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Cristo si è fermato a Eboli - Carlo Levi, Parte 4

Parte 4

«Questo è dunque un paese di galantuomini!» pensavo attendendo la cena nella casa della vedova. Il fuoco era acceso sotto la pentola, perché la buona donna aveva immaginato che io fossi stanco del viaggio e che mi abbisognasse qualcosa di caldo. Di solito non si fa fuoco, la sera, neppure nelle case dei ricchi, dove bastano gli avanzi del mattino, un po' di pane e formaggio, qualche oliva, e i soliti fichi secchi. Quanto ai poveri, essi mangiano pan solo, tutto l'anno, condito qualche volta con un pomodoro crudo spiaccicato con cura, o con un po' d'aglio e olio, o con un peperone spagnolo, di quelli che bruciano, un diavolesco. «Questo è un paese di galantuomini!». Non potevo ancora precisare le mie impressioni, ne penetrare ancora tutti i segreti della politica e delle passioni paesane; ma mi avevano colpito il sussiego, le maniere dei signori sulla piazza, e più ancora il tono generale di astio, disprezzo e diffidenza reciproca nella conversazione a cui avevo assistito, la facilità con cui si manifestavano degli odi elementari, senza il naturale ritegno verso un forestiero appena arrivato, che aveva fatto sì che io fossi messo subito al corrente da ciascuno dei vizi o delle debolezze degli altri. Per quanto non potessi ancora determinarlo con esattezza, era chiaro che anche qui, come a Grassano, gli odi reciproci di tutti contro tutti si cristallizzavano in due partiti. Qui, come a Grassano, come in tutti gli altri paesi della Lucania, dove i galantuomini che non hanno potuto, per incapacità o povertà, o matrimoni precoci, o interessi da tutelare, o per una qualunque necessità del destino, emigrare ai paradisi di Napoli o di Roma, trasformano la propria delusione e la propria noia mortale in un furore generico, in un odio senza soste, in un perenne risorgere di sentimenti antichi, e in una lotta continua per affermare, contro tutti, il loro potere nel piccolo angolo di terra dove sono costretti a vivere. Gagliano è un piccolissimo paese, e lontano dalle strade e dagli uomini: le passioni vi sono perciò più elementari, più semplici, ma non meno intense che altrove; e non sarà difficile, immaginavo, averne presto la chiave.

Grassano è invece piuttosto grande, su una via di passaggio, non lontano dai capoluogo della provincia: non c'è, come qui, il contatto continuo di tutti con tutti; le passioni possono perciò essere più nascoste, prendere una forma più mediata, vestirsi di aspetti più complessi. I segreti di Grassano mi erano stati rivelati fin dai primi giorni del mio arrivo da uno dei loro più appassionati protagonisti. Quelli di Gagliano, come li conoscerò? A Gagliano dovrò passare tre anni, un tempo infinito. Il mondo è chiuso: gli odi e le guerre dei signori sono il solo avvenimento quotidiano: e ho già visto sui loro volti come esse siano radicate e violente, miserabili ma intense come quelle di una tragedia greca. Bisognerà pure che, come un eroe di Stendhal, io faccia i miei piani, e non commetta errori. A Grassano, il mio informatore era stato il capo della Milizia, il tenente Decunto. Chi lo sarà quaggiù?

