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Anna Karenina, Parte Secunda: Capitolo XXXIV

Parte Secunda: Capitolo XXXIV

Prima della chiusura della stagione termale, il principe Šcerbackij che, dopo Karlsbad, era stato a Baden e Kissingen, da conoscenti russi per fare, come egli diceva, provvista di spirito russo, tornò dai suoi.

Le opinioni del principe e della principessa sulla vita all'estero erano completamente opposte.

La principessa trovava tutto bellissimo e, malgrado la sua salda posizione nella società russa, all'estero faceva di tutto per sembrare una dama europea, quale non era, dal momento che era una vera signora russa, e in questo suo voler essere diversa da quello che era, si sentiva un po' a disagio. Il principe, al contrario, all'estero criticava tutto, si sentiva oppresso dalla vita europea, conservava le sue abitudini russe, sforzandosi di mostrarsi all'estero meno europeo di quanto non lo fosse in realtà. Il principe era tornato dimagrito, con le borse sotto gli occhi, ma di ottimo umore.

E questo suo buon umore aumentò quando vide Kitty completamente ristabilita. La notizia dell'amicizia di Kitty con la signora Stahl e Varen'ka e le osservazioni della principessa su di un certo cambiamento prodottosi in Kitty, sconcertarono il principe e ridestarono in lui il solito senso di gelosia verso tutto quello che appassionava la figlia a sua insaputa, e la paura che la figlia sfuggisse alla sua influenza, rifugiandosi in qualche regione a lui inaccessibile. Ma queste notizie poco piacevoli affondarono in quel mare di bonarietà e di allegria che sempre era in lui e che la cura di Karlsbad aveva accresciuto. Il giorno dopo il suo arrivo, il principe, di ottimo umore, nel suo lungo cappotto, con le sue rughe tipicamente russe e le guance gonfie sostenute dal colletto inamidato, andò alla fonte in compagnia della figlia.

La mattina era splendida: le case linde e allegre con i giardinetti, le cameriere tedesche dal viso rosso, dalle mani rosse, sature di birra e allegramente intente al lavoro, il sole gagliardo, rallegravano il cuore; ma più si avvicinavano alla fonte e più numerosi incontravano i malati, e il loro aspetto sembrava ancor più desolante sullo sfondo di vita tedesca solitamente ben organizzata.

Questo contrasto non colpiva ormai più Kitty. Il sole splendente, l'allegro luccichio del verde, i suoni della musica erano per lei una cornice naturale di tutti quei visi ormai noti e dei loro mutamenti in peggio o in meglio ch'ella notava; ma al principe la luce e lo splendore di quella mattina di luglio, i suoni dell'orchestra che eseguiva un allegro valzer di moda e soprattutto la vista della rubiconde, robuste cameriere facevan l'effetto di cosa disadatta e innaturale ad accogliere quelle larve umane convenute da ogni parte d'Europa, lentamente deambulanti. Malgrado il senso d'orgoglio e quasi di rinnovata giovinezza ch'egli provava quando la figliuola preferita camminava al suo braccio, sentiva ora quasi un senso di disagio e di mortificazione per il proprio passo deciso, per le proprie membra robuste, ricoperte di carne.

Provava la sensazione di un uomo che andasse svestito in società. — Presentami, presentami ai tuoi nuovi amici — chiedeva alla figliuola, premendole il braccio col gomito.

— Ho finito col voler bene anche a questo tuo sudicio Soden che ti ha fatto rimettere così. Solo che è triste, triste qui da voi. Questo chi è? Kitty gli veniva nominando le persone conosciute e quelle non conosciute che incontrava.

Proprio all'ingresso del giardino incontrarono m.me Berthe, la cieca, l'accompagnatrice, e il principe si rallegrò dell'espressione commossa della vecchia francese nel sentir la voce di Kitty. Ella subito si mise a parlar con lui, con quell'eccessiva cortesia francese, felicitandosi per la figliola così straordinaria e innalzando al cielo Kitty che chiamava tesoro, perla, angelo consolatore. — Via, però è sempre l'angelo numero due — disse il principe sorridendo.

