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Piccolo mondo antico di Antonio Fogazzaro, PARTE SECONDA - 13. In fuga (parte 2)

PARTE SECONDA - 13. In fuga (parte 2)

La Sostra è una stalla a mezza montagna, circa, con un fienile, un portico e una cisterna, alquanto in disparte dalla strada. Quella strada è la più dannata che sia in Valsolda, farebbe cacciar la lingua a uno stambecco. Pedraglio e l'avvocato, trafelati, grondanti di sudore, entrarono un momento alla Sostra. Anche lì silenzio e deserto. A quella altezza si respirava già un'aria diversa. E come tutte le cime all'intorno erano abbassate! E come il lago, giù nel profondo, pareva diventato un fiume! L'avvocato guardava su amorosamente alla prima cresta del Boglia dove cominciava il gran bosco dei faggi; un'altra mezz'ora di arrampicata. «Andiamo», diss'egli. Ma Pedraglio che aveva nelle gambe la memoria dell'altra gran corsa da Loveno ad Oria per il Passo Stretto, chiese di sostare un altro poco e si mise tranquillamente a sfogliar lo scartafaccio del Puttini, un poema fratesco, inedito, d'un anonimo cremonese del secolo decimosettimo. «Andiamo!», ripeté il suo compagno dopo un paio di minuti, e si alzava già quando udì venir gente. Ebbe appena il tempo di dire «attento!» e di voltar le spalle per non lasciarsi vedere in viso. Pedraglio, pur ficcando il naso nello scartafaccio, vide spuntar sulla strada prima due guardie di finanza e poi due gendarmi. Avvertì l'amico sottovoce, non batté palpebra. Le due guardie si fermarono. Una di loro salutò: «Riverito, signor Puttini», e disse ai gendarmi: «È il primo deputato politico di Albogasio». I gendarmi salutarono pure, Pedraglio si levò il cappello, alzando un poco lo scartafaccio. Le guardie volevano fare un po' di fermata ma un gendarme intimò loro di proseguire e quando vide incamminata la compagnia venne alla Sostra egli stesso. Era di Ampezzo e parlava italiano benissimo. «Tu, cane, non mi conosci, spero», pensò Pedraglio con una torbida coscienza della sua doppia personalità. «Lascia fare a me.»