Quando il tenente Decunto, capo della Milizia di Grassano, mi aveva mandato a chiamare con un ordine perentorio, il giorno dopo il mio arrivo da Regina Coeli, quando non mi ero ancora ambientato, né avevo ancora saputo precisamente che cosa capitasse nel mondo, né che umori ci fossero in paese per la prossima guerra d'Africa, avevo temuto qualche nuova noia. Avevo invece trovato, in una stanzetta che gli serviva di ufficio, un piccolo giovane biondo, gentile, con una bocca amara e degli occhietti azzurrochiari, sfuggenti, dagli sguardi che si posavano di fianco alle cose, ritrosi, piú che per paura, per una specie di vergogna o di ribrezzo. Mi aveva chiamato perché io ero ufficiale in congedo, e lo era anche lui, e voleva fare la mia conoscenza. Ci teneva subito a dirmi che lui comandava la Milizia, ma non aveva nulla a che fare né con la questura, né coi carabinieri, né con il podestà, né con il segretario del fascio. Quest'ultimo, soprattutto, era un delinquente; e tutti gli altri, una banda degna di lui. La vita a Grassano era impossibile, e non c'era rimedio. Tutti ambiziosi, ladri, disonesti, violenti. Egli doveva assolutamente togliersi di qui: si moriva. Perciò aveva fatto domanda di andare volontario in Africa; e pazienza se tutto andrà in rovina. C'è poco da rimpiangere. - Giochiamo il tutto per il tutto, - mi disse, guardando lontano di fianco a me. - Questa è la fine, mi capisce? La fine. Se vincessimo, forse si potrà cambiare qualcosa, chissà? Ma l'Inghilterra non lo permetterà. Ci spaccheremo la testa. Questa è la nostra ultima carta. E se ci va male... - E qui un gesto, come a dire: è la fine del mondo. - Andrà male, vedrà. Ma non importa. Così non si può più continuare. Lei resterà qui qualche tempo. Lei è straniero alle nostre questioni, e potrà giudicare. Quando avrà visto che cos'è la vita in questo paese, mi dirà che avevo ragione -. Io tacevo, perché diffidavo. Ma dovevo poi riconoscere, nei giorni seguenti, che il tenente Decunto, anche se forse mi sorvegliava, era tuttavia sincero, e il suo pessimismo non era una finzione. Mi aveva preso in simpatia perché ero forestiero, e con me poteva sfogare i suoi risentimenti. Ogni volta che io salivo alla chiesa, in cima al paese, e mi fermavo, nel vento, a contemplare il paesaggio desolato, me lo vedevo comparire vicino, biondo e grigiastro come uno spettro, e senza guardarmi, mi parlava. Egli non era che l'ultimo anello di una catena di odi che risalivano per le generazioni: cent'anni, di più, duecento, chissà, forse sempre. Egli partecipava di questa passione ereditaria. Non c'era nulla da fare, e se ne rodeva. Si erano odiati per secoli qui, e sempre si odieranno, fra queste stesse case, davanti agli stessi sassi bianchi del Basento e alle stesse grotte di Irsina. Oggi erano tutti fascisti, si sa. Ma questo non voleva dir nulla. Prima erano nittiani o salandrini, e risalendo nel tempo, giolittiani o antigiolittiani, della Destra o della Sinistra, per i briganti o contro i briganti, borbonici o liberali, e prima ancora, chissà. Ma questa era la vera origine: c'erano i galantuomini e c'erano i briganti, i figli dei galantuomini e i figli dei briganti. Il fascismo non aveva cambiato le cose. Anzi, prima, con i partiti, la gente per bene poteva stare tutta da una parte, sotto una bandiera particolare, e distinguersi dagli altri e lottare sotto una veste politica. Ora non ci resta che le lettere anonime, e le pressioni e le corruzioni in Prefettura. Perché nel fascismo ci stanno tutti. - Io, vede, sono di una famiglia di liberali. I miei bisnonni sono stati in prigione, sotto i Borboni. Ma il segretario del fascio, sa chi è? É il figlio di un brigante. Proprio il figlio di un brigante. E tutti gli altri che gli tengono bordone, e che adesso comandano il paese, sono tutti della stessa risma. E a Matera è la stessa cosa. Il consigliere nazionale N., di qui, è di una famiglia che teneva mano ai briganti. Anche il barone di Collefusco, il padrone di tutte le terre qui attorno, il proprietario del palazzo sulla piazza, chi è? Lui sta a Napoli, si sa, e da queste parti non ci viene mai. Non lo conosce? I baroni