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Radar Podcast, Radar ep.6 Se mi offendi ti cancello con Alessandro Portelli

Radar ep.6 Se mi offendi ti cancello con Alessandro Portelli

Quello che noi chiamiamo cancel culture è, spesso e volentieri, semplicemente il gesto

di qualcuno che si permette di criticare qualcun altro.

Oggi la metafora, appunto, per cui se io ti critico ti ho ucciso, se io ti critico ti

cancello, viene presa eccessivamente alla lettera.

Quello che rischiamo di cancellare, giustamente riconoscendo gli eccessi e i dogmatismi e

i settalismi, ma quello che rischiamo di cancellare è il diritto di critica.

E questo a me sembra la tendenza prevalente in questo momento negli Stati Uniti.

Radar è una serie di conversazioni settimanali sulle questioni essenziali del nostro tempo,

ogni volta in compagnia di un esperto per cercare di andare in profondità, rimettere

ordine e orientarsi.

Da qualche tempo, anche in Italia, si parla di cancel culture, un fenomeno che da molti

anni caratterizza la scena culturale americana.

Sulla definizione di questa espressione c'è molto dibattito, come vedremo tra breve, ma

possiamo dire che comunemente per cancel culture si intende l'idea che vadano cancellati

dal discorso pubblico i personaggi che si esprimono in maniera offensiva per la sensibilità

di minoranze di solito o comunque di gruppi che hanno minore accesso al discorso pubblico,

o lo hanno avuto in passato.

Oggi ci concentreremo su un aspetto particolare, ma molto importante, cioè la cancel culture

relativa al passato, per l'appunto alle opere del passato che sono monumenti, per esempio,

ma anche film e anche libri che, secondo alcuni, andrebbero cancellati o comunque ridimensionati

di importanza perché portatori di messaggi violenti, alcune volte razzisti e comunque

discriminatori.

Facciamo un esempio, tanto per capirci.

A Bristol, il 7 giugno 2020, è stata buttata giù una statua eretta molto tempo prima,

nel 1865, ed era una statua di Edward Colston, un mercante vissuto nel Seicento che aveva

fatto molte azioni filantropiche ed è per questo che gli hanno fatto la statua, ma si

era anche arricchito col commercio di schiavi ed è per questo che è stata abbattuta.

Pochi giorni prima dell'abbattimento della statua c'era stato l'episodio tragico dell'uccisione

di George Floyd da parte di un poliziotto americano che aveva originato il movimento

Black Lives Matter e quindi la statua Colston, in quanto mercante e razzista, è stata abbattuta.

Altre statue non state rimosse, ma su un altro settore, nel giugno del 2020, la HBO rimuove

dal suo catalogo, anche se poi lo ripristina, addirittura un film famosissimo come Via Colvento

giudicandolo razzista. E addirittura in diverse università americane sono state censurate

o quantomeno si è richiesto di censurare dei testi letterari antichi, anche classici,

nel Metamorfosi di Ovidio, l'Odissea, giudicati anche questi per certi versi discriminatori

o violenti. Ecco, al di là di alcuni aspetti, forse anche un po' eccessivi, comunque parossistici,

della cancel culture, si pone una questione molto interessante, che è quella del rapporto

nostro con la memoria collettiva, col passato, in cui si ripropongono dal passato dei conflitti

più o meno attuali. Abbiamo pensato di affrontarlo con uno storico che se ne è occupato molto,

in maniera molto articolata, anche con delle tesi molto chiare, che è Alessandro Portelli.

Alessandro Portelli è uno dei maggiori storici della cultura americana, si è occupato molto

di letteratura, ma anche di musica, per esempio ha pubblicato con l'edizione dei Donzelli

due libri dedicati a Bruce Springsteen e a Bob Dylan. Con noi, con Laterza, ha fatto

un podcast che poi è diventato uno spettacolo intitolato Mystery Train, che è dedicato

al mito del treno nella cultura americana. Alle questioni di cui parleremo oggi con lui,

ha dedicato una sezione del suo libro Il ginocchio sul collo, l'America, il razzismo e la violenza

tra presente, storia e immaginari, in cui approfondisce questi aspetti. Buongiorno

Alessandro. Buongiorno, buongiorno e grazie di questo incontro. Grazie a te. Partiamo

con una prima domanda. Alcuni hanno detto e hanno sostenuto che non è mai giustificato

l'abbattimento di statue che magari sono state erette appunto cent'anni prima, anche se durante

regimi politici lontani, perché alcuni sostengono che sono una parte ormai dello scenario urbano,

ecco tu invece come la vedi? Ma guarda, a me vengono in mente tre episodi. Non so se è

presente la prima pagina della Certosa di Parma di Stendhal. Nella prima pagina della

Certosa di Parma, Stendhal scrive, i milanesi erano rimasti immersi nella notte profonda,

dato il perdurare del geloso dispotismo di Carlo V e di Filippo II. Rovesciarono le loro

statue e d'un tratto si trovarono inondati di luce. Il secondo episodio che mi viene in

mente, cito da Internazionale, l'8 dicembre del 2013, una folla urlante si raduna in un

viale che porta al centro di Kiev, in Ucraina. L'obiettivo della manifestazione è abbattere

dal suo piedistallo una statua di marmo di Lenin, alta circa tre metri e mezzo. Appena

la statua cade, i giovani ucraini, avvolti in bandiere e striscioni gialli e azzurri,

cominciano a distruggerla a colpi di martello, mentre un nostalgico comunista cerca di proteggere

con il suo corpo quello che rimane dell'icona di Lenin. Infine, dal National Geographic,

il 1 luglio 2020. Il 9 luglio 1776, mentre i cittadini di New York erano radunati per

ascoltare il testo della dichiarazione d'indipendenza appena giunto da Filadelfia, una folla tirò

giù e fece a pezzi la solenne statua equestre di Giorgio III, re d'Inghilterra. Quasi

tutto il piombo recuperato fu usato per fare proiettili dell'esercito coloniale rivolta.

Questi episodi non fanno parte di una presunta furie iconoclastica del politically correct

contemporaneo, fanno parte di una plurisecolare tradizione storica in cui tutti e tre questi

momenti, l'abbattimento di Carlo V, l'abbattimento di Lenin, l'abbattimento di Giorgio III, sono

raccontati come momenti di liberazione, cioè non sono cancellazione della storia, sono essi stessi

storia. Cioè è un grande fatto storico la caduta del comunismo e tra l'altro nessuno ha mai parlato

di cancel culture per la, secondo me, giustificatissima cancellazione delle statue di Marx e Lenin

dalle città dell'Europa dell'Est, lo dico da marxista più o meno immaginario. Hanno fatto bene.

Quindi mentre noi vediamo come momenti di liberazione l'abbattimento delle statue dei

nostri tiranni, non riusciamo a vedere lo stesso quando vengono abbattute le statue dei tiranni di

qualcun altro, la statua di un mercante di schiavi, di un generale schiavista. Io credo perché nel

episodio che ho citato vediamo l'irrompere nella storia dei nostri antenati, i nostri fratelli,

cioè maschi, bianchi, occidentali, liberal democratici più o meno. Ma quando quelli che

rivendicano la liberazione dello spazio pubblico, del discorso pubblico, sono soggetti che finora

erano tenuti in condizioni di subalternità e che per il solo fatto di emergere irrompono in uno

spazio che sembrava solo nostro, allora noi sentiamo una minaccia. Noi siamo tutti sinceramente

antirazzisti, antimaschististi, però alla fine sentiamo che la storia dell'antirazzismo e della

liberazione la dobbiamo raccontare noi, non loro. Per esempio la statua di Lincoln con lo schiavo

in catene ai piedi del suo liberatore, la statua di Roosevelt recentemente rimossa con lui a cavallo

e il nero seminudo e l'indiano con le penne a suo seguito, perché siamo noi che liberiamo loro.

Quando quello inginocchiato si alza e pretende di essere lui a raccontare, e magari si porta

dietro, come diceva Ernesto De Martino, tutte le storie di secoli di oppressione, allora

diciamo che cancella la storia, la sta facendo la storia. E infatti l'altro elemento, le statue non

sono la storia, le statue non sono la memoria, le statue sono una narrazione storica dettata da chi

ha il potere di erigerle. Abbattendo quelle statue non è che sia stata cancellata la memoria storica

di Carlo V, di Lenin o di Giorgio III. Carlo V sappiamo tutti chi è, sta pure nei manuali delle

scuole medie, Lenin tutte le biblioteche se uno lo vuol leggere, Giorgio III sappiamo benissimo chi è.

Non è stata cancellata la storia, può darsi che dopo aver buttato giù quelle statue i cittadini di Milano,

di Kiev e di New York avessero un'idea un po' diversa, meno manipolata della loro storia.

E vorrei aggiungere che noi confondiamo molto spesso la irruzione dal basso di nuovi soggetti

nella storia e la censura del potere dall'alto, non sono la stessa cosa. In questo momento, e noi

tacciamo e non ne parliamo, a raffica vengono emessi negli Stati Uniti provvedimenti in cui per

legge si impone come deve essere raccontata la storia. In Florida, per esempio, il governatore

De Santis ha varato una legge in cui non si può raccontare la storia della schiavitù in maniera

da generare sensi di colpa nei bambini bianchi. La Florida è lo stesso stato, a proposito di

cancellazioni, in cui un ragazzo nero, Trevor Martin, è stato ammazzato perché stava nel

quartiere sbagliato dopo il tramonto e l'assassino assolto. Ecco, c'è una relazione fra il divieto

di parlare della storia della schiavitù da parte del potere e il rischio fisico che corrono quelli

da questa scena del potere stanno. Lo stesso a me pare la questione delle chiusure dei

dipartimenti, a parte il fatto che in Italia, ma in tutto il mondo, stanno tagliando a tappeto da

generazioni il finanziamento, i fondi e il personale delle discipline classiche, delle

discipline umanistiche, puntando solo sulle peraltro necessarissime discipline scientifiche.

