×

Utilizziamo i cookies per contribuire a migliorare LingQ. Visitando il sito, acconsenti alla nostra politica dei cookie.


image

Radar Podcast, Radar ep.1: L'informazione in tempo di guerra, con Giorgio Zanchini - YouTube

Radar ep.1: L'informazione in tempo di guerra, con Giorgio Zanchini - YouTube

L'emotività dell'informazione italiana. Ecco questo è il vero

punto forse dolente ma che riguarda di qui il passaggio a

un altro medium. La televisione soprattutto la televisione. Il

nostro, il giornalismo italiano, un giornalismo che è

più emotivo che analitico. Qui sì davvero il New York Times,

Guardian, Ne Mondi, i giornali tedeschi, alcuni giornali

spagnoli tendono a avere uno un modo di raccontare i fatti che

mette l'analisi dei fatti al primo posto e poi il emotivo. I

talk show italiani sono pieni di storie pieni di racconti e

l'analisi tende a essere sempre avversariale. Cioè schierare

due parti, una contrapposizioni perché è una dinamica che in

televisione funziona. Che però fa pagare un prezzo in termini

di comprensione razionale dei fatti.

Viviamo in un'epoca di sovrainformazione siamo

bombardati da continue notifiche, dati, cifre, titoli.

Quello che sembra mancare però è il tempo di rimettere tutti

questi elementi in un contesto più generale. Unire i puntini e

provare a capire il prima e il dopo. La dimensione meno

istantanea dei grandi temi del nostro tempo. Il clima, i

diritti, l'informazione, l'economia

io sono Giuseppe Laterza e questo è radar podcast degli

editori Laterza Radar è una serie di conversazioni

settimanali sulle questioni essenziali del nostro tempo

ogni volta in compagnia di un esperto per cercare di andare

in profondità rimettere ordine e orientarsi

oggi siamo tutti invasi di informazioni sull'Ucraina un

po' come quando iniziò la pandemia nei primi mesi del

lockdown eh siamo esposti a tante immagini, a dati,

aggiornamenti costanti certe volte quasi verrebbe da dire

ossessivi, interviste, opinioni, analisi e poi

ciascuno di noi apre il proprio smartphone chi ne ha uno e c'è

un'informazione parallela quella del proprio eh che

arriva attraverso i social, di video magari non verificati, eh

un flusso incessante, di notifiche che ci arriva, si

mischia alle cose che facciamo tutti i giorni senza un ordine,

senza linee di demarcazione, senza tregua. Tutti competono

per la nostra attenzione ma ognuno ci informa in maniera

diversa e ci informiamo in maniera ciascuno diversa

all'interno della propria bolla come si dice. Chi è pronato,

chi è antiamericano, chi a destra, chi a sinistra, chi è favorevole

agli armamenti, che invece è un pacifista a oltranza. Insomma,

in tempi di guerra tutto questo si intensifica ancora di più in

una gara, all'ultimo dettaglio e anche alle emozioni alle

emozioni forti. L'altro giorno un amico giornalista mi diceva

che è giusto emozionare per informare perché non basta dare

i numeri di una guerra ma bisogna dare anche le immagini

certe volte anche cruente perché questo sensibilizza,

smuove, crea empatia eh ma qual è il limite? Qual è deve essere

il ruolo dell'informazione in tempi di guerra? E come

possiamo informarci nel modo migliore però senza diventare

appunto ossessivi senza rischiare l'assuefazione magari

all'orrore di un conflitto. In questo episodio ad aiutarci a

dipanare i fili di questa questione molto complicata

abbiamo invitato Giorgio Zanchini un giornalista della

Rai che ha condotto rubriche radiofoniche televisive di

grande successo e di approfondimento come radio

anch'io quante storie e che da anni studia il giornalismo sia

attraverso i libri ricordiamo soltanto tra i vari libri

leggere cosa e come giornalismo e l'informazione culturale e

l'età della rete con donzelli ha fatto con la terza un volume

con Giovanni Solimine sulla cultura orizzontale dedicata ai

giovani ehm e poi dirige un festival del giornalismo

culturale a Urbino. Ciao Giorgio. Beppe grazie per

l'invito. Ciao a voi. Dunque partiamo dall'inizio. Allora,

in questo momento nel mondo ci sono come sappiamo tante

guerre, decine di conflitti armati, anche con centinaia a

volte migliaia di vittime però uh di queste guerre per la

stragrande maggioranza sappiamo veramente poco. Certe volte

nulla. E ci sono invece casi in passato quello siriano in certi

momenti e certamente oggi quell'ucraino con una

sovrabbondanza di copertura mediatica. Ehm ecco la prima

cosa che vorrei chiederti Giorgio cosa rende una guerra

più mediatica di un'altra perché di questa guerra si

parla così tanto?

Dare tre risposte ma forse saranno soltanto due perché la

prima risposta è quella più istintiva che peraltro leggiamo

anche nei manuali di giornalismo ci sono sempre

ragioni geografiche e di interesse e impatto

sull'esistenza di ciascuno di noi geografiche perché l'ordine

di attenzione che noi poniamo ai fatti del mondo quelli a ai

quali il sistema mediatico dà significato e che per noi hanno

significato in realtà ci di nuovo in mano di giornalismo in

primo luogo sono mossi dalla vicinanza con i nostri

interessi cioè non so tu personalmente o chi ci ascolta

e ci ascolterà come procedere alla lettura dei giornali o

nell'ascolto del della telegiornale o del giornale

radio che in realtà hanno una gerarchia ma quando noi apriamo

un quotidiano siamo noi stessi a scegliere quali pagine

leggere per prima insomma noi sappiamo che esempio le notizie

locali di cronaca locale sono quelle che interessano una

percentuale molto eh di lettori, lettrici, ascoltatori,

ascoltatrici. Di qui il primo criterio cioè quello del quello

geografico e cioè quanto un evento, un fatto informativo,

un atto informativo è vicino a noi, ai nostri interessi. E

quindi anche le guerre rispondono a questo criterio.

Per cui noi ci occupiamo, almeno credo di ucraina, eh più

di quanto ci occupiamo di yemen e la nostra attenzione va

all'Ucraina più di quanto non faccia per una ragione

puramente geografica. L'Ucraina è un paese molto vicino a noi

con il quale abbiamo un rapporto molto stretto. In

Italia ci sono mi pare duecentocinquanta,

duecentosessantamila ucraini, ucraini prima dell'inizio della

guerra, adesso se ne sono aggiunte centomila. È il paese

europeo nel quale la percentuale di ucraini è fuori

dall'Ucraina, a parte la Polonia, è la più alta d'Europa

e quindi c'è un interesse diretto quindi il criterio

geografico è il primo credo che muova poi i media e coloro che

ricevono notizie, fruitori delle dell'informazione.

L'altro è quello dell'impatto sulle nostre vite. Quando una

guerra ha un impatto diretto o indiretto sulle nostre vite i

media tendono a occuparsene. Tu hai citato la Siria. La Siria

non è tanto vicina però ha avuto un impatto diretto sulle

nostre esistenze perché eh quella guerra ha generato un

flusso di migranti enorme che sono arrivati in Europa e di

qui anche la preoccupazione e gli interessi dei cittadini

italiani in primis quelli tedeschi che sono passati paesi

accoglienza ma anche dei cittadini italiani rispetto

agli effetti di quella guerra. Poi una guerra suscita la

nostra attenzione se ha un impatto economico e l'Ucraina

da questo punto di vista ha un enorme impatto economico perché

spesso le guerre nella fattispecie nella maniera

evidente generano delle sanzioni che possono avere una

ricaduta sull'economia interna. Questo è un altro dei criteri

che poi spingono i media a occuparsene più o meno. A

questi criteri di di ordine generale chiamiamolo così poi

Giuseppe. Io ne aggiu un altro che per così dire la torsione

politica che qualsiasi guerra genera. Quale più e quale meno

l'Iraq ne ha avuta un enorme l'Ucraina ne ha uno eh

gigantesco perché il rapporto con la Russia è un rapporto

politicamente molto sensibile in tutta Europa ma in Italia

direi in maniera particolare perché alcuni nostri partiti e

movimenti hanno avuto un rapporto con la Russia

piuttosto stretto l'Italia è uno dei paesi che ha intessuto

rapporti molto stretti con la Russia devo dire che anche la

Germania non è da meno se leggiamo abbiamo letto le

polemiche questi giorni sul ruolo di Geralder dopo

l'intervista che ha fatto a New York quattro cinque giorni fa

tradotta da molti giornali europei da qui da noi dalla

Stampa anche la Germania ha questa questione politicamente

sensibile e questo significa che i nostri giornali e il

nostro sistema mediatico usa anche quell'argomento per

riflessi effetti di politica interna e questo lo misuro io

ad esempio che conduco una trasmissione radiofonica ogni

'giorno perché mi rendo conto che certi e l'attenzione che

viene portata dagli ascoltatori su certi profili è figlia del

loro modo di leggere la politica italiana anzi direi in

maniera più esplicita del loro orientamento politico di chi

votano perché il modo in cui loro si pronunciano rispetto a

questa guerra è figlio della loro struttura mentale appunto

del del loro modo di leggere le cose della politica. Poi c'è

una terza questione un terzo modo di leggere eh questi

fenomeni che anche purtroppo questo è forse il più triste

degli degli argomenti l'importanza geografico,

politica, economica dei paesi in cui si svolgono i conflitti.

