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Anna Karenina, Parte Terza: Capitolo XIX

Parte Terza: Capitolo XIX

Vronskij, malgrado la vita mondana apparentemente leggera, era un uomo che detestava il disordine.

Ancora giovane, al corpo dei paggi aveva provato l'umiliazione di un rifiuto quando, trovandosi in cattive condizioni finanziarie, aveva chiesto del denaro in prestito, e da quella volta non si era messo mai più in una condizione simile. Per tenere sempre in ordine le sue cose, più o meno spesso, a seconda delle circostanze, si appartava un cinque volte all'anno e metteva in chiaro i suoi affari.

Chiamava questo la resa dei conti, ovvero faire la lessive. Il giorno dopo le corse, svegliatosi tardi, senza radersi né fare il bagno, Vronskij indossò l'uniforme e, distribuiti sulla tavola il denaro, i conti e le lettere, si mise al lavoro.

Petrickij, svegliatosi e visto il compagno alla scrivania, sapendo che in un momento simile era solito arrabbiarsi, si vestì piano e uscì senza dargli noia. Ogni uomo, conoscendo fin nei più piccoli particolari la complessità della propria situazione, presuppone involontariamente che tale complessità e la difficoltà di scioglierla siano cose esclusivamente attinenti alla propria persona, e non pensa in nessun modo che altri si trovino assediati da affari altrettanto complessi quanto i propri.

Così pure sembrava a Vronskij. Ed egli, non senza un intimo compiacimento, e non senza ragione, pensava che chiunque altro, trovatosi in così difficili condizioni, si sarebbe da tempo messo negli impicci, e sarebbe stato costretto ad agire male. Ma Vronskij sentiva che proprio ora gli era indispensabile fare i conti e chiarire la sua situazione per non trovarsi negli impicci. La prima cosa a cui Vronskij si accinse, come alla più facile, furon gli affari di denaro.

Copiato con la sua scrittura minuta sulla busta d'una lettera tutto quello che egli doveva, tirò la somma e trovò che doveva 17.000 rubli e alcune centinaia, che accantonò per sistemare tutto. Contato il denaro e aggiuntovi quello risultante dal libretto di banca, trovò che gli restavano 1.800 rubli, mentre incassi fino all'anno nuovo non se ne prevedevano. Rifatto il conto dei debiti, lo ricopiò dopo averlo diviso in tre gruppi. Nel primo gruppo trovavano posto i debiti che dovevano essere pagati subito, o per i quali, in ogni caso, bisognava tener pronto il denaro, in modo che alla richiesta seguisse il pagamento senza neppure un attimo di indugio. Questi debiti ammontavano a circa 4.000 rubli: 1.500 per il cavallo e 2.500 per la garanzia prestata al giovane compagno Veneskij che, in presenza di Vronskij, aveva perduto questo denaro, giocando con un baro. Vronskij voleva dare subito la somma (la possedeva), ma Veneskij e Jašvin avevano insistito per pagare loro e non Vronskij che non aveva neppure giocato. Tutto questo era una bellissima cosa, ma Vronskij sapeva che, pur avendo preso parte in questo sordido affare solo coll'assumere sulla parola la garanzia per Veneskij, gli era indispensabile aver pronti quei 2.500 rubli da buttare all'imbroglione per non aver più nulla a che fare con lui. Così, per questo primo importantissimo gruppo di debiti occorreva avere sotto mano 4.000 rubli. Nel secondo gruppo, di ottomila rubli, erano compresi debiti meno importanti. Erano in prevalenza debiti di scuderia da corsa, con l'inglese, col sellaio e via di seguito. Per tali debiti occorreva tenere da parte circa 2.000 rubli per essere completamente tranquillo. L'ultimo gruppo di debiti, verso fornitori, verso alberghi e verso il sarto, poteva essere trascurato. Ci volevano dunque almeno seimila rubli per le spese correnti e ce n'erano solo 1.800. Per un uomo con 100.000 rubli di rendita, a tanto si riteneva ammontasse il patrimonio di Vronskij, questi debiti potevano non sembrare troppo gravosi; ma erano ben lontani da lui quei 100.000 rubli! L'enorme patrimonio paterno, che rendeva da solo 200.000 rubli all'anno, era indiviso fra i fratelli. Al tempo in cui il fratello maggiore, pieno di debiti, s'era ammogliato con la principessina Varja cirkova, figlia del decabrista, senza un soldo, Aleksej aveva ceduto al fratello maggiore tutta la rendita del patrimonio paterno, riservando per sé solo 25.000 rubli all'anno. Aleksej aveva detto allora al fratello che questa somma gli sarebbe stata sufficiente fino al giorno in cui non si sarebbe ammogliato, il che probabilmente non si sarebbe verificato mai. E il fratello, comandante di uno dei reggimenti più fastosi e da poco sposato, fu ben lieto di accettare un simile dono. La madre, che aveva un patrimonio a sé, oltre ai 25.000 rubli fissi, dava ad Aleksej 20.000 rubli all'anno, e Aleksej li spendeva presto. Nell'ultimo tempo la madre, indispettita con lui per la sua relazione e per la sua partenza da Mosca, non gli aveva più mandato quel denaro. E perciò Vronskij, abituato a vivere con 45.000 rubli e ricevutine all'anno solo 25.000, si trovava in difficoltà. Per uscirne non poteva chiedere il denaro alla madre. L'ultima sua lettera, ricevuta il giorno prima, l'aveva particolarmente irritato, perché ella faceva intendere d'esser pronta ad aiutarlo perché avesse successo in società e in carriera, ma non per condurre una vita che scandalizzava tutta la buona società. L'intento della madre di ricattarlo l'aveva offeso nel profondo dell'anima ed aveva aumentato la sua freddezza verso di lei. D'altra parte, egli non poteva ritrattare la sua generosa rinunzia a favore del fratello, pur sentendo confusamente, in previsione di alcune eventualità derivanti dalla sua relazione con la Karenina, che quella generosa rinunzia era stata fatta con leggerezza, e che a lui, pur non sposato, potevano far comodo tutti i 100.000 rubli di rendita. Ma ritrattarsi non si poteva. Gli bastava solo pensare alla moglie del fratello, ricordare come quella gentile e simpatica Varja in ogni occasione opportuna gli ripetesse ch'ella ricordava la sua generosità e che l'apprezzava tanto, per capire l'impossibilità di togliere quello che era stato dato. Era impossibile quanto percuotere una donna, quanto rubare o mentire. Una sola cosa era possibile e si doveva fare, e ad essa Vronskij si decise senza un attimo di esitazione: prendere in prestito da un usuraio diecimila rubli, e questo non sarebbe stato difficile, ridurre in genere le proprie spese e vendere i cavalli da corsa. Deciso ciò, egli scrisse subito un biglietto a Rolandaki che più di una volta gli aveva proposto di comprargli i cavalli. Dopo mandò a chiamare l'inglese e l'usuraio, e distribuì secondo i conti i denari che aveva. Terminati questi affari, scrisse una fredda e tagliente risposta alla lettera della madre. Dopo, tirati fuori dal portafoglio tre biglietti di Anna, li rilesse, li bruciò e, riandando con la mente alla conversazione del giorno innanzi, si fece pensoso.


