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Storia D'Italia, L'estate di San Martino (418-425) - Ep. 27 (1)

L'estate di San Martino (418-425) - Ep. 27 (1)

Salute e salve e benvenuti alla Storia d'Italia!

Nello scorso episodio abbiamo visto come l'attività energica di Flavio Costanzo abbia ricomposto un Impero d'occidente che pareva destinato al cestino della storia. Con energia e una buona dose di spregiudicatezza Flavio Costanzo ha sconfitto gli usurpatori del governo imperiale, ha costretto i Visigoti alla resa e poi ha utilizzato le armi gotiche per ridurre in poltiglia una parte degli invasori barbari del 406. Proprio quei Germani che con il loro attraversamento del Reno nel 31 dicembre del 406 avevano messo in moto la crisi dell'Impero occidentale.

In questo episodio vedremo come l'Impero continuerà nella sua apparente ripresa ma cercheremo anche di andare a fondo sui cambiamenti imposti dal terribile decennio che va dal 406 al 416, un decennio nel quale l'autorità di Ravenna si era a volte ristretta ad una tenue presa sull'Italia e il Nordafrica.

Ai contemporanei questi anni sembrarono una nuova primavera: quello che non sapevano è che era solo una estate di San Martino, il caldo periodo autunnale che precede l'arrivo dell'inverno. Come recita la celebre poesia di Pascoli, “Novembre”:

Gemmea l'aria, il sole così chiaro

che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,

e del prunalbo l'odorino amaro senti nel cuore…

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante

di nere trame segnano il sereno,

e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,

odi lontano, da giardini ed orti,

di foglie un cader fragile. È l'estate, fredda, dei morti.

De reditu suo

Spezzone del film “De reditu suo”, Rutilio parte per la Gallia, considerazioni sulla decadenza dell'Impero

Nel 418 un poeta torna alla sua patria, si tratta di Rutilio Namaziano, un importante nobile gallico che dopo anni a Roma torna nella sua devastata Gallia: il suo obiettivo è rimboccarsi le maniche per ricostruire la sua patria. Il suo poema “il ritorno” è un documento eccezionale sul quinto secolo. Alla partenza il poeta declama una lunga ode a Roma, in quelle che forse sono le più belle parole mai dedicatele:

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O Roma, nessuno, finché vive, potrà dimenticarti […] Hai riunito popoli diversi in una sola patria; la tua conquista ha giovato a chi viveva senza leggi; offrendo ai vinti il retaggio della tua civiltà, di tutto il mondo diviso hai fatto un'unica città.

Rutilio tornava in Gallia perché Costanzo, dopo le vittorie degli ultimi anni, aveva deciso che era arrivato il momento di rimettere in piedi la macchina statale tanto provata dalla buriana appena passata.

Nel 418 fu riconvocato il concilio delle sette province galliche, un'assemblea annuale dei magnati delle Gallie che si sarebbe tenuta ogni anno ad Arles, la nuova capitale della Gallia che aveva sostituito Trier, troppo esposta alla frontiera germanica, un po' come Ravenna aveva sostituito Milano. Questa assemblea, anche se nessuno la chiamerà in questo modo, era una sorta di Senato delle Gallie, come il Senato di Roma era oramai divenuta l'assemblea dei potenti dell'Italia. Ed è così che lo chiamerò io, per semplicità. La sua costituzione era un modo di riconquistarsi il favore delle Gallie che, come abbiamo visto, avevano avuto molto da ridire sul comportamento di Ravenna durante la crisi: occorreva riallacciare i rapporti con quest'area fondamentale per l'impero e si può dire che da questo momento in poi l'Impero d'occidente sarà un condominio tra l'aristocrazia terriera italiana e quella gallo-romana. Come vedremo, le due non andranno sempre d'amore e d'accordo.

Il probabile argomento principale della prima sessione del Senato Gallico fu la sistemazione dei Visigoti in Aquitania: occorreva decidere la modalità con la quale questa sarebbe avvenuta. Purtroppo non sappiamo esattamente come avvenne e gli storici litigano da secoli su questo punto: fino all'Ottocento si pensava addirittura che i Goti avessero conquistato l'Aquitania, manu militari. È invece oramai largamente dimostrato che i Goti si installarono in Aquitania con l'autorizzazione e gli auspici del governo di Ravenna e di Arles. Quello sul quale gli storici litigano è la modalità.

