#91 – Massimo Troisi, il principino timido della risata
Trascrizione dal podcast Salvatore racconta, episodio pubblicato il 19 novembre 2022.
Distribuito con licenza Creative Commons CC-BY 4.0 non commerciale.
Ok, la scena è questa.
Ci sono due ragazzi, giovani, sulla trentina. Due amici che chiacchierano un po', tanto per passare il tempo. Siamo a Napoli. Nessuno lo dice chiaramente, ma si capisce in fretta dall'accento molto forte con cui parlano i protagonisti.
Uno dei due racconta all'altro dei suoi progetti. Dice che vuole partire, cambiare aria.
E dice al suo amico: parto, e ricomincio da tre.
E allora l'amico lo corregge. In questi casi si dice ricomincio da zero, non da tre.
Ma il primo si impunta. E no, io ricomincio da tre. Tre cose nella vita mi sono riuscite bene. Io riparto da quelle, perché negarle?
Raccontata così, è una scena meno divertente di quanto non sia nella realtà. Vi consiglio di andare a guardarla.
È una delle prime scene di un film che si chiama proprio Ricomincio da tre ed è stato l'esordio cinematografico di un attore napoletano che in poco tempo avrebbe cambiato profondamente il modo di intendere la comicità e anche la napoletanità.
Prima di lui, il classico stereotipo del napoletano, nel mondo dello spettacolo, era quello di un uomo molto sicuro di sé, spavaldo, furbo, capace di cadere sempre in piedi e di conquistare tutti con il suo carisma e la sua parlantina.
Mentre il protagonista di Ricomincio da tre è completamente diverso. Timido, impacciato, un po' malinconico.
Proprio con questa sua semplicità ha conquistato subito la simpatia del pubblico.
Con i suoi film, tre in particolare, ha lasciato una traccia importante nel cinema italiano. Cambiando il modo in cui conosciamo la commedia, ma non solo. Con una comicità leggera, ma mai superficiale, e con una malinconia che non è mai vera tristezza, quando guardiamo i suoi film ci sembra di incontrare un amico, un fratello, uno di noi.
Alle prese con la vita e le sue piccole grandi complicazioni.
Lui ha voluto ricominciare da tre e noi cominciamo da lui e da tre dei suoi film.
Oggi ti parlo di Massimo Troisi, il principino timido della risata.
Se conosci un po' i simboli della cultura italiana, sai che il ruolo di principe della risata è di un grande attore napoletano. Antonio De Curtis meglio noto come Totò.
Ho definito Massimo Troisi il principino timido della risata proprio in omaggio a Totò, di cui Troisi è un erede, anche se un erede un po' ribelle.
Come Totò, anche Troisi è napoletano, ma figlio di un'altra Napoli e di un'altra Italia. Nato nel 1953 e cresciuto in una città che ormai stava facendo i conti con la sua nuova realtà provinciale.
Se Totò era un principe, ma un principe vero, e molto orgoglioso, Troisi è un giovane del popolo, figlio di un ferroviere e di una casalinga, e vive in una Napoli che sa di essere grande e di avere una storia importante, ma anche tanti problemi di vita quotidiana.
Il giovane Massimo Troisi comincia a fare teatro con un gruppo di amici negli anni '70, quando in Campania scoppia inaspettata un'epidemia di colera, in un periodo in cui il tasso di disoccupazione è altissimo e tante persone decidono di abbandonare la città e andare al nord. Quella Napoli è un posto dove è difficile pensare alla gloria e alla nobiltà.
E Troisi non ci pensa affatto. Già da ragazzo si sente scomodo negli stereotipi della napoletanità fatta di furbizia e orgoglio. Quando improvvisa i suoi spettacoli con gli amici, parte da un grande classico della commedia napoletana. La maschera di Pulcinella.
Il suo Pulcinella non è uno furbo che si diverte a fregare gli altri, ma un personaggio goffo che non sa bene dove andare e cosa fare. È divertente, certo, ma in un modo diverso rispetto agli schemi classici. Racconta un'altra storia, un'altra Napoli, più moderna.