di Collefusco sono stati, di nascosto, i veri capi del brigantaggio, nel '6o, da queste parti. Erano loro che li pagavano, che li armavano -. Gli occhietti azzurri scintillavano d'odio. - Lei spesso si siede, l'ho visto tante volte, sulla panchina di pietra che è davanti al palazzo del barone. Cent'anni fa, anzi più di cent'anni fa, su quella stessa panchina si sedeva ogni sera, come fa ora lei, a prendere il fresco, il bisnonno del barone di adesso, e usava tenere in braccio un suo bambino di pochi anni. Proprio quel bambino fu poi il nonno del barone, e deputato, e manutengolo dei briganti. Su quella panchina il vecchio fu ammazzato, da un parente dei miei bisnonni. Era un farmacista, fratello di un dottore, Palese. Noi Decunto, qui a Grassano, siamo della stessa famiglia. A Potenza ci sono ancora parecchi nipoti del dottore. Ecco come fu. C'era in quel tempo, qui da noi, una vendita carbonara, e ne facevano parte i due fratelli Palese, un Lasala, degli stessi Lasala del falegname che lei conosce, un Ruggiero, un Bonelli, e molti altri; e con loro c'era anche il barone di Collefusco, che faceva il liberale. Ma il barone era una spia; ci si era messo in mezzo per denunciarli tutti. Infatti un bel giorno fanno una seduta, per non so quale azione da farsi di lì a poco. Appena finita, il barone va al palazzo, chiama un suo servitore fidato, gli fa sellare il miglior cavallo, e gli dà un biglietto, con l'elenco di tutti i cospiratori, da portare al Governatore di Potenza. Ma la partenza del servo non passa inosservata. Si aveva già qualche sospetto: che cosa andava a fare quel servo sulla strada di Potenza, a quell'ora, col miglior cavallo del paese? Non bisognava perder tempo; inseguirlo, fermarlo, appurare il tradimento. Quattro carbonari partono a cavallo: ma il cavallo del barone era migliore dei loro, ed era in vantaggio di un'ora. I quattro si buttano per le scorciatoie e i sentieri, e tanto corrono tutta la notte che riescono a raggiungere il servo proprio alle porte di Potenza, sul margine d'un bosco. Tirano da lontano, galoppando, sul cavallo, e il cavallo cade; prendono il servo, lo legano a un albero, lo frugano e gli trovano il biglietto del barone. Lo lasciano là legato, senza ucciderlo; e tornano a briglia sciolta a Grassano. Bisogna punire il traditore: i carbonari si radunano e tirano a sorte chi debba uccidere il barone. Tocca al dottor Palese, ma suo fratello il farmacista è miglior tiratore, è scapolo, e chiede e ottiene di sostituirlo. Allora, di fronte al palazzo, non c'erano case come ora, ma cominciava la campagna e c'era una grossa quercia. Era sera. Il farmacista si nascose col suo fucile dietro la quercia, e aspettò che il barone uscisse a prendere il fresco. C'era la luna piena. Il barone uscì, ma aveva in braccio il bambino, e si sedette sulla panchina di pietra a farlo saltare sulle ginocchia. Il farmacista aspettò a tirare, non voleva colpire l'innocente: ma poiché quello non accennava a rimandare il ragazzo, dovette decidersi. Era un ottimo tiratore, e non sbagliò. Lo colse in mezzo alla fronte, proprio mentre il bambino lo abbracciava. Naturalmente tutti i liberali si nascosero, ma furono arrestati e condannati. Il farmacista morì in prigione a Potenza; il dottore ci restò molti anni, e sarebbe morto anche lui, se non fosse avvenuto che la moglie del Governatore, che aveva un parto difficile, non riusciva a sgravarsi e correva pericolo di vita. Nessuno dei medici di Potenza era capace di giovarle, quando a qualcuno venne in mente di chiamare il dottore che era in prigione. Egli venne, e salvò la Governatrice, che ebbe un bel bambino, e che, appena rimessa, corse a Napoli e si buttò ai piedi della Regina. Il dottore ebbe la grazia, ma non tornò più a Grassano. Rimase a Potenza, e i suoi discendenti ci sono ancora. Quel ragazzo, che il farmacista risparmiò con tanta cura, fu poi come le ho detto, il primo deputato di Grassano al parlamento italiano, e faceva il liberale, ma nello stesso tempo era lui che teneva mano ai briganti; e il nipote, quello di adesso, qui non si vede mai, ma sotto sotto è lui che protegge da Roma la banda che comanda