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Alcuni storici sostengono che vi fu una vera e propria espropriazione delle terre dei latifondisti romani: due terzi delle terre sarebbero andate ai Goti, probabilmente in gran parte le terre pubbliche e di proprietà imperiale ma anche terre dell'élite senatoriale: la base legale di questa violenta occupazione sarebbe stata la legge della hospitalitas. Per hospitalitas si intende un istituto giuridico del tardo impero, per cui, nel caso i soldati non avessero un luogo dove alloggiare, i cittadini erano tenuti ad ospitarli in casa loro, cedendo loro un terzo della loro casa. Questa legge sarebbe stata estesa fino a comprendere intere proprietà, anche se è evidente che l'hospitalitas fosse uno strumento giuridico per l'alloggio di unità militari all'interno delle città e non per dividere campi coltivati.

Altri storici, tra i quali Wolfram, sostengono che l'hospitalitas non va intesa letteralmente. I Romani non sarebbero stati affatto espropriati delle loro terre. Ai Goti sarebbero semplicemente andati i due terzi delle entrate fiscali dell'Aquitania, un terzo per finanziare l'esercito Gotico e un terzo per finanziare le nuove strutture politiche del regno di Tolosa. L'ultimo terzo sarebbe rimasto all'amministrazione civile romana per gestire le spese correnti delle città. Ho letto e riletto varie opinioni a favore e contro questa tesi e mi sono convinto che si tratti di quella più vicina alla realtà. Questi introiti fiscali – la parte Gotica – erano esenti dalle tasse, eppure sappiamo che I Goti con il tempo finirono anche per acquisire delle proprietà terriere e su queste pagavano le tasse regolarmente. Inoltre non abbiamo alcun segno che i Goti fossero pagati dal fisco, questo di nuovo perché il fisco Romano aveva sostanzialmente ceduto le sue entrate dell'Aquitania per finanziare l'esercito dei Goti, in cambio dei loro servigi militari. I proprietari terrieri avevano sempre pagato la maggior parte delle loro tasse per finanziare l'esercito romano: la nuova situazione non deve essergli parsa molto diversa, con la differenza che i Goti erano degli esattori peggiori e meno determinati, cosa che rese il regno di Tolosa una specie di paradiso fiscale nell'opprimente quinto secolo romano.

La devastazione dell'Italia

Il gettito fiscale dell'impero non era stato ridotto solo dalla cessione dell'Aquitania. L'intera Gallia, la Spagna e l'Italia avevano sofferto molto per mano di Goti e Germani. Nel suo viaggio di ritorno in Gallia, Rutilio Namaziano decise di viaggiare via nave perché le strade e le stazioni di posta lungo la via Aurelia erano state rovinate dalla guerra e non più restaurate. Le campagne erano state tanto devastate dai Goti che una legge del 412 cercò di dare un certo sollievo fiscale a varie province italiane: la Campania, la Toscana, il Piceno, il Sannio, la Puglia, la Calabria, la Lucania e l'Abruzzo, praticamente l'intera Italia centromeridionale. Le tasse per queste regioni furono abbassate per cinque anni dell'80%. In Gallia credo che le devastazioni furono persino peggiori mentre in penisola iberica le cose andarono probabilmente meglio, anche se ancora nel 418 diversi pezzi della penisola erano ancora occupati abusivamente dagli invasori del Reno. Tutti questi dettagli fanno intendere che il gettito fiscale imperiale fosse diminuito in misura importante, nel complesso probabilmente tra il 25 e il 50%.

