Parte Secunda: Capitolo XXIX
Tutti esprimevano ad alta voce la loro disapprovazione, tutti ripetevano la frase messa in giro da qualcuno: “non ci manca che il circo con i leoni”.
Il terrore era sentito da tutti, sì che quando Vronskij cadde ed Anna emise un gemito, non ci fu nulla di straordinario. Ma subito dopo nel volto di Anna apparve un turbamento già troppo sconveniente. S'era smarrita del tutto; si dibatteva come un uccello al laccio; ora voleva alzarsi e andare chi sa dove, ora si volgeva a Betsy. — Andiamo, andiamo — diceva.
Ma Betsy non l'ascoltava.
Parlava, sporgendosi in giù, con un generale che le si era avvicinato. Aleksej Aleksandrovic si avvicinò ad Anna e le porse cortesemente la mano.
— Andiamo, se vi fa piacere — disse in francese, ma Anna era intenta ad ascoltare quello che diceva il generale e non si curò del marito.
— Anche lui si è rotto una gamba, dicono — diceva il generale.
— Ma che senso c'è in tutto questo? Anna, senza rispondere al marito, aveva sollevato il binocolo e guardava il punto dove era caduto Vronskij: ma era così lontano e vi si era affollata così tanta gente che nulla di distingueva.
Abbassò il binocolo e fece per andarsene; ma in quel momento giunse un ufficiale a cavallo a riferire qualcosa allo zar. Anna si sporse in avanti per ascoltarlo. — Stiva!
Stiva!
— gridò al fratello. Ma il fratello non la udì.
Ella di nuovo voleva andar via. — Vi offro ancora una volta il braccio, se volete andare — disse Aleksej Aleksandrovic, toccandole il braccio.
Ella si scostò da lui con ribrezzo e, senza guardarlo in viso, rispose:
— No, no, lasciatemi, rimango.
Vedeva adesso che dal punto dove era caduto Vronskij correva, attraversando tutto il circuito, un ufficiale diretto alla tribuna.
Betsy gli faceva cenno col fazzoletto. L'ufficiale portò la notizia che il cavaliere era salvo, ma il cavallo si era rotto la schiena. Udito questo, Anna si sedette di colpo e si coprì il viso col ventaglio.
Vedendo che ella piangeva e che, non solo non riusciva a trattenere le lacrime, ma neanche i singhiozzi che le sollevavano il petto, Aleksej Aleksandrovic la coprì con la propria persona, dandole il tempo di rimettersi. — Per la terza volta vi offro il mio braccio — disse dopo un po' di tempo, rivolgendosi a lei.
Anna lo guardava e non sapeva cosa dire. La principessa Betsy venne in suo aiuto. — No, Aleksej Aleksandrovic, ho accompagnato io Anna, e io ho promesso di riaccompagnarla — s'intromise.
— Perdonatemi, principessa — egli disse, sorridendo con cortesia, ma guardandola fermo negli occhi — io vedo che Anna non sta del tutto bene e desidero che venga con me.
Anna si voltò a guardarlo spaventata, si alzò sottomessa e poggiò la mano sul braccio del marito.
— Manderò da lui, m'informerò e poi farò sapere — le sussurrò Betsy.
All'uscita della tribuna, Aleksej Aleksandrovic, come sempre, parlava con quelli che incontrava e Anna doveva come sempre rispondere e parlare; ma era proprio fuori di sé e come in sogno andava sotto il braccio del marito.
“Si è ammazzato o no?
È vero? Verrà o no? Lo vedrò stasera?” pensava. In silenzio prese posto nella vettura di Aleksej Aleksandrovic e in silenzio rimase anche quando si furono allontanati dalla calca degli equipaggi.
Malgrado tutto quello che aveva visto, Aleksej Aleksandrovic non si permetteva di pensare alla reale posizione della moglie. Egli coglieva solo i segni esteriori, aveva visto ch'ella si comportava in modo poco conveniente, e riteneva suo dovere dirglielo. Ma era molto difficile non dire nulla di più, dirle soltanto questo. Aprì la bocca per dirle che si era comportata in modo sconveniente, e invece, senza volere, disse tutt'altra cosa. — Ma come siamo tutti inclini a questi spettacoli feroci — disse.
— Io noto.... — Cosa?
Non capisco — disse Anna in tono sprezzante. Egli si offese e cominciò subito a dirle quello che voleva.