in paese: tutti figli di briganti -. Non ho mai potuto appurare se fossero veri tutti i particolari di questa storia, che nobilita in certo qual modo gli odi reciproci dei signori di Grassano, trasportandoli in un tempo lontano, e legandoli a motivi almeno in parte ideali. Ma la cosa non ha importanza. La lotta dei signori tra loro non ha nulla a che fare con una «vendetta» tramandata di padre in figlio; né si tratta di una lotta politica reale, fra conservatori e progressisti, anche quando, per caso, prende quest'ultima forma. Naturalmente ciascuno dei due partiti accusa l'altro dei peggiori delitti: e gli stessi racconti del tenente Decunto, ma rovesciati come tono sentimentale, mi venivano fatti dai membri del gruppo attualmente al potere. La verità è che questa continua guerra dei signori si trova, nelle stesse forme, in tutti i paesi della Lucania. La piccola borghesia non ha mezzi sufficienti per vivere col decoro necessario, per fare la vita del galantuomo. Tutti i giovani di qualche valore, e quelli appena capaci di fare la propria strada, lasciano il paese. I più avventurati vanno in America, come i cafoni; gli altri a Napoli o a Roma; e in paese non tornano più. In paese ci restano invece gli scarti, coloro che non sanno far nulla, i difettosi nel corpo, gli inetti, gli oziosi: la noia e l'avidità li rendono malvagi. Questa classe degenerata deve, per vivere (i piccoli poderi non rendono quasi nulla), poter dominare i contadini, e assicurarsi, in paese, i posti remunerati di maestro, di farmacista, di prete, di maresciallo dei carabinieri, e così via. È dunque questione di vita o di morte avere personalmente in mano il potere; essere noi o i nostri parenti o compari ai posti di comando. Di qui la lotta continua per arraffare il potere tanto necessario e desiderato, e toglierlo agli altri; lotta che la ristrettezza dell'ambiente, l'ozio, l'associarsi di motivi privati o politici rende continua e feroce. Ogni giorno partono da tutti i paesi di Lucania lettere anonime alla Prefettura. E la Prefettura non ne è malcontenta, anche se affetta il contrario. - A Matera fanno finta di voler appianare le nostre liti, - mi diceva il tenente Decunto, - ma in verità fanno il possibile per fomentarle. Hanno istruzioni in questo senso da Roma. Così tengono in mano tutti, con la minaccia o la speranza. Ma che abbiamo da sperare? - e qui il gesto caratteristico della mano, che vuol dire: niente. - Qui non si può vivere. Bisogna andarsene. Ora andiamo in Africa. È la nostra ultima carta. Il viso del tenente della Milizia si faceva grigio, quando così mi parlava, e gli occhi sfuggenti gli si sbiancavano di impotente furore, disperati e cattivi. Egli apparteneva tutto a quella gente, a quegli odi, a quelle passioni; era uno dei loro, e se ne rodeva. Un principio di coscienza e di vergogna era in lui. Credeva anche lui, come tutti gli altri, all'impresa d'Africa, allo «spazio vitale» necessario a una piccola borghesia degenerata, ma nello stesso tempo si rendeva conto, sia pure in modo rudimentale e puramente sentimentale, di questa degenerazione e miseria, e la guerra diventava una fuga, la fuga in un mondo di distruzione. In fondo, quello che lo attraeva di più nell'impresa, era proprio l'eventualità della sconfitta e dell'annientamento. Lo si vedeva dal tono con cui ripeteva: - È la nostra ultima carta -. Il piccolo lume di coscienza che era in lui, e che lo differenziava dai suoi concittadini, non si manifestava altrimenti che con un profondo, vergognoso disprezzo di sé. All'odio reciproco dei signori egli aggiungeva l'odio di sé: e questo lo rendeva, era chiaro a chi l'osservasse, ancora più maligno e amaro degli altri, capace di ogni azione malvagia. Egli avrebbe potuto, senza contraddire il suo ingenuo semplicismo di giovane ragazzo di buona famiglia, uccidere, rubare; fare la spia, e forse anche morire come un eroe, per la sua elementare disperazione.

Tutto questo era per lui la guerra d'Africa. Se andava male, che cosa importava? Il mondo intero poteva andare in rovina per seppellire anche il ricordo di Grassano, bianco sul colle e immutabile, con i signori e i briganti.