L'esercito di Flavio Costanzo

📷

https://italiastoria.files.wordpress.com/2019/10/not_0003.jpg?w=262" alt=""/>

Immagine di una illustrazione della Notitia Dignitatum, si tratta dell'insegna del Magister Peditum e di alcuni dei reggimenti sotto il suo controllo

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Come ho detto spesso le tasse, nel mondo romano, servivano sostanzialmente a finanziare l'esercito. Ci si potrebbe aspettare che con una riduzione talmente importante del gettito fiscale si fosse anche ristretto l'esercito: eppure proprio al 420 risale la Notitia Dignitatum e a prima vista questo documento straordinario sulla organizzazione militare e burocratica dell'impero ci dà una fotografia di un esercito sempre imponente: 181 reggimenti da campo, vale a dire circa 150 mila uomini, a cui dovevano sommarsi limitanei e ovviamente i foederati, come i Goti. Si tratta a prima vista di un esercito immenso, per nulla inferiore all'esercito romano classico. Eppure se si scava un po' si nota come di questi 181 reggimenti la gran parte fosse stata costituita ai tempi di Flavio Costanzo, promuovendo vecchie unità di limitanei al grado di unità comitatensi; come sappiamo le capacità belliche dei limitanei erano piuttosto limitate. Del vecchio esercito di Stilicone sopravvivevamo solo 84 reggimenti, cosa che ci fa intuire che gli altri fossero stati probabilmente spazzati via dal terribile decennio di guerra che va dal 406 al 416. Soprattutto l'esercito del Reno in Gallia aveva sofferto moltissimo a causa delle invasioni barbariche e poi delle ripetute usurpazioni. Ogni esercito prospera nella continuità: un tale livello di discontinuità di reclutamento non può non aver influito sulla qualità dei soldati, senza considerare il fatto che le unità dei limitanei non erano state ricostituite: i vecchi Dux avevano pochi soldati per fare guardia e frontiere sempre più porose.

Nonostante i tagli al bilancio sospetto che l'esercito – pur ridotto – fosse comunque troppo grande per il gettito fiscale: per farvi fronte l'impero, nella lotta per la sopravvivenza, fu costretto a tassare i suoi proprietari terrieri ancor di più del solito: arriverà un giorno, presto, in cui l'alternativa tra rimanere romani, continuando a pagare tasse esorbitanti, e affidarsi al dominio più semplice e meno costoso dei barbari inizierà ad essere una proposta allettante per molti romani.

Robin Hood alla romana

📷

https://italiastoria.files.wordpress.com/2020/04/evariste-vital_luminais-pillards_gaulois.jpg?w=1024" alt=""/>

‘Pillers galois', 1867. Musee de Langus. (Photo by Art Media/Print Collector/Getty Images)

Già da subito però la guerra aveva portato ad un riacuirsi di un fenomeno antico: i Bagaudi. Come ho detto in altri episodi gli storici romani chiamano Bagaudi tutte le ribellioni dei ceti oppressi dallo stato romano. Le ribellioni dei contadini impoveriti e semi-schiavizzati erano una costante nell'impero ogni qualvolta che si indeboliva il potere coercitivo dello stato imperiale, il cui compito principale era di difendere i diritti e i privilegi di una ristretta classe di proprietari terrieri. Quando però la guerra civile o le invasioni barbariche allentavano la presa dello stato romano sulle campagne i Bagaudi emergevano, spesso bande di razziatori che saccheggiavano e taglieggiavano i proprietari terrieri privi della difesa delle armi romane. I latifondisti venivano spesso rapiti e le loro belle ville venivano saccheggiate e messe a fuoco. Non c'è da sorprendersi quindi nello scoprire che anche il terribile decennio successivo al 406 vide una esplosione del fenomeno dei Bagaudi, con una concentrazione particolare in Gallia. Alcuni storici sostengono che i Goti furono stabiliti in Gallia anche per riportare l'ordine sociale in quella parte dell'impero, grazie al potere coercitivo e di deterrenza delle loro armi, armi che erano finanziate e al servizio del potere imperiale.

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Insomma, l'impero era riuscito a risollevarsi e a rimettersi in piedi e l'azione di Flavio Costanzo è sicuramente impressionante, su qualunque piano lo si voglia vedere. Ma lo tsunami non poteva non aver lasciato delle cicatrici sul corpo vivo dello stato romano e infatti le lasciò: con il tempo e decenni di pace forse si sarebbe potuto rimediare a questi guasti, come si era rimediato in gran parte ai guasti della crisi del terzo secolo. Ma i romani non saranno a questo giro altrettanto capaci, o forse altrettanto fortunati.