Eh tu davi quel dato quarantaquattro conflitti a mio

avviso io che faccio il giornalista potrei numerarne al

massimo quindici venti ma altri nemmeno li ricordo

probabilmente nemmeno li so nemmeno li conosco e

figuriamoci chi non lo fa professionalmente e non finisce

nel nel bacino di nell'occhio mediatico semplicemente perché

sono paesi troppo lontani da noi. Con interessi economici

che non impattano assolutamente sul nostro mercato che

significa anche il mercato dell'informazione e quindi la

terza ragione è quella più amara di tutte. Ti vorrei

chiedere anche dal punto di vista soggettivo di un

giornalista cosa vuol dire trovarsi improvvisamente in una

scena mediatica completamente cambiata cioè un giornalista in

particolare come te abituato a seguire attualità più diversa,

dalla politica, all'economia alla società alla cultura. E

poi a un certo punto succede un fatto enorme drammatico che

occupa il novanta percento se non in alcuni momenti il cento

percento del panorama informativo peraltro su un

paese che sì certo come tu dicevi è vicino ma in realtà di

cui poi gli italiani sanno ben poco. Ecco come cambia il il

tuo lavoro nel raccontare i conflitti diciamo eh un

conflitto che scoppia in questa maniera cioè eh eh ci sono che

che rimangono cambia tutto, cambiano i parametri con cui si

organizza il proprio lavoro, insomma, che cosa vuol dire per

un giornalista improvvisamente doversi occupare di un fatto

come questo, questa è una risposta che io ho tentato di

dare anche in quel saggio in cui abbiamo riflettuto proprio

con saggio, la terza a più voci sul come sarebbe stato il mondo

dopo il covid, il mondo dopo la fine del mondo e all'interno di

quel breve articolo io provavo a riflettere su che cosa era

successo con il covid, perché prendo subito di petto la covid

perché in realtà oramai nella mia lunga vita professionale ai

microfoni mi è capitato spesso come dicevi tu di eh dover

parlare di io parlerei più che di guerre di eventi che hanno

avuto un impatto mediatico e quindi informativo enorme qui

me ne erano assegnati ed elencati alcuni la guerra

Jugoslavia eh l'Iraq due volte la guerra in Afghanistan guerre

che abbiamo coperto meno ad esempio quelle africane in

Ruanda però la Libia già 'sta insomma desta nostra

attenzione. Guerre di precedenti intromissioni russe,

definiamole così, pensiamo pensiamo alla Georgia, pensiamo

alla Crimea cambia tutto, cambia il lavoro a seconda

dell'importanza e dell'impatto che ha quella guerra come come

suggerivi tu e però devo dirti che rispetto alla copertura che

stiamo dando e che poi, secondo me, sarà utile, se insomma sarà

utile tornare su questo punto eh perché quanto il sistema

mediacrico italiano agli altri paesi europei copre un evento

come la guerra in Ucraina credo sia interessante perché eh gli

italiani tendono eh i giornali italiani per mille ragioni a

dare una copertura superiore cioè in termini di più pagine

rispetto ad altri tradizioni giornalistiche europee però il

punto qual è? Che l'impatto che ha avuto il covid questo

scrivevo nel nel saggio all'interno del mondo dopo la

fine del mondo è stato talmente superchiante per noi

giornalisti che questa guerra che pure ha di nuovo e e

conseguenze enormi sullo scardinamento dell'agenda

informativa tradizionale eh devo dire che quella ha

cambiato tutto perché lì davvero per mesi per mesi in

ragione di quello che è successo e in ragione

soprattutto del lockdown che imponeva alle popolazioni di

stare a casa è stato il solo argomento di attenzione

pubblica cioè io ricordo settimane se non mesi Giuseppe

in cui la scaletta era dedicata al covid interamente lì sì

monotematizzazione che il covid aveva imposto era una novità

assoluta. Cioè a me nella mia vita professionale non era mai

capitato né con l'undici settembre né con le guerre, in

Iraq, in Afghanistan, né con la terribile degli attentati

terroristici ehm, del terrorismo islamico in Europa,

di dare una copertura così totale come ci è accaduto con

il covid. Quindi questa guerra sì ha cambiato la gerarchia

delle notizie e ha monopolizzato l'attenzione

pubblica e il modo in cui lavoriamo, ma non l'ha fatto il

covid. Per quanto riguarda questo aspetto di cui parlavi

della abbondanza informativa italiana rispetto anche ad

altri paesi abbiamo ascoltato l'opinione di Giovanni De

Mauro, il direttore di internazionale che è il

settimanale che ci riporta una selezione proprio di quello che

si dice, si scrive sui grandi giornali stranieri e la

risposta è molto interessante. Come sempre quando si parla di

mezzi di informazione è difficile generalizzare.

Possiamo dire che al modo in cui la gran parte dei giornali

italiani 'sta seguendo la guerra in Ucraina i giornali di

alcuni paesi europei in particolare Spagna, Francia,

Regno Unito e Germania e all'interno di quei paesi

giornali di riferimento quindi è il Paese in Spagna, le mondi

in Francia, il Franancial Times o il Guardian, Regno Unito

dedicano quotidianamente al conflitto decisamente meno

pagine. Puntano cioè molto sulla selezione e sulla qualità

dei singoli articoli che sulla quantità o sulla loro varietà.

E perfino nelle prime settimane di guerra lo spazio dedicato

all'invasione dell'Ucraina non ha mai superato le sei o le

otto pagine contro le venti e più pagine in Italia. E questa

è certamente la differenza maggiore quella più rilevante o

che comunque salta agli occhi. Ecco quello che dice De Mauro

mi sembra coincide con quello che tu ci dicevi e la prima

domanda è semplicemente perché secondo te c'è questa

sovrabbondanza informativa in Italia rispetto agli altri

paesi però voi vorrei chiederti di aggiungere anche un commento

più qualitativo cioè a me pare che la nostra informazione

particolarmente la televisione è molto suggestiva eh ma anche

i giornali che mettono grandi foto, grandi titoli e nuove

colonne ci sono poi i dibattiti, talk show, le

analisi però c'è moltissimo, un'informazione, come dire, di

di testimonianza e quindi nella guerra di testimonianza

terribile, tragica, di persone che soffrono e l'impressione è

che questa non è neutra è questa informazione così

emotiva, può avere una conseguenza sull'opinione

pubblica, può avere conseguenze paradossalmente opposte. Può

portare al fatto che uno dice facciamo di tutto per farlo

finire fino a entrare nel conflitto fino invece a quello

che provoca una certa assuefazione cioè l'idea che

basta non ne voglio più sapere non posso vivere

quotidianamente la mia normalità e avendo ogni minuto

queste immagini terribili ecco eh come dire entriamo nel vivo

del tema quindi quantità da una parte ma anche qualità

dell'informazione cosa vuol dire? Scusi qui potremmo

discutere per ore e ore immagino che anche tu abbia

delle riflessioni da da consegnare a questo incontro eh

anzitutto riprendo quello che diceva De Mauro eh aggiungendo

che non mi stupisce affatto la considerazione che faceva il

direttore di internazionale perché primo c'è un dato molto

semplicemente fattuale numerico che riguarda la foliazione cioè

eh molti giornali italiani sono più lunghi in termini di numero

di pagine appunto la foriazione rispetto a eh alcuni dei grandi

giornali europei basterebbe pensare a Le Monde o Air Pai il

nostro Corriere della Sera è un giornale molto lungo eh

Repubblica e La Stampa si sono accorciati dal punto di vista

delle pagine ma in generale la nostra è una stampa primo

sovrabbondante cioè noi abbiamo un numero di giornali enorme

superiore a molti perdono soldi ma insomma ora non facciamo un

discorso di mercato editoriale facciamo un discorso di

contenuti che quelle pagine devono riempire e eh se ci

facciamo caso diceva De Mauro eh nella eh sul paese sei

massimo pagine sono dedicate alla guerra su quella che la

sera dipende dai giorni ma insomma nei giorni eh alle

nostre spalle ma anche oggi molto semplicemente ho qui di

fronte a me un po' di giornali italiani mi sembra ci siano

dodici quattordici pagine dedicate alla guerra, alla

stampa è lo stesso ma anche eh domani dedica moltissime pagine

anche il foglio dedica enorme attenzione quindi una

percentuale che più o meno quella dei due terzi alla alla

guerra le ragioni sono le più diverse la più banale se volete

la più prosaica è che quelle pagine devono essere riempite

siccome questo è il tema che domina l'agenda informativa

italiana e quindi giocoforza in un sistema di circuito di

virtuoso perverso anche l'attenzione del pubblico. Eh i

giornali tendono a dare al pubblico quello che al pubblico

interessa eh o viceversa. Ma poi c'è una seconda un secondo

punto. È che lo vediamo dai dati d'ascolto i talk show

almeno nei primi delle prime settimane senz'altro nel primo

mese e mezzo che si occupavano e si occupano perché ogni sera

noi abbiamo due tre talk show che si occupano principalmente

della guerra in Ucraina fanno buoni ascolti. Questi sono

processi che abbiamo sperimentato sempre con i

grandi eventi è successo anche col covid la la anche per

ragioni di lockdown insomma i consumi televisivi ma anche nei

talk show radiofonici e sui giornali sono aumentati sono

aumentati in tutto la PanoPlia diciamo degli del dei media e

eh perché il pubblico chiedeva quelle notizie. Quindi i

giornali italiani tendono a dare al pubblico quello che si

aspettano che il pubblico voglia ricevere. E quindi

moltiplicano le pagine gli spazi che si occupano di di

guerra. Come lo fanno? Perché poi questa è la vera domanda

che mi ponevi. Qui secondo me bisogna distinguere fra i vari

media, fra i quotidiani, la televisione, la radio, la rete,

va sulla rete forse poi un'attenzione diversa. Ora io

tendo a essere meno severo di quando parliamo al di là di

questo podcast quando parliamo io e te tu tendi a avere un

atteggiamento sempre molto severo e pessimista rispetto

alla stampa italiana io tendo a essere un po' più ottimista

forse perché 'sto qui dentro faccio faccio il giornalista.

