×

Utilizziamo i cookies per contribuire a migliorare LingQ. Visitando il sito, acconsenti alla nostra politica dei cookie.


image

Anna Karenina, Parte Terza: Capitulo IX

Parte Terza: Capitulo IX

Circondata da tutti i bambini che avevano fatto il bagno e avevan le testine ancora umide, Dar'ja Aleksandrovna, con un fazzoletto in testa, si avvicinava già a casa, quando il cocchiere disse:

— C'è un signore che arriva, mi pare, quello di Pokrovskoe.

Dar'ja Aleksandrovna guardò innanzi a sé e si rallegrò vedendo la figura di Levin che le veniva incontro in cappello e cappotto grigio.

Era sempre contenta di vederlo, ma in questo momento era particolarmente lieta ch'egli la vedesse in tutta la sua gioia. Nessuno più di Levin poteva apprezzarne il valore. Vistala, egli si trovò dinanzi uno di quei quadri di vita familiare che aveva sognato per sé per il futuro.

— Sembrate una chioccia, Dar'ja Aleksandrovna.

— Oh, come sono contenta!

— diss'ella, tendendogli la mano. — Siete contenta, ma intanto non me lo avete fatto sapere.

Da me c'è mio fratello. Soltanto ora ho ricevuto un biglietto di Stiva e ho saputo che eravate qua. — Di Stiva?

— chiese con sorpresa Dar'ja Aleksandrovna. — Sì, scrive che avete cambiato residenza, e pensa che mi permetterete d'aiutarvi in qualche cosa — disse Levin; ma, appena detto questo, si confuse e, interrotto il discorso, seguitò a camminare in silenzio accanto alla carrozza, strappando i germogli dei tigli e spezzandoli coi denti.

Si era confuso temendo che Dar'ja Aleksandrovna potesse non gradire l'aiuto di una persona estranea in cose che sarebbero dovute spettare al marito. A Dar'ja Aleksandrovna, invero, non garbava punto l'abitudine di Stepan Arkad'ic di affidare le faccende familiari a estranei. Ma capì subito che Levin aveva compreso. Anche per questa sua finezza d'intuito, per questa delicatezza, Dar'ja Aleksandrovna voleva bene a Levin. — Ma io ho capito, s'intende — disse Levin — questo vuol dire soltanto che volete vedermi, e io ne sono molto contento.

Immagino che voi, padrona di casa cittadina, vi troviate a disagio in questo posto un po' selvaggio e, se vi occorre qualcosa, sono completamente ai vostri ordini. — Oh, no — disse Dolly.

— Nei primi tempi sono stata a disagio; ma ora tutto si è aggiustato nel modo migliore, grazie alla mia vecchia njanja — disse, mostrando Matrëna Filimonovna, la quale, avendo compreso che si parlava di lei, sorrideva a Levin allegra e cordiale. Lo conosceva e giudicava che sarebbe stato un buon marito per la signorina e desiderava che la faccenda si concludesse. — Vogliate sedervi, ci stringeremo in qua — egli disse.

— No, andrò a piedi.

Ohé, ragazzi, chi di voi viene con me a fare a chi arriva prima coi cavalli? I bambini conoscevano molto poco Levin, non ricordavano neppure se e quando l'avessero visto, ma non mostrarono nei suoi riguardi quello strano senso di timidezza e repulsione che tanto spesso i bambini provano per le persone adulte che fingono, e per cui sono spesso così dolorosamente puniti.

La finzione può ingannare, in ogni caso, la persona più intelligente e accorta, ma non il bambino, anche il più sciocco, ché, per quanto abilmente nascosta, la riconosce e se ne ritrae. Quali che fossero i difetti di Levin, di finzione non esisteva in lui neppure il più piccolo segno, e perciò i bambini gli mostrarono una simpatia pari a quella che scorsero sul viso della madre. All'invito di Levin, i due più grandi saltarono subito giù dalla carrozza, e corsero con lui così semplicemente come avrebbero corso con la njanja o con miss Hull o con la madre. Anche Lily volle andare da lui e la madre gliela consegnò; egli la mise a sedere su di una spalla e corse con lei. — Non abbiate paura, non abbiate paura, Dar'ja Aleksandrovna!

— diceva sorridendo allegramente alla madre. — Non è possibile che le faccia del male e la faccia cadere. E guardando i suoi movimenti agili, forti, prudentemente accorti, e fin troppo tesi, la madre si tranquillizzò e sorrise allegra, guardandolo con approvazione.

