra una seggiola; si sentiva debole e stanca. La malattia patita e della quale non era ancora interamente ristabilita, le commozioni di quella mattina, lo spavento e il dolore, l'avevano scossa assai più di quanto ella potesse rendersi conto in quel momento. Stette un pezzo a sedere guardando sempre la sua camera; ne osservava tutti i particolari con una curiosità inquieta; senza saperne il perché, le dispiaceva che quella camera fosse così bella; non ci si sentiva tranquilla, non le pareva potesse mai essere veramente la sua. Alzando gli occhi per guardare gli affreschi del soffitto, e volgendosi un poco verso la finestra, s'accorse che la sua immagine si rifletteva anche di lì nella spera. Quella ragazza seduta nel mezzo della camera con quell'abito chiaro addosso le fece quasi paura. Le s'affacciarono a un tratto alla mente mille incertezze e mille paure. La fanciulla ben vestita che vedeva nello specchio, raccontava alla povera Barberina delle tristi istorie, piene di dubbi e di sgomenti. Istorie vaghe, indefinite.
Alla Barberina, dal luogo nel quale sedeva, non riesciva di vedere di sé nello specchio se non altro che la persona. Le sue mani, sbiancate dalla malattia, poggiavano sul bel vestito e le sembravano quelle di un'altra, di una vera signorina; e nel fondo, dietro quel riflesso, il letto parato e una poltrona imbottita e coperta di stoffa rossa accrescevano l'illusione che provava dell'essere sotto il fascino di un sogno e di non vedere in quella spera l'immagine di se stessa. Ma di tempo in tempo la ragazza chinava un poco il capo, e allora rientrando tutta nel campo dello specchio, ci vedeva il proprio viso e si guardava attonita e impaurita. Allora la signorina e la giovanetta tornavano ad essere una cosa sola, e la Barberina provava uno spavento indefinibile di quelle due che erano pure una sola, e lo dovevano essere, eppure erano tanto dissimili fra loro. E per acquietarsi Barberina rialzava il capo, e così uscendo di nuovo dal campo dello specchio non ci vedeva più il proprio viso.
Barberina aveva dei brutti sospetti. Era ignorante, ma pur sapeva vagamente di molte cose che il popolo non tiene occulte alle giovanette, o le nasconde così male, che il vero si rivela a loro sempre più o meno esattamente.
E certe cose che la Barberina sapeva a metà, delle quali aveva sentito discorrere o in mercato, o dai bottegai, o nell'ospedale, afferrate così a mezz'aria, a sbalzi, ora dette con parole volgari e oscene, ora sussurrate, fra una mossa di scherno e un sorriso di compiacenza, tutte cose brutte e tristi, le tornavano alla mente, popolando di mille sospetti quella camera, riflettendosi nello specchio accanto a quella signorina della quale non vedeva il viso e non sapeva la storia. - Dio buono, a che cosa penso! - diceva fra sé la ragazza, e la sua ignoranza l'aiutava nel disperdere quei dubbii i quali per effetto di quella stessa ignoranza le si affacciavano indefiniti e imperfetti.