— Perché l'angelo numero uno è m.lle Varen'ka, a dir di mia figlia. — Oh, m.lle Varen'ka è un angelo del cielo, allez — replicò m.me Berthe.

Sotto il portico incontrarono Varen'ka in persona.

Veniva svelta incontro a loro, con un'elegante borsetta rossa. — Ecco, è arrivato anche papà!

— le disse Kitty. Varen'ka fece con semplicità e naturalezza, come del resto faceva tutto, un movimento fra l'inchino e la riverenza, e cominciò subito a parlare col principe come parlava con tutti, in maniera semplice e spontanea.

— Ma io vi conosco, naturalmente, e vi conosco da molto — le disse il principe con un sorriso dal quale Kitty capì con gioia che l'amica sua era piaciuta al padre.

— Dove vi affrettate tanto? — Maman è qui — ella disse, volgendosi a Kitty.

— Non ha dormito tutta la notte e il dottore le ha consigliato di uscire. Le porto il lavoro. — Così questo è l'angelo numero uno — disse il principe, quando Varen'ka se ne fu andata.

Kitty vedeva ch'egli avrebbe voluto scherzare su Varen'ka, ma che non poteva riuscirci in nessun modo, perché Varen'ka gli era piaciuta.

— Sì, ecco che vedremo tutti i tuoi amici — aggiunse — anche la signora Stahl, se mi concederà l'onore di riconoscermi.

— Ma tu l'hai forse conosciuta, papà?

— chiese Kitty con terrore, avendo notato un lampo di irrisione negli occhi del principe al ricordo della signora Stahl. — Conoscevo suo marito e lei, ancora prima che si iscrivesse fra le pietiste.

— Che cosa vuol dire pietista, papà?

— chiese Kitty, già spaventata del fatto che quello che ella apprezzava così altamente nella signora Stahl avesse un nome. — Neanche io lo so con precisione.

So soltanto ch'ella ringrazia Dio di tutto; di ogni sventura, e anche della morte del marito ringrazia Iddio. Ebbene, questo fa ridere, perché loro due non andavano d'accordo. — Chi è quello là?

Che viso da far pena! — chiese dopo aver notato un malato non alto, seduto su di una panchina, con un cappotto marrone e dei pantaloni bianchi che facevano delle strane pieghe sulle ossa scarnite delle gambe. Il signore sollevò il cappello di paglia sui radi capelli ondulati, scoprendo una fronte alta, arrossata dal cappello.

— È Petrov, il pittore — rispose Kitty, arrossendo.

— E questa è sua moglie — aggiunse indicando Anna Pavlovna la quale, come apposta, nel momento in cui essi si avvicinavano, si era messa a rincorrere un bambino scappato via per un viale. — Come fa pena, ma che viso simpatico che ha!

— disse il principe.

— Come mai non ti sei avvicinata? Non ti voleva forse dire qualcosa? — Su, via, andiamo!

— disse Kitty voltandosi risoluta. — Come state oggi? — chiese a Petrov. Petrov si alzò, appoggiandosi al bastone e guardando timidamente il principe.

— È mia figlia — disse il principe.

— Permettetemi di fare la vostra conoscenza. Il pittore si inchinò e sorrise, scoprendo i denti bianchi straordinariamente lucidi.

— Vi abbiamo aspettato ieri, principessina — disse egli a Kitty.

Vacillò, dicendo questo, ma, ripetendo il movimento, si sforzava di far parere che l'avesse fatto apposta.

— Io volevo venire ma Anna Pavlovna mi ha fatto sapere per mezzo di Varen'ka che non sareste andati.

— Come non saremmo andati!