Poi bisogna distinguere molto i singoli quotidiani. Quello che

mi sento di dire è che a mio avviso alcuni quotidiani

italiani stanno facendo un ottimo lavoro. Eh qui ne cito

tre o quattro corriere della Sera, La Stampa a mio avviso a

venire domani anche il Foglio. Gli altri quotidiani anche

Repubblica che pure ha spesso delle interviste di grandissima

qualità repubblica tende ad esser insomma si è a mio avviso

molto schierata. Poi legittimamente o meno questo

non spetta a me dirlo e quindi è un giornalismo in questo

momento un po' più partigiano di quello che fanno gli altri

anche il Corriere della Sera una posizione molto orientata

ma a mio avviso ha un'articolazione di posizioni e

di ponte di molto ricca. Il Corriere della Sera a mio

avviso sempre 'sta facendo un lavoro eccellente in questa

guerra e e mi permetto di dire che persino Le Mondo o il

Guardian hanno una ricchezza di posizioni, di sguardi, una

varietà di inviati inferiori al della sera e anche la stampa e

qui tocco subito l'argomento che tu suggerivi cioè

l'emotività dell'informazione italiana. Ecco questo è il vero

eh punto forse dolente ma che riguarda il passaggio a un

altro medium. La televisione soprattutto la televisione. Il

nostro, il giornalismo italiano, è un giornalismo che

è più emotivo che analitico. Qui sì davvero il New York

Times, il Guardian, Nemond, i giornali tedeschi alcuni

giornali spagnoli tendono a avere uno un modo di raccontare

i fatti che mette l'analisi dei fatti al primo posto e poi il

racconto emotivo, corazzate, come il New York Times fanno

entrambi benissimo, cioè c'è l'analisi militare, geopolitica

c'è una quantità di storia, racconti, emotivi straordinari.

Vai il New York Times cioè il diciamo il giornale più

importante del mondo almeno credo. E altri eh il Lemond

punta molto sull'analisi e meno sull'emotività. Noi facciamo il

contrario. I talk show italiani sono pieni di storie pieni di

racconti e l'analisi tende a essere sempre avversaria cioè

schierare due parti, una contrapposizioni come il

vecchio modello di Ballarò perché è una dinamica che

funziona. Che però fa pagare un prezzo immagino che tu su

questo voglia aggiungere delle considerazioni un prezzo in

termini di comprensione razionale dei fatti

l'osservazione razionale di quello che accade. Questo in

televisione è evidente. Sui giornali il racconto emotivo

penso a quello che fa ad esempio Francesca Mannocchi che

che fa sia in televisione su La sette sia da noi alla radio su

radio uno sia sulla stampa con degli articoli a mio avviso ma

eh lo fa Marta Serafini sul Corriere della Sera, lo fa su

Repubblica Stein ad esempio che è entrato con secondo me con un

reportage straordinario dentro l'acciaieria dove 'sta la

brigata Azov ovviamente lì è un racconto di un'emotività

altissima, fortissima. Quella è una è una eh cifra del

giornalismo italiano verso la quale sulla quale io non riesco

a emettere un vero giudizio. Cioè io penso che ad esempio i

racconti della della Mannocchi che sceglie una chiave

narrativa siano molto belli. Non me la sento di di certo poi

ti spingono su posizioni. Ti ti spingono a prendere una

posizione rispetto alla guerra? Forse sì. Perché è anche la

scelta che fa il TG uno ad esempio che fa un racconto

collettivo sul quale magari torneremo composto dal racconto

dei giornalisti professionali ma anche di video che magari

hanno girato gli ucraini che vengono messi assieme. Certo

c'è una fortissima componente emotiva. E poi io mi chiedo e

qui davvero non so che risposta dare è far vedere quei

racconti, far vedere le immagini dei morti perché si è

aperto un dibattito molto interessante all'interno ad

esempio del sindacato giornalisti, del del della mia

categoria che perché alcuni lamentano, il fatto che non

dovremmo far vedere le immagini dei morti, non dovremmo far

vedere le immagini dei bambini, le immagini delle donne e io

sinceramente lì non so che posizione prendere perché

orientano il fruitore e poi rischiano di assuefare il

fruitore. Questa è una questione che tu ti ponevi. Non

lo so. Io qui davvero non so che che posizione la radio poi

anche qui bisogna distinguere molto perché noi alla Radio

anch'io al giornale radio cerchiamo di separare diciamo i

fatti dalle opinioni però poi è difficilissimo farlo perché

tutto si intreccia. Radio Tre ha una narrazione un po' più

distante rispetto a quella di Radio Uno che ha anche gli

ascoltatori quindi è un racconto collettivo in cui però

la componente emotiva è molto presente. Chiudo su un punto il

la questione che il giornalismo italiano è un giornalismo

fazioso, emotivo, più di altri tradizioni giornalistiche.

Quindi quello che accade nel nostro paese in ultima analisi

qui chiudo non ci deve sorprendere. Ma tu hai messo

insieme molte cose e le hai messe insieme a ragione perché

sono collegate però vorrei isolare tre parole su cui

vorrei andare un pochino più in profondità. Tu hai parlato di

soggettività hai parlato di emotività e hai parlato di

partigianeria. Allora, cominciamo con ultima. Allora

eh noi abbiamo fin qui parlato di informazione dal punto di

vista dell'utente ma dal punto di vista di chi combatte la

guerra l'informazione è uno strumento bellico no come sa

bene anche Zelenski che ha usato straordinariamente bene

l'informazione in questo periodo e certamente è arrivato

alle opinioni pubbliche di molti paesi in attraverso il

suo messaggio un messaggio che però arriva da tante fonti ci

sono appunto filmati che arriva attraverso il eh cellulare da

parte di delle persone più diverse. Ci sono fake news.

Ecco la partigianeria del giornalista fino a che punto è

ammissibile. Cioè il giornalista in un certo senso

avrebbe il dovere di tirarsi fuori dal conflitto e di

raccontare ciò che vede perché se invece è parte di questo

conflitto e si sente come dire parte di un'ammissione

salvifica anche se 'sta dalla parte forse rischia di

diventare strumento di propaganda e non è più questo

il compito del giornalista o sbaglio? Questa è una questione

enorme. Io ricordo che nei manuali di giornalismo veniva

sempre citato un caso. Vado a memoria quindi potrei

sbagliarmi sul riferimento bellico. Ma mi pare riguardasse

la prima guerra mondiale se non la guerra civile americana ma

mi sembra più difficile perché i tempi del giornalismo

americani erano lentissimi perché ovviamente eravamo agli

albori della stampa però e del caso cronista che stava sul

ciglio di un fronte di guerra e vede avanzare questo americano

e vede avanzare le forze nemiche e si domanda che devo

fare? Perché poi questo è un credo sia un fatto veramente

verificatosi e si domanda devo stare qui e e vedere con i miei

occhi per poi raccontare ai miei lettori l'avanzamento

delle forse è di età ma addirittura dell'avanzamento

delle forze avversarie o devo correre dal mio esercito per

avvertirli che stanno arrivando i nemici? Questo ovviamente è

un caso macroscopico di quello che rischia di fare giornalismo

oggi 'giorno guarda Giuseppe sarò il più pratico possibile.

Gli ascoltatori mi chiedevano siccome a Radio Anch'io ho

provato a porre la domanda che ci stiamo ponendo in questo in

questo incontro. Come stiamo raccontando la guerra. E eh oh

abbiamo invitato vari interlocutori che hanno avuto

delle idee, delle opinioni molto diverse. C'era ad esempio

Giuliana Mascherina che insieme ad altri vecchi eh inviati di

guerra aveva una posizione molto critica c'era Massimo

Giannini il direttore della stampa che invece raccontava

perché si fanno certe scelte ma insomma il punto è che gli

ascoltatori ci domandavano ma qual è la vostra linea

editoriale a questa guerra. Mi sono confrontato con Andrea

Vianello e eh abbiamo convenuto su un punto contestabile

Giuseppe, non lo metto in dubbio, che è il seguente, noi

dobbiamo essere i più neutrali e oggettivi possibili, far

parlare i nostri inviati che sono sul campo, vedono le cose

con i loro occhi, incontrano le persone, parlano con le fonti

ma poi non possiamo scordare che in questa guerra c'è un

aggressore e c'è un aggredito. Ora tu mi dirai sì ma significa

questa frase? Anche qui ci riporta su un terreno emotivo

cioè che da un certo punto di vista uso un'espressione molto

correva facciamo il tifo? Punto interrogativo ci auguriamo che

gli ucraini sconfiggano i lussi e quindi come giornalisti non

riusciamo a liberarci di queste lenti cioè il fatto che noi

parteggiamo per gli ucraini ecco questo è un errore cioè eh

che istintivamente rischiamo tutti di commettere anche io

personalmente non lo nascondo cioè in questa guerra trovo la

prepotenza dell'aggressore russo come ha detto il nostro

della Repubblica per il venticinque aprile c'è un

prepotente che ha aggredito c'è un popolo che eh che è appunto

vittima di quella regressione. È difficile liberarsi di queste

lenti. Però il giornalismo professionista e gli

anglosassoni da questo punto di vista sono io penso più la BBS

più gli inglesi degli americani perché gli americani se vai a

leggere la stampa persino il grande New York Times nel

rapporto con la Cina e nella descrizione della Cina e della

Russia ha un baia su una distorsione che è quasi

pregiudiziale però il punto è che molto sgombrare, liberarsi

di questo, di questa distorsione, di questo

pregiudizio ma uno è un professionista ed è un

giornalista proprio per questo. Cioè, è un giornalista, è un è

un professionista perché deve nei limiti del possibile

liberarsi dei pregiudizi che lo spingono a raccontare un fatto

e a leggere soltanto e a dare ascolto soltanto a certe fonti.