Ma uno degli scandali che sono emersi era quando Howard University, l'università storicamente nera,

ha chiuso il dipartimento di studi classici, peraltro distribuendo gli insegnanti in altri

dipartimenti, dicendo che l'università di Kamala Harris cancella Aristotele. Non è quello il punto,

è che il taglio di finanziamenti a tutte le discipline scientifiche e storiche, dettato non

dal politically correct di sinistra, ma dal potere statuale e finanziario, costringe a tappeto la

chiusura dei dipartimenti degli studi filosofici, chiudono una quantità di facoltà di filosofia

negli Stati Uniti. Tutto questo. Noi confondiamo alcuni gesti, una giornalista che si è permessa

di criticare l'autrice di Harry Potter e ci dimentichiamo per esempio che i libri di Harry

Potter sono sistematicamente dati alle fiamme, al rogo, nelle università cattoliche negli Stati

Uniti e anglicane negli Stati Uniti. Bruciano i libri e noi siamo zitti, però se una giornalista

si permette di dire che la Rowling ha detto una stupidaggine, cancel culture. Ecco, io credo che

noi non possiamo ignorare gli accessi del politically correct, ma a forza di vedere la

pagliuzza nell'occhio nostro accettiamo tranquillamente la trave nell'occhio altrui

che poi ce la picchiano sulla schiena. Ecco, mi sembra molto chiaro quello che tu ci hai detto,

mi vengono in mente due questioni. La prima è che in fondo forse il tema è che qualunque voce,

anche la più sgradevole, si pensa non debba essere zittita, anche perfino una voce razzista,

magari bisogna contrastarla, ma dire stai zitto in una società pluralista non sembra una cosa buona,

sembra un atto comunque violento. La seconda questione è se c'è una differenza tra la

rimozione di una statua, come è successo anche negli episodi che ho citato prima, da parte

addirittura di un governatore di uno Stato che è stato eletto e quindi esprime una maggioranza

dei cittadini e invece da parte di una minoranza che in quel momento si prende e si arroga il diritto

di buttare giù una statua contro magari l'opinione della maggioranza. Ecco, tu che ne pensi di questo?

Direi questo, in primo luogo il governatore della Virginia ha fatto rimuovere quella statua

per evitare che venisse abbattuta e quindi è stato un modo di salvarla, tant'è vero che

quella statua non è stata distrutta ma è tuttora visibile da un'altra parte. Lo stesso avviene per

la statua che lo Stato del Tennessee ha elevato subito dopo l'assassinio a Memphis di Martin Luther

King, il governo del Tennessee ha elevato una statua equestre al fondatore del Ku Klux Klan.

Questa non è memoria, questa è politica e ci dice da che parte stiamo. Questa statua

finalmente è stata rimossa e però non distrutta, quindi a me sembra che ci sia

semplicemente il fatto che qualche volta le istituzioni per evitare che le persone agiscano

di loro iniziativa preventivamente spostano. Vorrei aggiungere che quella statua di Robert E. Lee,

la richiesta di rimuoverla è stata avanzata per la prima volta nel 1893, l'anno stesso in cui è

stata elevata e non ha niente a che vedere con la memoria perché la guerra civile era finita da 30

anni quando fanno i monumenti a Robert E. Lee. I monumenti agli eroi del razzismo del sud sono

stati tutti elevati non durante la guerra civile ma in momenti successivi in cui bisognava ribadire

il suprematismo bianco, negli anni 20 che sono gli anni di gloria del Ku Klux Klan e tra gli anni

50 e 90 che sono gli anni in cui il sud resiste al movimento per i diritti civili che è un movimento

se vogliamo esattamente il contrario della cancel culture. Sul fatto che anche i razzisti hanno

diritto di parola certo e infatti in tutto il sud continuano a parlare tranquillamente. Il presidente

degli Stati Uniti, il precedente Trump, è stato eletto tranquillamente su una piattaforma

dichiaratamente e apertamente razzista. Quindi io non mi preoccupo tantissimo per il diritto di

parola dei razzisti che continua a esistere. Io mi preoccupo per il corpo fisico di quelli che i

razzisti continuano ad ammazzare e questa è una delle conseguenze di una modalità di narrare la

storia. Continuo a tornare sull'esempio della Rowling. Quando alcune giornaliste femministe si

sono permesse di dire che la Rowling aveva detto delle stupidaggini, non è che la Rowling è stata

cancellata. Ha continuato a parlare, ha fatto centomila interviste, non si è parlato d'altro

che di lei. Il problema è che sono state cancellate loro che l'avevano criticata. Quindi se da una

parte i razzisti hanno diritto a parlare, primo non sono obbligato io a farli parlare a casa mia,

secondo avrò anche io il diritto di dire che fanno schifo. Quindi questo a me sembra assolutamente

importante. Quello che noi chiamiamo cancel culture è spesso e volentieri semplicemente il gesto di

qualcuno che si permette di criticare qualcun altro. Oggi la metafora appunto per cui se io

ti critico ti ho ucciso, se io ti critico ti cancello, viene presa eccessivamente alla lettera.

Quello che rischiamo di cancellare, giustamente riconoscendo gli eccessi e i dogmatismi e i

settalismi, ma quello che rischiamo di cancellare è il diritto di critica. E questo a me sembra la

tendenza prevalente in questo momento negli Stati Uniti. La tendenza per cui in Virginia si esclude

dalle scuole persino le opere di Toni Morrison, perché giustamente non raccontano la schiavitù

come la racconta la statua di Robert E. Lee. E non dimentichiamoci che se c'è una censura in

Italia è stata la censura dei libri accusati di promuovere la ideologia gender dalle biblioteche

di una serie di comuni italiani, anche importanti, amministrati dalla destra. Questo mi sembra che

sia stato un episodio importante in cui le istituzioni, il potere, decidono che cosa possiamo

leggere e che cosa no. Sì, devo dire peraltro su quello che hai detto a proposito del diritto di

parola sono totalmente d'accordo. Io credo che Laterza non pubblicherebbe un libro di un razzista.

Dopodiché ci sono dei limiti che la legge pone. Per esempio due o tre anni fa, alzano nel libro,

ci fu una grande discussione perché c'era un editore che aveva chiesto uno stand e non gliel'hanno

dato, un editore che aveva nel suo catalogo dei libri che facevano un'apologia del fascismo,

comunque esprimeva un apprezzamento, lì c'era una norma del Salone che prevedeva questa possibilità

e però ci fu una grande discussione. Ora, a proposito di questo, nel tuo libro, Il ginocchio

sul collo, scrivi a un certo punto che ogni volta che tu vai allo Stadio Olimpico rimpiangi di non

avere con te una carica di dinamite da mettere sotto l'obbedisco di Mussolini, Mussolini Dux,

ce lo confermi? Ma è chiaramente una metafora, però se ce l'avessi non lo so. Però il punto

qual è? Ci lamentiamo sempre, sacrosantamente, del razzismo nelle curve dello stadio. Se uno va

allo Stadio Olimpico non passa solo sotto le forche caudine del monumento a Mussolini,

ma si fa un intero viale fiancheggiato da stelle marmoree che esaltano le glorie del regime fascista,

peraltro mentendo, quindi intanto è una narrazione storica non solo propagandistica ma anche falsa,

camminando su mosaici su cui c'è scritto, a parte Dux, Dux, Dux, molti nemici, molto onore. Ecco,

questo molti nemici, molto onore è uno degli slogan fatti propri dalle curve estremiste dello

stadio. Tutti siamo convinti che gli arbitri ce l'hanno con noi. Devo dire che per fortuna,

almeno me lo metto sotto i piedi queste scritte quando vado allo stadio. Noi non ci possiamo

lamentare se il fascismo non è più un fatto del passato ma è una inquietante presenza contemporanea,

anche perché a questa gente una lezione di fascismo le facciamo tutte le settimane,

dopodiché ci lamentiamo se diventano fascisti. Ecco, io in questo ho un serio problema,

il Foro Italico è peraltro un'opera d'arte importante, non va toccata, eccetera, eccetera,

però mi ricordo che almeno Gianni Rodari suggeriva, beh, visto che l'altro lato di

quelle stelle è vuoto, scriviamoci almeno come sono andate davvero le cose, che già sarebbe

un pochino di compensazione, anche se istituirebbe una specie di par condicio fra la narrazione

fascista e quella democratica. Ecco, io credo che in qualche misura un'operazione che permettesse,

nel caso del Foro Italico, di mantenerlo, ma di leggerlo in maniera critica, in maniera che non

appaia come un messaggio destinato a chi lo frequenta in questo momento, forse dovremmo

trovarla, in questo caso senza bisogno di distruggerlo, anche se poi tanto intangibile

non è, visto quante volte è stato rifatto quello stadio, coperto, scoperto, allargato,

quindi tanto intangibile non è, però in qualche misura sarebbe utile che aiutassimo i cittadini

italiani che frequentano quel luogo a non essere sottoposti ogni domenica a una falsa

narrazione della storia.

LM – Ecco, ma viene da porsi la domanda, quanta distanza deve passare perché una testimonianza

non sia più un'esaltazione, un messaggio attivo e entri dentro una parte, come dire,

di più distaccato rapporto con la storia? Come valutiamo l'attualità di un messaggio?

Sì, possiamo dire che Giulio Cesare nel suo atteggiamento nei confronti dei popoli del

nord non è razzista e quindi non fa danni la stato a Giulio Cesare, come ci poniamo

nei confronti del passato più o meno remoto?