— disse Petrov, arrossendo e tossendo subito, cercando con gli occhi la moglie. — Aneta! Aneta! — chiamò con voce aspra e sul collo bianco si tesero, come corde, le grosse vene. Anna Pavlovna si avvicinò.

— Come mai hai mandato a dire alla principessina che non saremmo andati?

— mormorò irritato, già senza voce. — Buon giorno, principessina — disse Anna Pavlovna, con un sorriso finto, affatto dissimile dalle sue maniere d'una volta.

— Piacere di conoscervi — disse rivolta al principe. — Vi aspettavamo da lungo tempo, principe. — Come mai hai mandato a dire alla principessina che non saremmo andati?

— mormorò rauco, una seconda volta, il pittore ancor più irritato, perché la voce gli veniva a mancare e non riusciva a dare alle parole l'intonazione che avrebbe voluto. — Ah, Dio mio!

Pensavo che non saremmo andati — rispose la moglie con dispetto. — Ma, come se... — e cominciò a tossire e a far un gesto con la mano.

Il principe sollevò il cappello e si allontanò con la figlia.

— Oh, oh — sospirò penosamente; — oh, che disgraziati!

— Sì, papà — ripose Kitty.

— E devi sapere che hanno tre bambini, e sono senza donna di servizio e quasi senza mezzi. Egli riceve qualcosa dall'Accademia — raccontò vivacemente Kitty sforzandosi di soffocare l'agitazione dalla quale era stata presa per lo strano mutamento di Anna Pavlovna nei suoi riguardi. — Ed ecco anche la signora Stahl!

— disse Kitty, indicando una carrozzina nella quale, avvolta fra i cuscini e in un groviglio grigio-azzurro, sotto un ombrellino, giaceva una certa cosa. Era la signora Stahl!

Dietro di lei stava dritto un robusto lavoratore tedesco dall'aria burbera che la trasportava. Accanto veniva un biondo conte svedese che Kitty conosceva di nome. Alcuni malati si fermarono attorno alla carrozzina, guardando questa signora come una cosa rara. Il principe si avvicinò.

E subito negli occhi di lui Kitty notò la piccola luce di irrisione che l'aveva sconcertata. Si avvicinò alla signora Stahl e cominciò a parlare in quell'ottimo francese che ormai così pochi parlano, straordinariamente cortese e gentile. — Non so se vi ricordate di me, ma io devo richiamarmi alla vostra memoria per ringraziarvi della bontà usata verso la mia figliuola — egli disse, dopo essersi tolto il cappello e senza rimetterlo.

— Il principe Aleksandr Šcerbackij — disse la signora Stahl alzando su di lui i suoi occhi celesti, nei quali Kitty notò lo scontento.

— Molto lieta. Io voglio molto bene alla vostra figliuola. — La vostra salute è sempre poco buona?

— Sì, ormai mi ci sono abituata — disse la signora Stahl e presentò al principe il conte svedese.

—Ma voi siete molto poco cambiata — disse il principe.

— Io non ho avuto l'onore di vedervi da dieci o undici anni. — Sì, Dio dà la croce e Dio dà la forza per portarla.

Spesso ci si meraviglia perché si prolunga questa vita.... Dall'altra parte! — disse con stizza a Varen'ka che le avvolgeva le gambe nello scialle non precisamente come voleva lei. — Per far del bene, probabilmente — disse il principe, ridendo con gli occhi.

— Questo non spetta a noi giudicare — disse la signora Stahl, che aveva colto la sfumatura di irrisione nel viso del principe.

— Così voi mi manderete questo libro, caro conte? Vi ringrazio molto — disse rivolta al giovane svedese. — Ah — esclamò il principe, vedendo il colonnello di Mosca che era in piedi lì accanto e, salutata la signora Stahl, si allontanò con la figlia e con il colonnello moscovita che si era unito a loro.

