Parte Secunda: Capitolo XIX
Il giorno delle corse di Krasnoe Selo, Vronskij andò prima del solito a mangiare una bistecca nella sala grande della mensa degli ufficiali. Non aveva bisogno di osservare una dieta rigorosa per mantenersi in forma; il suo peso era quello stabilito, di quattro pudy e mezzo; ma non doveva ingrassare, perciò evitava i farinacei e i dolciumi. Sedette col soprabito aperto sul panciotto bianco, appoggiando tutte e due le braccia sulla tavola, e, in attesa della bistecca ordinata, guardava in un romanzo francese poggiato sul piatto. Guardava nel libro solo per evitare di parlare con i colleghi che entravano ed uscivano, e pensava.
Pensava che Anna gli aveva promesso un appuntamento per quel giorno, dopo le corse. Ma non la vedeva da tre giorni e, dopo il ritorno del marito dall'estero, non sapeva se ciò sarebbe stato possibile quel giorno o no, e non sapeva come fare per saperlo. S'era visto con lei l'ultima volta nella villa della cugina Betsy. Alla villa dei Karenin invece egli andava il meno possibile. Ora però voleva andarci e ne cercava il modo.
“Dirò naturalmente che Betsy mi ha incaricato di chiederle se verrà o no alle corse. Certo che andrò” decise fra sé, sollevando la testa dal libro. E, raffiguratasi la gioia nel vederla, si illuminò nel viso.
— Manda a casa mia, perché attacchino al più presto la trojka — disse al cameriere che gli aveva servito la bistecca su un piatto d'argento caldo e, avvicinato il piatto, cominciò a mangiare.
Dalla sala accanto, dei biliardi, si sentivano colpi di palle, vocìo e risa. Alla porta d'ingresso apparvero due ufficiali: uno giovanissimo con un viso delicato, magro, che da poco era entrato nel reggimento dal corpo dei paggi; l'altro grasso, anziano, con un braccialetto al polso e i piccoli occhi infossati.
Vronskij li guardò, aggrottò le sopracciglia e, come se non li avesse notati, sbirciando il libro di traverso, prese a mangiare e a leggere insieme.
— O che, ti metti in forza per il lavoro? — disse l'ufficiale grasso, sedendosi accanto a lui.
— Lo vedi — rispose Vronskij, accigliandosi e asciugandosi le labbra senza guardarlo.
— Ma non hai paura d'ingrassare? — disse quello, girando una sedia per l'ufficiale giovane.
— Cosa? — disse Vronskij irritato, facendo una smorfia di disgusto che mostrò i suoi denti regolari.
— Non hai paura d'ingrassare?
— Cameriere, del Xeres — disse Vronskij senza rispondere e, posato il libro dall'altra parte, continuò a leggere.
L'ufficiale grasso prese la carta dei vini e si voltò verso il giovane.
— Scegli tu stesso quello che vuoi — disse, dandogli la carta e guardandolo.
— Prego, del Reno — disse l'ufficiale giovane, guardando timido Vronskij e cercando di lisciare con le dita i baffi incipienti. Visto che Vronskij non gli dava retta, l'ufficiale giovane si alzò.
— Andiamo al biliardo.
Il grassone si alzò docile, e si diressero insieme verso la porta.
In quel momento entrò nella sala il capitano Jašvin, alto e ben fatto, che, con un cenno sprezzante all'insù del capo verso i due ufficiali, s'accostò a Vronskij.
— Ah, eccolo! — gridò, battendogli con forza sulla spallina con la mano grande. Vronskij si voltò a guardare con stizza, ma subito il viso gli si illuminò della cordialità calma e decisa che gli era propria.
— Hai agito con intelligenza, Alëša — disse il capitano con una forte voce baritonale. — Adesso mangia e bevi un bicchierino.
— Ma non ne ho voglia.
— Ecco gl'inseparabili — aggiunse Jašvin, guardando con aria canzonatoria i due ufficiali che in quel momento uscivano dalla sala. E sedette accanto a Vronskij, piegando ad angolo acuto i suoi femori troppo lunghi per l'altezza delle sedie e le gambe strette nei pantaloni da cavallerizzo. — Come mai ieri sera non sei passato al teatro di Krasnoe Selo? La Numerova non andava mica male. Dove sei stato?
— Ho fatto tardi dai Tverskij — rispose Vronskij.
— Ah — ripeté Jašvin.
Jašvin, giocatore, uomo sregolato, senza principi fuorché quelli immorali, era il miglior amico di Vronskij nel reggimento. Vronskij gli voleva bene e per la sua non comune forza fisica, della quale dava prova in particolar modo bevendo come un otre e facendo a meno di dormire pur rimanendo sempre presente a se stesso, e per la sua grande forza morale che dimostrava nei rapporti con i superiori e i compagni, suscitando timore e stima, e che nel giuoco (per il quale si impegnava per decine di migliaia di rubli e che sempre conduceva, malgrado il vino bevuto, con grande abilità e freddezza) lo faceva considerare il miglior giocatore del club inglese. Vronskij lo stimava e gli voleva bene soprattutto perché sentiva che Jašvin gliene voleva non per il suo nome o per la sua ricchezza, ma per la sua persona. E tra tutti gli uomini solo con lui Vronskij avrebbe voluto parlare del suo amore. Sentiva che solamente Jašvin, pur ostentando disprezzo verso qualsiasi sentimento, lui solo, così sembrava a Vronskij, poteva capire quella passione prepotente, che riempiva tutta la sua vita. Inoltre era sicuro che Jašvin non godeva del pettegolezzo e dello scandalo, ma intendeva quel sentimento così come andava inteso, e capiva e credeva cioè che quel suo amore non era un giuoco, né uno svago, ma qualcosa di molto più grave ed importante.
Vronskij non aveva mai parlato con lui del suo amore, ma sentiva che egli sapeva tutto, che intendeva tutto così come andava inteso, e gli faceva piacere scorgere ciò dentro i suoi occhi.
— Ah, sì — disse Jašvin, alludendo al fatto che Vronskij era stato dai Tverskij e, dopo aver lasciato sfuggire un guizzo dai suoi occhi neri, afferrò il baffo sinistro e cominciò a ficcarselo in bocca, secondo una cattiva abitudine.
— Su, via, e tu ieri che hai fatto? Hai vinto? — chiese Vronskij.
— Ottomila rubli. Ma tre non sono sicuri: difficile che li dia.
— Su, così puoi anche perdere puntando su di me — disse Vronskij ridendo. (Jašvin aveva fatto una grossa scommessa su Vronskij).
— Non perderò per nulla affatto. Solo Machotin è pericoloso.
E la conversazione si aggirò sull'attesa delle corse di quel giorno alle quali solamente poteva pensare, ora, Vronskij.
— Andiamo, ho finito — disse Vronskij e, alzatosi, si diresse verso la porta. Jašvin si alzò anche lui, allungando l'enormi gambe e la lunga schiena.
— Per me è ancora presto per pranzare, ma non per bere. Vengo subito. Ehi, del vino! — gridò con la sua voce nota nel comando, tanto robusta da far tremare i vetri. — No, non occorre — gridò subito di nuovo. — Tu va' a casa, vengo anch'io con te. E andarono via insieme.