GZ – Guarda, io credo che intanto se noi pensassimo di spezzare le règne alla Francia,

forse i monumenti a Giulio Cesare potrebbero far parte di quel tipo di neonarrazione. Il

problema è che le cose non scompaiono mai, cioè il razzismo non è un residuo del passato

che a mano a mano va scomparendo, ma è una tentazione del presente che riemerge di volta

in volta. Quindi noi possiamo pure pensare che certe narrazioni siano ormai superate,

ma che ritornano, tendono a ritornare. Ovviamente dire «buttiamo giù il Colosseo perché lì

ci hanno ammazzati i cristiani» mi pare una reductio ad absurdum, anche perché non c'è

nessuno che lo rivendica. Questo forse è uno dei criteri, cioè se qualcuno oggi chiede

di buttare giù la statua di un mascalzone che si è arricchito vendendo esseri umani

e poi vuole andare in paradiso regalando i frammenti di questa ricchezza, se qualcuno

pensa di buttarlo giù è anche perché in questo momento alcune delle cose che rappresenta

sono attuali. Se nessuno pensa di buttare giù la colonna traiana forse è perché non

offende più. Io forse mi affiderei più che a un criterio astratto a un dato di discussione

politica. Poi non sempre quelli che dicono di buttare giù una cosa hanno ragione, ma

molto di rato quelli che dicono che ce la dobbiamo tenere hanno ragione anche loro.

Sui temi di cui stiamo parlando abbiamo sentito Costanza Rizzacasa d'Orsogna, una giornalista

del Corriere della Sera che proprio in questi giorni esce con noi, con Laterza, con un

libro intitolato «Scorrettissimi, la cancel culture nella cultura americana». Sentiamo

cosa ci ha detto. Nel mio libro che contiene analisi e interviste

esclusive come ad esempio con l'esperto di primo emendamento, cioè il Freedom of Speech

sulla libertà di parola, Greg Lukianoff che è autore con il sociologo Jonathan Haidt

di questo saggio seminale The Coddling of the American Mind, ma poi anche con Blake

Bailey che l'autore cancellato l'anno scorso della biografia di Philip Roth in quello che

è stato lo scandalo editoriale di maggior risonanza degli ultimi decenni, la biografia

che in uscita tra qualche mese è anche in Italia peraltro, nel mio libro dicevo porto

i lettori al cuore del dibattito sulla cancel culture che infuria nella società non solo

americana ormai, parole come appropriazione culturale, supremazia bianca, mascolinità

tossica, wokeness usate spesso, spessissimo ormai a sproposito, popolano le conversazioni

quotidiane, in particolare alla parola woke, una parola diventata il suo contrario nel

tempo, proprio come un po' è successo alle parole cancel culture e politically correct

dedico un intero capitolo del mio libro.

Sullo sfondo una polarizzazione politica del pensiero che negli Stati Uniti per esperti

ha raggiunto un punto di non ritorno, pensiamo solo a quanto si evochi sempre più frequentemente

in America la guerra civile, anche da parte ormai di grandissimi politologi come ad esempio

Barbara Walter che ha un passato alla CIA, un'evocazione fino a due anni fa ritenuta

risibile quella di una nuova guerra civile negli Stati Uniti e poi dall'altro lato il

modello parentale ed educativo del safetism, la sicurezza emotiva come valore sacro di

cui scrivono appunto Lukianov e Haidt e ovviamente la censura non è solo di sinistra, la retorica

di sinistra anzi che da anni in furia dentro e fuori campus eliminando tutto ciò che può

apparire politicamente scorretto, alimenta il bigottismo di destra che ha anche una sua

lunghissima storia in un ciclo vizioso in cui finiscono per perdere tutti. Le guerre

culturali dilaniano la scuola dell'obbligo poi con il numero dei libri banditi o contestati

che sfonda ogni mese nuovi record, ora è chiaro che mettere i libri al bando non è

nulla di nuovo nelle scuole americane, diverse poi oggi sono le tattiche e fortissima soprattutto

la politicizzazione e allora guardando agli autori Mark Twain, Harper Lee, Patricia Highsmith,

abbiamo già parlato di Philip Roth, la cancel culture vorrebbe cancellarli tutti

e poi ci sono anche Ernest Hemingway o Norman Mailer in verità cancellati da un pezzo,

notevole per esempio il caso Hemingway, l'anno scorso era uscito anche in Italia un importante

documentario del grande filmmaker Graham Barnes che concepito prima dell'avvento del MeToo

aveva poi dovuto cambiare, sterzare completamente, cambiare completamente direzione in seguito

all'avvento del MeToo e finito questo documentario per diventare un'excusatio della misoginia di Hemingway

sulla base della presunta malattia mentale ed è un po' risibile anche se il documentario poi chiaramente

è fatto bene, si tratta sempre di Ken Barnes, però è come se fosse necessario ricorrere alla malattia mentale

di Hemingway per giustificarne l'interesse e la lettura, ci stiamo parlando di un autore la cui

rivoluzione stilistica ha stravolto la letteratura americana e continua a influenzare, continuerà a farlo

generazioni di scrittori, contemporaneamente a destra poi si spinge per cancellare Toni Morrison,

Margaret Atwood e tantissimi altri autori afroamericani, autrici femministe, autori LGBT+.

Quanto era misogino Philip Roth? Quanto era razzista Flannery O'Connor? Quanto era antisemita Patricia

Haismith? Ah sì certo, moltissimo, ma il punto è dovrebbe importarci, dobbiamo giudicare i capolavori

della letteratura del passato alla luce delle sensibilità odierne, dovremmo forse smettere di leggere

per esempio un autore come William Faulkner per non essere riuscito a fare i conti con il razzismo

sistemico, se cento anni dopo l'America stessa non riesce ancora a farli e d'altronde poi, certo è anche

vero, assolutamente, possiamo chiedere ai diritti di aspettare in nome di una presunta sacralità della

letteratura. Insomma, ecco, come siamo arrivati qui? Che sta succedendo? Nel mio saggio racconto questo

terremoto culturale, ne ricostruisco la genesi e le ragioni all'interno del contesto storico, politico

americano in cui è nato e tutto questo perché, per citare l'attivista afroamericano Eldridge Cleaver

che era uno dei leader dei Black Panthers, ecco come diceva lui, o sei parte della soluzione o sarai parte

del problema. E adesso torniamo alla nostra conversazione con Alessandro Portelli.

Dunque, noi abbiamo fatto molti esempi fin qui, soprattutto americani, ma ci sono stati anche fenomeni

in Europa. Recentemente si è discusso sul fatto che con la guerra si rimuovevano i letterati russi, per esempio

Dostoievski dai programmi culturali. Ha senso o non ha senso? E anche qui, io te lo chiedo in senso ampio,

in realtà non è soltanto in questo caso una rimozione dei testi. Per esempio si è scelto di non invitare

in alcuni casi alcuni artisti, ballerini o russi, oppure sportivi russi, perché si voleva dare un segnale

forte della nostra adesione, della nostra alleanza alle posizioni ucraine. Ti convince questo tipo di

atteggiamento? Ti sembra utile?

No, direi proprio di no. Tanto vorrei ricordare che io ho insegnato letteratura americana e in tutto il periodo

in cui gli Stati Uniti bombardavano e massacravano in Iraq e in Afghanistan e nessuno mi è venuto a dire

cancelliamo Mark Twain, vietiamo l'insegnamento di Henry James o altro. Questo perché in qualche modo

c'eravamo anche noi tra quelli che bombardavano. Oggi questo accanimento nei confronti, accanimento peraltro

a me pare occasionale e minoritario nei confronti di espressioni della cultura russa, mi sembra diverso

da quello che è successo a Bristol e a Charleston perché non nasce dal basso, ma è un eccesso di zelo

nell'aderire a quella che è la linea ufficiale del potere del governo. Buttare giù Robert E. Lee significa

andare contro la narrazione ufficiale dello Stato della Virginia. Vietare un seminario su Dostoevsky

è un eccesso di zelo a favore di una posizione che è la posizione ufficiale del nostro governo e della maggioranza

delle forze politiche che peraltro, sacrosantamente, sostiene la resistenza della nazione ucraina all'invasione russa.

Questo a me sembra che sia una differenza. Mentre gli episodi di cui parlavamo prima sono essenzialmente

episodi di dissenso nei confronti del potere, questi sono momenti di eccessivo zelo di consenso.

Questa è una differenza che ci ricorda anche che la riscrittura della storia, della letteratura, dei canoni

non avviene solo per colpa dell'irruzione dal basso di soggetti non autorizzati, ma avviene nella maggior parte

dei casi con le scelte e gli orientamenti che provengono dall'alto, dalle istituzioni e dal potere.

Tra l'altro in queste settimane, sentendo le notizie sull'esclusione di artisti sportivi russi, mi viene in mente

quanto scriveva qualche anno fa Amartya Sen, il saggio si chiamava Identità e violenza, e si diceva

ciascuno di noi ha tante identità, identità delle sue convinzioni politiche, un'identità anche religiosa

o quella professionale, i suoi interessi, i suoi hobby. Se noi rinunciamo a queste varie identità in nome di una

che prevale su tutti, che sia quella nazionale o quella religiosa, questo genera violenza.

Mentre ognuna di queste identità ha un'occasione per creare un ponte, un rapporto, e quindi voglio dire

al di là del fatto che quell'artista è russo, è anche un artista, è un musicista, ha rapporti potenziali

con musicisti di altri paesi, magari anche ucraini, e quindi recidere questo legame forse non è utile,

non è bene. E poi c'è una questione particolarmente importante, e cioè come tutto questo si cala nel tema

dell'insegnamento. Tu prima ricordavi il tuo insegnamento negli anni rispetto alla guerra in Iraq,

c'è un insegnamento anche a scuola, come dovremmo comportarci? Dovremmo forse cambiare le informazioni

o i giudizi, contestualizzare le cose che sono scritte nei manuali, ripensarle alla luce del dibattito attuale?

Cioè come si dovrebbe comportare un insegnante che ha a che fare con dei ragazzi giovani su questo tema?