— Questa è la nostra aristocrazia, principe — disse, cercando d'essere ironico, il colonnello moscovita, che ce l'aveva con la signora Stahl perché non aveva fatto amicizia con lui.

— Sempre la stessa — rispose il principe.

— Ma voi l'avete conosciuta ancora prima della sua malattia, cioè prima che si fosse messa a letto?

— Già, s'è messa a letto quando già la conoscevo.

— Dicono che non si alzi da dieci anni.

— Non si alza perché ha una gamba più corta dell'altra.

È fatta molto male.... — Papà, ma non può essere!

— gridò Kitty. — Le cattive lingue dicono così, figlia mia.

E la tua Varen'ka deve saperne abbastanza — aggiunse. — Oh queste signore malate! — Oh, no, papà!

— ribatté Kitty con calore. — Varen'ka l'adora. E poi è una donna che fa tanto bene. Domanda a chi vuoi. Lei ed Aline Stahl sono conosciute da tutti. — Può darsi — disse egli, stringendole il braccio col gomito.

— Ma vale di più quando si fa in modo che, a chiunque si chieda, nessuno lo sappia. Kitty tacque, non perché non avesse nulla da ribattere, ma perché non voleva svelare neanche al padre i suoi segreti pensieri.

Però, cosa strana, pur preparandosi a non sottostare all'introspezione del padre, a non dargli accesso nel suo santuario, sentì che quella immagine sublime della signora Stahl, che per un mese intero aveva portato nell'anima, era irrimediabilmente scomparsa, così come scompare la figura formata da un vestito abbandonato, quando ci si accorge che è solo un vestito. Era rimasta ormai una donna con una gamba più corta dell'altra che stava a letto perché era fatta male e tormentava la docile Varen'ka perché non ravvolgeva lo scialle così come andava fatto. E ormai nessuno sforzo dell'immaginazione poteva far rivivere la signora Stahl di prima.


Parte Secunda: Capitolo XXXIV Parte Secunda: Chapter XXXIV

Prima della chiusura della stagione termale, il principe Šcerbackij che, dopo Karlsbad, era stato a Baden e Kissingen, da conoscenti russi per fare, come egli diceva, provvista di spirito russo, tornò dai suoi.

Le opinioni del principe e della principessa sulla vita all’estero erano completamente opposte.

La principessa trovava tutto bellissimo e, malgrado la sua salda posizione nella società russa, all’estero faceva di tutto per sembrare una dama europea, quale non era, dal momento che era una vera signora russa, e in questo suo voler essere diversa da quello che era, si sentiva un po' a disagio. Il principe, al contrario, all’estero criticava tutto, si sentiva oppresso dalla vita europea, conservava le sue abitudini russe, sforzandosi di mostrarsi all’estero meno europeo di quanto non lo fosse in realtà. Il principe era tornato dimagrito, con le borse sotto gli occhi, ma di ottimo umore.

E questo suo buon umore aumentò quando vide Kitty completamente ristabilita. La notizia dell’amicizia di Kitty con la signora Stahl e Varen’ka e le osservazioni della principessa su di un certo cambiamento prodottosi in Kitty, sconcertarono il principe e ridestarono in lui il solito senso di gelosia verso tutto quello che appassionava la figlia a sua insaputa, e la paura che la figlia sfuggisse alla sua influenza, rifugiandosi in qualche regione a lui inaccessibile. Ma queste notizie poco piacevoli affondarono in quel mare di bonarietà e di allegria che sempre era in lui e che la cura di Karlsbad aveva accresciuto. Il giorno dopo il suo arrivo, il principe, di ottimo umore, nel suo lungo cappotto, con le sue rughe tipicamente russe e le guance gonfie sostenute dal colletto inamidato, andò alla fonte in compagnia della figlia.