Ora, in campagna, con i bambini e Dar'ja Aleksandrovna che gli era simpatica, Levin si abbandonò a quella disposizione d'animo infantilmente gioiosa che Dar'ja Aleksandrovna amava tanto in lui.

Correndo con i bambini, egli insegnava loro la ginnastica, faceva ridere miss Hull col suo pessimo inglese, e raccontava a Dar'ja Aleksandrovna le sue faccende campestri. Dopo pranzo Dar'ja Aleksandrovna, seduta sola con lui sul balcone, cominciò a parlare di Kitty.

— Sapete?

Kitty verrà qui e passerà l'estate con me. — Davvero?

— egli disse, accendendosi, e subito, per cambiar discorso, disse: — Così vi devo mandare due mucche? Se volete regolare dal punto di vista economico la faccenda, allora vogliate pagarmi cinque rubli al mese, se non vi rincresce. — No, grazie, abbiamo già provveduto.

— Su, allora andrò a dare un'occhiata alle vostre mucche, e se permettete darò delle istruzioni per nutrirle.

Tutto sta nel foraggio. E Levin, solo per stornare il discorso, espose a Dar'ja Aleksandrovna la teoria sull'industria del latte che consisteva nel far conto che ogni vacca altro non fosse che una macchina per la trasformazione del foraggio in latte, e via di seguito.

Egli parlava di queste cose, ma nello stesso tempo desiderava con tutta l'anima sentire particolari di Kitty pur temendo di averne.

Lo terrorizzava il sospetto che potesse esserne sconvolta la propria calma conquistata. — Sì, è giusto, tutto questo va seguìto, ma chi lo farà?

— rispondeva controvoglia Dar'ja Aleksandrovna. Ella aveva finalmente assestato le faccende domestiche per mezzo di Matrëna Filimonovna che non amava i cambiamenti; inoltre non credeva alla competenza di Levin in materia di economia rurale.

Il ragionamento secondo cui la vacca è una macchina per fare il latte, la metteva in sospetto. Le pareva che ragionamenti simili potessero solo intralciare l'economia. Le pareva che molto più semplice fosse dare più foraggio e più beveraggio, come diceva Matrëna Filimonovna, a Petrucha e a Belopachaja e che il cuoco non prelevasse dalla cucina le risciacquature per farne usufruire la vacca della lavandaia. Questo sì che era chiaro. Invece i ragionamenti sul mangime farinoso erano vaghi e poco chiari. La verità però era ch'ella aveva voglia di parlare di Kitty.


Parte Terza: Capitulo IX Part Three: Chapter IX

Circondata da tutti i bambini che avevano fatto il bagno e avevan le testine ancora umide, Dar’ja Aleksandrovna, con un fazzoletto in testa, si avvicinava già a casa, quando il cocchiere disse:

— C’è un signore che arriva, mi pare, quello di Pokrovskoe.

Dar’ja Aleksandrovna guardò innanzi a sé e si rallegrò vedendo la figura di Levin che le veniva incontro in cappello e cappotto grigio.

Era sempre contenta di vederlo, ma in questo momento era particolarmente lieta ch’egli la vedesse in tutta la sua gioia. Nessuno più di Levin poteva apprezzarne il valore. Vistala, egli si trovò dinanzi uno di quei quadri di vita familiare che aveva sognato per sé per il futuro.

— Sembrate una chioccia, Dar’ja Aleksandrovna.

— Oh, come sono contenta!

— diss’ella, tendendogli la mano. — Siete contenta, ma intanto non me lo avete fatto sapere.

Da me c’è mio fratello. Soltanto ora ho ricevuto un biglietto di Stiva e ho saputo che eravate qua. — Di Stiva?

— chiese con sorpresa Dar’ja Aleksandrovna. — Sì, scrive che avete cambiato residenza, e pensa che mi permetterete d’aiutarvi in qualche cosa — disse Levin; ma, appena detto questo, si confuse e, interrotto il discorso, seguitò a camminare in silenzio accanto alla carrozza, strappando i germogli dei tigli e spezzandoli coi denti.

Si era confuso temendo che Dar’ja Aleksandrovna potesse non gradire l’aiuto di una persona estranea in cose che sarebbero dovute spettare al marito. A Dar’ja Aleksandrovna, invero, non garbava punto l’abitudine di Stepan Arkad’ic di affidare le faccende familiari a estranei. Ma capì subito che Levin aveva compreso. Anche per questa sua finezza d’intuito, per questa delicatezza, Dar’ja Aleksandrovna voleva bene a Levin. — Ma io ho capito, s’intende — disse Levin — questo vuol dire soltanto che volete vedermi, e io ne sono molto contento.