Ora non ho né voglia, né desiderio, né penso di poter

giudicare quello che 'sta accadendo ad esempio

all'interno della mia azienda a voci a sguardi e occhi che sono

sembrati parteggiare per una parte eh mi riferisco a

corrispondenti da dalla Russia da Mosca che hanno messo un po'

in crisi la nostra la nostra azienda è una questione che

riguarda la stampa che però quando non è servizio pubblico

se la può porre in una maniera un po' più libera cioè se

Repubblica sceglie di avere un punto di vista, di essere

partigiana essendo un giornale privato legittimamente può

farlo, come lo può fare la sera, un'altra cosa è per

riguarda eh la Rai o la BBC e la BBC è stata anche accusata

ad esempio di essere più volte partigiana di aver preso una

posizione sulla Brexit perché poi questo riguarda la guerra

ma riguarda qualsiasi argomento anche sulla politica però eh

capisco il l'obiezione che tu poni il rischio di essere

strumento di propaganda e di ascoltare solo le fonti

ucraine. Anche perché noi abbiamo più fatti facciamo più

fatica a eh cercare fonti russe, dare voce a quella che

per noi è solo mentre c'è propaganda anche da parte

americana ovviamente come in ogni conflitto c'è propaganda

parte ucraina anzi c'è in maniera forte eh aggressiva

persino da da fonte ucraina però è molto difficile. Dovere

di un giornalista e cercare ecco di Allora io non credo che

sia possibile liberarsi dai propri pregiudizi soprattutto

in un in un conflitto però il nostro dovere secondo me è un

altro è quello del pluralismo cioè di fronte a un fatto

cercare sempre di abbeverarsi a più fonti cioè raccontare quel

fatto anche dal punto di vista russo faccio un esempio oggi ho

visto nella conferenza stampa a Mosca dopo un incontro fra

Guterres e il punto di vista non coincidevano però nostro

dovere è anche ascoltare la conto di quello che dice la

prof e fare un'operazione di validazione di quello che ti

dice la prof ma anche di quello che dice Guterres e di quello

che dice Blinken e di quello che dice Biden e di quello che

dice Austin. Cioè questo credo sia il nostro dovere Giuseppe.

A proposito di pluralismo abbiamo chiesto a Marina

giornalista della redazione est di Rai News ventiquattro di

raccontarci la sua esperienza nei primi giorni del conflitto

come corrispondente da Mosca. Ecco che cosa ci ha detto. Una

delle esperienze che mi rimarrà senz'altro impressa dalla

guerra in corso in Ucraina e l'esperienza che ho avuto in

prima persona da inviata per un brevissimo periodo di circa tre

giorni a Mosca all'inizio di marzo. La particolarità di

quella esperienza è stata quella di atterrare nella

capitale russa proprio eh il 'giorno eh in cui una girata

legge contro le fake news entrata in vigore in Russia con

la quale si rischiavano con le quali tutt'oggi si rischiano

fino a quindici anni di carcere. Un'altra particolarità

eh dell'arrivo del mio arrivo a Mosca era il momento in cui

molte molte sedi ehm dei corrispondenti eh esteri

chiudevano in particolar modo colpiva la decisione della BBC

che per la prima volta dalla seconda guerra mondiale

decideva di chiudere la propria sede eh per la impossibilità eh

di effettuare il lavoro in maniera appropriata proprio a

causa. Dell'entrata in vigore di questa legge. Eh e dunque

potete capire la mhm difficoltà con la quale uno eh si

preparava magari di fare una diretta nel momento in cui eh

una legge che non definiva bene tutt'oggi non definisce bene

quello che eh si intende eh per il concetto delle notizie

false, le cosiddette fake news e di conseguenza il concetto

chiave era quello di non utilizzare la parola ovvero la

guerra eh in Russo eh ma quello che tutt'oggi viene ripetuto

come un mantra dal Cremlino ovvero la operazione speciale

militare. Eh il maggior dubbio è maggior diciamo una maggiore

difficoltà era quella di eh raccontare la percezione

soprattutto quello che si poteva insomma raccogliere e

documentare in nelle ore in cui eh eravamo lì eh e non eh

appunto cadere nella trappola della cosiddetta autocensura

per essere in linea di questa nuova legge dunque un

equilibrismo eh non facile ehm e soprattutto partendo dalla

mhm dal concetto che appunto si doveva raccontare un conflitto

senza utilizzare la parola chiave ovvero la eh guerra e

dunque a questo punto si decideva insomma di eh per così

dire parafrasare eh il concetto della guerra così come chiama

il Cremlino la guerra ovvero la operazione speciale militare e

raccontare la percezione eh della città in cui eh stavamo

Mosca che è nel mio eh particolar caso mi ricordava

moltissimo la mia città di origine degli anni novanta a

Belgrado la città spettrale dove si cercava di simulare una

specie di una assurda normalità eh dove eh non c'erano le

immagini eh assolutamente della guerra qualcosa che già era

molto presente per esempio a Roma eh sia entrando nei bar,

nei ristoranti degli schermi televisivi dove il conflitto

era ormai onnipresente eh questo eh aspetto del tutto

mancava per esempio paradossalmente nella

principale protagonista una città protagonista di questo

conflitto a Vero Mosca dall'altra parte un'altra

immagine che si cercava di raccontare quella della mhm

esperienza che si è avuta con delle persone che facilitavano

il nostro lavoro in quel momento eh ovvero questa

necessità di lasciare la città eh dunque se dare un titolo a

quelle quarantotto ore eh a Mosca sarebbe eh sicuramente la

fuga da mosca. E ora torniamo alla conversazione con Giorgio

Zanchini.

Liberarsi dei propri pregiudizi secondo me è possibile a

partire dalla consapevolezza di averli i pregiudizi. Certo. Noi

abbiamo ospitato all'auditorium di Roma una bellissima lezione

di Andrea Graziosi che raccontava diciamo come dietro

all'invasione russa ci sia un'ideologia. Noi spesso

sentiamo oscillare il giudizio su Putin tra il pazzo e il

criminale. Beh non necessariamente deve essere

pazzo criminale. Eh magari lo è. Ma diciamo basterebbe capi

l'ideologia la l'ideologia come dire sedimentata

nell'establishment russo che Putin rappresenta e da questo

punto di vista questo aiuta a a liberarci diciamo da un

pregiudizio quantomeno a capire per esempio che forse noi

occidentali ci siamo illusi che la storia fosse mossa solo

dagli interessi e quindi bastava coi russi, scambiare,

fare affari e sarebbero raboniti. No, la storia dentro

la storia c'è una componente ideologica e culturale per cui

non so come la pensi su questo ma bisogna sempre tener

presente che anche se io faccio business con qualcuno se quello

rimane imbevuto di un'erdiologia totalitaria

questo pesa comunque. Io su questo sono d'accordissimo anzi

il fatto che tu abbia eh menzionato Andrea Graziosi mi

fa dire che forse è nostro dovere e io ho cercato di farlo

nel piccolo di Radio anch'io e rivolgerci ai veri competenti

che ovviamente sono anche geopolitici qualche volta

persino giornalisti però è quello che ha fatto nel suo

intervento a radio anch'io. Cioè ci ha rimandato alla

storia. Anche alla storia dell'ideologia e quindi alla

componente ideologica nelle scelte di un gruppo dirigente

nella fattispecie quello moscovita, quello del quello

del Cremlino. Ecco, forse il nostro compito è di fronte al

rischio da un lato della propaganda, dall'alto del

pregiudizio, dall'altro della partigianeria è quello di

provare a divolgersi, anche se qui su insinuo subito un dubbio

perché persino gli storici hanno il loro pregiudizio

quindi nel raccontare i fatti e la storia e descrivere un

gruppo dirigente corrono seppur meno di noi lo stesso rischio

però ecco rivolgerci ad Andrea Graziosi o eh a Cella che è un

altro studioso di Ucraina molto attento però ad esempio

Giuseppe sarò molto franco quando ho rivolto la stessa

domanda a Franco Cardini che non è uno specialista come

Andrea Graziosi dell'Europa orientale del novecento che è

però un'insigne storico ha dato una descrizione completamente

diversa a quella di quindi capisci che è sempre molto

questo no? Ma non c'è dubbio. D'altra parte non credo che

neanche Veraziosi pretenda di avere la verità. No certo. Ehm

io credo che tutti noi siamo alla ricerca. E ehm tornando un


Radar ep.1: L'informazione in tempo di guerra, con Giorgio Zanchini - YouTube Radar ep.1: Information in Zeiten des Krieges, mit Giorgio Zanchini - YouTube Radar ep.1: Information in wartime, with Giorgio Zanchini - YouTube Radar ep.1: Información en tiempos de guerra, con Giorgio Zanchini - YouTube Radar ep.1 : L'information en temps de guerre, avec Giorgio Zanchini - YouTube Radar ep.1: ジョルジョ・ザンチーニが語る戦時下の情報 - YouTube Radar ep.1: Informacje w czasach wojny, z Giorgio Zanchinim - YouTube Radar ep.1: Informação em tempo de guerra, com Giorgio Zanchini - YouTube Radar ep.1: Информация во время войны, с Джорджио Занкини - YouTube Radar ep.1: Information i krigstider, med Giorgio Zanchini - YouTube 雷达第 1 集:战争时期的信息,与乔治-赞奇尼合作 - YouTube

L'emotività dell'informazione italiana. Ecco questo è il vero 意大利信息的情绪化。这才是真正的

punto forse dolente ma che riguarda di qui il passaggio a peut-être un point sensible, mais qui est lié à la transition vers l'économie de marché. 这也许是一个痛点,但它关系到向以下方面的过渡

un altro medium. La televisione soprattutto la televisione. Il

nostro, il giornalismo italiano, un giornalismo che è

più emotivo che analitico. Qui sì davvero il New York Times,

Guardian, Ne Mondi, i giornali tedeschi, alcuni giornali

spagnoli tendono a avere uno un modo di raccontare i fatti che

mette l'analisi dei fatti al primo posto e poi il emotivo. I

talk show italiani sono pieni di storie pieni di racconti e

l'analisi tende a essere sempre avversariale. Cioè schierare L'analyse a toujours tendance à être contradictoire. En d'autres termes, pour déployer

due parti, una contrapposizioni perché è una dinamica che in

televisione funziona. Che però fa pagare un prezzo in termini la télévision fonctionne. Cela a toutefois un prix en termes de

di comprensione razionale dei fatti.