«Signor deputato politico», disse colui, «avrebbe veduto stamattina il signor Maironi di Oria?» «Io? Mai più. Il signor Maironi dorme, a quest'ora.» «E Lei dove va?» «Vado lì su quel monte, su quel dannato Boglia lì. Vado su per l'affar del toro comunale.» «Bestia», pensò l'avvocato. «Comunale me lo fa diventare!» Ma passò felicemente anche il toro comunale. Il gendarme, un muso da mastino, squadrò bene il suo interlocutore in viso. «Lei è deputato politico», diss'egli insolentemente, «e porta quella roba sul viso?» Pedraglio si prese istintivamente il suo piccolo sottile pizzo nero, barba reproba da liberale. «Taglieremo, taglieremo», diss'egli con serietà comica. «Sì signore. Va sul Boglia anche Lei?» Il gendarme se n'andò duro duro senza rispondergli, senza udire su quale ignominioso patibolo il deputato politico lo mandava. I due si rallegrarono a vicenda di averla scampata bella ma riconobbero che il giuoco si era fatto molto serio. Adesso bisognava contare con le guardie che conoscevano bene il Puttini, e saperne stare a distanza. E se quel mastino di gendarme parlasse della barba? «Su su», fece l'avvocato, «teniamo loro dietro e se li vediamo o li udiamo tornar giù, gambe in spalla e via a sinistra verso il confine.» Partito disperato, quest'ultimo, perché non conoscevano il terreno, certo familiare alle guardie. Il mastino dovette sudare e ansar troppo dietro ai suoi compagni per aver poi voglia di parlar di barbe, Pedraglio e l'avvocato, salendo adagio, videro il nemico guadagnar la cresta del monte al faggio della Madonnina, fermarvisi alquanto e sparire. Il gran faggio antico che portava nel tronco una immagine della Madonna e che cedette, morendo, quest'onore a una cappelletta, era come la sentinella del gran bosco di Boglia, il soldato posto in una insellatura della cresta a spiar il pendio precipitoso, il lago, i clivi di Valsolda. Il venerabile esercito di faggi colossali stava tutto raccolto in un'altra conca silenziosa fra l'erta della Colmaregia, i facili Dorsi della Nave, le radici rocciose dei Denti di Vecchia o Canne d'Organo e l'altra sella del Pian Biscagno fra la Colmaregia e il Sasso Grande, fronteggiante le profondità della Val Colla da Lugano a Cadro. Una lista scoperta, erbosa, correva fra il faggio della Madonnina e il bosco, sull'orlo della cresta. I due fuggiaschi pensarono ai casi loro. Quale partito prendere? Cercar il sentiero sotto il faggio di cui aveva parlato la guardia salvatrice, o entrar nel bosco? No, entrar nel bosco non conveniva, con quella selvaggina che vi era entrata prima. Nel bosco avrebbero trovato un palmo di foglie secche. Era impossibile passarvi senza farsi correre addosso tutti i segugi che vi si aggiravano; e da vicino il travestimento non poteva servire. Prender il sentiero? Ce n'era più d'uno, sotto il faggio; qual era il buono? Pedraglio maledisse Franco che non era venuto con loro. Invece l'avvocato studiava la Colmaregia che si poteva salire senza entrare nel bosco. Egli era stato due volte sulla Colmaregia, il superbo, sottile vertice erboso del Boglia, tagliato per metà dalla linea di confine; sapeva ch'era possibile scendere di lassù al villaggio svizzero di Brè e risolse di tentar quella via. Sulla cresta che ascende dal faggio della Madonnina verso la Colmaregia non si vedeva nessuno. La punta era avvolta nelle nuvole.

Pochi passi sotto il faggio i due furono colti da un'ondata di nebbia che venuta su per un versante si riversava rapidamente per l'altro, una nebbia fredda e densa, un «Dio fece» disse V. Non si vedeva niente a cinque passi. Così avvenne che, presso al faggio, Pedraglio andò quasi a urtare una guardia di finanza.

Era uno dei quattro e aveva la consegna di sorvegliare la lista scoperta fra la cresta del monte e il bosco. Visto l'ometto dal cappellone, fece: «In Boglia, signor...?». L'avvocato si sbarazzò immediatamente della gerla. Infatti la guardia non compié la frase, restò un momento a bocca aperta, poi esclamò: «Come?». L'avvocato non aspettò altro. «Così», diss'egli placidamente; e raccoltisi sul petto i due pugni in uno ne menò a colui nello stomaco una terribile puntata che lo buttò sul prato a gambe all'aria. Pedraglio gli saltò subito addosso, gli strappò la carabina. «Se gridi, cane, ti brucio», diss'egli. Ma che gridare? Con un pugno di V. nello stomaco non c'era, per un quarto d'ora, neanche da tirare il fiato. Infatti l'uomo pareva morto e ci volle del buono perché arrivasse a gemer sottovoce «ahi ahi!». «L'è nient, l'è nient», gli diceva V. con la solita flemma canzonatoria. «Sono scosse che fanno bene. Vedrà. Lü adess el se drizza in pee ben polito e viene con noi in Colmaregia. Vedrà come va bene. Non ho adoperato questo a posta.» E gli mostrò la chiave. «Oh che pugno!», gemeva la guardia. «Oh che razza di pugno!»

«La salita è un po' maledetta», riprese l'avvocato pigliando la carabina dalle mani di Pedraglio. «Ma noi le terremo su, con licenza, il di dietro con questo affare qui. A questa maniera si va su che l'è un piacere. Poi Lei viene giù con noi a Brè. La carabina gliela portiamo noi. Lei, per compenso, ci porta una piccola gerla. Parli polito? Andemm, marsch!»