Immagino che voi, padrona di casa cittadina, vi troviate a disagio in questo posto un po' selvaggio e, se vi occorre qualcosa, sono completamente ai vostri ordini. — Oh, no — disse Dolly.

— Nei primi tempi sono stata a disagio; ma ora tutto si è aggiustato nel modo migliore, grazie alla mia vecchia njanja — disse, mostrando Matrëna Filimonovna, la quale, avendo compreso che si parlava di lei, sorrideva a Levin allegra e cordiale. Lo conosceva e giudicava che sarebbe stato un buon marito per la signorina e desiderava che la faccenda si concludesse. — Vogliate sedervi, ci stringeremo in qua — egli disse.

— No, andrò a piedi.

Ohé, ragazzi, chi di voi viene con me a fare a chi arriva prima coi cavalli? I bambini conoscevano molto poco Levin, non ricordavano neppure se e quando l’avessero visto, ma non mostrarono nei suoi riguardi quello strano senso di timidezza e repulsione che tanto spesso i bambini provano per le persone adulte che fingono, e per cui sono spesso così dolorosamente puniti.

La finzione può ingannare, in ogni caso, la persona più intelligente e accorta, ma non il bambino, anche il più sciocco, ché, per quanto abilmente nascosta, la riconosce e se ne ritrae. Quali che fossero i difetti di Levin, di finzione non esisteva in lui neppure il più piccolo segno, e perciò i bambini gli mostrarono una simpatia pari a quella che scorsero sul viso della madre. All’invito di Levin, i due più grandi saltarono subito giù dalla carrozza, e corsero con lui così semplicemente come avrebbero corso con la njanja o con miss Hull o con la madre. Anche Lily volle andare da lui e la madre gliela consegnò; egli la mise a sedere su di una spalla e corse con lei. — Non abbiate paura, non abbiate paura, Dar’ja Aleksandrovna!

— diceva sorridendo allegramente alla madre. — Non è possibile che le faccia del male e la faccia cadere. E guardando i suoi movimenti agili, forti, prudentemente accorti, e fin troppo tesi, la madre si tranquillizzò e sorrise allegra, guardandolo con approvazione.

Ora, in campagna, con i bambini e Dar’ja Aleksandrovna che gli era simpatica, Levin si abbandonò a quella disposizione d’animo infantilmente gioiosa che Dar’ja Aleksandrovna amava tanto in lui.

Correndo con i bambini, egli insegnava loro la ginnastica, faceva ridere miss Hull col suo pessimo inglese, e raccontava a Dar’ja Aleksandrovna le sue faccende campestri. Dopo pranzo Dar’ja Aleksandrovna, seduta sola con lui sul balcone, cominciò a parlare di Kitty.

— Sapete?

Kitty verrà qui e passerà l’estate con me. — Davvero?

— egli disse, accendendosi, e subito, per cambiar discorso, disse: — Così vi devo mandare due mucche? Se volete regolare dal punto di vista economico la faccenda, allora vogliate pagarmi cinque rubli al mese, se non vi rincresce. — No, grazie, abbiamo già provveduto.

— Su, allora andrò a dare un’occhiata alle vostre mucche, e se permettete darò delle istruzioni per nutrirle.

Tutto sta nel foraggio. E Levin, solo per stornare il discorso, espose a Dar’ja Aleksandrovna la teoria sull’industria del latte che consisteva nel far conto che ogni vacca altro non fosse che una macchina per la trasformazione del foraggio in latte, e via di seguito.

Egli parlava di queste cose, ma nello stesso tempo desiderava con tutta l’anima sentire particolari di Kitty pur temendo di averne.

Lo terrorizzava il sospetto che potesse esserne sconvolta la propria calma conquistata. — Sì, è giusto, tutto questo va seguìto, ma chi lo farà?

— rispondeva controvoglia Dar’ja Aleksandrovna. Ella aveva finalmente assestato le faccende domestiche per mezzo di Matrëna Filimonovna che non amava i cambiamenti; inoltre non credeva alla competenza di Levin in materia di economia rurale.

Il ragionamento secondo cui la vacca è una macchina per fare il latte, la metteva in sospetto. Le pareva che ragionamenti simili potessero solo intralciare l’economia. Le pareva che molto più semplice fosse dare più foraggio e più beveraggio, come diceva Matrëna Filimonovna, a Petrucha e a Belopachaja e che il cuoco non prelevasse dalla cucina le risciacquature per farne usufruire la vacca della lavandaia. Questo sì che era chiaro. Invece i ragionamenti sul mangime farinoso erano vaghi e poco chiari. La verità però era ch’ella aveva voglia di parlare di Kitty.