— Devo dirvi... — cominciò.
“Eccola, la spiegazione” pensò lei, e n'ebbe paura.
— Devo dirvi che vi siete comportata in modo del tutto sconveniente — egli disse in francese.
— In che cosa mi sono comportata in modo sconveniente?
— ella disse forte, voltandosi rapida verso di lui e guardandolo dritto negli occhi, non più con quella sua allegria mordace di prima, ma con un'aria decisa che nascondeva a stento il terrore provato. — Non dimenticate — egli disse, indicandole il vetro aperto di contro al cocchiere.
E si alzò e lo tirò su.
— Che cosa avete trovato di sconveniente?
— ella ripeté. — Quella disperazione che non avete saputo nascondere per la caduta di uno dei cavalieri.
S'aspettava che ella ribattesse.
Ma ella taceva, guardando davanti a sé. — Vi ho già pregata di comportarvi in modo che anche le male lingue non abbiano a dire nulla contro di voi.
Un tempo vi ho parlato di rapporti interiori; ora non ne parlo più. Ora vi parlo solo dei rapporti esteriori. Vi siete comportata in modo sconveniente, e desidero che ciò non si ripeta. Ella non sentiva nemmeno metà delle sue parole; aveva paura di lui, ma intanto pensava se era vero che Vronskij non era rimasto ucciso.
Era di lui che dicevano che era rimasto illeso, mentre il cavallo s'era spezzata la schiena? Appena egli ebbe finito di parlare, ella sorrise in quella sua maniera beffarda e falsa, e non rispose perché non aveva sentito quello che aveva detto. Aleksej Aleksandrovic allora riprese a parlare arditamente, ma appena ebbe coscienza di quello che diceva, il terrore di Anna si comunicò a lui. Notò quel riso, e una strana aberrazione lo prese. “Ride dei miei sospetti.
Ecco, ora mi dirà subito quello che ha già detto l'altra volta: che i miei sospetti sono infondati, che tutto ciò è ridicolo”. Ora che era sospesa su di lui la scoperta di tutto, nulla desiderava tanto quanto ch'ella rispondesse beffarda, così come l'altra volta, che i suoi sospetti erano infondati e ridicoli.
Così spaventoso era quello che sapeva che era pronto a credere a tutto. Ma l'espressione del viso di lei, atterrito e torvo, non prometteva ora neppure l'inganno. — Forse io mi sbaglio — disse.
— In tal caso vogliate perdonarmi. — No, non vi siete sbagliato — ella disse lentamente, guardando con disperazione il suo viso impassibile.
— Voi non vi siete sbagliato. Sono sconvolta e non posso non esserlo ancora. Io ascolto voi, e penso a lui. Io amo lui, sono la sua amante, e non posso più resistere. Ho paura, vi odio.... Fate di me quel che volete. E riversatasi all'indietro in un angolo della carrozza, scoppiò in singhiozzi, coprendosi il viso con le mani.
Aleksej Aleksandrovic non si mosse e non mutò la direzione del suo sguardo, fisso davanti a sé. Ma tutto il suo viso prese ad un tratto l'immobilità solenne di un cadavere e questa espressione permase tale per tutto il tempo del percorso fino alla villa. Avvicinandosi alla casa, egli girò il capo verso di lei, sempre con la stessa espressione del viso. — Già, ma io pretendo l'osservanza delle forme esteriori fino al momento in cui — e qui la voce gli tremò — non avrò prese le misure necessarie per difendere il mio onore e ve le avrò comunicate.
Uscì dalla carrozza e l'aiutò a discendere.
In presenza della servitù le strinse in silenzio la mano, risalì in vettura e partì per Pietroburgo. Subito dopo venne un cameriere da parte della principessa Betsy e recò un biglietto per Anna.
“Ho mandato da Aleksej per sapere della sua salute, ed egli mi scrive che è sano e salvo, ma desolato”.
“Allora verrà — pensò.
— Come ho fatto bene a dirgli tutto!”. Guardò l'orologio.
Mancavano ancora tre ore, e il ricordo dei particolari dell'ultimo incontro le accese il sangue. “Dio mio, come è chiaro ancora!
È terribile, ma io amo vederlo quel suo viso, e amo questa luce fantastica.... Mio marito, ah, già.... Ma, grazie a Dio, con lui tutto è finito”.