PARTE SECONDA - 13. In fuga (parte 2)

La Sostra è una stalla a mezza montagna, circa, con un fienile, un portico e una cisterna, alquanto in disparte dalla strada. Quella strada è la più dannata che sia in Valsolda, farebbe cacciar la lingua a uno stambecco. Pedraglio e l'avvocato, trafelati, grondanti di sudore, entrarono un momento alla Sostra. Anche lì silenzio e deserto. A quella altezza si respirava già un'aria diversa. E come tutte le cime all'intorno erano abbassate! E come il lago, giù nel profondo, pareva diventato un fiume! L'avvocato guardava su amorosamente alla prima cresta del Boglia dove cominciava il gran bosco dei faggi; un'altra mezz'ora di arrampicata. «Andiamo», diss'egli. Ma Pedraglio che aveva nelle gambe la memoria dell'altra gran corsa da Loveno ad Oria per il Passo Stretto, chiese di sostare un altro poco e si mise tranquillamente a sfogliar lo scartafaccio del Puttini, un poema fratesco, inedito, d'un anonimo cremonese del secolo decimosettimo. «Andiamo!», ripeté il suo compagno dopo un paio di minuti, e si alzava già quando udì venir gente. Ebbe appena il tempo di dire «attento!» e di voltar le spalle per non lasciarsi vedere in viso. Pedraglio, pur ficcando il naso nello scartafaccio, vide spuntar sulla strada prima due guardie di finanza e poi due gendarmi. Avvertì l'amico sottovoce, non batté palpebra. Le due guardie si fermarono. Una di loro salutò: «Riverito, signor Puttini», e disse ai gendarmi: «È il primo deputato politico di Albogasio». I gendarmi salutarono pure, Pedraglio si levò il cappello, alzando un poco lo scartafaccio. Le guardie volevano fare un po' di fermata ma un gendarme intimò loro di proseguire e quando vide incamminata la compagnia venne alla Sostra egli stesso. Era di Ampezzo e parlava italiano benissimo. «Tu, cane, non mi conosci, spero», pensò Pedraglio con una torbida coscienza della sua doppia personalità. «Lascia fare a me.»