Intanto una delle cose che forse è il caso di evitare è proprio la prescrittività, devi fare questo,

devi fare quest'altro. Penso che l'unica cosa che un insegnante può seriamente fare è usare al massimo

la sua buona fede e cercare di seguire i paradigmi, le procedure previste dalla ricerca storiografica.

Vorrei aggiungere che questo cambia continuamente e non è sempre necessariamente la politica di corrette

e sinistra. Nella regione Lazio sono stati dati alle fiamme, non più di tanti anni fa, dei libri colpevoli

di essere antifascisti durante la presidenza della regione storace. E se voi ci fate caso i manuali di storia

sono radicalmente cambiati. Molto giustamente si è introdotto per esempio il tema delle foibe,

che prima o non c'era o c'era molto poco. Questo è un cambiamento nei manuali che è dovuto sia a pressioni politiche,

sia anche a un riconoscimento di un dato storico vero. Quello che nei manuali completamente manca, per esempio,

è forse il fatto che oggi in Italia ci sia una presenza anche di cittadini italiani con un'altra storia.

Manca completamente la storia del colonialismo italiano. Il 21 di maggio si è celebrato la ricorrenza

della strage commessa dagli italiani, e dico italiani non dico fascisti, commessa dagli italiani a Debrali Banos.

Più di mille monaci, studenti, ammazzati nel quadro di un massacro generalizzato in tutta l'Etiopia,

altro che fosse Ardeadine. Non c'è una riga nei nostri manuali. Qui non è questione di politicamente corretto.

Qui chi è che cancella che cosa? E questo a me pare molto importante. Quello che stiamo cancellando

è la storia dei nostri crimini di guerra. Forse i nostri manuali dovrebbero aiutarci. Perché il problema è anche

quello di che cosa pensiamo che sia la memoria. E per questo c'è questo malinteso che i monumenti sono memoria.

Perché fanno parte di un'idea di memoria che racconta o quanto siamo gloriosi o quanto abbiamo sofferto.

Io credo che la memoria ci deve pure raccontare, queste cose va bene raccontarcele, ma ci deve pure raccontare

le schifezze che abbiamo fatto. Cioè la memoria non serve solo a farci sentire bene, la memoria serve anche a disturbarci.

E se noi invece continuiamo a coltivare un'idea di memoria che è solo le glorie patrie e i soprusi che ci hanno fatto i cattivi,

questa è cancellazione, questa è cancel culture.

Da questo punto di vista è molto interessante quello che scrivi anche nel tuo libro, a un certo punto, sulla risignificazione.

Cioè racconti, facendo alcuni esempi, su quello che per esempio è successo a Bolzano, dove c'è un grande fregio della Casa del Fascio

con scritto credere, obbedire e combattere, ma sotto c'è una frase sempre molto grande che hanno inserito dopo di Anna Arendt

in cui si dice che nessuno ha il diritto di obbedire e questa frase è in tedesco, in italiano e in ladino.

Ci si è scelto di non cancellare la scritta fascista, ma di aggiungere un'altra frase ugualmente evidente.

Quindi a una memoria violenta, razzista, se ne contrappone un'altra.

Può essere una soluzione quella di dare un messaggio diverso, completamente diverso, portando i nostri valori, i valori della nostra convivenza?

Ma io penso che quando è possibile è la soluzione giusta. Quando è possibile, non sempre è possibile.

E va fatto come hanno fatto a Bolzano, in maniera tale che tu non puoi vedere quel fregio o non puoi vedere l'arco della vittoria,

che è il simbolo del colonialismo italiano südtirolo, senza vedere anche la critica.

Se noi ci limitassimo sotto al monumento a Mussolini, a metterci dieci righe dicendo sì però questo è un mascalzone,

peraltro è quello che è stato fatto con le stelle di Travertino.

Cioè alla fine delle stelle di Travertino, siccome c'erano rimaste due vuote perché il regime si preparava a celebrare altre glorie,

c'è stato scritto il 25 luglio, caduta del regime, e 2 giugno mi pare.

Cioè sono state aggiunte queste due cose. Devo dire che non bastano.

Primo perché sono state aggiunte esattamente con la stessa grafica per cui sembra una continuazione della stessa narrazione.

Perché nessuno ci spiega perché è caduto quel glorioso regime di cui abbiamo avuto la narrazione fino a un sasso prima.

Quindi la risignificazione va fatta in maniera tale che non sia possibile non vederla.

Questa è la intelligenza di quello che hanno fatto a Bolzano.

Perché quel fregio, che non è un'opera d'arte, a me pare anche brutto, però non lo puoi buttare giù perché è troppo grande.

E allora tu fai una scritta tale che anche chi passa casualmente non possa non leggerlo criticamente.

Per cui metterci una toppa, come avevamo detto, sotto la statua di Churchill, mettere un cartello con scritto

«Si però ha fatto morire di fame 3 milioni di indiani nella Seconda Guerra Mondiale».

E no, non basta. Perché è qualcosa che uno deve andarselo a cercare per vederlo.

La risignificazione deve essere tale che non sia più possibile leggerlo se non criticamente.

Su questo credo che ci siano fior di artisti, di architetti, di urbanisti che hanno delle idee e spero che vengano fuori.

Sì, d'altra parte tu stesso hai detto prima, la memoria deve essere anche disturbante.

Quindi in un certo senso se noi siamo disturbati da una memoria razzista violenta ci poniamo anche il tema, non il problema.

Perché se non ci fosse la statua dei Mussolini tu sei convinto che non ci sarebbero comunque tifosi razzisti

o residui fascisti nei partiti italiani? Cioè senza i monumenti non si produrrebbero forse comunque quei tratti

che Umberto Eco ha definito di fascismo eterno?

Ma in quanto eterno, poi lo dicevo, il razzismo rinasce sempre.

Però diciamo che in qualche modo sarebbero un pochino meno legittimati dall'uso pubblico ufficiale dello spazio.

Quindi quello che noi facciamo è legittimarli.

Mentre io condivido questa idea che se noi conserviamo e rileggiamo criticamente questi strumenti ci ricordiamo

che noi italiani siamo stati fascisti e forse è il caso di stare attenti a non ridiventarlo.

In questo senso sì, la memoria dei crimini commessi è molto importante.

Per cui qui ci vuole veramente un livello di creatività artistica, urbanistica, architettonica

di cui probabilmente poi nel nostro Paese siamo anche capaci.

L'ultima cosa che ti vorrei chiedere, stiamo parlando di atti forti, di eliminazione di monumenti,

di cancellazione di opere letterarie, però c'è qualcosa che tu scrivi anche nel libro

e cioè che esiste una per così dire cancellazione per incuria.

Tu fai l'esempio di due monumenti romani, uno a Giacomo Matteotti e l'altro a Garibaldi

che sono lasciati senza manutenzione nell'indifferenza generale.

Questa cancellazione per incuria può essere forse ancora peggio?

C'è anche questo.

Il punto è proprio che nel caso di Matteotti e Garibaldi per esempio, non è presente in questo momento

nel nostro discorso politico e sociale una forza culturale che dica quel monumento ci rappresenta.

Cioè lasciamo perdere Garibaldi che pure vale la stessa cosa a suo modo,

ma l'incuria al monumento di Matteotti è l'indicazione molto precisa del fatto che

l'antifascismo non è più il collante della nostra convivenza.

Anche questa è una risignificazione, una risignificazione che segnala che in quel monumento

evidentemente le nostre istituzioni non si riconoscono più.

Questo mi pare abbastanza preoccupante.

C'è questa geniale proposta di cancellazione per incuria da parte di questi urbanisti americani

che dicono che quel parco nazionale sopra l'Atlanta, in cui un'intera montagna è scolpita

per dare l'immagine di quei traditori che hanno combattuto contro il governo americano

per sostenere la schiavitù.

Siccome è un parco naturale, lasciamo semplicemente crescere l'erba

e piano piano la natura se lo riprenderà.

È un po' uno specchio di questa cancellazione per incuria del monumento di Matteotti

che io trovo veramente molto grave.

Aggiungerei che un'altra modalità di incuria è il fatto che due terzi delle statue che stanno in giro

nelle piazze nessuno sa più chi rappresentano e nessuno se ne ricorda più.

In qualche modo non rappresentano memoria ma magari uno spartitraffico.

Quindi possono anche essere sostituite o risignificate o tolte.

Grazie. Credo che veramente ci hai fatto vedere come questo è uno dei compiti fondamentali

di uno storico, cioè riportare la memoria nell'attualità collegando la storia passata

ma anche il presente, perché la storia come tu scrivi è anche presente

e va collegata poi con la vita di ogni giorno.

Questa storia ci interroga, ci ripropone continuamente delle questioni

e credo che la morale del nostro discorso, o almeno una delle possibili morali,

è che dobbiamo discuterne.

Discuterne con serietà, approfonditamente, capire cosa siamo e di come questo nostro modo di essere

si fa anche nel rapporto col passato e cosa vuol dire lasciare i segni del passato

nelle statue ma anche nei libri, nei romanzi, nei film.

Questo probabilmente ci fa capire come quello che noi facciamo è sempre

in una riflessione continua sul passato.

Ti ringrazio molto, credo che sia stato molto utile questa nostra conversazione

e mi auguro di risentirti presto.

Alle prossime, grazie.

Avete ascoltato Radar, un podcast degli Editori Laterza.

Post-produzione e musica a cura di Matteo Portelli.


