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Conversazioni d'autore, 'La forza della fragilità', con Vincenzo Paglia

'La forza della fragilità', con Vincenzo Paglia

Buonasera e benvenuti a Casa la Terza.

Io sono Lia Di Trapani, sono un editor della casettrice

e oggi sono molto contenta di poter ospitare

in questo nostro format Casa la Terza

la presentazione di un libro che è uscito pochissime settimane fa

ed è il libro di Monsignor Vincenzo Paglia, che saluto

e che ringrazio per essere qui con noi stasera

e il libro si intitola La forza della fragilità

a dialogare con Monsignor Paglia

abbiamo l'onore di avere il Professor Massimo Recalcati

che pure ringrazio moltissimo per questa sua disponibilità

Buonasera Professore

Buonasera

Entrambi i nostri ospiti, non è una formula di rito e la verità

non avrebbero bisogno di presentazioni

ma mi sembra comunque giusto dire almeno due parole

sui loro profili professionali

partendo dal nostro autore, ricordiamo che Vincenzo Paglia

è Presidente della Pontificia Accademia per la Vita

Consigliere spirituale della Comunità di Sant'Egidio

e tra le tante altre attività e titoli

voglio segnalare che da ultimo

coordina la Commissione Governativa per le Politiche

in favore della popolazione anziana in Italia

e quindi si occupa in maniera diretta

di un segmento fragile della nostra popolazione

è autore di molte pubblicazioni

questo è il terzo libro che Monsignor Paglia pubblica

con la Casa Editrice alla Terza

ed è una delle voci più ascoltate non solo nel mondo della Chiesa

ma direi nel dibattito pubblico del nostro Paese

il Professor Recalcati è psicoanalista

esercita la sua professione a Milano

ha svolto attività didattica in importanti università

a Pavia e a Verona

ed è Direttore Scientifico della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia IRPA

Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata

anche il Professor Recalcati è una voce presente, ascoltata

tra quelle dei nostri intellettuali

scrive spesso su Repubblica, è autore di numerosi testi

alcuni di taglio più scientifico e di ricerca

alta ed efficace di divulgazione

voglio nominare in particolare l'ultimo libro

che è veramente uscito da pochi giorni, credo addirittura

con l'editore Feltrinelli che si intitola

Pasolini, il fantasma dell'origine

allora, come vi dicevo prima

nello spazio di pochi minuti che ci siamo presi a Modinte prima

appunto prima della diretta

vi dicevo è della verità che sono davvero

curiosa di ascoltarvi e contenta di aver organizzato questo dialogo

perché entrambi per la vostra formazione

per la vostra attività di ricerca e studio

e per la vostra pratica quotidiana

vi confrontate quotidianamente con quello che è l'oggetto di questo libro

ovvero la fragilità

e sarà interessante quindi mettere a confronto

queste esperienze e pratiche, riflessioni diverse

Partirei solo da quello che è l'avvio del volume di Monsignor Paglia

il volume di Monsignor Paglia prende le mosse da una constatazione

quella cioè che la fragilità è una dimensione costitutiva dell'essere umano

e tuttavia ci siamo forse ricordati violentemente

del fatto che la fragilità sia una dimensione costitutiva dell'essere umano

proprio recentemente alla luce delle tragiche vicende legate alla pandemia

la pandemia ci ha messo di fronte con brutalità

di fronte appunto alla nostra mortalità

alla nostra vulnerabilità sotto il profilo della salute

la pandemia ci ha messo in più chiarezza davanti agli occhi

la situazione di tanti segmenti della popolazione

che è stata esposta più di altri a rischio

o riguardante la popolazione anziana in primis

e in qualche modo questa ultima stagione che abbiamo vissuto

ci ha svegliato un po' da un lungo sonno

in cui forse ci volevamo indire di non essere fragili

scrive Monsignor Paglia in apertura nel primo capitolo

nella mentalità comune la fragilità è l'immagine della debolezza

quindi di una condizione negativa persino dannosa

questa è stata lungo e per certi versi ancora l'immagine

che la nostra società e i nostri modelli culturali

ci trasmettono in quanto al tema fragilità

ecco su questo volevo sollecitare da subito il professor Recalcati

per chiedergli se come dire

nella sua esperienza anche lui ritiene che la fragilità è una dimensione

da cui si ritiene di doversi difendere

una dimensione di cui addirittura ci si vergogna

volevo appunto un confronto rispetto a questo avvio del volume

la fragilità come è vista mediamente ed è cambiato qualcosa negli ultimi tempi?