E questa cosa va avanti man mano che la popolarità di Troisi cresce. Finché gli arrivano molte proposte di fare cinema.
Lui all'inizio le rifiuta, perché le sceneggiature ripetono i cliché napoletani che a lui proprio non interessano. A un certo punto, scrive lui un canovaccio con un paio di amici e nel 1981, esce il suo primo film. Ricomincio da tre.
È la storia di Gaetano, un ragazzo napoletano che, a differenza di molti coetanei, un lavoro ce l'ha, ma non è soddisfatto. La vita che fa gli sembra monotona, così decide di partire per Firenze dove vive uno zio che lo può aiutare a ricominciare.
Nel suo viaggio deve lottare contro gli stereotipi sui napoletani. Tutti, per esempio, pensano che sia un emigrato, la parola che si usava all'epoca in Italia per parlare delle persone partite dal sud e dirette a nord in cerca di un lavoro. Ma Gaetano non è un emigrato, lui un lavoro a Napoli lo aveva, è partito solo per scoprire il mondo. E lo spiega, con pazienza e dolcezza ma anche una punta di irritazione, ogni volta. A Firenze incontra una serie di personaggi bizzarri, come per esempio un predicatore americano di nome Frankie oppure Robertino, un uomo di quarant'anni succube dell'anziana madre. E alla fine Gaetano incontra Marta. Una giovane donna molto indipendente e aspirante scrittrice, di cui presto si innamora.
E anche lei si innamora di lui. Ma la storia si complica molto e alla fine i due si riconciliano con una scena molto comica, ma anche molto dolce, in cui i due parlano del nome per il futuro bambino che avranno insieme.
È un film dove si ride tantissimo, perché Troisi ha un talento comico irresistibile. Per quello che dice, ma anche e soprattutto per quello che non dice. Nella sua mimica e nel suo volto c'è il talento di un grande attore. Tuttavia, non si ride soltanto.
La goffaggine di Gaetano, la sua timidezza, il suo tentativo disperato di trovare un posto dove essere felice sono cose molto dolci e malinconiche, soprattutto vere. Troisi ci racconta anche questo. E poi, da non dimenticare, la grande modernità. La protagonista femminile, Marta, è una donna forte e indipendente, emotivamente molto più solida di Gaetano e pronta ad affrontare i suoi problemi da sola. Nell'Italia del 1981 non era così scontato.
Ricomincio da tre è un successo sorprendente. Tutta Italia si innamora di questo giovane che, da un lato, è legato mani e piedi alla tradizione napoletana. Parla molto in dialetto, gesticola, è irruento. Dall'altro però è diverso, non è il classico napoletano guascone. Al contrario, è molto sincero. È come se Pulcinella avesse tolto la maschera per mostrare tutte le sue debolezze. È ancora comico, ma adesso ispira anche fiducia.
Troisi continua il filone con il suo film successivo, Scusate il ritardo, un'altra commedia molto divertente e malinconica sui rapporti di coppia che ripete un po' lo schema di Ricomincio da tre.
Dal film ancora successivo a questo, Troisi cambia marcia. Soprattutto sul piano linguistico. Abbandona un po' il grande uso del dialetto napoletano. Per lui, parlare in dialetto non è mai stata una posa, ma un modo del tutto naturale di esprimersi. Il cinema però ha le sue esigenze, non tutti sono in grado di capire bene quello che dice, e Troisi capisce che può essere espressivo e sincero anche rinunciando un po' al dialetto. L'occasione arriva in un film molto speciale, uscito nel 1983 e girato assieme al suo grande amico Roberto Benigni. Si intitola: Non ci resta che piangere.
Oggi Benigni è famoso a livello internazionale grazie al film La vita è bella, ma in Italia è molto conosciuto anche come grande attore comico. Non ci resta che piangere mette insieme la comicità toscana di Benigni e quella napoletana di Troisi in un mix meraviglioso.
