Le due rive del fiume
Dagli appunti privati e dai numerosi scritti pubblici – spesso in forma di intervista o di articoli pubblicati su prestigiose riviste come Black Belt – sappiamo che il kung fu era per Bruce Lee una forma di cultura fisica e di addestramento mentale, un metodo di efficace autodifesa e un sistema stesso di vita, qualcosa insomma di estremamente completo e sfaccettato che ha formato il suo carattere e le sue idee.
Ciò che angustiava Bruce era il fatto che fossero judo e karate, forme che giudicava piuttosto rozze al paragone con la sua arte, a dominare negli Stati Uniti. Bruce si spinse al punto da non avere alcun riserbo a definire le arti giapponesi come “primi rudimenti del kung fu”. Sciovinista lo era sempre stato, ma questa dichiarazione sembra provenire dalla genuina incredulità che un'arte raffinata come il kung fu non avesse ottenuto, ancora negli anni del suo arrivo, quasi alcuna notorietà negli Stati Uniti.
A vent'anni Bruce Lee vuole diventare il primo insegnante della disciplina, e si dà un tempo di 10-15 anni per portare a termine il progetto di diffusione del kung fu nell'intero Paese. Il suo è quasi un dovere morale, una ragione superiore che riscatterà le sorti dei cinesi e della loro arte. Bruce è pieno di energia, sente di possedere una forza creativa e spirituale gigantesca, persino più grande della granitica fiducia in se stesso e della sua colossale ambizione. Molte delle sue lettere di questo periodo terminano con manciate di saggezza zen, come volesse moderare i toni, calmierando le sue sfacciate ambizioni.
Dopo aver elencato i suoi obiettivi aggiunge così che lo scopo ultimo di questo suo agire, di questo suo progettare quasi frenetico, che lo dovrebbe portare al più straordinario dei successi, è la pace della mente. Per me, questa evidente contraddizione ha sempre rappresentato uno degli elementi più problematici nell'approccio con Bruce Lee, una persona straordinaria che giudico un genio. Com'è possibile conciliare tanta ambizione con lo spirito zen, che fa della rinuncia all'io uno dei suoi cardini fondamentali? Come faceva, con un candore quasi da fanciullo, a dire di voler conquistare il mondo mentre consigliava ad amici e allievi di “rinunciare all'io”?
I paradossi sono spesso molto fertili, perché stimolano la ricerca e la conoscenza, ma se non avessi conosciuto l'Oriente in prima persona questo paradosso sarebbe rimasto insolubile. Ho imparato che le anime dell'Oriente sono molteplici, e in particolar modo quelle della Cina. La cultura millenaria di questo incredibile Paese, da molti anni ai vertici della crescita economica mondiale, conosce da numerosi secoli due sponde diverse e complementari: il Taoismo e il Confucianesimo. Queste due rive si osservano e si studiano, come due potenti signori. In mezzo scorre l'energia di quello che è in realtà un mosaico di popoli, un'energia brulicante e immensa, piena di contraddizioni e gemme preziose, che si rivolge ora a questo ora a quel signore. A noi sembra un paradosso, ma per un cinese è assolutamente normale che per scorrere un fiume abbia bisogno di due rive diverse.
Dal momento poi che non avevo alcuna intenzione di scrivere un'agiografia di Bruce Lee, la cosa non rappresentava tecnicamente un problema. Egli era come la maggior parte dei grandi uomini: semplicemente predicava bene e razzolava un po' meno bene, a volte male, ogni tanto malissimo. Non deve stupirci così di fare la conoscenza di un Bruce Lee ansioso, in angoscia per l'esito di un film o per il colloquio con un produttore. O ancora infastidito per il clima torrido di Bangkok e gli scarafaggi che gli infestano la stanza. E non devono stupire i pettegolezzi, le invidie, i rancori che facevano parte della sua quotidianità accanto a parole di una saggezza folgorante.
Le agiografie non servono a niente. Jun Fan, Bruce, Piccolo Drago, chiamatelo come volete, non solo non fu un “santo”, ma fu molte persone allo stesso momento, spesso antitetiche, come le molte rive di un fiume stracolmo di energia. Questa, a ben guardare, è una delle ragioni per cui le sue vicende biografiche continuano ad affascinarci, a distanza di quasi quarant'anni dalla sua morte, né più né meno di quello che egli volle insegnare e trasmettere, e che rappresentano il “duplice cuore” di questo piccolo volume a lui dedicato.