Parte Terza: Capitolo XIX Part Three: Chapter XIX

Vronskij, malgrado la vita mondana apparentemente leggera, era un uomo che detestava il disordine.

Ancora giovane, al corpo dei paggi aveva provato l’umiliazione di un rifiuto quando, trovandosi in cattive condizioni finanziarie, aveva chiesto del denaro in prestito, e da quella volta non si era messo mai più in una condizione simile. Per tenere sempre in ordine le sue cose, più o meno spesso, a seconda delle circostanze, si appartava un cinque volte all’anno e metteva in chiaro i suoi affari.

Chiamava questo la resa dei conti, ovvero faire la lessive. Il giorno dopo le corse, svegliatosi tardi, senza radersi né fare il bagno, Vronskij indossò l’uniforme e, distribuiti sulla tavola il denaro, i conti e le lettere, si mise al lavoro.

Petrickij, svegliatosi e visto il compagno alla scrivania, sapendo che in un momento simile era solito arrabbiarsi, si vestì piano e uscì senza dargli noia. Ogni uomo, conoscendo fin nei più piccoli particolari la complessità della propria situazione, presuppone involontariamente che tale complessità e la difficoltà di scioglierla siano cose esclusivamente attinenti alla propria persona, e non pensa in nessun modo che altri si trovino assediati da affari altrettanto complessi quanto i propri.

Così pure sembrava a Vronskij. Ed egli, non senza un intimo compiacimento, e non senza ragione, pensava che chiunque altro, trovatosi in così difficili condizioni, si sarebbe da tempo messo negli impicci, e sarebbe stato costretto ad agire male. Ma Vronskij sentiva che proprio ora gli era indispensabile fare i conti e chiarire la sua situazione per non trovarsi negli impicci. La prima cosa a cui Vronskij si accinse, come alla più facile, furon gli affari di denaro.