Viviamo in un'epoca di sovrainformazione siamo Nous vivons à l'ère de la surinformation.

bombardati da continue notifiche, dati, cifre, titoli.

Quello che sembra mancare però è il tempo di rimettere tutti

questi elementi in un contesto più generale. Unire i puntini e

provare a capire il prima e il dopo. La dimensione meno

istantanea dei grandi temi del nostro tempo. Il clima, i

diritti, l'informazione, l'economia

io sono Giuseppe Laterza e questo è radar podcast degli

editori Laterza Radar è una serie di conversazioni

settimanali sulle questioni essenziali del nostro tempo

ogni volta in compagnia di un esperto per cercare di andare

in profondità rimettere ordine e orientarsi

oggi siamo tutti invasi di informazioni sull'Ucraina un

po' come quando iniziò la pandemia nei primi mesi del

lockdown eh siamo esposti a tante immagini, a dati,

aggiornamenti costanti certe volte quasi verrebbe da dire des mises à jour constantes, on a parfois presque envie de dire

ossessivi, interviste, opinioni, analisi e poi

ciascuno di noi apre il proprio smartphone chi ne ha uno e c'è

un'informazione parallela quella del proprio eh che

arriva attraverso i social, di video magari non verificati, eh

un flusso incessante, di notifiche che ci arriva, si

mischia alle cose che facciamo tutti i giorni senza un ordine,

senza linee di demarcazione, senza tregua. Tutti competono

per la nostra attenzione ma ognuno ci informa in maniera

diversa e ci informiamo in maniera ciascuno diversa

all'interno della propria bolla come si dice. Chi è pronato, dans leur propre bulle, comme on dit. Qui est prone,

chi è antiamericano, chi a destra, chi a sinistra, chi è favorevole

agli armamenti, che invece è un pacifista a oltranza. Insomma,

in tempi di guerra tutto questo si intensifica ancora di più in

una gara, all'ultimo dettaglio e anche alle emozioni alle d'une course, jusque dans les moindres détails et jusqu'à l'émotion au moment de la course.

emozioni forti. L'altro giorno un amico giornalista mi diceva

che è giusto emozionare per informare perché non basta dare

i numeri di una guerra ma bisogna dare anche le immagini

certe volte anche cruente perché questo sensibilizza,

smuove, crea empatia eh ma qual è il limite? Qual è deve essere

il ruolo dell'informazione in tempi di guerra? E come

possiamo informarci nel modo migliore però senza diventare

appunto ossessivi senza rischiare l'assuefazione magari

all'orrore di un conflitto. In questo episodio ad aiutarci a

dipanare i fili di questa questione molto complicata démêler les fils de cette question très complexe

abbiamo invitato Giorgio Zanchini un giornalista della

Rai che ha condotto rubriche radiofoniche televisive di

grande successo e di approfondimento come radio

anch'io quante storie e che da anni studia il giornalismo sia

attraverso i libri ricordiamo soltanto tra i vari libri seulement parmi les livres que nous pouvons mentionner

leggere cosa e come giornalismo e l'informazione culturale e lire quoi et comment journalisme et culture et

l'età della rete con donzelli ha fatto con la terza un volume l'âge du filet avec donzelli fait avec le troisième un volume

con Giovanni Solimine sulla cultura orizzontale dedicata ai

giovani ehm e poi dirige un festival del giornalismo

culturale a Urbino. Ciao Giorgio. Beppe grazie per

l'invito. Ciao a voi. Dunque partiamo dall'inizio. Allora,

in questo momento nel mondo ci sono come sappiamo tante

guerre, decine di conflitti armati, anche con centinaia a

volte migliaia di vittime però uh di queste guerre per la

stragrande maggioranza sappiamo veramente poco. Certe volte Dans la grande majorité des cas, nous ne savons pas grand-chose. Parfois

nulla. E ci sono invece casi in passato quello siriano in certi rien. Et il y a eu des cas dans le passé où la Syrie, dans certains cas, a été le théâtre d'une guerre civile.

momenti e certamente oggi quell'ucraino con una

sovrabbondanza di copertura mediatica. Ehm ecco la prima

cosa che vorrei chiederti Giorgio cosa rende una guerra

più mediatica di un'altra perché di questa guerra si

parla così tanto?

Dare tre risposte ma forse saranno soltanto due perché la

prima risposta è quella più istintiva che peraltro leggiamo la première réponse est la plus instinctive, ce que nous lisons également

anche nei manuali di giornalismo ci sono sempre

ragioni geografiche e di interesse e impatto

sull'esistenza di ciascuno di noi geografiche perché l'ordine sur l'existence de chacun d'entre nous géographiquement parce que l'ordre

di attenzione che noi poniamo ai fatti del mondo quelli a ai

quali il sistema mediatico dà significato e che per noi hanno

significato in realtà ci di nuovo in mano di giornalismo in ce qui signifie que nous sommes de nouveau entre les mains du journalisme dans les pays de l'Union européenne.

primo luogo sono mossi dalla vicinanza con i nostri d'une part, elles sont motivées par la proximité de nos

interessi cioè non so tu personalmente o chi ci ascolta

e ci ascolterà come procedere alla lettura dei giornali o

nell'ascolto del della telegiornale o del giornale

radio che in realtà hanno una gerarchia ma quando noi apriamo

un quotidiano siamo noi stessi a scegliere quali pagine

leggere per prima insomma noi sappiamo che esempio le notizie

locali di cronaca locale sono quelle che interessano una

percentuale molto eh di lettori, lettrici, ascoltatori,

ascoltatrici. Di qui il primo criterio cioè quello del quello

geografico e cioè quanto un evento, un fatto informativo,

un atto informativo è vicino a noi, ai nostri interessi. E

quindi anche le guerre rispondono a questo criterio.

Per cui noi ci occupiamo, almeno credo di ucraina, eh più

di quanto ci occupiamo di yemen e la nostra attenzione va

all'Ucraina più di quanto non faccia per una ragione

puramente geografica. L'Ucraina è un paese molto vicino a noi

con il quale abbiamo un rapporto molto stretto. In

Italia ci sono mi pare duecentocinquanta,

duecentosessantamila ucraini, ucraini prima dell'inizio della

guerra, adesso se ne sono aggiunte centomila. È il paese

europeo nel quale la percentuale di ucraini è fuori

dall'Ucraina, a parte la Polonia, è la più alta d'Europa

e quindi c'è un interesse diretto quindi il criterio

geografico è il primo credo che muova poi i media e coloro che La géographie est la première croyance qui anime ensuite les médias et ceux qui sont en charge de la gestion de l'information.

ricevono notizie, fruitori delle dell'informazione.

L'altro è quello dell'impatto sulle nostre vite. Quando una

guerra ha un impatto diretto o indiretto sulle nostre vite i

media tendono a occuparsene. Tu hai citato la Siria. La Siria

non è tanto vicina però ha avuto un impatto diretto sulle

nostre esistenze perché eh quella guerra ha generato un

flusso di migranti enorme che sono arrivati in Europa e di

qui anche la preoccupazione e gli interessi dei cittadini

italiani in primis quelli tedeschi che sono passati paesi Les Italiens d'abord et surtout les Allemands qui ont traversé les pays

accoglienza ma anche dei cittadini italiani rispetto l'accueil, mais aussi des citoyens italiens en ce qui concerne

agli effetti di quella guerra. Poi una guerra suscita la

nostra attenzione se ha un impatto economico e l'Ucraina

da questo punto di vista ha un enorme impatto economico perché

spesso le guerre nella fattispecie nella maniera

evidente generano delle sanzioni che possono avere una

ricaduta sull'economia interna. Questo è un altro dei criteri

che poi spingono i media a occuparsene più o meno. A

questi criteri di di ordine generale chiamiamolo così poi

Giuseppe. Io ne aggiu un altro che per così dire la torsione Joseph. J'en ajouterai une autre qui le déformera pour ainsi dire

politica che qualsiasi guerra genera. Quale più e quale meno politique qu'engendre toute guerre. Quels sont les plus et les moins

l'Iraq ne ha avuta un enorme l'Ucraina ne ha uno eh

gigantesco perché il rapporto con la Russia è un rapporto

politicamente molto sensibile in tutta Europa ma in Italia

direi in maniera particolare perché alcuni nostri partiti e

movimenti hanno avuto un rapporto con la Russia

piuttosto stretto l'Italia è uno dei paesi che ha intessuto plutôt étroite L'Italie est l'un des pays qui a tissé des

rapporti molto stretti con la Russia devo dire che anche la

Germania non è da meno se leggiamo abbiamo letto le L'Allemagne ne l'est pas moins si l'on lit le

polemiche questi giorni sul ruolo di Geralder dopo

l'intervista che ha fatto a New York quattro cinque giorni fa

tradotta da molti giornali europei da qui da noi dalla

Stampa anche la Germania ha questa questione politicamente

sensibile e questo significa che i nostri giornali e il

nostro sistema mediatico usa anche quell'argomento per notre système médiatique utilise également cet argument pour

riflessi effetti di politica interna e questo lo misuro io les effets politiques internes, que je mesure

ad esempio che conduco una trasmissione radiofonica ogni par exemple que j'anime une émission de radio tous les

'giorno perché mi rendo conto che certi e l'attenzione che

viene portata dagli ascoltatori su certi profili è figlia del

loro modo di leggere la politica italiana anzi direi in

maniera più esplicita del loro orientamento politico di chi

votano perché il modo in cui loro si pronunciano rispetto a

questa guerra è figlio della loro struttura mentale appunto

del del loro modo di leggere le cose della politica. Poi c'è

una terza questione un terzo modo di leggere eh questi

fenomeni che anche purtroppo questo è forse il più triste

degli degli argomenti l'importanza geografico,

politica, economica dei paesi in cui si svolgono i conflitti.