I due si capiscono alla perfezione, nel film spesso improvvisano e i risultati sono davvero brillanti. Non ci resta che piangere racconta la storia di due amici che vivono in Toscana e un giorno, sorpresi da un temporale in campagna, si ritrovano improvvisamente… nella Firenze del Rinascimento. All'inizio sono sorpresi e preoccupati, poi cercano di adattarsi a quella nuova realtà in cui sembra che siano bloccati per sempre. A un certo punto, visto che sono lì, Saverio -cioè Benigni- ha un'idea. Vuole provare a raggiungere Cristoforo Colombo per impedirgli di partire e scoprire l'America. Il motivo? Sua sorella da tempo soffre per una relazione infelice con un ragazzo americano. Cambiando la storia del mondo, Saverio potrebbe salvare la sorella. Ne vale la pena, no?
Ancora una volta è un film in cui Troisi mostra una comicità che gli viene naturale. Mario, il suo personaggio, è un uomo semplice, vorrebbe solo tornare a casa e alla sua vita e invece si trova catapultato in una realtà assurda di cui non capisce le regole. Ma anche lì, alla fine, cerca solo una cosa. L'amore.
Arriviamo al 1994, l'anno in cui esce l'ultimo film di Massimo Troisi e che lui stesso non vedrà mai. Ma di questo parliamo dopo.
Il titolo di questo film, molto famoso, è Il postino. Parla del poeta cileno realmente esistito Pablo Neruda e del periodo che ha passato su una piccola isola in esilio dopo essere stato cacciato dal Cile in quanto oppositore del dittatore Pinochet. E su quell'isola, Neruda ha fatto amicizia con il postino locale, assunto apposta per lui, perché nessun altro abitante locale riceveva mai lettere.
Tra il poeta e il postino nasce un legame fatto di lunghe conversazioni sull'amore, sulla natura, sulla vita. Diventano presto amici, in una storia piena di momenti divertenti, ma anche di tanta dolcezza e malinconia.
Troisi ha scritto la sceneggiatura partendo da un romanzo che aveva letto quasi per caso. Sentiva, sapeva, che quello sarebbe stato un grande film sull'amore e sulla sincerità. I temi che lo interessavano di più, da sempre.
Vuole un grande regista per questo film, e chiama il britannico Robert Radford. Per il ruolo di Neruda si affida all'attore francese Philippe Noiret, mentre il postino Mario Ruoppolo lo interpreta Troisi stesso.
Il film è bellissimo. Il postino e il poeta, persone lontane anni-luce per storia, cultura, livello di istruzione,, e che in una vita normale non si sarebbero mai incontrate, trovano una lingua comune. Neruda è un poeta, ma questo non vuol dire che parli con parole difficili, anzi. Comunica cose profonde e intelligenti con parole semplici. E Mario, il postino, fa lo stesso. Perché lui conosce solo le parole semplici, ma è molto sensibile e parla dal profondo del cuore.
Il postino è il vero testamento artistico di Troisi, il film che esprime in totale la sua visione del cinema e della vita. E purtroppo è anche il suo vero testamento, perché un giorno dopo avere finito le riprese, Massimo Troisi ci ha lasciato per sempre.
Era molto malato, da tempo combatteva con un problema molto serio al cuore che nessuno aveva potuto risolvere. Durante le riprese de Il postino stava già seriamente male, molto affaticato, al punto che in diverse scene (per esempio quelle in bicicletta) aveva dovuto sostituirlo una controfigura.
Sembrava davvero non potercela fare. Eppure ha resistito fino all'ultimo giorno. E poi, appena finito il film, si è messo a dormire e non si è più svegliato.
Se n'è andato con discrezione il 4 giugno del 1994, quasi con timidezza, nel modo in cui aveva vissuto tutta la sua vita.
Se n'è andato dopo aver finito il suo lavoro, la sua missione, dopo avere interpretato un personaggio -il postino Mario- che era davvero molto molto simile a lui stesso.
Troisi recitava con la voce, con il volto, con il corpo, con il cuore.
Era davvero un attore totale. Per lui recitare non significava indossare una maschera, ma al contrario, significava togliersi qualsiasi maschera e mostrarsi totalmente al pubblico.
Napoli, la sua città, lo ha amato per questo. E tutti noi lo abbiamo amato per questo.
Nei suoi film così sinceri e umani, Massimo Troisi continua a vivere con noi. Per l'eternità.