La mattina era splendida: le case linde e allegre con i giardinetti, le cameriere tedesche dal viso rosso, dalle mani rosse, sature di birra e allegramente intente al lavoro, il sole gagliardo, rallegravano il cuore; ma più si avvicinavano alla fonte e più numerosi incontravano i malati, e il loro aspetto sembrava ancor più desolante sullo sfondo di vita tedesca solitamente ben organizzata.

Questo contrasto non colpiva ormai più Kitty. This contrast no longer struck Kitty. Il sole splendente, l’allegro luccichio del verde, i suoni della musica erano per lei una cornice naturale di tutti quei visi ormai noti e dei loro mutamenti in peggio o in meglio ch’ella notava; ma al principe la luce e lo splendore di quella mattina di luglio, i suoni dell’orchestra che eseguiva un allegro valzer di moda e soprattutto la vista della rubiconde, robuste cameriere facevan l’effetto di cosa disadatta e innaturale ad accogliere quelle larve umane convenute da ogni parte d’Europa, lentamente deambulanti. Malgrado il senso d’orgoglio e quasi di rinnovata giovinezza ch’egli provava quando la figliuola preferita camminava al suo braccio, sentiva ora quasi un senso di disagio e di mortificazione per il proprio passo deciso, per le proprie membra robuste, ricoperte di carne. Despite the sense of pride and almost renewed youth he felt when his favorite daughter walked on his arm, he now felt almost a sense of discomfort and mortification at his own determined stride, his own sturdy, flesh-covered limbs.

Provava la sensazione di un uomo che andasse svestito in società. — Presentami, presentami ai tuoi nuovi amici — chiedeva alla figliuola, premendole il braccio col gomito.

— Ho finito col voler bene anche a questo tuo sudicio Soden che ti ha fatto rimettere così. Solo che è triste, triste qui da voi. Questo chi è? Kitty gli veniva nominando le persone conosciute e quelle non conosciute che incontrava.

Proprio all’ingresso del giardino incontrarono m.me Berthe, la cieca, l’accompagnatrice, e il principe si rallegrò dell’espressione commossa della vecchia francese nel sentir la voce di Kitty. Ella subito si mise a parlar con lui, con quell’eccessiva cortesia francese, felicitandosi per la figliola così straordinaria e innalzando al cielo Kitty che chiamava tesoro, perla, angelo consolatore. — Via, però è sempre l’angelo numero due — disse il principe sorridendo.

— Perché l’angelo numero uno è m.lle Varen’ka, a dir di mia figlia. — Oh, m.lle Varen’ka è un angelo del cielo, allez — replicò m.me Berthe.

Sotto il portico incontrarono Varen’ka in persona.

Veniva svelta incontro a loro, con un’elegante borsetta rossa. — Ecco, è arrivato anche papà!

— le disse Kitty. Varen’ka fece con semplicità e naturalezza, come del resto faceva tutto, un movimento fra l’inchino e la riverenza, e cominciò subito a parlare col principe come parlava con tutti, in maniera semplice e spontanea.

— Ma io vi conosco, naturalmente, e vi conosco da molto — le disse il principe con un sorriso dal quale Kitty capì con gioia che l’amica sua era piaciuta al padre.

— Dove vi affrettate tanto? — Maman è qui — ella disse, volgendosi a Kitty.

— Non ha dormito tutta la notte e il dottore le ha consigliato di uscire. Le porto il lavoro. — Così questo è l’angelo numero uno — disse il principe, quando Varen’ka se ne fu andata.

Kitty vedeva ch’egli avrebbe voluto scherzare su Varen’ka, ma che non poteva riuscirci in nessun modo, perché Varen’ka gli era piaciuta.

— Sì, ecco che vedremo tutti i tuoi amici — aggiunse — anche la signora Stahl, se mi concederà l’onore di riconoscermi.

— Ma tu l’hai forse conosciuta, papà?

— chiese Kitty con terrore, avendo notato un lampo di irrisione negli occhi del principe al ricordo della signora Stahl. — Conoscevo suo marito e lei, ancora prima che si iscrivesse fra le pietiste.