Radar ep.6 Se mi offendi ti cancello con Alessandro Portelli Radar ep.6 Wenn du mich beleidigst, lösche ich dich mit Alessandro Portelli Radar επ.6 Αν με προσβάλεις θα σε διαγράψω με τον Alessandro Portelli Radar ep.6 If you offend me I will erase you with Alessandro Portelli Radar ep.6 Si me ofendes te borraré con Alessandro Portelli Radar ep.6 Si tu m'offenses je te supprime avec Alessandro Portelli Radar ep.6 Als je me beledigt verwijder ik je met Alessandro Portelli Radar ep.6 Jeśli mnie obrazisz, usunę cię z Alessandro Portellim Radar ep.6 Se me ofenderes, apago-te com Alessandro Portelli Radar ep.6 If you offend me I will delete you с Алессандро Портелли 雷达 ep.6 如果你冒犯我,我会和 Alessandro Portelli 一起删除你

Quello che noi chiamiamo cancel culture è, spesso e volentieri, semplicemente il gesto

di qualcuno che si permette di criticare qualcun altro.

Oggi la metafora, appunto, per cui se io ti critico ti ho ucciso, se io ti critico ti

cancello, viene presa eccessivamente alla lettera.

Quello che rischiamo di cancellare, giustamente riconoscendo gli eccessi e i dogmatismi e

i settalismi, ma quello che rischiamo di cancellare è il diritto di critica.

E questo a me sembra la tendenza prevalente in questo momento negli Stati Uniti.

Radar è una serie di conversazioni settimanali sulle questioni essenziali del nostro tempo,

ogni volta in compagnia di un esperto per cercare di andare in profondità, rimettere

ordine e orientarsi.

Da qualche tempo, anche in Italia, si parla di cancel culture, un fenomeno che da molti

anni caratterizza la scena culturale americana.

Sulla definizione di questa espressione c'è molto dibattito, come vedremo tra breve, ma

possiamo dire che comunemente per cancel culture si intende l'idea che vadano cancellati

dal discorso pubblico i personaggi che si esprimono in maniera offensiva per la sensibilità

di minoranze di solito o comunque di gruppi che hanno minore accesso al discorso pubblico,

o lo hanno avuto in passato.

Oggi ci concentreremo su un aspetto particolare, ma molto importante, cioè la cancel culture

relativa al passato, per l'appunto alle opere del passato che sono monumenti, per esempio,

ma anche film e anche libri che, secondo alcuni, andrebbero cancellati o comunque ridimensionati

di importanza perché portatori di messaggi violenti, alcune volte razzisti e comunque

discriminatori.

Facciamo un esempio, tanto per capirci.

A Bristol, il 7 giugno 2020, è stata buttata giù una statua eretta molto tempo prima,

nel 1865, ed era una statua di Edward Colston, un mercante vissuto nel Seicento che aveva

fatto molte azioni filantropiche ed è per questo che gli hanno fatto la statua, ma si

era anche arricchito col commercio di schiavi ed è per questo che è stata abbattuta.

Pochi giorni prima dell'abbattimento della statua c'era stato l'episodio tragico dell'uccisione

di George Floyd da parte di un poliziotto americano che aveva originato il movimento

Black Lives Matter e quindi la statua Colston, in quanto mercante e razzista, è stata abbattuta.

Altre statue non state rimosse, ma su un altro settore, nel giugno del 2020, la HBO rimuove

dal suo catalogo, anche se poi lo ripristina, addirittura un film famosissimo come Via Colvento

giudicandolo razzista. E addirittura in diverse università americane sono state censurate

o quantomeno si è richiesto di censurare dei testi letterari antichi, anche classici,

nel Metamorfosi di Ovidio, l'Odissea, giudicati anche questi per certi versi discriminatori

o violenti. Ecco, al di là di alcuni aspetti, forse anche un po' eccessivi, comunque parossistici,

della cancel culture, si pone una questione molto interessante, che è quella del rapporto

nostro con la memoria collettiva, col passato, in cui si ripropongono dal passato dei conflitti

più o meno attuali. Abbiamo pensato di affrontarlo con uno storico che se ne è occupato molto,

in maniera molto articolata, anche con delle tesi molto chiare, che è Alessandro Portelli.

Alessandro Portelli è uno dei maggiori storici della cultura americana, si è occupato molto

di letteratura, ma anche di musica, per esempio ha pubblicato con l'edizione dei Donzelli

due libri dedicati a Bruce Springsteen e a Bob Dylan. Con noi, con Laterza, ha fatto

un podcast che poi è diventato uno spettacolo intitolato Mystery Train, che è dedicato

al mito del treno nella cultura americana. Alle questioni di cui parleremo oggi con lui,

ha dedicato una sezione del suo libro Il ginocchio sul collo, l'America, il razzismo e la violenza

tra presente, storia e immaginari, in cui approfondisce questi aspetti. Buongiorno

Alessandro. Buongiorno, buongiorno e grazie di questo incontro. Grazie a te. Partiamo

con una prima domanda. Alcuni hanno detto e hanno sostenuto che non è mai giustificato

l'abbattimento di statue che magari sono state erette appunto cent'anni prima, anche se durante

regimi politici lontani, perché alcuni sostengono che sono una parte ormai dello scenario urbano,

ecco tu invece come la vedi? Ma guarda, a me vengono in mente tre episodi. Non so se è

presente la prima pagina della Certosa di Parma di Stendhal. Nella prima pagina della

Certosa di Parma, Stendhal scrive, i milanesi erano rimasti immersi nella notte profonda,

dato il perdurare del geloso dispotismo di Carlo V e di Filippo II. Rovesciarono le loro

statue e d'un tratto si trovarono inondati di luce. Il secondo episodio che mi viene in

mente, cito da Internazionale, l'8 dicembre del 2013, una folla urlante si raduna in un

viale che porta al centro di Kiev, in Ucraina. L'obiettivo della manifestazione è abbattere

dal suo piedistallo una statua di marmo di Lenin, alta circa tre metri e mezzo. Appena

la statua cade, i giovani ucraini, avvolti in bandiere e striscioni gialli e azzurri,

cominciano a distruggerla a colpi di martello, mentre un nostalgico comunista cerca di proteggere

con il suo corpo quello che rimane dell'icona di Lenin. Infine, dal National Geographic,

il 1 luglio 2020. Il 9 luglio 1776, mentre i cittadini di New York erano radunati per

ascoltare il testo della dichiarazione d'indipendenza appena giunto da Filadelfia, una folla tirò

giù e fece a pezzi la solenne statua equestre di Giorgio III, re d'Inghilterra. Quasi

tutto il piombo recuperato fu usato per fare proiettili dell'esercito coloniale rivolta.

Questi episodi non fanno parte di una presunta furie iconoclastica del politically correct

contemporaneo, fanno parte di una plurisecolare tradizione storica in cui tutti e tre questi

momenti, l'abbattimento di Carlo V, l'abbattimento di Lenin, l'abbattimento di Giorgio III, sono

raccontati come momenti di liberazione, cioè non sono cancellazione della storia, sono essi stessi

storia. Cioè è un grande fatto storico la caduta del comunismo e tra l'altro nessuno ha mai parlato

di cancel culture per la, secondo me, giustificatissima cancellazione delle statue di Marx e Lenin

dalle città dell'Europa dell'Est, lo dico da marxista più o meno immaginario. Hanno fatto bene.

Quindi mentre noi vediamo come momenti di liberazione l'abbattimento delle statue dei

nostri tiranni, non riusciamo a vedere lo stesso quando vengono abbattute le statue dei tiranni di

qualcun altro, la statua di un mercante di schiavi, di un generale schiavista. Io credo perché nel

episodio che ho citato vediamo l'irrompere nella storia dei nostri antenati, i nostri fratelli,

cioè maschi, bianchi, occidentali, liberal democratici più o meno. Ma quando quelli che

rivendicano la liberazione dello spazio pubblico, del discorso pubblico, sono soggetti che finora

erano tenuti in condizioni di subalternità e che per il solo fatto di emergere irrompono in uno

spazio che sembrava solo nostro, allora noi sentiamo una minaccia. Noi siamo tutti sinceramente

antirazzisti, antimaschististi, però alla fine sentiamo che la storia dell'antirazzismo e della

liberazione la dobbiamo raccontare noi, non loro. Per esempio la statua di Lincoln con lo schiavo

in catene ai piedi del suo liberatore, la statua di Roosevelt recentemente rimossa con lui a cavallo

e il nero seminudo e l'indiano con le penne a suo seguito, perché siamo noi che liberiamo loro.

Quando quello inginocchiato si alza e pretende di essere lui a raccontare, e magari si porta

dietro, come diceva Ernesto De Martino, tutte le storie di secoli di oppressione, allora

diciamo che cancella la storia, la sta facendo la storia. E infatti l'altro elemento, le statue non

sono la storia, le statue non sono la memoria, le statue sono una narrazione storica dettata da chi

ha il potere di erigerle. Abbattendo quelle statue non è che sia stata cancellata la memoria storica

di Carlo V, di Lenin o di Giorgio III. Carlo V sappiamo tutti chi è, sta pure nei manuali delle

scuole medie, Lenin tutte le biblioteche se uno lo vuol leggere, Giorgio III sappiamo benissimo chi è.

Non è stata cancellata la storia, può darsi che dopo aver buttato giù quelle statue i cittadini di Milano,

di Kiev e di New York avessero un'idea un po' diversa, meno manipolata della loro storia.

E vorrei aggiungere che noi confondiamo molto spesso la irruzione dal basso di nuovi soggetti

nella storia e la censura del potere dall'alto, non sono la stessa cosa. In questo momento, e noi

tacciamo e non ne parliamo, a raffica vengono emessi negli Stati Uniti provvedimenti in cui per

legge si impone come deve essere raccontata la storia. In Florida, per esempio, il governatore

De Santis ha varato una legge in cui non si può raccontare la storia della schiavitù in maniera

da generare sensi di colpa nei bambini bianchi. La Florida è lo stesso stato, a proposito di

cancellazioni, in cui un ragazzo nero, Trevor Martin, è stato ammazzato perché stava nel

quartiere sbagliato dopo il tramonto e l'assassino assolto. Ecco, c'è una relazione fra il divieto

di parlare della storia della schiavitù da parte del potere e il rischio fisico che corrono quelli

da questa scena del potere stanno. Lo stesso a me pare la questione delle chiusure dei

dipartimenti, a parte il fatto che in Italia, ma in tutto il mondo, stanno tagliando a tappeto da

generazioni il finanziamento, i fondi e il personale delle discipline classiche, delle

discipline umanistiche, puntando solo sulle peraltro necessarissime discipline scientifiche.