Parte 4 Part 4

«Questo è dunque un paese di galantuomini!» pensavo attendendo la cena nella casa della vedova. Il fuoco era acceso sotto la pentola, perché la buona donna aveva immaginato che io fossi stanco del viaggio e che mi abbisognasse qualcosa di caldo. Di solito non si fa fuoco, la sera, neppure nelle case dei ricchi, dove bastano gli avanzi del mattino, un po' di pane e formaggio, qualche oliva, e i soliti fichi secchi. Quanto ai poveri, essi mangiano pan solo, tutto l'anno, condito qualche volta con un pomodoro crudo spiaccicato con cura, o con un po' d'aglio e olio, o con un peperone spagnolo, di quelli che bruciano, un diavolesco. «Questo è un paese di galantuomini!». Non potevo ancora precisare le mie impressioni, ne penetrare ancora tutti i segreti della politica e delle passioni paesane; ma mi avevano colpito il sussiego, le maniere dei signori sulla piazza, e più ancora il tono generale di astio, disprezzo e diffidenza reciproca nella conversazione a cui avevo assistito, la facilità con cui si manifestavano degli odi elementari, senza il naturale ritegno verso un forestiero appena arrivato, che aveva fatto sì che io fossi messo subito al corrente da ciascuno dei vizi o delle debolezze degli altri. Per quanto non potessi ancora determinarlo con esattezza, era chiaro che anche qui, come a Grassano, gli odi reciproci di tutti contro tutti si cristallizzavano in due partiti. Qui, come a Grassano, come in tutti gli altri paesi della Lucania, dove i galantuomini che non hanno potuto, per incapacità o povertà, o matrimoni precoci, o interessi da tutelare, o per una qualunque necessità del destino, emigrare ai paradisi di Napoli o di Roma, trasformano la propria delusione e la propria noia mortale in un furore generico, in un odio senza soste, in un perenne risorgere di sentimenti antichi, e in una lotta continua per affermare, contro tutti, il loro potere nel piccolo angolo di terra dove sono costretti a vivere. Gagliano è un piccolissimo paese, e lontano dalle strade e dagli uomini: le passioni vi sono perciò più elementari, più semplici, ma non meno intense che altrove; e non sarà difficile, immaginavo, averne presto la chiave.

Grassano è invece piuttosto grande, su una via di passaggio, non lontano dai capoluogo della provincia: non c'è, come qui, il contatto continuo di tutti con tutti; le passioni possono perciò essere più nascoste, prendere una forma più mediata, vestirsi di aspetti più complessi. I segreti di Grassano mi erano stati rivelati fin dai primi giorni del mio arrivo da uno dei loro più appassionati protagonisti. Quelli di Gagliano, come li conoscerò? A Gagliano dovrò passare tre anni, un tempo infinito. Il mondo è chiuso: gli odi e le guerre dei signori sono il solo avvenimento quotidiano: e ho già visto sui loro volti come esse siano radicate e violente, miserabili ma intense come quelle di una tragedia greca. Bisognerà pure che, come un eroe di Stendhal, io faccia i miei piani, e non commetta errori. A Grassano, il mio informatore era stato il capo della Milizia, il tenente Decunto. Chi lo sarà quaggiù?

Quando il tenente Decunto, capo della Milizia di Grassano, mi aveva mandato a chiamare con un ordine perentorio, il giorno dopo il mio arrivo da Regina Coeli, quando non mi ero ancora ambientato, né avevo ancora saputo precisamente che cosa capitasse nel mondo, né che umori ci fossero in paese per la prossima guerra d'Africa, avevo temuto qualche nuova noia. When Lieutenant Decunto, head of the Grassano Militia, had sent for me with a peremptory order, the day after my arrival from Regina Coeli, when I had not yet settled in, nor had I yet known precisely what was happening in the world, nor what mood there was in the country for the next war in Africa, I had feared some new boredom. Avevo invece trovato, in una stanzetta che gli serviva di ufficio, un piccolo giovane biondo, gentile, con una bocca amara e degli occhietti azzurrochiari, sfuggenti, dagli sguardi che si posavano di fianco alle cose, ritrosi, piú che per paura, per una specie di vergogna o di ribrezzo. Instead, I had found, in a small room that served him as an office, a kind little blond young