Copiato con la sua scrittura minuta sulla busta d’una lettera tutto quello che egli doveva, tirò la somma e trovò che doveva 17.000 rubli e alcune centinaia, che accantonò per sistemare tutto. Contato il denaro e aggiuntovi quello risultante dal libretto di banca, trovò che gli restavano 1.800 rubli, mentre incassi fino all’anno nuovo non se ne prevedevano. Rifatto il conto dei debiti, lo ricopiò dopo averlo diviso in tre gruppi. Nel primo gruppo trovavano posto i debiti che dovevano essere pagati subito, o per i quali, in ogni caso, bisognava tener pronto il denaro, in modo che alla richiesta seguisse il pagamento senza neppure un attimo di indugio. Questi debiti ammontavano a circa 4.000 rubli: 1.500 per il cavallo e 2.500 per la garanzia prestata al giovane compagno Veneskij che, in presenza di Vronskij, aveva perduto questo denaro, giocando con un baro. Vronskij voleva dare subito la somma (la possedeva), ma Veneskij e Jašvin avevano insistito per pagare loro e non Vronskij che non aveva neppure giocato. Tutto questo era una bellissima cosa, ma Vronskij sapeva che, pur avendo preso parte in questo sordido affare solo coll’assumere sulla parola la garanzia per Veneskij, gli era indispensabile aver pronti quei 2.500 rubli da buttare all’imbroglione per non aver più nulla a che fare con lui. Così, per questo primo importantissimo gruppo di debiti occorreva avere sotto mano 4.000 rubli. Nel secondo gruppo, di ottomila rubli, erano compresi debiti meno importanti. Erano in prevalenza debiti di scuderia da corsa, con l’inglese, col sellaio e via di seguito. Per tali debiti occorreva tenere da parte circa 2.000 rubli per essere completamente tranquillo. L’ultimo gruppo di debiti, verso fornitori, verso alberghi e verso il sarto, poteva essere trascurato. Ci volevano dunque almeno seimila rubli per le spese correnti e ce n’erano solo 1.800. Per un uomo con 100.000 rubli di rendita, a tanto si riteneva ammontasse il patrimonio di Vronskij, questi debiti potevano non sembrare troppo gravosi; ma erano ben lontani da lui quei 100.000 rubli! L’enorme patrimonio paterno, che rendeva da solo 200.000 rubli all’anno, era indiviso fra i fratelli. Al tempo in cui il fratello maggiore, pieno di debiti, s’era ammogliato con la principessina Varja cirkova, figlia del decabrista, senza un soldo, Aleksej aveva ceduto al fratello maggiore tutta la rendita del patrimonio paterno, riservando per sé solo 25.000 rubli all’anno. Aleksej aveva detto allora al fratello che questa somma gli sarebbe stata sufficiente fino al giorno in cui non si sarebbe ammogliato, il che probabilmente non si sarebbe verificato mai. E il fratello, comandante di uno dei reggimenti più fastosi e da poco sposato, fu ben lieto di accettare un simile dono. La madre, che aveva un patrimonio a sé, oltre ai 25.000 rubli fissi, dava ad Aleksej 20.000 rubli all’anno, e Aleksej li spendeva presto. Nell’ultimo tempo la madre, indispettita con lui per la sua relazione e per la sua partenza da Mosca, non gli aveva più mandato quel denaro. E perciò Vronskij, abituato a vivere con 45.000 rubli e ricevutine all’anno solo 25.000, si trovava in difficoltà. Per uscirne non poteva chiedere il denaro alla madre. L’ultima sua lettera, ricevuta il giorno prima, l’aveva particolarmente irritato, perché ella faceva intendere d’esser pronta ad aiutarlo perché avesse successo in società e in carriera, ma non per condurre una vita che scandalizzava tutta la buona società. L’intento della madre di ricattarlo l’aveva offeso nel profondo dell’anima ed aveva aumentato la sua freddezza verso di lei. D’altra parte, egli non poteva ritrattare la sua generosa rinunzia a favore del fratello, pur sentendo confusamente, in previsione di alcune eventualità derivanti dalla sua relazione con la Karenina, che quella generosa rinunzia era stata fatta con leggerezza, e che a lui, pur non sposato, potevano far comodo tutti i 100.000 rubli di rendita. Ma ritrattarsi non si poteva. Gli bastava solo pensare alla moglie del fratello, ricordare come quella gentile e simpatica Varja in ogni occasione opportuna gli ripetesse ch’ella ricordava la sua generosità e che l’apprezzava tanto, per capire l’impossibilità di togliere quello che era stato dato. Era impossibile quanto percuotere una donna, quanto rubare o mentire. Una sola cosa era possibile e si doveva fare, e ad essa Vronskij si decise senza un attimo di esitazione: prendere in prestito da un usuraio diecimila rubli, e questo non sarebbe stato difficile, ridurre in genere le proprie spese e vendere i cavalli da corsa. Deciso ciò, egli scrisse subito un biglietto a Rolandaki che più di una volta gli aveva proposto di comprargli i cavalli. Dopo mandò a chiamare l’inglese e l’usuraio, e distribuì secondo i conti i denari che aveva. Terminati questi affari, scrisse una fredda e tagliente risposta alla lettera della madre. Dopo, tirati fuori dal portafoglio tre biglietti di Anna, li rilesse, li bruciò e, riandando con la mente alla conversazione del giorno innanzi, si fece pensoso.