Ma uno degli scandali che sono emersi era quando Howard University, l'università storicamente nera,

ha chiuso il dipartimento di studi classici, peraltro distribuendo gli insegnanti in altri

dipartimenti, dicendo che l'università di Kamala Harris cancella Aristotele. Non è quello il punto,

è che il taglio di finanziamenti a tutte le discipline scientifiche e storiche, dettato non

dal politically correct di sinistra, ma dal potere statuale e finanziario, costringe a tappeto la

chiusura dei dipartimenti degli studi filosofici, chiudono una quantità di facoltà di filosofia

negli Stati Uniti. Tutto questo. Noi confondiamo alcuni gesti, una giornalista che si è permessa

di criticare l'autrice di Harry Potter e ci dimentichiamo per esempio che i libri di Harry

Potter sono sistematicamente dati alle fiamme, al rogo, nelle università cattoliche negli Stati

Uniti e anglicane negli Stati Uniti. Bruciano i libri e noi siamo zitti, però se una giornalista

si permette di dire che la Rowling ha detto una stupidaggine, cancel culture. Ecco, io credo che

noi non possiamo ignorare gli accessi del politically correct, ma a forza di vedere la

pagliuzza nell'occhio nostro accettiamo tranquillamente la trave nell'occhio altrui

che poi ce la picchiano sulla schiena. Ecco, mi sembra molto chiaro quello che tu ci hai detto,

mi vengono in mente due questioni. La prima è che in fondo forse il tema è che qualunque voce,

anche la più sgradevole, si pensa non debba essere zittita, anche perfino una voce razzista,

magari bisogna contrastarla, ma dire stai zitto in una società pluralista non sembra una cosa buona,

sembra un atto comunque violento. La seconda questione è se c'è una differenza tra la

rimozione di una statua, come è successo anche negli episodi che ho citato prima, da parte

addirittura di un governatore di uno Stato che è stato eletto e quindi esprime una maggioranza

dei cittadini e invece da parte di una minoranza che in quel momento si prende e si arroga il diritto

di buttare giù una statua contro magari l'opinione della maggioranza. Ecco, tu che ne pensi di questo?

Direi questo, in primo luogo il governatore della Virginia ha fatto rimuovere quella statua

per evitare che venisse abbattuta e quindi è stato un modo di salvarla, tant'è vero che

quella statua non è stata distrutta ma è tuttora visibile da un'altra parte. Lo stesso avviene per

la statua che lo Stato del Tennessee ha elevato subito dopo l'assassinio a Memphis di Martin Luther

King, il governo del Tennessee ha elevato una statua equestre al fondatore del Ku Klux Klan.

Questa non è memoria, questa è politica e ci dice da che parte stiamo. Questa statua

finalmente è stata rimossa e però non distrutta, quindi a me sembra che ci sia

semplicemente il fatto che qualche volta le istituzioni per evitare che le persone agiscano

di loro iniziativa preventivamente spostano. Vorrei aggiungere che quella statua di Robert E. Lee,

la richiesta di rimuoverla è stata avanzata per la prima volta nel 1893, l'anno stesso in cui è

stata elevata e non ha niente a che vedere con la memoria perché la guerra civile era finita da 30

anni quando fanno i monumenti a Robert E. Lee. I monumenti agli eroi del razzismo del sud sono

stati tutti elevati non durante la guerra civile ma in momenti successivi in cui bisognava ribadire

il suprematismo bianco, negli anni 20 che sono gli anni di gloria del Ku Klux Klan e tra gli anni

50 e 90 che sono gli anni in cui il sud resiste al movimento per i diritti civili che è un movimento

se vogliamo esattamente il contrario della cancel culture. Sul fatto che anche i razzisti hanno

diritto di parola certo e infatti in tutto il sud continuano a parlare tranquillamente. Il presidente

degli Stati Uniti, il precedente Trump, è stato eletto tranquillamente su una piattaforma

dichiaratamente e apertamente razzista. Quindi io non mi preoccupo tantissimo per il diritto di

parola dei razzisti che continua a esistere. Io mi preoccupo per il corpo fisico di quelli che i

razzisti continuano ad ammazzare e questa è una delle conseguenze di una modalità di narrare la

storia. Continuo a tornare sull'esempio della Rowling. Quando alcune giornaliste femministe si

sono permesse di dire che la Rowling aveva detto delle stupidaggini, non è che la Rowling è stata

cancellata. Ha continuato a parlare, ha fatto centomila interviste, non si è parlato d'altro

che di lei. Il problema è che sono state cancellate loro che l'avevano criticata. Quindi se da una

parte i razzisti hanno diritto a parlare, primo non sono obbligato io a farli parlare a casa mia,

secondo avrò anche io il diritto di dire che fanno schifo. Quindi questo a me sembra assolutamente

importante. Quello che noi chiamiamo cancel culture è spesso e volentieri semplicemente il gesto di

qualcuno che si permette di criticare qualcun altro. Oggi la metafora appunto per cui se io

ti critico ti ho ucciso, se io ti critico ti cancello, viene presa eccessivamente alla lettera.

Quello che rischiamo di cancellare, giustamente riconoscendo gli eccessi e i dogmatismi e i

settalismi, ma quello che rischiamo di cancellare è il diritto di critica. E questo a me sembra la

tendenza prevalente in questo momento negli Stati Uniti. La tendenza per cui in Virginia si esclude

dalle scuole persino le opere di Toni Morrison, perché giustamente non raccontano la schiavitù

come la racconta la statua di Robert E. Lee. E non dimentichiamoci che se c'è una censura in

Italia è stata la censura dei libri accusati di promuovere la ideologia gender dalle biblioteche

di una serie di comuni italiani, anche importanti, amministrati dalla destra. Questo mi sembra che

sia stato un episodio importante in cui le istituzioni, il potere, decidono che cosa possiamo

leggere e che cosa no. Sì, devo dire peraltro su quello che hai detto a proposito del diritto di

parola sono totalmente d'accordo. Io credo che Laterza non pubblicherebbe un libro di un razzista.

Dopodiché ci sono dei limiti che la legge pone. Per esempio due o tre anni fa, alzano nel libro,

ci fu una grande discussione perché c'era un editore che aveva chiesto uno stand e non gliel'hanno

dato, un editore che aveva nel suo catalogo dei libri che facevano un'apologia del fascismo,

comunque esprimeva un apprezzamento, lì c'era una norma del Salone che prevedeva questa possibilità

e però ci fu una grande discussione. Ora, a proposito di questo, nel tuo libro, Il ginocchio

sul collo, scrivi a un certo punto che ogni volta che tu vai allo Stadio Olimpico rimpiangi di non

avere con te una carica di dinamite da mettere sotto l'obbedisco di Mussolini, Mussolini Dux,

ce lo confermi? Ma è chiaramente una metafora, però se ce l'avessi non lo so. Però il punto

qual è? Ci lamentiamo sempre, sacrosantamente, del razzismo nelle curve dello stadio. Se uno va

allo Stadio Olimpico non passa solo sotto le forche caudine del monumento a Mussolini,

ma si fa un intero viale fiancheggiato da stelle marmoree che esaltano le glorie del regime fascista,

peraltro mentendo, quindi intanto è una narrazione storica non solo propagandistica ma anche falsa,

camminando su mosaici su cui c'è scritto, a parte Dux, Dux, Dux, molti nemici, molto onore. Ecco,

questo molti nemici, molto onore è uno degli slogan fatti propri dalle curve estremiste dello

stadio. Tutti siamo convinti che gli arbitri ce l'hanno con noi. Devo dire che per fortuna,

almeno me lo metto sotto i piedi queste scritte quando vado allo stadio. Noi non ci possiamo

lamentare se il fascismo non è più un fatto del passato ma è una inquietante presenza contemporanea,

anche perché a questa gente una lezione di fascismo le facciamo tutte le settimane,

dopodiché ci lamentiamo se diventano fascisti. Ecco, io in questo ho un serio problema,

il Foro Italico è peraltro un'opera d'arte importante, non va toccata, eccetera, eccetera,

però mi ricordo che almeno Gianni Rodari suggeriva, beh, visto che l'altro lato di

quelle stelle è vuoto, scriviamoci almeno come sono andate davvero le cose, che già sarebbe

un pochino di compensazione, anche se istituirebbe una specie di par condicio fra la narrazione

fascista e quella democratica. Ecco, io credo che in qualche misura un'operazione che permettesse,

nel caso del Foro Italico, di mantenerlo, ma di leggerlo in maniera critica, in maniera che non

appaia come un messaggio destinato a chi lo frequenta in questo momento, forse dovremmo

trovarla, in questo caso senza bisogno di distruggerlo, anche se poi tanto intangibile

non è, visto quante volte è stato rifatto quello stadio, coperto, scoperto, allargato,

quindi tanto intangibile non è, però in qualche misura sarebbe utile che aiutassimo i cittadini

italiani che frequentano quel luogo a non essere sottoposti ogni domenica a una falsa

narrazione della storia.

LM – Ecco, ma viene da porsi la domanda, quanta distanza deve passare perché una testimonianza

non sia più un'esaltazione, un messaggio attivo e entri dentro una parte, come dire,

di più distaccato rapporto con la storia? Come valutiamo l'attualità di un messaggio?

