Parte Secunda: Capitolo IX
Anna camminava a testa china, giocherellando con le nappine del cappuccio. Il suo viso emanava un bagliore vivo; ma questo bagliore non era gaio, ricordava il bagliore sinistro di un incendio in una notte oscura. Visto il marito, Anna alzò il capo e, come svegliandosi, sorrise.
— Non sei a letto? Oh, ma questo è un miracolo! — disse, togliendosi il cappuccio e, senza fermarsi, proseguì verso lo spogliatoio. — È ora, Aleksej Aleksandrovic — disse di là dalla porta.
— Anna, ho bisogno di parlare con te.
— Con me? — disse lei sorpresa, uscendo dalla porta e guardandolo. — Cos'è mai? Di che si tratta? — chiese, sedendosi. — Parliamo pure, se è proprio tanto necessario. Sarebbe meglio dormire, però.
Anna diceva quel che le veniva sulle labbra e, nell'ascoltarsi, stupiva della propria capacità di mentire. Come erano semplici e naturali le sue parole e come era verosimile il fatto ch'ella avesse proprio sonno! Si sentiva rivestita d'un'impenetrabile maglia d'inganno. Sentiva che una forza invisibile l'aiutava e la sosteneva.
— Anna, devo metterti in guardia — egli disse.
— Mettermi in guardia? — rispose lei. Ella appariva così schietta e allegra che chiunque non l'avesse conosciuta non avrebbe notato nulla di straordinario nel suono e nel senso delle sue parole. Ma per lui che la conosceva, che sapeva come ella notasse perfino se egli andava a letto cinque minuti più tardi e ne chiedeva la ragione; per lui che sapeva come ella gli confidasse ogni sua gioia, ogni allegrezza e ogni suo dispiacere, per lui vedere come in questo momento ella non volesse accorgersi dello stato suo e nulla volesse dire di sé, significava molto. Sentiva che il fondo dell'animo suo, che un tempo gli si offriva, gli veniva ora precluso. Non solo, ma dal suo tono sentiva che tutto questo non turbava minimamente lei, ed era come se gli dicesse sul viso: «sì, è precluso, e così sarà d'ora in poi». Provava una sensazione simile a quella di un uomo che nel tornare a casa trovi la propria casa chiusa.
«Ma forse se ne troverà ancora la chiave» pensava Aleksej Aleksandrovic.
— Ti voglio mettere in guardia — disse a voce bassa — perché tu non dia, per incoscienza o leggerezza, motivo di far parlare di te in società. Il tuo colloquio di oggi troppo vivace con il conte Vronskij — pronunciò fermamente e dopo una tranquilla pausa questo nome — ha attirato su di te l'attenzione.
Egli parlava e guardava gli occhi ridenti di lei, ormai paurosi per la loro impenetrabilità, e parlando sentiva tutta la vanità e l'oziosità delle proprie parole.
— Tu sei sempre così — rispondeva lei, come se non riuscisse a capirlo in nessun modo e come se di tutto quello ch'egli aveva detto avesse afferrato solo l'ultima cosa. — Un momento ti spiace che io mi annoi, un momento che io sia allegra. Non mi sono annoiata. Questo forse ti offende?
Aleksej Aleksandrovic ebbe un brivido, piegò le mani per farle scricchiolare.
— Ah, ti prego, non le fare scricchiolare, non mi piace — disse lei.
— Ma, Anna, sei proprio tu? — disse Aleksej Aleksandrovic piano, facendo uno sforzo su di sé per trattenersi dal gesto abituale delle mani.
— Ma cos'è mai? — disse lei con uno stupore comicamente sincero. — Che vuoi da me?
Aleksej Aleksandrovic tacque, si fregò la fronte e gli occhi con una mano. Si accorgeva che invece di quello che voleva fare, mettere cioè in guardia la moglie da quello che poteva apparire un errore agli occhi del mondo, si agitava involontariamente per quello che riguardava la coscienza di lei, e lottava contro un muro creato dalla sua stessa immaginazione.
— Ecco quello che intendo dirti — continuò freddo e tranquillo — e ti chiedo di ascoltarmi. Come sai, io ritengo che la gelosia offenda e umilii, e non mi permetterò mai di lasciarmi andare a questo sentimento; ma ci sono certe leggi di convenienza che non possono essere impunemente trasgredite. Non sono stato io a notarlo quest'oggi, ma è l'impressione generale prodotta sulla compagnia; tutti hanno notato che il tuo contegno e il tuo comportamento non erano quali precisamente si potevano desiderare.