Il generalissimo diventa imperatore

Nel 421 Flavio Costanzo era oramai al centro del potere di Ravenna da più di un decennio, da anni era sposato con Galla Placidia, la principessa dei Goti e dei Romani, ed era anche il padre del presunto erede al trono, il piccolo Valentiniano. L'implacabile logica imperiale giunse quindi a conclusione e quell'anno Flavio Costanzo fu invitato a condividere il trono con Onorio, diventando lui stesso augusto. Come l'ingresso di Teodosio nella famiglia imperiale aveva rafforzato la dinastia Valentiniana anche l'ingresso definitivo di Flavio Costanzo avrebbe potuto portare nuova vita ad una dinastia che si distingueva per avere imperatori quanto meno scialbi. Eppure non andò così, perché in oriente si decisero a non riconoscere Flavio Costanzo.

📷

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Ricostruzione dell'aspetto originale delle immense mura di Costantinopoli, costruite da Antemio

Per comprendere la posizione di Costantinopoli dobbiamo fare un passo indietro: alla morte dell'imperatrice Aelia Eudoxia, nel 404, le redini del potere erano state prese dal potente Prefetto del Pretorio Antemio che aveva guidato il governo di Costantinopoli anche nel difficile passaggio di potere tra l'inutile Arcadio e il suo giovane figlioletto Teodosio II. Antemio aveva assistito alla crescita del potere degli Unni, che in quegli anni si erano spostati verso la grande pianura ungherese ai confini dell'impero. Nel 408 gli Unni di Uldin avevano invaso la Romania alla morte di Arcadio, pensando forse che l'impero fosse in crisi. Antemio era riuscito a respingerli ma aveva deciso che era arrivato il momento di dotare la capitale di un sistema difensivo ancora più formidabile di quello costruito da Costantino: Antemio aveva realizzato le immense mura dette oggi teodosiane e che in realtà sarebbe più corretto nominare di Antemio: una doppia linea di difesa che è la massima realizzazione della tecnologia militare romana. Ho visto le mura di Costantinopoli e hanno ancora oggi un aspetto formidabile, nell'antichità e nel medioevo dovevano semplicemente sembrare sovraumane: a chiunque sostiene che le capacità costruttive dei Romani fossero in declino nel quinto secolo consiglio di dare un'occhiata a queste mura al cui confronto le mura Aureliane di Roma da sembrano un gioco ragazzi. Le mura di Antemio sono un tale pinnacolo della tecnologia militare difensiva che ci vorranno mille anni, un impero ridotto alla quasi impotenza, l'invenzione della polvere da sparo e poi la costruzione di uno dei più grandi cannoni mai costruiti dall'uomo per poter finalmente infrangere le mura di terra dell'Impero Romano.

L'estate di San Martino (418-425) - Ep. 27 (1) Der Sommer des Heiligen Martin (418-425) - Ep. 27 (1) The Summer of St. Martin (418-425) - Ep. 27 (1) O verão de São Martinho (418-425) - Ep. 27 (1)

Salute e salve e benvenuti alla Storia d'Italia!

Nello scorso episodio abbiamo visto come l'attività energica di Flavio Costanzo abbia ricomposto un Impero d'occidente che pareva destinato al cestino della storia. Con energia e una buona dose di spregiudicatezza Flavio Costanzo ha sconfitto gli usurpatori del governo imperiale, ha costretto i Visigoti alla resa e poi ha utilizzato le armi gotiche per ridurre in poltiglia una parte degli invasori barbari del 406. Proprio quei Germani che con il loro attraversamento del Reno nel 31 dicembre del 406 avevano messo in moto la crisi dell'Impero occidentale.

In questo episodio vedremo come l'Impero continuerà nella sua apparente ripresa ma cercheremo anche di andare a fondo sui cambiamenti imposti dal terribile decennio che va dal 406 al 416, un decennio nel quale l'autorità di Ravenna si era a volte ristretta ad una tenue presa sull'Italia e il Nordafrica.

Ai contemporanei questi anni sembrarono una nuova primavera: quello che non sapevano è che era solo una estate di San Martino, il caldo periodo autunnale che precede l'arrivo dell'inverno. Come recita la celebre poesia di Pascoli, “Novembre”:

Gemmea l'aria, il sole così chiaro

che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,

e del prunalbo l'odorino amaro senti nel cuore…

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante

di nere trame segnano il sereno,

e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,

odi lontano, da giardini ed orti,

di foglie un cader fragile. È l'estate, fredda, dei morti.