intanto grazie per questo invito

è per me un piacere essere qui e discutere questo libro

come spesso mi capita negli ultimi tempi

trovo sempre un'assonanza maggiore nella lettura di certi autori religiosi

come Vincenzo Paglia che non nei confronti degli psicanalisti

sarà un problema questo non lo so della mia disciplina forse

e perché questo libro a mio giudizio è un libro importante

e converge anche con diverse riflessioni che nel campo della psicanalisi stiamo facendo

e perché intanto isola questa parola chiave che è la parola fragilità

che è una parola come giustamente lei ha detto attraversa anche l'esperienza della psicanalisi

fragilis significa che noi siamo destinati alla morte

che la nostra vita è finita

che la sofferenza è inagirabile

che non siamo padroni delle nostre origini

e che non siamo autosufficienti

non siamo hence causa sui

non siamo causa di noi stessi

ma a partire da questa idea di fragilità

è chiaro che lo sfondo di questo libro è, come ricordava, l'esperienza traumatica del covid

questa esperienza viene tradotta da Monsignor Paglia come un magistero

ed è importante fare questa traduzione

non è solo un trauma quello che abbiamo vissuto

ma nel trauma c'è un magistero

e qual è il magistero del trauma?

beh è quello che i nostri sforzi collettivi

soprattutto diciamo in questo secolo

in questo nuovo secolo

di negazione ostinata del limite

di negazione ostinata della fragilità

la nostra retorica

come diceva Rosmini

della smisurata felicità come obbligo

la retorica della smisurata felicità

che finisce per cancellare la sofferenza, la morte, la povertà

la malattia

ebbè tutto questo, tutto questo grande sogno di potenza

si è ribaltato nel suo contrario

per cui noi abbiamo vissuto un trauma

e il trauma dal punto di vista anche clinico

è l'esperienza per la quale un soggetto

passa bruscamente

da una condizione di potenza

a una condizione di impotenza e di fragilità

come dire la fragilità emerge violentemente

tanto quanto ostinati erano i nostri sforzi a cancellarla

cioè a rimuoverla

cioè a negarla

e questo mi pare il primo punto

la prima lezione che poi questo libro isola molto bene

della pandemia

è appunto quella di averci confrontato nuovamente

e questo confronto è inaggirabile

e per certi versi definisce l'umano

definisce la forma umana della vita

con il nostro limite

con un'aggiunta che di fronte al limite

e qui introduco un binomio che

diciamo non è così esplicito nel libro

ma appunto sono interessato a sentire

Monsignore cosa ne pensa

penso di non tradire la sua ispirazione

rispetto a questo limite si è reagito

attraverso due diversi atteggiamenti

il primo atteggiamento è quello della paura

noi abbiamo avuto paura

noi ci siamo sentiti smarriti

la paura è il contrario della potenza

noi ci siamo sentiti smarriti

abbiamo avuto paura

come avevamo paura dello straniero

prima che apparisse il virus

come abbiamo paura di ciò che non conosciamo

come abbiamo paura dell'ignoto

come abbiamo paura della morte

abbiamo avuto paura

e una risposta nei confronti della paura

è l'isolamento

è il chiudersi

è il ripararsi

è rafforzare i confini

lo vediamo anche oggi

in questo secondo incubo terribile della guerra

che al suo fondamento è una paura

paura di essere aggrediti

dunque aggredisco perché ho paura di essere aggredito

la paura

si può fondare un legame sociale sulla paura?