«Signor deputato politico», disse colui, «avrebbe veduto stamattina il signor Maironi di Oria?» «Io? Mai più. Il signor Maironi dorme, a quest'ora.» «E Lei dove va?» «Vado lì su quel monte, su quel dannato Boglia lì. Vado su per l'affar del toro comunale.» «Bestia», pensò l'avvocato. «Comunale me lo fa diventare!» Ma passò felicemente anche il toro comunale. Il gendarme, un muso da mastino, squadrò bene il suo interlocutore in viso. «Lei è deputato politico», diss'egli insolentemente, «e porta quella roba sul viso?» Pedraglio si prese istintivamente il suo piccolo sottile pizzo nero, barba reproba da liberale. «Taglieremo, taglieremo», diss'egli con serietà comica. «Sì signore. Va sul Boglia anche Lei?» Il gendarme se n'andò duro duro senza rispondergli, senza udire su quale ignominioso patibolo il deputato politico lo mandava. I due si rallegrarono a vicenda di averla scampata bella ma riconobbero che il giuoco si era fatto molto serio. Adesso bisognava contare con le guardie che conoscevano bene il Puttini, e saperne stare a distanza. E se quel mastino di gendarme parlasse della barba? «Su su», fece l'avvocato, «teniamo loro dietro e se li vediamo o li udiamo tornar giù, gambe in spalla e via a sinistra verso il confine.» Partito disperato, quest'ultimo, perché non conoscevano il terreno, certo familiare alle guardie. Il mastino dovette sudare e ansar troppo dietro ai suoi compagni per aver poi voglia di parlar di barbe, Pedraglio e l'avvocato, salendo adagio, videro il nemico guadagnar la cresta del monte al faggio della Madonnina, fermarvisi alquanto e sparire. Il gran faggio antico che portava nel tronco una immagine della Madonna e che cedette, morendo, quest'onore a una cappelletta, era come la sentinella del gran bosco di Boglia, il soldato posto in una insellatura della cresta a spiar il pendio precipitoso, il lago, i clivi di Valsolda. Il venerabile esercito di faggi colossali stava tutto raccolto in un'altra conca silenziosa fra l'erta della Colmaregia, i facili Dorsi della Nave, le radici rocciose dei Denti di Vecchia o Canne d'Organo e l'altra sella del Pian Biscagno fra la Colmaregia e il Sasso Grande, fronteggiante le profondità della Val Colla da Lugano a Cadro. Una lista scoperta, erbosa, correva fra il faggio della Madonnina e il bosco, sull'orlo della cresta. I due fuggiaschi pensarono ai casi loro. Quale partito prendere? Cercar il sentiero sotto il faggio di cui aveva parlato la guardia salvatrice, o entrar nel bosco? No, entrar nel bosco non conveniva, con quella selvaggina che vi era entrata prima. Nel bosco avrebbero trovato un palmo di foglie secche. Era impossibile passarvi senza farsi correre addosso tutti i segugi che vi si aggiravano; e da vicino il travestimento non poteva servire. Prender il sentiero? Ce n'era più d'uno, sotto il faggio; qual era il buono? Pedraglio maledisse Franco che non era venuto con loro. Invece l'avvocato studiava la Colmaregia che si poteva salire senza entrare nel bosco. Egli era stato due volte sulla Colmaregia, il superbo, sottile vertice erboso del Boglia, tagliato per metà dalla linea di confine; sapeva ch'era possibile scendere di lassù al villaggio svizzero di Brè e risolse di tentar quella via. Sulla cresta che ascende dal faggio della Madonnina verso la Colmaregia non si vedeva nessuno. La punta era avvolta nelle nuvole.

Pochi passi sotto il faggio i due furono colti da un'ondata di nebbia che venuta su per un versante si riversava rapidamente per l'altro, una nebbia fredda e densa, un «Dio fece» disse V. Non si vedeva niente a cinque passi. Così avvenne che, presso al faggio, Pedraglio andò quasi a urtare una guardia di finanza.

Era uno dei quattro e aveva la consegna di sorvegliare la lista scoperta fra la cresta del monte e il bosco. Visto l'ometto dal cappellone, fece: «In Boglia, signor...?». L'avvocato si sbarazzò immediatamente della gerla. Infatti la guardia non compié la frase, restò un momento a bocca aperta, poi esclamò: «Come?». L'avvocato non aspettò altro. «Così», diss'egli placidamente; e raccoltisi sul petto i due pugni in uno ne menò a colui nello stomaco una terribile puntata che lo buttò sul prato a gambe all'aria. Pedraglio gli saltò subito addosso, gli strappò la carabina. «Se gridi, cane, ti brucio», diss'egli. Ma che gridare? Con un pugno di V. nello stomaco non c'era, per un quarto d'ora, neanche da tirare il fiato. Infatti l'uomo pareva morto e ci volle del buono perché arrivasse a gemer sottovoce «ahi ahi!». «L'è nient, l'è nient», gli diceva V. con la solita flemma canzonatoria. «Sono scosse che fanno bene. Vedrà. Lü adess el se drizza in pee ben polito e viene con noi in Colmaregia. Vedrà come va bene. Non ho adoperato questo a posta.» E gli mostrò la chiave. «Oh che pugno!», gemeva la guardia. «Oh che razza di pugno!»

«La salita è un po' maledetta», riprese l'avvocato pigliando la carabina dalle mani di Pedraglio. «Ma noi le terremo su, con licenza, il di dietro con questo affare qui. A questa maniera si va su che l'è un piacere. Poi Lei viene giù con noi a Brè. La carabina gliela portiamo noi. Lei, per compenso, ci porta una piccola gerla. Parli polito? Andemm, marsch!»