man, with a bitter mouth and light blue, elusive eyes, whose gaze rested next to things, withdrawn, more than out of fear, out of a kind of shame or disgust. Mi aveva chiamato perché io ero ufficiale in congedo, e lo era anche lui, e voleva fare la mia conoscenza. He had called me because I was an officer on leave, and so was he, and he wanted to get to know me. Ci teneva subito a dirmi che lui comandava la Milizia, ma non aveva nulla a che fare né con la questura, né coi carabinieri, né con il podestà, né con il segretario del fascio. Quest'ultimo, soprattutto, era un delinquente; e tutti gli altri, una banda degna di lui. La vita a Grassano era impossibile, e non c'era rimedio. Tutti ambiziosi, ladri, disonesti, violenti. Egli doveva assolutamente togliersi di qui: si moriva. Perciò aveva fatto domanda di andare volontario in Africa; e pazienza se tutto andrà in rovina. So he had applied to volunteer in Africa; and patience if everything goes to ruin. C'è poco da rimpiangere. - Giochiamo il tutto per il tutto, - mi disse, guardando lontano di fianco a me. - Questa è la fine, mi capisce? La fine. Se vincessimo, forse si potrà cambiare qualcosa, chissà? Ma l'Inghilterra non lo permetterà. Ci spaccheremo la testa. Questa è la nostra ultima carta. E se ci va male... - E qui un gesto, come a dire: è la fine del mondo. - Andrà male, vedrà. Ma non importa. Così non si può più continuare. Lei resterà qui qualche tempo. Lei è straniero alle nostre questioni, e potrà giudicare. Quando avrà visto che cos'è la vita in questo paese, mi dirà che avevo ragione -. Io tacevo, perché diffidavo. Ma dovevo poi riconoscere, nei giorni seguenti, che il tenente Decunto, anche se forse mi sorvegliava, era tuttavia sincero, e il suo pessimismo non era una finzione. Mi aveva preso in simpatia perché ero forestiero, e con me poteva sfogare i suoi risentimenti. Ogni volta che io salivo alla chiesa, in cima al paese, e mi fermavo, nel vento, a contemplare il paesaggio desolato, me lo vedevo comparire vicino, biondo e grigiastro come uno spettro, e senza guardarmi, mi parlava. Egli non era che l'ultimo anello di una catena di odi che risalivano per le generazioni: cent'anni, di più, duecento, chissà, forse sempre. Egli partecipava di questa passione ereditaria. Non c'era nulla da fare, e se ne rodeva. There was nothing to do, and he was bored with it. Si erano odiati per secoli qui, e sempre si odieranno, fra queste stesse case, davanti agli stessi sassi bianchi del Basento e alle stesse grotte di Irsina. Oggi erano tutti fascisti, si sa. Ma questo non voleva dir nulla. Prima erano nittiani o salandrini, e risalendo nel tempo, giolittiani o antigiolittiani, della Destra o della Sinistra, per i briganti o contro i briganti, borbonici o liberali, e prima ancora, chissà. Ma questa era la vera origine: c'erano i galantuomini e c'erano i briganti, i figli dei galantuomini e i figli dei briganti. Il fascismo non aveva cambiato le cose. Anzi, prima, con i partiti, la gente per bene poteva stare tutta da una parte, sotto una bandiera particolare, e distinguersi dagli altri e lottare sotto una veste politica. Ora non ci resta che le lettere anonime, e le pressioni e le corruzioni in Prefettura. Perché nel fascismo ci stanno tutti. - Io, vede, sono di una famiglia di liberali. I miei bisnonni sono stati in prigione, sotto i Borboni. Ma il segretario del fascio, sa chi è? É il figlio di un brigante. Proprio il figlio di un brigante. E tutti gli altri che gli tengono bordone, e che adesso comandano il paese, sono tutti della stessa risma. E a Matera è la stessa cosa. Il consigliere nazionale N., di qui, è di una famiglia che teneva mano ai briganti. Anche il barone di Collefusco, il padrone di tutte le terre qui attorno, il proprietario del palazzo sulla piazza, chi è? Lui sta a Napoli, si sa, e da queste parti non ci viene mai. Non lo conosce? I baroni di Collefusco sono stati, di nascosto, i veri capi del brigantaggio, nel '6o, da queste parti. Erano loro che li pagavano, che li armavano -. Gli occhietti azzurri scintillavano d'odio. - Lei spesso si siede, l'ho visto tante volte, sulla panchina di pietra che è davanti al palazzo del