la paura può essere il fondamento di un legame sociale generativo

la paura può essere il fondamento di una fratellanza

noi sappiamo che la nascita dello stato moderno

diciamo del patto sociale

avviene attraverso la paura

è la grande tesi di Hobbes

gli esseri umani si mettono insieme

perché condividono la paura

la paura della morte

se lo stato di natura è guerra di tutti contro tutti

allora bisogna come dire ripararci

dando al Leviatano il potere di stabilire la legge

e di proteggere le vite

ma la paura non è la parola scelta da Vincenzo Paglia

in questo libro

l'altra parola che apre un altro tipo di prospettiva

è la parola fragilità

non è solo la considerazione che esistono dei limiti

ma è un modo di pensare il legame sociale

e qui arrivo a concludere

visto che non voglio tenere troppo la parola

se noi mettiamo da una parte

l'origine del legame sociale

a partire dalla paura

Hobbes, il Leviatano

la guerra di tutti contro tutti

il difendersi dall'altro

e dall'altra parte l'idea

che esista un punto di comunione

di condivisione

che è legato al fatto di sentirci

come Paglia ripete spesso nel libro

e mi pare essere un filo rosso del libro

uniti nella sofferenza che abbiamo vissuto

uniti nella precarietà che abbiamo sperimentato

uniti nella cura che ciascuno

dedica all'altro nel tempo della maggior difficoltà

e del maggior smarrimento

un conto è la risposta che si genera dalla paura

un altro conto è la risposta che si genera

dal riconoscersi avere lo stesso destino

la stessa cifra

che è quella dell'essere umano

in questo senso contrapporrei a Hobbes

lo stato di natura, guerra di tutti contro tutti

una grande figura biblica che non è citata nel libro

che è la figura di Giobbe

che è la figura della sofferenza

perché su quello si può costruire

un autentico patto sociale

sul riconoscimento reciproco

che senza l'altro noi siamo perduti

grazie professore per queste prime riflessioni

per questi stimoli

che aprono a molte direzioni di approfondimento

ovviamente do subito la parola

a Monsignor Paglia, ma volevo sottolineare

tra i passaggi

interessanti che abbiamo ascoltato fin qui

uno in particolare

è quello legato alla paura

come esito della consapevolezza

della propria fragilità

e al fatto che, diceva il professor Recalcati

la paura può avere come

conseguenza ulteriore

l'isolamento

ho paura, quindi mi rinchiudo

ho paura, alzo i muri

è una strada possibile

è una conseguenza verosimile

più che verosimile diciamo

spesso reale, e però Vincenzo

ti solleciterei anche su questo punto

è esattamente come dire

la strada che tu

temi più di tutte le altre

perché il libro è un'esortazione

costante, lo ha ricordato anche il professore Recalcati

ha una risposta che si ha

al plurale

allora ti chiederei nel

appunto nell'approfondire

alcune delle sollecitazioni

che già abbiamo avuto fin qui

di toccare in particolare

anche questo tema della paura

e delle direzioni

pericolose che essa può prendere

grazie

io ringrazio anche per l'invito

non solo ma anche per

aver ascoltato alcune

riflessioni di Massimo

Recalcati che come spesso

accade, arricchiscono

quello che uno ha già scritto

e permettono di approfondire

e anche di condurre

anche un po' oltre

le riflessioni che uno

che si fissano su un libro

in effetti la spinta

a sottolineare il magistero

del covid

cioè è stata una grande lezione

e la grande lezione

è che nel pieno della nostra

come dire superanza

tecnologica

nel pieno dello sviluppo

è bastato

un piccolo essere

invisibile

per di più parassita neppure vivente

che ci ha messi tutti in ginocchio

tutti e tutto

ora questa lezione terribile

della come dire

della riscoperta

tragica

della fragilità