— Non capisco proprio nulla — disse Anna, stringendosi nelle spalle. «A lui personalmente non importa alcun che, ma la compagnia lo ha notato, e lui se ne inquieta». — Tu stai poco bene, Aleksej Aleksandrovic — aggiunse, alzandosi per uscire dalla porta; ma egli le si parò innanzi, quasi a fermarla.
Il suo viso era torvo e tetro come Anna non l'aveva mai veduto. Ella si fermò e, buttando il capo all'indietro, da un lato, prese a toglier via le forcine con la mano agile.
— Ebbene, io ascolto quel che devi dirmi — disse con calma e irrisione. — E ascolto anzi con interesse, perché vorrei capire di che cosa si tratta.
Parlava, e si stupiva del tono calmo e sincero che le veniva naturale e della scelta delle parole che adoperava.
— Io non ho alcun diritto di entrare in fondo ai tuoi sentimenti, anzi in genere ritengo ciò inutile e perfino dannoso — cominciò Aleksej Aleksandrovic . — Tante volte, scavando nell'anima nostra, ne facciamo venir fuori qualcosa che sarebbe rimasto inosservato. I tuoi sentimenti riguardano la tua coscienza; ma io ho l'obbligo verso di te, verso di me e verso Dio di indicarti i tuoi doveri. La nostra vita è stata legata non dagli uomini, ma da Dio. Solo un delitto può infrangere questo legame, e un delitto di tal genere porta con sé una pena.
— Non capisco nulla. Ah, Dio mio! e, per mia disgrazia, ho tanta voglia di dormire! — disse lei in fretta, toccando con la mano i capelli per cercarvi le forcine rimaste.
— Anna, in nome di Dio, non parlare così — disse lui sommesso. — Può darsi che io mi sbagli, ma credimi, quello che dico lo dico tanto per me come per te. Io sono tuo marito e ti amo.
Per un attimo la testa di lei si chinò e la luce ironica degli occhi si spense; ma la parola «amo» la irritò di nuovo. Pensò: «Ama? Può forse amare lui? Se non avesse sentito dire che esiste l'amore, non avrebbe neanche mai usato questa parola. Ma lui non sa neppure cosa sia l'amore!».
— Aleksej Aleksandrovic, davvero, non capisco — disse. — Precisa quello che pensi...
— Lasciami parlare, ti prego. Io ti amo. Ma io non parlo di me; qui le persone principali siete voi, tu e nostro figlio. Può darsi benissimo, ripeto, che le parole ti sembrino del tutto inutili e fuori posto; forse sono provocate da un mio smarrimento. In questo caso ti prego di perdonarmi. Ma se tu stessa senti che c'è anche il più piccolo fondamento, allora, ti prego, pensaci, e, se il cuore te lo dice, confidati...
Aleksej Aleksandrovic, senza rendersene conto, diceva cose affatto diverse da quelle che aveva preparate.
— Non ho nulla da dire. E poi... — ella disse in fretta, trattenendo a stento un sorriso — davvero è ora di dormire.
Aleksej Aleksandrovic sospirò e, senza dir più nulla, si diresse in camera.
Quando ella entrò, egli era già a letto. Le sue labbra erano severamente strette e gli occhi non la guardavano. Anna si coricò nel suo letto, aspettando ch'egli da un momento all'altro riprendesse a parlare. Ne aveva insieme paura e desiderio. Ma egli taceva. Ella attese a lungo, immobile, ma già lo aveva dimenticato: pensava all'altro, vedeva l'altro e sentiva che il cuore a questo pensiero le si riempiva di ansia e di gioia colpevole. A un tratto sentì un ronfio nasale, eguale e calmo. Dapprima Aleksej Aleksandrovic si spaventò quasi del proprio russare e si fermò, ma, dopo due respiri, il ronfio si fece sentire calmo e cadenzato.
— È tardi, è tardi ormai — mormorò lei con un sorriso. Rimase a lungo immobile con gli occhi aperti e le sembrava di vedere lei stessa, nel buio, il loro bagliore.