Eh tu davi quel dato quarantaquattro conflitti a mio

avviso io che faccio il giornalista potrei numerarne al

massimo quindici venti ma altri nemmeno li ricordo

probabilmente nemmeno li so nemmeno li conosco e ne les connaissent probablement même pas et

figuriamoci chi non lo fa professionalmente e non finisce sans parler de ceux qui ne le font pas professionnellement et qui ne finissent pas par

nel nel bacino di nell'occhio mediatico semplicemente perché dans l'œil des médias simplement parce que

sono paesi troppo lontani da noi. Con interessi economici

che non impattano assolutamente sul nostro mercato che

significa anche il mercato dell'informazione e quindi la

terza ragione è quella più amara di tutte. Ti vorrei

chiedere anche dal punto di vista soggettivo di un

giornalista cosa vuol dire trovarsi improvvisamente in una

scena mediatica completamente cambiata cioè un giornalista in

particolare come te abituato a seguire attualità più diversa,

dalla politica, all'economia alla società alla cultura. E

poi a un certo punto succede un fatto enorme drammatico che

occupa il novanta percento se non in alcuni momenti il cento

percento del panorama informativo peraltro su un de l'information, mais sur une échelle de 1 à 5, il est possible d'obtenir des informations sur des sujets spécifiques.

paese che sì certo come tu dicevi è vicino ma in realtà di

cui poi gli italiani sanno ben poco. Ecco come cambia il il

tuo lavoro nel raccontare i conflitti diciamo eh un

conflitto che scoppia in questa maniera cioè eh eh ci sono che conflit qui éclate de cette manière, c'est-à-dire qu'il y a cette

che rimangono cambia tutto, cambiano i parametri con cui si

organizza il proprio lavoro, insomma, che cosa vuol dire per

un giornalista improvvisamente doversi occupare di un fatto un journaliste qui doit soudainement couvrir un fait

come questo, questa è una risposta che io ho tentato di

dare anche in quel saggio in cui abbiamo riflettuto proprio Nous avons également réfléchi, dans cet essai, à la question de savoir s'il y a lieu d'adopter des mesures de protection des droits de l'homme.

con saggio, la terza a più voci sul come sarebbe stato il mondo

dopo il covid, il mondo dopo la fine del mondo e all'interno di

quel breve articolo io provavo a riflettere su che cosa era

successo con il covid, perché prendo subito di petto la covid

perché in realtà oramai nella mia lunga vita professionale ai

microfoni mi è capitato spesso come dicevi tu di eh dover microphones, il m'est souvent arrivé, comme vous l'avez dit, d'avoir à

parlare di io parlerei più che di guerre di eventi che hanno

avuto un impatto mediatico e quindi informativo enorme qui

me ne erano assegnati ed elencati alcuni la guerra

Jugoslavia eh l'Iraq due volte la guerra in Afghanistan guerre

che abbiamo coperto meno ad esempio quelle africane in

Ruanda però la Libia già 'sta insomma desta nostra

attenzione. Guerre di precedenti intromissioni russe,

definiamole così, pensiamo pensiamo alla Georgia, pensiamo

alla Crimea cambia tutto, cambia il lavoro a seconda

dell'importanza e dell'impatto che ha quella guerra come come

suggerivi tu e però devo dirti che rispetto alla copertura che que vous avez suggéré et pourtant je dois vous dire que par rapport à la couverture que les

stiamo dando e che poi, secondo me, sarà utile, se insomma sarà

utile tornare su questo punto eh perché quanto il sistema

mediacrico italiano agli altri paesi europei copre un evento

come la guerra in Ucraina credo sia interessante perché eh gli

italiani tendono eh i giornali italiani per mille ragioni a

dare una copertura superiore cioè in termini di più pagine

rispetto ad altri tradizioni giornalistiche europee però il

punto qual è? Che l'impatto che ha avuto il covid questo

scrivevo nel nel saggio all'interno del mondo dopo la

fine del mondo è stato talmente superchiante per noi

giornalisti che questa guerra che pure ha di nuovo e e

conseguenze enormi sullo scardinamento dell'agenda

informativa tradizionale eh devo dire che quella ha

cambiato tutto perché lì davvero per mesi per mesi in

ragione di quello che è successo e in ragione

soprattutto del lockdown che imponeva alle popolazioni di

stare a casa è stato il solo argomento di attenzione

pubblica cioè io ricordo settimane se non mesi Giuseppe

in cui la scaletta era dedicata al covid interamente lì sì

monotematizzazione che il covid aveva imposto era una novità

assoluta. Cioè a me nella mia vita professionale non era mai

capitato né con l'undici settembre né con le guerre, in

Iraq, in Afghanistan, né con la terribile degli attentati

terroristici ehm, del terrorismo islamico in Europa,

di dare una copertura così totale come ci è accaduto con

il covid. Quindi questa guerra sì ha cambiato la gerarchia

delle notizie e ha monopolizzato l'attenzione

pubblica e il modo in cui lavoriamo, ma non l'ha fatto il

covid. Per quanto riguarda questo aspetto di cui parlavi

della abbondanza informativa italiana rispetto anche ad

altri paesi abbiamo ascoltato l'opinione di Giovanni De

Mauro, il direttore di internazionale che è il

settimanale che ci riporta una selezione proprio di quello che

si dice, si scrive sui grandi giornali stranieri e la

risposta è molto interessante. Come sempre quando si parla di

mezzi di informazione è difficile generalizzare.

Possiamo dire che al modo in cui la gran parte dei giornali

italiani 'sta seguendo la guerra in Ucraina i giornali di

alcuni paesi europei in particolare Spagna, Francia,

Regno Unito e Germania e all'interno di quei paesi

giornali di riferimento quindi è il Paese in Spagna, le mondi

in Francia, il Franancial Times o il Guardian, Regno Unito

dedicano quotidianamente al conflitto decisamente meno

pagine. Puntano cioè molto sulla selezione e sulla qualità

dei singoli articoli che sulla quantità o sulla loro varietà.

E perfino nelle prime settimane di guerra lo spazio dedicato

all'invasione dell'Ucraina non ha mai superato le sei o le

otto pagine contro le venti e più pagine in Italia. E questa

è certamente la differenza maggiore quella più rilevante o

che comunque salta agli occhi. Ecco quello che dice De Mauro

mi sembra coincide con quello che tu ci dicevi e la prima

domanda è semplicemente perché secondo te c'è questa

sovrabbondanza informativa in Italia rispetto agli altri

paesi però voi vorrei chiederti di aggiungere anche un commento

più qualitativo cioè a me pare che la nostra informazione

particolarmente la televisione è molto suggestiva eh ma anche

i giornali che mettono grandi foto, grandi titoli e nuove

colonne ci sono poi i dibattiti, talk show, le

analisi però c'è moltissimo, un'informazione, come dire, di

di testimonianza e quindi nella guerra di testimonianza

terribile, tragica, di persone che soffrono e l'impressione è

che questa non è neutra è questa informazione così

emotiva, può avere una conseguenza sull'opinione

pubblica, può avere conseguenze paradossalmente opposte. Può

portare al fatto che uno dice facciamo di tutto per farlo

finire fino a entrare nel conflitto fino invece a quello

che provoca una certa assuefazione cioè l'idea che

basta non ne voglio più sapere non posso vivere No quiero saber más no puedo vivir

quotidianamente la mia normalità e avendo ogni minuto

queste immagini terribili ecco eh come dire entriamo nel vivo

del tema quindi quantità da una parte ma anche qualità

dell'informazione cosa vuol dire? Scusi qui potremmo

discutere per ore e ore immagino che anche tu abbia

delle riflessioni da da consegnare a questo incontro eh

anzitutto riprendo quello che diceva De Mauro eh aggiungendo

che non mi stupisce affatto la considerazione che faceva il

direttore di internazionale perché primo c'è un dato molto

semplicemente fattuale numerico che riguarda la foliazione cioè

eh molti giornali italiani sono più lunghi in termini di numero

di pagine appunto la foriazione rispetto a eh alcuni dei grandi

giornali europei basterebbe pensare a Le Monde o Air Pai il

nostro Corriere della Sera è un giornale molto lungo eh

Repubblica e La Stampa si sono accorciati dal punto di vista

delle pagine ma in generale la nostra è una stampa primo

sovrabbondante cioè noi abbiamo un numero di giornali enorme

superiore a molti perdono soldi ma insomma ora non facciamo un

discorso di mercato editoriale facciamo un discorso di

contenuti che quelle pagine devono riempire e eh se ci

facciamo caso diceva De Mauro eh nella eh sul paese sei

massimo pagine sono dedicate alla guerra su quella che la

sera dipende dai giorni ma insomma nei giorni eh alle

nostre spalle ma anche oggi molto semplicemente ho qui di

fronte a me un po' di giornali italiani mi sembra ci siano

dodici quattordici pagine dedicate alla guerra, alla

stampa è lo stesso ma anche eh domani dedica moltissime pagine

anche il foglio dedica enorme attenzione quindi una

percentuale che più o meno quella dei due terzi alla alla

guerra le ragioni sono le più diverse la più banale se volete

la più prosaica è che quelle pagine devono essere riempite

siccome questo è il tema che domina l'agenda informativa

italiana e quindi giocoforza in un sistema di circuito di

virtuoso perverso anche l'attenzione del pubblico. Eh i

giornali tendono a dare al pubblico quello che al pubblico

interessa eh o viceversa. Ma poi c'è una seconda un secondo

punto. È che lo vediamo dai dati d'ascolto i talk show

almeno nei primi delle prime settimane senz'altro nel primo

mese e mezzo che si occupavano e si occupano perché ogni sera

noi abbiamo due tre talk show che si occupano principalmente

della guerra in Ucraina fanno buoni ascolti. Questi sono

processi che abbiamo sperimentato sempre con i

grandi eventi è successo anche col covid la la anche per

ragioni di lockdown insomma i consumi televisivi ma anche nei

talk show radiofonici e sui giornali sono aumentati sono

aumentati in tutto la PanoPlia diciamo degli del dei media e

eh perché il pubblico chiedeva quelle notizie. Quindi i

giornali italiani tendono a dare al pubblico quello che si

aspettano che il pubblico voglia ricevere. E quindi

moltiplicano le pagine gli spazi che si occupano di di

guerra. Come lo fanno? Perché poi questa è la vera domanda

che mi ponevi. Qui secondo me bisogna distinguere fra i vari

media, fra i quotidiani, la televisione, la radio, la rete,

va sulla rete forse poi un'attenzione diversa. Ora io

tendo a essere meno severo di quando parliamo al di là di

questo podcast quando parliamo io e te tu tendi a avere un

atteggiamento sempre molto severo e pessimista rispetto

alla stampa italiana io tendo a essere un po' più ottimista

forse perché 'sto qui dentro faccio faccio il giornalista.