De reditu suo

Spezzone del film “De reditu suo”, Rutilio parte per la Gallia, considerazioni sulla decadenza dell'Impero

Nel 418 un poeta torna alla sua patria, si tratta di Rutilio Namaziano, un importante nobile gallico che dopo anni a Roma torna nella sua devastata Gallia: il suo obiettivo è rimboccarsi le maniche per ricostruire la sua patria. Il suo poema “il ritorno” è un documento eccezionale sul quinto secolo. Alla partenza il poeta declama una lunga ode a Roma, in quelle che forse sono le più belle parole mai dedicatele:

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__O Roma, nessuno, finché vive, potrà dimenticarti \[…\] Hai riunito popoli diversi in una sola patria; la tua conquista ha giovato a chi viveva senza leggi; offrendo ai vinti il retaggio della tua civiltà, di tutto il mondo diviso hai fatto un'unica città.__

Rutilio tornava in Gallia perché Costanzo, dopo le vittorie degli ultimi anni, aveva deciso che era arrivato il momento di rimettere in piedi la macchina statale tanto provata dalla buriana appena passata.

Nel 418 fu riconvocato il concilio delle sette province galliche, un'assemblea annuale dei magnati delle Gallie che si sarebbe tenuta ogni anno ad Arles, la nuova capitale della Gallia che aveva sostituito Trier, troppo esposta alla frontiera germanica, un po' come Ravenna aveva sostituito Milano. Questa assemblea, anche se nessuno la chiamerà in questo modo, era una sorta di Senato delle Gallie, come il Senato di Roma era oramai divenuta l'assemblea dei potenti dell'Italia. Ed è così che lo chiamerò io, per semplicità. La sua costituzione era un modo di riconquistarsi il favore delle Gallie che, come abbiamo visto, avevano avuto molto da ridire sul comportamento di Ravenna durante la crisi: occorreva riallacciare i rapporti con quest'area fondamentale per l'impero e si può dire che da questo momento in poi l'Impero d'occidente sarà un condominio tra l'aristocrazia terriera italiana e quella gallo-romana. Come vedremo, le due non andranno sempre d'amore e d'accordo.

Il probabile argomento principale della prima sessione del Senato Gallico fu la sistemazione dei Visigoti in Aquitania: occorreva decidere la modalità con la quale questa sarebbe avvenuta. Purtroppo non sappiamo esattamente come avvenne e gli storici litigano da secoli su questo punto: fino all'Ottocento si pensava addirittura che i Goti avessero conquistato l'Aquitania, manu militari. È invece oramai largamente dimostrato che i Goti si installarono in Aquitania con l'autorizzazione e gli auspici del governo di Ravenna e di Arles. Quello sul quale gli storici litigano è la modalità.

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Alcuni storici sostengono che vi fu una vera e propria espropriazione delle terre dei latifondisti romani: due terzi delle terre sarebbero andate ai Goti, probabilmente in gran parte le terre pubbliche e di proprietà imperiale ma anche terre dell'élite senatoriale: la base legale di questa violenta occupazione sarebbe stata la legge della hospitalitas. Per hospitalitas si intende un istituto giuridico del tardo impero, per cui, nel caso i soldati non avessero un luogo dove alloggiare, i cittadini erano tenuti ad ospitarli in casa loro, cedendo loro un terzo della loro casa. Questa legge sarebbe stata estesa fino a comprendere intere proprietà, anche se è evidente che l'hospitalitas fosse uno strumento giuridico per l'alloggio di unità militari all'interno delle città e non per dividere campi coltivati.