Sì, possiamo dire che Giulio Cesare nel suo atteggiamento nei confronti dei popoli del

nord non è razzista e quindi non fa danni la stato a Giulio Cesare, come ci poniamo

nei confronti del passato più o meno remoto?

GZ – Guarda, io credo che intanto se noi pensassimo di spezzare le règne alla Francia,

forse i monumenti a Giulio Cesare potrebbero far parte di quel tipo di neonarrazione. Il

problema è che le cose non scompaiono mai, cioè il razzismo non è un residuo del passato

che a mano a mano va scomparendo, ma è una tentazione del presente che riemerge di volta

in volta. Quindi noi possiamo pure pensare che certe narrazioni siano ormai superate,

ma che ritornano, tendono a ritornare. Ovviamente dire «buttiamo giù il Colosseo perché lì

ci hanno ammazzati i cristiani» mi pare una reductio ad absurdum, anche perché non c'è

nessuno che lo rivendica. Questo forse è uno dei criteri, cioè se qualcuno oggi chiede

di buttare giù la statua di un mascalzone che si è arricchito vendendo esseri umani

e poi vuole andare in paradiso regalando i frammenti di questa ricchezza, se qualcuno

pensa di buttarlo giù è anche perché in questo momento alcune delle cose che rappresenta

sono attuali. Se nessuno pensa di buttare giù la colonna traiana forse è perché non

offende più. Io forse mi affiderei più che a un criterio astratto a un dato di discussione

politica. Poi non sempre quelli che dicono di buttare giù una cosa hanno ragione, ma

molto di rato quelli che dicono che ce la dobbiamo tenere hanno ragione anche loro.

Sui temi di cui stiamo parlando abbiamo sentito Costanza Rizzacasa d'Orsogna, una giornalista

del Corriere della Sera che proprio in questi giorni esce con noi, con Laterza, con un

libro intitolato «Scorrettissimi, la cancel culture nella cultura americana». Sentiamo

cosa ci ha detto. Nel mio libro che contiene analisi e interviste

esclusive come ad esempio con l'esperto di primo emendamento, cioè il Freedom of Speech

sulla libertà di parola, Greg Lukianoff che è autore con il sociologo Jonathan Haidt

di questo saggio seminale The Coddling of the American Mind, ma poi anche con Blake

Bailey che l'autore cancellato l'anno scorso della biografia di Philip Roth in quello che

è stato lo scandalo editoriale di maggior risonanza degli ultimi decenni, la biografia

che in uscita tra qualche mese è anche in Italia peraltro, nel mio libro dicevo porto

i lettori al cuore del dibattito sulla cancel culture che infuria nella società non solo

americana ormai, parole come appropriazione culturale, supremazia bianca, mascolinità

tossica, wokeness usate spesso, spessissimo ormai a sproposito, popolano le conversazioni

quotidiane, in particolare alla parola woke, una parola diventata il suo contrario nel

tempo, proprio come un po' è successo alle parole cancel culture e politically correct

dedico un intero capitolo del mio libro.

Sullo sfondo una polarizzazione politica del pensiero che negli Stati Uniti per esperti

ha raggiunto un punto di non ritorno, pensiamo solo a quanto si evochi sempre più frequentemente

in America la guerra civile, anche da parte ormai di grandissimi politologi come ad esempio

Barbara Walter che ha un passato alla CIA, un'evocazione fino a due anni fa ritenuta

risibile quella di una nuova guerra civile negli Stati Uniti e poi dall'altro lato il

modello parentale ed educativo del safetism, la sicurezza emotiva come valore sacro di

cui scrivono appunto Lukianov e Haidt e ovviamente la censura non è solo di sinistra, la retorica

di sinistra anzi che da anni in furia dentro e fuori campus eliminando tutto ciò che può

apparire politicamente scorretto, alimenta il bigottismo di destra che ha anche una sua

lunghissima storia in un ciclo vizioso in cui finiscono per perdere tutti. Le guerre

culturali dilaniano la scuola dell'obbligo poi con il numero dei libri banditi o contestati

che sfonda ogni mese nuovi record, ora è chiaro che mettere i libri al bando non è

nulla di nuovo nelle scuole americane, diverse poi oggi sono le tattiche e fortissima soprattutto

la politicizzazione e allora guardando agli autori Mark Twain, Harper Lee, Patricia Highsmith,

abbiamo già parlato di Philip Roth, la cancel culture vorrebbe cancellarli tutti

e poi ci sono anche Ernest Hemingway o Norman Mailer in verità cancellati da un pezzo,

notevole per esempio il caso Hemingway, l'anno scorso era uscito anche in Italia un importante

documentario del grande filmmaker Graham Barnes che concepito prima dell'avvento del MeToo

aveva poi dovuto cambiare, sterzare completamente, cambiare completamente direzione in seguito

all'avvento del MeToo e finito questo documentario per diventare un'excusatio della misoginia di Hemingway

sulla base della presunta malattia mentale ed è un po' risibile anche se il documentario poi chiaramente

è fatto bene, si tratta sempre di Ken Barnes, però è come se fosse necessario ricorrere alla malattia mentale

di Hemingway per giustificarne l'interesse e la lettura, ci stiamo parlando di un autore la cui

rivoluzione stilistica ha stravolto la letteratura americana e continua a influenzare, continuerà a farlo

generazioni di scrittori, contemporaneamente a destra poi si spinge per cancellare Toni Morrison,

Margaret Atwood e tantissimi altri autori afroamericani, autrici femministe, autori LGBT+.

Quanto era misogino Philip Roth? Quanto era razzista Flannery O'Connor? Quanto era antisemita Patricia

Haismith? Ah sì certo, moltissimo, ma il punto è dovrebbe importarci, dobbiamo giudicare i capolavori

della letteratura del passato alla luce delle sensibilità odierne, dovremmo forse smettere di leggere

per esempio un autore come William Faulkner per non essere riuscito a fare i conti con il razzismo

sistemico, se cento anni dopo l'America stessa non riesce ancora a farli e d'altronde poi, certo è anche

vero, assolutamente, possiamo chiedere ai diritti di aspettare in nome di una presunta sacralità della

letteratura. Insomma, ecco, come siamo arrivati qui? Che sta succedendo? Nel mio saggio racconto questo

terremoto culturale, ne ricostruisco la genesi e le ragioni all'interno del contesto storico, politico

americano in cui è nato e tutto questo perché, per citare l'attivista afroamericano Eldridge Cleaver

che era uno dei leader dei Black Panthers, ecco come diceva lui, o sei parte della soluzione o sarai parte

del problema. E adesso torniamo alla nostra conversazione con Alessandro Portelli.

Dunque, noi abbiamo fatto molti esempi fin qui, soprattutto americani, ma ci sono stati anche fenomeni

in Europa. Recentemente si è discusso sul fatto che con la guerra si rimuovevano i letterati russi, per esempio

Dostoievski dai programmi culturali. Ha senso o non ha senso? E anche qui, io te lo chiedo in senso ampio,

in realtà non è soltanto in questo caso una rimozione dei testi. Per esempio si è scelto di non invitare

in alcuni casi alcuni artisti, ballerini o russi, oppure sportivi russi, perché si voleva dare un segnale

forte della nostra adesione, della nostra alleanza alle posizioni ucraine. Ti convince questo tipo di

atteggiamento? Ti sembra utile?

No, direi proprio di no. Tanto vorrei ricordare che io ho insegnato letteratura americana e in tutto il periodo

in cui gli Stati Uniti bombardavano e massacravano in Iraq e in Afghanistan e nessuno mi è venuto a dire

cancelliamo Mark Twain, vietiamo l'insegnamento di Henry James o altro. Questo perché in qualche modo

c'eravamo anche noi tra quelli che bombardavano. Oggi questo accanimento nei confronti, accanimento peraltro

a me pare occasionale e minoritario nei confronti di espressioni della cultura russa, mi sembra diverso

da quello che è successo a Bristol e a Charleston perché non nasce dal basso, ma è un eccesso di zelo

nell'aderire a quella che è la linea ufficiale del potere del governo. Buttare giù Robert E. Lee significa

andare contro la narrazione ufficiale dello Stato della Virginia. Vietare un seminario su Dostoevsky

è un eccesso di zelo a favore di una posizione che è la posizione ufficiale del nostro governo e della maggioranza

delle forze politiche che peraltro, sacrosantamente, sostiene la resistenza della nazione ucraina all'invasione russa.

Questo a me sembra che sia una differenza. Mentre gli episodi di cui parlavamo prima sono essenzialmente

episodi di dissenso nei confronti del potere, questi sono momenti di eccessivo zelo di consenso.

Questa è una differenza che ci ricorda anche che la riscrittura della storia, della letteratura, dei canoni

non avviene solo per colpa dell'irruzione dal basso di soggetti non autorizzati, ma avviene nella maggior parte

dei casi con le scelte e gli orientamenti che provengono dall'alto, dalle istituzioni e dal potere.

Tra l'altro in queste settimane, sentendo le notizie sull'esclusione di artisti sportivi russi, mi viene in mente

quanto scriveva qualche anno fa Amartya Sen, il saggio si chiamava Identità e violenza, e si diceva

ciascuno di noi ha tante identità, identità delle sue convinzioni politiche, un'identità anche religiosa

o quella professionale, i suoi interessi, i suoi hobby. Se noi rinunciamo a queste varie identità in nome di una

che prevale su tutti, che sia quella nazionale o quella religiosa, questo genera violenza.

Mentre ognuna di queste identità ha un'occasione per creare un ponte, un rapporto, e quindi voglio dire

al di là del fatto che quell'artista è russo, è anche un artista, è un musicista, ha rapporti potenziali

con musicisti di altri paesi, magari anche ucraini, e quindi recidere questo legame forse non è utile,

non è bene. E poi c'è una questione particolarmente importante, e cioè come tutto questo si cala nel tema

dell'insegnamento. Tu prima ricordavi il tuo insegnamento negli anni rispetto alla guerra in Iraq,

c'è un insegnamento anche a scuola, come dovremmo comportarci? Dovremmo forse cambiare le informazioni

o i giudizi, contestualizzare le cose che sono scritte nei manuali, ripensarle alla luce del dibattito attuale?