— Che cosa vuol dire pietista, papà?

— chiese Kitty, già spaventata del fatto che quello che ella apprezzava così altamente nella signora Stahl avesse un nome. — Neanche io lo so con precisione.

So soltanto ch’ella ringrazia Dio di tutto; di ogni sventura, e anche della morte del marito ringrazia Iddio. Ebbene, questo fa ridere, perché loro due non andavano d’accordo. — Chi è quello là?

Che viso da far pena! — chiese dopo aver notato un malato non alto, seduto su di una panchina, con un cappotto marrone e dei pantaloni bianchi che facevano delle strane pieghe sulle ossa scarnite delle gambe. Il signore sollevò il cappello di paglia sui radi capelli ondulati, scoprendo una fronte alta, arrossata dal cappello.

— È Petrov, il pittore — rispose Kitty, arrossendo.

— E questa è sua moglie — aggiunse indicando Anna Pavlovna la quale, come apposta, nel momento in cui essi si avvicinavano, si era messa a rincorrere un bambino scappato via per un viale. — Come fa pena, ma che viso simpatico che ha!

— disse il principe.

— Come mai non ti sei avvicinata? Non ti voleva forse dire qualcosa? — Su, via, andiamo!

— disse Kitty voltandosi risoluta. — Come state oggi? — chiese a Petrov. Petrov si alzò, appoggiandosi al bastone e guardando timidamente il principe.

— È mia figlia — disse il principe.

— Permettetemi di fare la vostra conoscenza. Il pittore si inchinò e sorrise, scoprendo i denti bianchi straordinariamente lucidi.

— Vi abbiamo aspettato ieri, principessina — disse egli a Kitty.

Vacillò, dicendo questo, ma, ripetendo il movimento, si sforzava di far parere che l’avesse fatto apposta.

— Io volevo venire ma Anna Pavlovna mi ha fatto sapere per mezzo di Varen’ka che non sareste andati.

— Come non saremmo andati!

— disse Petrov, arrossendo e tossendo subito, cercando con gli occhi la moglie. — Aneta! Aneta! — chiamò con voce aspra e sul collo bianco si tesero, come corde, le grosse vene. Anna Pavlovna si avvicinò.

— Come mai hai mandato a dire alla principessina che non saremmo andati?

— mormorò irritato, già senza voce. — Buon giorno, principessina — disse Anna Pavlovna, con un sorriso finto, affatto dissimile dalle sue maniere d’una volta.

— Piacere di conoscervi — disse rivolta al principe. — Vi aspettavamo da lungo tempo, principe. — Come mai hai mandato a dire alla principessina che non saremmo andati?

— mormorò rauco, una seconda volta, il pittore ancor più irritato, perché la voce gli veniva a mancare e non riusciva a dare alle parole l’intonazione che avrebbe voluto. — Ah, Dio mio!

Pensavo che non saremmo andati — rispose la moglie con dispetto. — Ma, come se... — e cominciò a tossire e a far un gesto con la mano.

Il principe sollevò il cappello e si allontanò con la figlia.

— Oh, oh — sospirò penosamente; — oh, che disgraziati!

— Sì, papà — ripose Kitty.

— E devi sapere che hanno tre bambini, e sono senza donna di servizio e quasi senza mezzi. Egli riceve qualcosa dall’Accademia — raccontò vivacemente Kitty sforzandosi di soffocare l’agitazione dalla quale era stata presa per lo strano mutamento di Anna Pavlovna nei suoi riguardi. — Ed ecco anche la signora Stahl!

— disse Kitty, indicando una carrozzina nella quale, avvolta fra i cuscini e in un groviglio grigio-azzurro, sotto un ombrellino, giaceva una certa cosa. Era la signora Stahl!