barone. Cent'anni fa, anzi più di cent'anni fa, su quella stessa panchina si sedeva ogni sera, come fa ora lei, a prendere il fresco, il bisnonno del barone di adesso, e usava tenere in braccio un suo bambino di pochi anni. Proprio quel bambino fu poi il nonno del barone, e deputato, e manutengolo dei briganti. Su quella panchina il vecchio fu ammazzato, da un parente dei miei bisnonni. Era un farmacista, fratello di un dottore, Palese. Noi Decunto, qui a Grassano, siamo della stessa famiglia. A Potenza ci sono ancora parecchi nipoti del dottore. Ecco come fu. C'era in quel tempo, qui da noi, una vendita carbonara, e ne facevano parte i due fratelli Palese, un Lasala, degli stessi Lasala del falegname che lei conosce, un Ruggiero, un Bonelli, e molti altri; e con loro c'era anche il barone di Collefusco, che faceva il liberale. Ma il barone era una spia; ci si era messo in mezzo per denunciarli tutti. Infatti un bel giorno fanno una seduta, per non so quale azione da farsi di lì a poco. In fact one fine day they hold a session, for I don't know what action to take shortly thereafter. Appena finita, il barone va al palazzo, chiama un suo servitore fidato, gli fa sellare il miglior cavallo, e gli dà un biglietto, con l'elenco di tutti i cospiratori, da portare al Governatore di Potenza. Ma la partenza del servo non passa inosservata. Si aveva già qualche sospetto: che cosa andava a fare quel servo sulla strada di Potenza, a quell'ora, col miglior cavallo del paese? Non bisognava perder tempo; inseguirlo, fermarlo, appurare il tradimento. Quattro carbonari partono a cavallo: ma il cavallo del barone era migliore dei loro, ed era in vantaggio di un'ora. I quattro si buttano per le scorciatoie e i sentieri, e tanto corrono tutta la notte che riescono a raggiungere il servo proprio alle porte di Potenza, sul margine d'un bosco. Tirano da lontano, galoppando, sul cavallo, e il cavallo cade; prendono il servo, lo legano a un albero, lo frugano e gli trovano il biglietto del barone. Lo lasciano là legato, senza ucciderlo; e tornano a briglia sciolta a Grassano. Bisogna punire il traditore: i carbonari si radunano e tirano a sorte chi debba uccidere il barone. Tocca al dottor Palese, ma suo fratello il farmacista è miglior tiratore, è scapolo, e chiede e ottiene di sostituirlo. Allora, di fronte al palazzo, non c'erano case come ora, ma cominciava la campagna e c'era una grossa quercia. Era sera. Il farmacista si nascose col suo fucile dietro la quercia, e aspettò che il barone uscisse a prendere il fresco. C'era la luna piena. Il barone uscì, ma aveva in braccio il bambino, e si sedette sulla panchina di pietra a farlo saltare sulle ginocchia. Il farmacista aspettò a tirare, non voleva colpire l'innocente: ma poiché quello non accennava a rimandare il ragazzo, dovette decidersi. Era un ottimo tiratore, e non sbagliò. Lo colse in mezzo alla fronte, proprio mentre il bambino lo abbracciava. Naturalmente tutti i liberali si nascosero, ma furono arrestati e condannati. Il farmacista morì in prigione a Potenza; il dottore ci restò molti anni, e sarebbe morto anche lui, se non fosse avvenuto che la moglie del Governatore, che aveva un parto difficile, non riusciva a sgravarsi e correva pericolo di vita. Nessuno dei medici di Potenza era capace di giovarle, quando a qualcuno venne in mente di chiamare il dottore che era in prigione. Egli venne, e salvò la Governatrice, che ebbe un bel bambino, e che, appena rimessa, corse a Napoli e si buttò ai piedi della Regina. Il dottore ebbe la grazia, ma non tornò più a Grassano. Rimase a Potenza, e i suoi discendenti ci sono ancora. Quel ragazzo, che il farmacista risparmiò con tanta cura, fu poi come le ho detto, il primo deputato di Grassano al parlamento italiano, e faceva il liberale, ma nello stesso tempo era lui che teneva mano ai briganti; e il nipote, quello di adesso, qui non si vede mai, ma sotto sotto è lui che protegge da Roma la banda che comanda in paese: tutti figli di briganti -. Non ho mai potuto appurare se fossero veri tutti i particolari di questa storia, che nobilita in certo qual modo gli odi reciproci dei signori di Grassano, trasportandoli in un tempo