Poi bisogna distinguere molto i singoli quotidiani. Quello che

mi sento di dire è che a mio avviso alcuni quotidiani

italiani stanno facendo un ottimo lavoro. Eh qui ne cito

tre o quattro corriere della Sera, La Stampa a mio avviso a

venire domani anche il Foglio. Gli altri quotidiani anche

Repubblica che pure ha spesso delle interviste di grandissima

qualità repubblica tende ad esser insomma si è a mio avviso

molto schierata. Poi legittimamente o meno questo

non spetta a me dirlo e quindi è un giornalismo in questo

momento un po' più partigiano di quello che fanno gli altri

anche il Corriere della Sera una posizione molto orientata

ma a mio avviso ha un'articolazione di posizioni e

di ponte di molto ricca. Il Corriere della Sera a mio

avviso sempre 'sta facendo un lavoro eccellente in questa

guerra e e mi permetto di dire che persino Le Mondo o il

Guardian hanno una ricchezza di posizioni, di sguardi, una

varietà di inviati inferiori al della sera e anche la stampa e

qui tocco subito l'argomento che tu suggerivi cioè

l'emotività dell'informazione italiana. Ecco questo è il vero

eh punto forse dolente ma che riguarda il passaggio a un

altro medium. La televisione soprattutto la televisione. Il

nostro, il giornalismo italiano, è un giornalismo che

è più emotivo che analitico. Qui sì davvero il New York

Times, il Guardian, Nemond, i giornali tedeschi alcuni

giornali spagnoli tendono a avere uno un modo di raccontare

i fatti che mette l'analisi dei fatti al primo posto e poi il

racconto emotivo, corazzate, come il New York Times fanno

entrambi benissimo, cioè c'è l'analisi militare, geopolitica

c'è una quantità di storia, racconti, emotivi straordinari.

Vai il New York Times cioè il diciamo il giornale più

importante del mondo almeno credo. E altri eh il Lemond

punta molto sull'analisi e meno sull'emotività. Noi facciamo il

contrario. I talk show italiani sono pieni di storie pieni di

racconti e l'analisi tende a essere sempre avversaria cioè

schierare due parti, una contrapposizioni come il

vecchio modello di Ballarò perché è una dinamica che

funziona. Che però fa pagare un prezzo immagino che tu su

questo voglia aggiungere delle considerazioni un prezzo in

termini di comprensione razionale dei fatti

l'osservazione razionale di quello che accade. Questo in

televisione è evidente. Sui giornali il racconto emotivo

penso a quello che fa ad esempio Francesca Mannocchi che

che fa sia in televisione su La sette sia da noi alla radio su

radio uno sia sulla stampa con degli articoli a mio avviso ma

eh lo fa Marta Serafini sul Corriere della Sera, lo fa su

Repubblica Stein ad esempio che è entrato con secondo me con un

reportage straordinario dentro l'acciaieria dove 'sta la

brigata Azov ovviamente lì è un racconto di un'emotività

altissima, fortissima. Quella è una è una eh cifra del

giornalismo italiano verso la quale sulla quale io non riesco

a emettere un vero giudizio. Cioè io penso che ad esempio i

racconti della della Mannocchi che sceglie una chiave

narrativa siano molto belli. Non me la sento di di certo poi

ti spingono su posizioni. Ti ti spingono a prendere una

posizione rispetto alla guerra? Forse sì. Perché è anche la

scelta che fa il TG uno ad esempio che fa un racconto

collettivo sul quale magari torneremo composto dal racconto

dei giornalisti professionali ma anche di video che magari

hanno girato gli ucraini che vengono messi assieme. Certo

c'è una fortissima componente emotiva. E poi io mi chiedo e

qui davvero non so che risposta dare è far vedere quei

racconti, far vedere le immagini dei morti perché si è

aperto un dibattito molto interessante all'interno ad

esempio del sindacato giornalisti, del del della mia

categoria che perché alcuni lamentano, il fatto che non

dovremmo far vedere le immagini dei morti, non dovremmo far

vedere le immagini dei bambini, le immagini delle donne e io

sinceramente lì non so che posizione prendere perché

orientano il fruitore e poi rischiano di assuefare il

fruitore. Questa è una questione che tu ti ponevi. Non

lo so. Io qui davvero non so che che posizione la radio poi

anche qui bisogna distinguere molto perché noi alla Radio

anch'io al giornale radio cerchiamo di separare diciamo i

fatti dalle opinioni però poi è difficilissimo farlo perché

tutto si intreccia. Radio Tre ha una narrazione un po' più

distante rispetto a quella di Radio Uno che ha anche gli

ascoltatori quindi è un racconto collettivo in cui però

la componente emotiva è molto presente. Chiudo su un punto il

la questione che il giornalismo italiano è un giornalismo

fazioso, emotivo, più di altri tradizioni giornalistiche.

Quindi quello che accade nel nostro paese in ultima analisi

qui chiudo non ci deve sorprendere. Ma tu hai messo

insieme molte cose e le hai messe insieme a ragione perché

sono collegate però vorrei isolare tre parole su cui

vorrei andare un pochino più in profondità. Tu hai parlato di

soggettività hai parlato di emotività e hai parlato di

partigianeria. Allora, cominciamo con ultima. Allora

eh noi abbiamo fin qui parlato di informazione dal punto di

vista dell'utente ma dal punto di vista di chi combatte la

guerra l'informazione è uno strumento bellico no come sa

bene anche Zelenski che ha usato straordinariamente bene

l'informazione in questo periodo e certamente è arrivato

alle opinioni pubbliche di molti paesi in attraverso il

suo messaggio un messaggio che però arriva da tante fonti ci

sono appunto filmati che arriva attraverso il eh cellulare da

parte di delle persone più diverse. Ci sono fake news.

Ecco la partigianeria del giornalista fino a che punto è

ammissibile. Cioè il giornalista in un certo senso

avrebbe il dovere di tirarsi fuori dal conflitto e di

raccontare ciò che vede perché se invece è parte di questo

conflitto e si sente come dire parte di un'ammissione

salvifica anche se 'sta dalla parte forse rischia di

diventare strumento di propaganda e non è più questo

il compito del giornalista o sbaglio? Questa è una questione

enorme. Io ricordo che nei manuali di giornalismo veniva

sempre citato un caso. Vado a memoria quindi potrei

sbagliarmi sul riferimento bellico. Ma mi pare riguardasse

la prima guerra mondiale se non la guerra civile americana ma

mi sembra più difficile perché i tempi del giornalismo

americani erano lentissimi perché ovviamente eravamo agli

albori della stampa però e del caso cronista che stava sul

ciglio di un fronte di guerra e vede avanzare questo americano

e vede avanzare le forze nemiche e si domanda che devo

fare? Perché poi questo è un credo sia un fatto veramente

verificatosi e si domanda devo stare qui e e vedere con i miei

occhi per poi raccontare ai miei lettori l'avanzamento

delle forse è di età ma addirittura dell'avanzamento

delle forze avversarie o devo correre dal mio esercito per

avvertirli che stanno arrivando i nemici? Questo ovviamente è

un caso macroscopico di quello che rischia di fare giornalismo

oggi 'giorno guarda Giuseppe sarò il più pratico possibile.