Dietro di lei stava dritto un robusto lavoratore tedesco dall’aria burbera che la trasportava. Accanto veniva un biondo conte svedese che Kitty conosceva di nome. Alcuni malati si fermarono attorno alla carrozzina, guardando questa signora come una cosa rara. Il principe si avvicinò.

E subito negli occhi di lui Kitty notò la piccola luce di irrisione che l’aveva sconcertata. Si avvicinò alla signora Stahl e cominciò a parlare in quell’ottimo francese che ormai così pochi parlano, straordinariamente cortese e gentile. — Non so se vi ricordate di me, ma io devo richiamarmi alla vostra memoria per ringraziarvi della bontà usata verso la mia figliuola — egli disse, dopo essersi tolto il cappello e senza rimetterlo.

— Il principe Aleksandr Šcerbackij — disse la signora Stahl alzando su di lui i suoi occhi celesti, nei quali Kitty notò lo scontento.

— Molto lieta. Io voglio molto bene alla vostra figliuola. — La vostra salute è sempre poco buona?

— Sì, ormai mi ci sono abituata — disse la signora Stahl e presentò al principe il conte svedese.

—Ma voi siete molto poco cambiata — disse il principe.

— Io non ho avuto l’onore di vedervi da dieci o undici anni. — Sì, Dio dà la croce e Dio dà la forza per portarla.

Spesso ci si meraviglia perché si prolunga questa vita.... Dall’altra parte! — disse con stizza a Varen’ka che le avvolgeva le gambe nello scialle non precisamente come voleva lei. — Per far del bene, probabilmente — disse il principe, ridendo con gli occhi.

— Questo non spetta a noi giudicare — disse la signora Stahl, che aveva colto la sfumatura di irrisione nel viso del principe.

— Così voi mi manderete questo libro, caro conte? Vi ringrazio molto — disse rivolta al giovane svedese. — Ah — esclamò il principe, vedendo il colonnello di Mosca che era in piedi lì accanto e, salutata la signora Stahl, si allontanò con la figlia e con il colonnello moscovita che si era unito a loro.

— Questa è la nostra aristocrazia, principe — disse, cercando d’essere ironico, il colonnello moscovita, che ce l’aveva con la signora Stahl perché non aveva fatto amicizia con lui.

— Sempre la stessa — rispose il principe.

— Ma voi l’avete conosciuta ancora prima della sua malattia, cioè prima che si fosse messa a letto?

— Già, s’è messa a letto quando già la conoscevo.

— Dicono che non si alzi da dieci anni.

— Non si alza perché ha una gamba più corta dell’altra.

È fatta molto male.... — Papà, ma non può essere!

— gridò Kitty. — Le cattive lingue dicono così, figlia mia.

E la tua Varen’ka deve saperne abbastanza — aggiunse. — Oh queste signore malate! — Oh, no, papà!

— ribatté Kitty con calore. — Varen’ka l’adora. E poi è una donna che fa tanto bene. Domanda a chi vuoi. Lei ed Aline Stahl sono conosciute da tutti. — Può darsi — disse egli, stringendole il braccio col gomito.

— Ma vale di più quando si fa in modo che, a chiunque si chieda, nessuno lo sappia. Kitty tacque, non perché non avesse nulla da ribattere, ma perché non voleva svelare neanche al padre i suoi segreti pensieri.

Però, cosa strana, pur preparandosi a non sottostare all’introspezione del padre, a non dargli accesso nel suo santuario, sentì che quella immagine sublime della signora Stahl, che per un mese intero aveva portato nell’anima, era irrimediabilmente scomparsa, così come scompare la figura formata da un vestito abbandonato, quando ci si accorge che è solo un vestito. Era rimasta ormai una donna con una gamba più corta dell’altra che stava a letto perché era fatta male e tormentava la docile Varen’ka perché non ravvolgeva lo scialle così come andava fatto. E ormai nessuno sforzo dell’immaginazione poteva far rivivere la signora Stahl di prima.