Altri storici, tra i quali Wolfram, sostengono che l'hospitalitas non va intesa letteralmente. I Romani non sarebbero stati affatto espropriati delle loro terre. Ai Goti sarebbero semplicemente andati i due terzi delle entrate fiscali dell'Aquitania, un terzo per finanziare l'esercito Gotico e un terzo per finanziare le nuove strutture politiche del regno di Tolosa. L'ultimo terzo sarebbe rimasto all'amministrazione civile romana per gestire le spese correnti delle città. Ho letto e riletto varie opinioni a favore e contro questa tesi e mi sono convinto che si tratti di quella più vicina alla realtà. Questi introiti fiscali – la parte Gotica – erano esenti dalle tasse, eppure sappiamo che I Goti con il tempo finirono anche per acquisire delle proprietà terriere e su queste pagavano le tasse regolarmente. Inoltre non abbiamo alcun segno che i Goti fossero pagati dal fisco, questo di nuovo perché il fisco Romano aveva sostanzialmente ceduto le sue entrate dell'Aquitania per finanziare l'esercito dei Goti, in cambio dei loro servigi militari. I proprietari terrieri avevano sempre pagato la maggior parte delle loro tasse per finanziare l'esercito romano: la nuova situazione non deve essergli parsa molto diversa, con la differenza che i Goti erano degli esattori peggiori e meno determinati, cosa che rese il regno di Tolosa una specie di paradiso fiscale nell'opprimente quinto secolo romano.

La devastazione dell'Italia

Il gettito fiscale dell'impero non era stato ridotto solo dalla cessione dell'Aquitania. L'intera Gallia, la Spagna e l'Italia avevano sofferto molto per mano di Goti e Germani. Nel suo viaggio di ritorno in Gallia, Rutilio Namaziano decise di viaggiare via nave perché le strade e le stazioni di posta lungo la via Aurelia erano state rovinate dalla guerra e non più restaurate. Le campagne erano state tanto devastate dai Goti che una legge del 412 cercò di dare un certo sollievo fiscale a varie province italiane: la Campania, la Toscana, il Piceno, il Sannio, la Puglia, la Calabria, la Lucania e l'Abruzzo, praticamente l'intera Italia centromeridionale. Le tasse per queste regioni furono abbassate per cinque anni dell'80%. In Gallia credo che le devastazioni furono persino peggiori mentre in penisola iberica le cose andarono probabilmente meglio, anche se ancora nel 418 diversi pezzi della penisola erano ancora occupati abusivamente dagli invasori del Reno. Tutti questi dettagli fanno intendere che il gettito fiscale imperiale fosse diminuito in misura importante, nel complesso probabilmente tra il 25 e il 50%.

L'esercito di Flavio Costanzo

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Immagine di una illustrazione della Notitia Dignitatum, si tratta dell'insegna del Magister Peditum e di alcuni dei reggimenti sotto il suo controllo

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Come ho detto spesso le tasse, nel mondo romano, servivano sostanzialmente a finanziare l'esercito. Ci si potrebbe aspettare che con una riduzione talmente importante del gettito fiscale si fosse anche ristretto l'esercito: eppure proprio al 420 risale la Notitia Dignitatum e a prima vista questo documento straordinario sulla organizzazione militare e burocratica dell'impero ci dà una fotografia di un esercito sempre imponente: 181 reggimenti da campo, vale a dire circa 150 mila uomini, a cui dovevano sommarsi limitanei e ovviamente i foederati, come i Goti. Si tratta a prima vista di un esercito immenso, per nulla inferiore all'esercito romano classico. Eppure se si scava un po' si nota come di questi 181 reggimenti la gran parte fosse stata costituita ai tempi di Flavio Costanzo, promuovendo vecchie unità di limitanei al grado di unità comitatensi; come sappiamo le capacità belliche dei limitanei erano piuttosto limitate. Del vecchio esercito di Stilicone sopravvivevamo solo 84 reggimenti, cosa che ci fa intuire che gli altri fossero stati probabilmente spazzati via dal terribile decennio di guerra che va dal 406 al 416. Soprattutto l'esercito del Reno in Gallia aveva sofferto moltissimo a causa delle invasioni barbariche e poi delle ripetute usurpazioni. Ogni esercito prospera nella continuità: un tale livello di discontinuità di reclutamento non può non aver influito sulla qualità dei soldati, senza considerare il fatto che le unità dei limitanei non erano state ricostituite: i vecchi Dux avevano pochi soldati per fare guardia e frontiere sempre più porose.

Nonostante i tagli al bilancio sospetto che l'esercito – pur ridotto – fosse comunque troppo grande per il gettito fiscale: per farvi fronte l'impero, nella lotta per la sopravvivenza, fu costretto a tassare i suoi proprietari terrieri ancor di più del solito: arriverà un giorno, presto, in cui l'alternativa tra rimanere romani, continuando a pagare tasse esorbitanti, e affidarsi al dominio più semplice e meno costoso dei barbari inizierà ad essere una proposta allettante per molti romani.