ha però comportato

e questo per me è un punto importante

per chi ha potuto viverlo

io l'ho vissuto

anche una reazione singolare di molti

io ho visto crescere

durante la pandemia

spinte solidaristiche

belle

analogamente a quello

che un po' sta succedendo

ora con la guerra

se noi pensiamo che

fino a pochi mesi fa

i confini dell'est Europa

erano segnati da filo spinato

oggi vediamo

una grande apertura

non direi più che dei governi

della popolazione

cioè la fragilità

allora

se per un verso

ci fa riscoprire la paura

per l'altro verso

ha come nel suo profondo

una forza

positiva

che è la forza

che si sperimenta

quando

se ci si unisce tra fragili

si supera il pericolo

si superano

le difficoltà

anzi

viene fino ad emergere

l'urgenza

di una nuova visione

quando si è

fragili c'è una sensibilità

in più

che è quella di sentire il bisogno di aiuto

che è quella di urlare aiuto

che è quella di stendere la mano

che è quella anche di riconoscere

più facilmente

la fragilità dell'altro

diceva

un antico monoco

benedittinio medievale

Ubiamor

Ibi Oculos

se c'è un po' d'amore

ci sono occhi per vedere

ecco perché allora

la fragilità

può essere anche

come dire una spinta

a riconoscersi

vicini

e a scegliere

la vicinanza de facto

in una fraternità di scelta

a fare di ciò che

abbiamo visto esistere

nella biologia

ricordiamo la famosa

il battito d'ali di una farfalla

che poi produce un ciclone

in California

ecco questo legame de facto

oggi deve diventare una scelta

altrimenti se non diventa

una scelta diventa una condanna

infatti

la ragione

di una pandemia che ci ha distrutto

nasce dalla disattenzione

per una globalità

solo diciamo

di efficienza

e non di solidarietà

un mondo troppo largo

ci ha costretti a rinchiudersi

ad isolarci

e questo ci ha reso più deboli

più fragili

sia nella pandemia

ma anche adesso nella guerra

la divisione

rende più fragili

ecco perché io

direi che la forza della fragilità

è una forza

che nasce dalla

consapevolezza

che l'unione dei fragili

ci rende davvero molto forti

non so se questo si può dire

in maniera sloganistica

ma non c'è dubbio

che

il monoteismo dell'io

la egolatria direbbe

Giuseppe de Rita

o l'io come re

cade ai piedi d'argilla

cade al minimo

come dire

problema della globalizzazione

fino a distruggersi

anzi a cercare la pace

dopo essersi distrutti

ecco io invece credo

che la

fragilità

ha dentro di sé una sorta di

se accolta e compresa

di una nuova etica

l'etica

della responsabilità

vicendevole

l'etica della cura

di fronte alla guerra

di fronte alla pandemia

di fronte

alla prossima prova

quella delle cavallette

non so che cosa

potrà avvenire

l'unica vera salvezza

è il prenderci cura

gli uni degli altri

perché da questa reciprocità

che nasce

un nuovo umanesimo

o nuovi umanesimi

ecco

questo voglio dire

come diceva prima bene

i professori Calcati

nessuno

nessuno auto nasce

nessuno si autobattezza

tutti noi

nasciamo

per l'incontro tra due persone

questo

come dire

questa fragilità iniziale

che è il grande dono

della vita è subito

un noi

non c'è un io assoluto

e questo dovrebbe

insegnarci tante cose

poi il professore Calcatti

non riesco a sottolineare

la sparizione del padre

o della madre

grazie Lucesso

intanto

hai aperto in questo

tuo intervento anche una dimensione

che è presente nel libro

e che è una dimensione politica

politica nel senso più alto

del termine

nel senso appunto

della logica quotidiana

parlamentare o partitica

nel senso che tu

nel libro dici esplicitamente

che di nuovo appunto

questa interconnessione

che si è resa così evidente negli ultimi due anni

per via della pandemia

ha messo un po'