lontano, e legandoli a motivi almeno in parte ideali. I have never been able to ascertain whether all the details of this story were true, which in a certain way ennobles the mutual hatreds of the lords of Grassano, transporting them to a distant time, and linking them to at least partly ideal motifs. Ma la cosa non ha importanza. La lotta dei signori tra loro non ha nulla a che fare con una «vendetta» tramandata di padre in figlio; né si tratta di una lotta politica reale, fra conservatori e progressisti, anche quando, per caso, prende quest'ultima forma. Naturalmente ciascuno dei due partiti accusa l'altro dei peggiori delitti: e gli stessi racconti del tenente Decunto, ma rovesciati come tono sentimentale, mi venivano fatti dai membri del gruppo attualmente al potere. La verità è che questa continua guerra dei signori si trova, nelle stesse forme, in tutti i paesi della Lucania. La piccola borghesia non ha mezzi sufficienti per vivere col decoro necessario, per fare la vita del galantuomo. Tutti i giovani di qualche valore, e quelli appena capaci di fare la propria strada, lasciano il paese. I più avventurati vanno in America, come i cafoni; gli altri a Napoli o a Roma; e in paese non tornano più. In paese ci restano invece gli scarti, coloro che non sanno far nulla, i difettosi nel corpo, gli inetti, gli oziosi: la noia e l'avidità li rendono malvagi. Questa classe degenerata deve, per vivere (i piccoli poderi non rendono quasi nulla), poter dominare i contadini, e assicurarsi, in paese, i posti remunerati di maestro, di farmacista, di prete, di maresciallo dei carabinieri, e così via. È dunque questione di vita o di morte avere personalmente in mano il potere; essere noi o i nostri parenti o compari ai posti di comando. Di qui la lotta continua per arraffare il potere tanto necessario e desiderato, e toglierlo agli altri; lotta che la ristrettezza dell'ambiente, l'ozio, l'associarsi di motivi privati o politici rende continua e feroce. Ogni giorno partono da tutti i paesi di Lucania lettere anonime alla Prefettura. E la Prefettura non ne è malcontenta, anche se affetta il contrario. - A Matera fanno finta di voler appianare le nostre liti, - mi diceva il tenente Decunto, - ma in verità fanno il possibile per fomentarle. Hanno istruzioni in questo senso da Roma. Così tengono in mano tutti, con la minaccia o la speranza. Ma che abbiamo da sperare? - e qui il gesto caratteristico della mano, che vuol dire: niente. - Qui non si può vivere. Bisogna andarsene. Ora andiamo in Africa. È la nostra ultima carta. Il viso del tenente della Milizia si faceva grigio, quando così mi parlava, e gli occhi sfuggenti gli si sbiancavano di impotente furore, disperati e cattivi. Egli apparteneva tutto a quella gente, a quegli odi, a quelle passioni; era uno dei loro, e se ne rodeva. Un principio di coscienza e di vergogna era in lui. Credeva anche lui, come tutti gli altri, all'impresa d'Africa, allo «spazio vitale» necessario a una piccola borghesia degenerata, ma nello stesso tempo si rendeva conto, sia pure in modo rudimentale e puramente sentimentale, di questa degenerazione e miseria, e la guerra diventava una fuga, la fuga in un mondo di distruzione. In fondo, quello che lo attraeva di più nell'impresa, era proprio l'eventualità della sconfitta e dell'annientamento. Lo si vedeva dal tono con cui ripeteva: - È la nostra ultima carta -. Il piccolo lume di coscienza che era in lui, e che lo differenziava dai suoi concittadini, non si manifestava altrimenti che con un profondo, vergognoso disprezzo di sé. All'odio reciproco dei signori egli aggiungeva l'odio di sé: e questo lo rendeva, era chiaro a chi l'osservasse, ancora più maligno e amaro degli altri, capace di ogni azione malvagia. Egli avrebbe potuto, senza contraddire il suo ingenuo semplicismo di giovane ragazzo di buona famiglia, uccidere, rubare; fare la spia, e forse anche morire come un eroe, per la sua elementare disperazione.

Tutto questo era per lui la guerra d'Africa. Se andava male, che cosa importava? Il mondo intero poteva andare in rovina per seppellire anche il ricordo di Grassano, bianco sul colle e immutabile, con i signori e i briganti.