Robin Hood alla romana

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‘Pillers galois', 1867. Musee de Langus. (Photo by Art Media/Print Collector/Getty Images)

Già da subito però la guerra aveva portato ad un riacuirsi di un fenomeno antico: i Bagaudi. Come ho detto in altri episodi gli storici romani chiamano Bagaudi tutte le ribellioni dei ceti oppressi dallo stato romano. Le ribellioni dei contadini impoveriti e semi-schiavizzati erano una costante nell'impero ogni qualvolta che si indeboliva il potere coercitivo dello stato imperiale, il cui compito principale era di difendere i diritti e i privilegi di una ristretta classe di proprietari terrieri. Quando però la guerra civile o le invasioni barbariche allentavano la presa dello stato romano sulle campagne i Bagaudi emergevano, spesso bande di razziatori che saccheggiavano e taglieggiavano i proprietari terrieri privi della difesa delle armi romane. I latifondisti venivano spesso rapiti e le loro belle ville venivano saccheggiate e messe a fuoco. Non c'è da sorprendersi quindi nello scoprire che anche il terribile decennio successivo al 406 vide una esplosione del fenomeno dei Bagaudi, con una concentrazione particolare in Gallia. Alcuni storici sostengono che i Goti furono stabiliti in Gallia anche per riportare l'ordine sociale in quella parte dell'impero, grazie al potere coercitivo e di deterrenza delle loro armi, armi che erano finanziate e al servizio del potere imperiale.

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Il generalissimo diventa imperatore

Nel 421 Flavio Costanzo era oramai al centro del potere di Ravenna da più di un decennio, da anni era sposato con Galla Placidia, la principessa dei Goti e dei Romani, ed era anche il padre del presunto erede al trono, il piccolo Valentiniano. L'implacabile logica imperiale giunse quindi a conclusione e quell'anno Flavio Costanzo fu invitato a condividere il trono con Onorio, diventando lui stesso augusto. Come l'ingresso di Teodosio nella famiglia imperiale aveva rafforzato la dinastia Valentiniana anche l'ingresso definitivo di Flavio Costanzo avrebbe potuto portare nuova vita ad una dinastia che si distingueva per avere imperatori quanto meno scialbi. Eppure non andò così, perché in oriente si decisero a non riconoscere Flavio Costanzo.

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Ricostruzione dell'aspetto originale delle immense mura di Costantinopoli, costruite da Antemio

Per comprendere la posizione di Costantinopoli dobbiamo fare un passo indietro: alla morte dell'imperatrice Aelia Eudoxia, nel 404, le redini del potere erano state prese dal potente Prefetto del Pretorio Antemio che aveva guidato il governo di Costantinopoli anche nel difficile passaggio di potere tra l'inutile Arcadio e il suo giovane figlioletto Teodosio II. Antemio aveva assistito alla crescita del potere degli Unni, che in quegli anni si erano spostati verso la grande pianura ungherese ai confini dell'impero. Nel 408 gli Unni di Uldin avevano invaso la Romania alla morte di Arcadio, pensando forse che l'impero fosse in crisi. Antemio era riuscito a respingerli ma aveva deciso che era arrivato il momento di dotare la capitale di un sistema difensivo ancora più formidabile di quello costruito da Costantino: Antemio aveva realizzato le immense mura dette oggi teodosiane e che in realtà sarebbe più corretto nominare di Antemio: una doppia linea di difesa che è la massima realizzazione della tecnologia militare romana. Ho visto le mura di Costantinopoli e hanno ancora oggi un aspetto formidabile, nell'antichità e nel medioevo dovevano semplicemente sembrare sovraumane: a chiunque sostiene che le capacità costruttive dei Romani fossero in declino nel quinto secolo consiglio di dare un'occhiata a queste mura al cui confronto le mura Aureliane di Roma da sembrano un gioco ragazzi. Le mura di Antemio sono un tale pinnacolo della tecnologia militare difensiva che ci vorranno mille anni, un impero ridotto alla quasi impotenza, l'invenzione della polvere da sparo e poi la costruzione di uno dei più grandi cannoni mai costruiti dall'uomo per poter finalmente infrangere le mura di terra dell'Impero Romano.