come dire a nudo tutti i limiti

delle visioni sovraniste

che invece come dire avevano

dominato

l'attenzione

da un certo punto di vista

il fatto che

ai noi c'è una guerra dentro casa

purtroppo

sembrerebbe ricordarci

che invece ancora

la lettura che tu proponi

non è così entrata

nelle teste

nei cuori di tutti

e tuttavia di nuovo

lo scenario che stiamo assistendo ci ricorda

l'interconnessione

e la difficoltà

anche come dire

di fare scelte

la difficoltà strategica, operativa, politica

in cui i paesi europei

il nostro piccolo

si vedono appunto

coinvolti in questo periodo

è proprio legata dalla consapevolezza

che c'è un legame

fortissimo di tutti

con tutti

passerei alla dimensione

politica sociale

la dimensione invece è un pochino più

legata all'individuo professore

sia per iniziare a dialogare un po' anche con i nostri

ascoltatori

una persona

voleva sapere da lei se nella sua esperienza

è cresciuto

il disagio

psicologico

e se ci vuole dire

come dire, se c'è una particolare

coloritura di un disagio

anche nuovo a cui si assiste

in questo periodo

un altro punto in cui la volevo sollecitare

io invece perché è troppo augiotta

all'occasione

è legato a due

figure mitologiche

che sono centrali anche per il discorso

della psicanalisi a cui fa ricorso

non si inorpaglia nel suo libro

e sono le figure di Prometeo e di Narciso

due come dire

modelli di comportamento

entrambi pericolosi

volevo sapere appunto se si è

riconosciuto in questa lettura

di non si inorpaglia, se ci vuole dire

qualche cosa su cosa è diventato

il narcisismo oggi

se è meno pericoloso che in passato

se insomma volevo

avere il piacere di

sentire da lei un po' una

lettura di questa parte

anche della riflessione di non si inorpaglia

non la sentiamo?