Gli ascoltatori mi chiedevano siccome a Radio Anch'io ho

provato a porre la domanda che ci stiamo ponendo in questo in

questo incontro. Come stiamo raccontando la guerra. E eh oh

abbiamo invitato vari interlocutori che hanno avuto

delle idee, delle opinioni molto diverse. C'era ad esempio

Giuliana Mascherina che insieme ad altri vecchi eh inviati di

guerra aveva una posizione molto critica c'era Massimo

Giannini il direttore della stampa che invece raccontava

perché si fanno certe scelte ma insomma il punto è che gli

ascoltatori ci domandavano ma qual è la vostra linea

editoriale a questa guerra. Mi sono confrontato con Andrea

Vianello e eh abbiamo convenuto su un punto contestabile

Giuseppe, non lo metto in dubbio, che è il seguente, noi

dobbiamo essere i più neutrali e oggettivi possibili, far

parlare i nostri inviati che sono sul campo, vedono le cose

con i loro occhi, incontrano le persone, parlano con le fonti

ma poi non possiamo scordare che in questa guerra c'è un

aggressore e c'è un aggredito. Ora tu mi dirai sì ma significa

questa frase? Anche qui ci riporta su un terreno emotivo

cioè che da un certo punto di vista uso un'espressione molto

correva facciamo il tifo? Punto interrogativo ci auguriamo che

gli ucraini sconfiggano i lussi e quindi come giornalisti non

riusciamo a liberarci di queste lenti cioè il fatto che noi

parteggiamo per gli ucraini ecco questo è un errore cioè eh

che istintivamente rischiamo tutti di commettere anche io

personalmente non lo nascondo cioè in questa guerra trovo la

prepotenza dell'aggressore russo come ha detto il nostro

della Repubblica per il venticinque aprile c'è un

prepotente che ha aggredito c'è un popolo che eh che è appunto

vittima di quella regressione. È difficile liberarsi di queste

lenti. Però il giornalismo professionista e gli

anglosassoni da questo punto di vista sono io penso più la BBS

più gli inglesi degli americani perché gli americani se vai a

leggere la stampa persino il grande New York Times nel

rapporto con la Cina e nella descrizione della Cina e della

Russia ha un baia su una distorsione che è quasi

pregiudiziale però il punto è che molto sgombrare, liberarsi

di questo, di questa distorsione, di questo

pregiudizio ma uno è un professionista ed è un

giornalista proprio per questo. Cioè, è un giornalista, è un è

un professionista perché deve nei limiti del possibile

liberarsi dei pregiudizi che lo spingono a raccontare un fatto

e a leggere soltanto e a dare ascolto soltanto a certe fonti.

Ora non ho né voglia, né desiderio, né penso di poter

giudicare quello che 'sta accadendo ad esempio

all'interno della mia azienda a voci a sguardi e occhi che sono

sembrati parteggiare per una parte eh mi riferisco a

corrispondenti da dalla Russia da Mosca che hanno messo un po'

in crisi la nostra la nostra azienda è una questione che

riguarda la stampa che però quando non è servizio pubblico

se la può porre in una maniera un po' più libera cioè se

Repubblica sceglie di avere un punto di vista, di essere

partigiana essendo un giornale privato legittimamente può

farlo, come lo può fare la sera, un'altra cosa è per

riguarda eh la Rai o la BBC e la BBC è stata anche accusata

ad esempio di essere più volte partigiana di aver preso una

posizione sulla Brexit perché poi questo riguarda la guerra

ma riguarda qualsiasi argomento anche sulla politica però eh

capisco il l'obiezione che tu poni il rischio di essere

strumento di propaganda e di ascoltare solo le fonti

ucraine. Anche perché noi abbiamo più fatti facciamo più

fatica a eh cercare fonti russe, dare voce a quella che

per noi è solo mentre c'è propaganda anche da parte

americana ovviamente come in ogni conflitto c'è propaganda

parte ucraina anzi c'è in maniera forte eh aggressiva

persino da da fonte ucraina però è molto difficile. Dovere

di un giornalista e cercare ecco di Allora io non credo che

sia possibile liberarsi dai propri pregiudizi soprattutto

in un in un conflitto però il nostro dovere secondo me è un

altro è quello del pluralismo cioè di fronte a un fatto

cercare sempre di abbeverarsi a più fonti cioè raccontare quel

fatto anche dal punto di vista russo faccio un esempio oggi ho

visto nella conferenza stampa a Mosca dopo un incontro fra

Guterres e il punto di vista non coincidevano però nostro

dovere è anche ascoltare la conto di quello che dice la

prof e fare un'operazione di validazione di quello che ti

dice la prof ma anche di quello che dice Guterres e di quello

che dice Blinken e di quello che dice Biden e di quello che

dice Austin. Cioè questo credo sia il nostro dovere Giuseppe.

A proposito di pluralismo abbiamo chiesto a Marina

giornalista della redazione est di Rai News ventiquattro di

raccontarci la sua esperienza nei primi giorni del conflitto

come corrispondente da Mosca. Ecco che cosa ci ha detto. Una

delle esperienze che mi rimarrà senz'altro impressa dalla

guerra in corso in Ucraina e l'esperienza che ho avuto in

prima persona da inviata per un brevissimo periodo di circa tre

giorni a Mosca all'inizio di marzo. La particolarità di

quella esperienza è stata quella di atterrare nella

capitale russa proprio eh il 'giorno eh in cui una girata

legge contro le fake news entrata in vigore in Russia con

la quale si rischiavano con le quali tutt'oggi si rischiano

fino a quindici anni di carcere. Un'altra particolarità

eh dell'arrivo del mio arrivo a Mosca era il momento in cui

molte molte sedi ehm dei corrispondenti eh esteri

chiudevano in particolar modo colpiva la decisione della BBC

che per la prima volta dalla seconda guerra mondiale

decideva di chiudere la propria sede eh per la impossibilità eh

di effettuare il lavoro in maniera appropriata proprio a

causa. Dell'entrata in vigore di questa legge. Eh e dunque

potete capire la mhm difficoltà con la quale uno eh si

preparava magari di fare una diretta nel momento in cui eh

una legge che non definiva bene tutt'oggi non definisce bene

quello che eh si intende eh per il concetto delle notizie

false, le cosiddette fake news e di conseguenza il concetto

chiave era quello di non utilizzare la parola ovvero la

guerra eh in Russo eh ma quello che tutt'oggi viene ripetuto

come un mantra dal Cremlino ovvero la operazione speciale

militare. Eh il maggior dubbio è maggior diciamo una maggiore

difficoltà era quella di eh raccontare la percezione

soprattutto quello che si poteva insomma raccogliere e

documentare in nelle ore in cui eh eravamo lì eh e non eh

appunto cadere nella trappola della cosiddetta autocensura just falla i fällan med så kallad självcensur

per essere in linea di questa nuova legge dunque un

equilibrismo eh non facile ehm e soprattutto partendo dalla

mhm dal concetto che appunto si doveva raccontare un conflitto

senza utilizzare la parola chiave ovvero la eh guerra e

dunque a questo punto si decideva insomma di eh per così

dire parafrasare eh il concetto della guerra così come chiama

il Cremlino la guerra ovvero la operazione speciale militare e

raccontare la percezione eh della città in cui eh stavamo

Mosca che è nel mio eh particolar caso mi ricordava

moltissimo la mia città di origine degli anni novanta a

Belgrado la città spettrale dove si cercava di simulare una

specie di una assurda normalità eh dove eh non c'erano le

immagini eh assolutamente della guerra qualcosa che già era

molto presente per esempio a Roma eh sia entrando nei bar,

nei ristoranti degli schermi televisivi dove il conflitto

era ormai onnipresente eh questo eh aspetto del tutto

mancava per esempio paradossalmente nella

principale protagonista una città protagonista di questo

conflitto a Vero Mosca dall'altra parte un'altra

immagine che si cercava di raccontare quella della mhm

esperienza che si è avuta con delle persone che facilitavano

il nostro lavoro in quel momento eh ovvero questa

necessità di lasciare la città eh dunque se dare un titolo a

quelle quarantotto ore eh a Mosca sarebbe eh sicuramente la

fuga da mosca. E ora torniamo alla conversazione con Giorgio

Zanchini.

Liberarsi dei propri pregiudizi secondo me è possibile a

partire dalla consapevolezza di averli i pregiudizi. Certo. Noi

abbiamo ospitato all'auditorium di Roma una bellissima lezione

di Andrea Graziosi che raccontava diciamo come dietro

all'invasione russa ci sia un'ideologia. Noi spesso

sentiamo oscillare il giudizio su Putin tra il pazzo e il

criminale. Beh non necessariamente deve essere

pazzo criminale. Eh magari lo è. Ma diciamo basterebbe capi

l'ideologia la l'ideologia come dire sedimentata

nell'establishment russo che Putin rappresenta e da questo

punto di vista questo aiuta a a liberarci diciamo da un

pregiudizio quantomeno a capire per esempio che forse noi

occidentali ci siamo illusi che la storia fosse mossa solo

dagli interessi e quindi bastava coi russi, scambiare,

fare affari e sarebbero raboniti. No, la storia dentro

la storia c'è una componente ideologica e culturale per cui

non so come la pensi su questo ma bisogna sempre tener

presente che anche se io faccio business con qualcuno se quello

rimane imbevuto di un'erdiologia totalitaria

questo pesa comunque. Io su questo sono d'accordissimo anzi

il fatto che tu abbia eh menzionato Andrea Graziosi mi

fa dire che forse è nostro dovere e io ho cercato di farlo

nel piccolo di Radio anch'io e rivolgerci ai veri competenti

che ovviamente sono anche geopolitici qualche volta

persino giornalisti però è quello che ha fatto nel suo

intervento a radio anch'io. Cioè ci ha rimandato alla

storia. Anche alla storia dell'ideologia e quindi alla

componente ideologica nelle scelte di un gruppo dirigente

nella fattispecie quello moscovita, quello del quello

del Cremlino. Ecco, forse il nostro compito è di fronte al

rischio da un lato della propaganda, dall'alto del

pregiudizio, dall'altro della partigianeria è quello di

provare a divolgersi, anche se qui su insinuo subito un dubbio

perché persino gli storici hanno il loro pregiudizio

quindi nel raccontare i fatti e la storia e descrivere un

gruppo dirigente corrono seppur meno di noi lo stesso rischio

però ecco rivolgerci ad Andrea Graziosi o eh a Cella che è un

altro studioso di Ucraina molto attento però ad esempio

Giuseppe sarò molto franco quando ho rivolto la stessa

domanda a Franco Cardini che non è uno specialista come

Andrea Graziosi dell'Europa orientale del novecento che è

però un'insigne storico ha dato una descrizione completamente

diversa a quella di quindi capisci che è sempre molto

questo no? Ma non c'è dubbio. D'altra parte non credo che

neanche Veraziosi pretenda di avere la verità. No certo. Ehm

io credo che tutti noi siamo alla ricerca. E ehm tornando un

1