Cioè come si dovrebbe comportare un insegnante che ha a che fare con dei ragazzi giovani su questo tema?

Intanto una delle cose che forse è il caso di evitare è proprio la prescrittività, devi fare questo,

devi fare quest'altro. Penso che l'unica cosa che un insegnante può seriamente fare è usare al massimo

la sua buona fede e cercare di seguire i paradigmi, le procedure previste dalla ricerca storiografica.

Vorrei aggiungere che questo cambia continuamente e non è sempre necessariamente la politica di corrette

e sinistra. Nella regione Lazio sono stati dati alle fiamme, non più di tanti anni fa, dei libri colpevoli

di essere antifascisti durante la presidenza della regione storace. E se voi ci fate caso i manuali di storia

sono radicalmente cambiati. Molto giustamente si è introdotto per esempio il tema delle foibe,

che prima o non c'era o c'era molto poco. Questo è un cambiamento nei manuali che è dovuto sia a pressioni politiche,

sia anche a un riconoscimento di un dato storico vero. Quello che nei manuali completamente manca, per esempio,

è forse il fatto che oggi in Italia ci sia una presenza anche di cittadini italiani con un'altra storia.

Manca completamente la storia del colonialismo italiano. Il 21 di maggio si è celebrato la ricorrenza

della strage commessa dagli italiani, e dico italiani non dico fascisti, commessa dagli italiani a Debrali Banos.

Più di mille monaci, studenti, ammazzati nel quadro di un massacro generalizzato in tutta l'Etiopia,

altro che fosse Ardeadine. Non c'è una riga nei nostri manuali. Qui non è questione di politicamente corretto.

Qui chi è che cancella che cosa? E questo a me pare molto importante. Quello che stiamo cancellando

è la storia dei nostri crimini di guerra. Forse i nostri manuali dovrebbero aiutarci. Perché il problema è anche

quello di che cosa pensiamo che sia la memoria. E per questo c'è questo malinteso che i monumenti sono memoria.

Perché fanno parte di un'idea di memoria che racconta o quanto siamo gloriosi o quanto abbiamo sofferto.

Io credo che la memoria ci deve pure raccontare, queste cose va bene raccontarcele, ma ci deve pure raccontare

le schifezze che abbiamo fatto. Cioè la memoria non serve solo a farci sentire bene, la memoria serve anche a disturbarci.

E se noi invece continuiamo a coltivare un'idea di memoria che è solo le glorie patrie e i soprusi che ci hanno fatto i cattivi,

questa è cancellazione, questa è cancel culture.

Da questo punto di vista è molto interessante quello che scrivi anche nel tuo libro, a un certo punto, sulla risignificazione.

Cioè racconti, facendo alcuni esempi, su quello che per esempio è successo a Bolzano, dove c'è un grande fregio della Casa del Fascio

con scritto credere, obbedire e combattere, ma sotto c'è una frase sempre molto grande che hanno inserito dopo di Anna Arendt

in cui si dice che nessuno ha il diritto di obbedire e questa frase è in tedesco, in italiano e in ladino.

Ci si è scelto di non cancellare la scritta fascista, ma di aggiungere un'altra frase ugualmente evidente.

Quindi a una memoria violenta, razzista, se ne contrappone un'altra.

Può essere una soluzione quella di dare un messaggio diverso, completamente diverso, portando i nostri valori, i valori della nostra convivenza?

Ma io penso che quando è possibile è la soluzione giusta. Quando è possibile, non sempre è possibile.

E va fatto come hanno fatto a Bolzano, in maniera tale che tu non puoi vedere quel fregio o non puoi vedere l'arco della vittoria,

che è il simbolo del colonialismo italiano südtirolo, senza vedere anche la critica.

Se noi ci limitassimo sotto al monumento a Mussolini, a metterci dieci righe dicendo sì però questo è un mascalzone,

peraltro è quello che è stato fatto con le stelle di Travertino.

Cioè alla fine delle stelle di Travertino, siccome c'erano rimaste due vuote perché il regime si preparava a celebrare altre glorie,

c'è stato scritto il 25 luglio, caduta del regime, e 2 giugno mi pare.

Cioè sono state aggiunte queste due cose. Devo dire che non bastano.

Primo perché sono state aggiunte esattamente con la stessa grafica per cui sembra una continuazione della stessa narrazione.

Perché nessuno ci spiega perché è caduto quel glorioso regime di cui abbiamo avuto la narrazione fino a un sasso prima.

Quindi la risignificazione va fatta in maniera tale che non sia possibile non vederla.

Questa è la intelligenza di quello che hanno fatto a Bolzano.

Perché quel fregio, che non è un'opera d'arte, a me pare anche brutto, però non lo puoi buttare giù perché è troppo grande.

E allora tu fai una scritta tale che anche chi passa casualmente non possa non leggerlo criticamente.

Per cui metterci una toppa, come avevamo detto, sotto la statua di Churchill, mettere un cartello con scritto

«Si però ha fatto morire di fame 3 milioni di indiani nella Seconda Guerra Mondiale».

E no, non basta. Perché è qualcosa che uno deve andarselo a cercare per vederlo.

La risignificazione deve essere tale che non sia più possibile leggerlo se non criticamente.

Su questo credo che ci siano fior di artisti, di architetti, di urbanisti che hanno delle idee e spero che vengano fuori.

Sì, d'altra parte tu stesso hai detto prima, la memoria deve essere anche disturbante.

Quindi in un certo senso se noi siamo disturbati da una memoria razzista violenta ci poniamo anche il tema, non il problema.

Perché se non ci fosse la statua dei Mussolini tu sei convinto che non ci sarebbero comunque tifosi razzisti

o residui fascisti nei partiti italiani? Cioè senza i monumenti non si produrrebbero forse comunque quei tratti

che Umberto Eco ha definito di fascismo eterno?

Ma in quanto eterno, poi lo dicevo, il razzismo rinasce sempre.

Però diciamo che in qualche modo sarebbero un pochino meno legittimati dall'uso pubblico ufficiale dello spazio.

Quindi quello che noi facciamo è legittimarli.

Mentre io condivido questa idea che se noi conserviamo e rileggiamo criticamente questi strumenti ci ricordiamo

che noi italiani siamo stati fascisti e forse è il caso di stare attenti a non ridiventarlo.

In questo senso sì, la memoria dei crimini commessi è molto importante.

Per cui qui ci vuole veramente un livello di creatività artistica, urbanistica, architettonica

di cui probabilmente poi nel nostro Paese siamo anche capaci.

L'ultima cosa che ti vorrei chiedere, stiamo parlando di atti forti, di eliminazione di monumenti,

di cancellazione di opere letterarie, però c'è qualcosa che tu scrivi anche nel libro

e cioè che esiste una per così dire cancellazione per incuria.

Tu fai l'esempio di due monumenti romani, uno a Giacomo Matteotti e l'altro a Garibaldi

che sono lasciati senza manutenzione nell'indifferenza generale.

Questa cancellazione per incuria può essere forse ancora peggio?

C'è anche questo.

Il punto è proprio che nel caso di Matteotti e Garibaldi per esempio, non è presente in questo momento

nel nostro discorso politico e sociale una forza culturale che dica quel monumento ci rappresenta.

Cioè lasciamo perdere Garibaldi che pure vale la stessa cosa a suo modo,

ma l'incuria al monumento di Matteotti è l'indicazione molto precisa del fatto che

l'antifascismo non è più il collante della nostra convivenza.

Anche questa è una risignificazione, una risignificazione che segnala che in quel monumento

evidentemente le nostre istituzioni non si riconoscono più.

Questo mi pare abbastanza preoccupante.

C'è questa geniale proposta di cancellazione per incuria da parte di questi urbanisti americani

che dicono che quel parco nazionale sopra l'Atlanta, in cui un'intera montagna è scolpita

per dare l'immagine di quei traditori che hanno combattuto contro il governo americano

per sostenere la schiavitù.

Siccome è un parco naturale, lasciamo semplicemente crescere l'erba

e piano piano la natura se lo riprenderà.

È un po' uno specchio di questa cancellazione per incuria del monumento di Matteotti

che io trovo veramente molto grave.

Aggiungerei che un'altra modalità di incuria è il fatto che due terzi delle statue che stanno in giro

nelle piazze nessuno sa più chi rappresentano e nessuno se ne ricorda più.

In qualche modo non rappresentano memoria ma magari uno spartitraffico.

Quindi possono anche essere sostituite o risignificate o tolte.

Grazie. Credo che veramente ci hai fatto vedere come questo è uno dei compiti fondamentali

di uno storico, cioè riportare la memoria nell'attualità collegando la storia passata

ma anche il presente, perché la storia come tu scrivi è anche presente

e va collegata poi con la vita di ogni giorno.

Questa storia ci interroga, ci ripropone continuamente delle questioni

e credo che la morale del nostro discorso, o almeno una delle possibili morali,

è che dobbiamo discuterne.

Discuterne con serietà, approfonditamente, capire cosa siamo e di come questo nostro modo di essere

si fa anche nel rapporto col passato e cosa vuol dire lasciare i segni del passato

nelle statue ma anche nei libri, nei romanzi, nei film.

Questo probabilmente ci fa capire come quello che noi facciamo è sempre

in una riflessione continua sul passato.

Ti ringrazio molto, credo che sia stato molto utile questa nostra conversazione

e mi auguro di risentirti presto.

Alle prossime, grazie.

Avete ascoltato Radar, un podcast degli Editori Laterza.

Post-produzione e musica a cura di Matteo Portelli.