provo a dare delle risposte rapide

a tutte e tre le questioni

permettendomi anche però di fare

una piccola

sottolineatura

sulla dimensione politica del testo

di non si inorpaglia

perché mi sembra che lì

come dire

ci sono due indicazioni

molto preziose

la prima indicazione

fa perno sulla cura

noi non dobbiamo

dissociare la cura

dalla politica

cioè non dobbiamo pensare che

la politica

possa esistere senza

implicare una pratica

di cura

e quando diciamo

il signor Pallalo lo dice

meglio nel libro, quando diciamo

che il prendersi cura

è un destino possibile

della fragilità

significa che

la cura impedisce ogni volta

alla vita umana

di essere spersonalizzata in un numero

quando c'è cura

l'altro, quello di cui io mi prendo cura

non è mai un numero

ma assume come diceva Francesco

nella sua enciclica

assume il valore di

di essere

immensamente sacro

immensamente

sacro è l'altro a cui

noi ci dedichiamo

diventa

quando c'è cura

le singolarità sono tutte messe in valore

la politica ha bisogno

della cura

per non

inaridirsi

ed essere solo il luogo dove si

si trasmettono numeri

si quantifica la vita

si spersonalizza la vita

accade anche nella guerra

sono dei numeri

quanti civili, quanti soldati, quanti carri armati

dietro il numero c'è sempre

un volto

come dice un filosofo

c'è sempre un volto

e il volto è il segno

del carattere immensamente sacro

della vita

questo è un primo punto

un secondo punto molto importante

è una lettura

molto identica a quella che Pasolini

ha scritto nella prima lettera di San Paolo e Corinzi

quando

Paglia fa a suo modo

però molto convergenti

in cui si dice che la politica

si fonda sulle grandi parole

della fede e della speranza

ma se queste due parole

restano dissociate

dalla terza parola

che è quella dell'amore

diventano mostruose

semplicemente mostruose

le parole della fede e della speranza

di una grande Russia

del recupero

della restaurazione dell'impero

del recupero dei propri territori

la fede e la speranza

è l'amore che

impedisce che queste due parole

si rivelino mostruose

la domanda

vado in ordine

la domanda della nostra ascoltatrice

quella domanda

risponderei così

che per un verso è evidente che il disagio ha aumentato

coinvolge soprattutto

dal punto di vista psichico

le nuove generazioni

e soprattutto sintomi

come l'attacco di panico

come lo stato d'ansia

come la somatizzazione

come i passaggi all'atto auto-lessivi

come la depressione

che ha investito profondamente

il mondo giovanile

mentre noi siamo abituati a pensare

che la depressione è come dire

accompagni la vita nel suo declino

e invece il covid

ha esasperato una tendenza

che era già in atto prima

cioè sono i giovani

che soffrono maggiormente di depressione

e questa sofferenza è legata

alla mancanza di senso della vita

diciamo la vita non acquista senso

e se la vita non acquista senso

la depressione è la risposta

alla caduta del senso

al tempo stesso però direi

che sarebbe un gravissimo errore

è un punto su cui io insisto molto

nell'etichettare

questa generazione

come la generazione covid

non esiste nessuna generazione covid

esiste un disagio

che deve essere curato

con attenzione

ma se noi introduciamo il termine

nefasto di generazione covid

noi trasformiamo

la sofferenza

in una vittima

mettere l'abito della vittima

significa mettere un abito torbido

che impedisce

l'assunzione della responsabilità

io ho due figli adolescenti

quindi so quanto hanno sofferto

ma non penso che siano generazione covid

penso che il loro compito

sia rendere generativo

quello che hanno vissuto

perché la formazione non è lineare

non è mai come sapere

che la gente ha vissuto

non è mai come salire una scala

un piolo dopo l'altro

la formazione è fatta di inciampi

di incidenti

di cadute da cavallo

è fatta di urti

è fatta di fallimenti

e dunque è fatta anche di prove

come quella del covid

è una prova assolutamente difficile

epocale per certi versi

ma ecco io non identificherei

questa generazione

come la generazione covid

la terza questione

ricordamela?

prometeo e narciso

in realtà il nostro tempo

è il tempo di narciso

innanzitutto lo dice anche Paglia

questo è il tempo di narciso

su questo c'è una grande convergenza

di autori molto diversi tra loro

cosa significa

dire che il nostro tempo

è il tempo di narciso

beh

se ci pensate

e qui rubo un po' il mestiere di Monsignor Paglia

se uno

prende la Torah

c'è un solo peccato

nella Torah

è vero che uno può dire non è vero

c'è una moltiplicazione di peccati

perché si moltiplicano i precetti

ogni cosa che uno fa deve stare attento

ma in realtà

se noi andiamo veramente al sodo

c'è un solo grande peccato

che è la sola grande follia

dell'umano di cui la Torah parla

in continuazione

che è quella di

credersi Dio

di voler farsi Dio

del criterio di essere Dio

che dal serpente tentatore

non a caso evocato da Monsignor Paglia

nel suo libro anche se rapidamente

dalla tentazione

del serpente

non è tanto assaggiare l'oggetto

proibito, non è quello il punto

il punto è farsi come Dio

farsi essere Dio

ma questo si vede in Putin

Putin è la realizzazione

di questa tentazione

di farsi Dio

la bomba atomica che cos'è?

sono come Dio

decido della vita e della morte

di tutti

allora questa deificazione

è diciamo

la forma estrema del narcisismo

la forma maligna del narcisismo

e io penso che sia

un tratto del nostro tempo

di quello che io chiamo appunto

il tempo ipermoderno

concludo su questa parola

che Paglia cittadini Poveschi

che è un autore per me importante

che usa questa

espressione di ipermodernità

il significato che io do a questo termine

è molto semplice

se pensiamo alla modernità con Kant

noi pensiamo

che la modernità

cioè il tempo dell'illuminismo

è stato il tempo in cui l'essere umano

la ragione critica si è emancipata

dalla superscrizione religiosa

nel senso del termine

dall'irrazionalità

delle tenebre

e quindi è un processo di emancipazione

lì io ho guadagnato

la propria autonomia critica

l'ipermodernità

consiste nella

trasfigurazione

narcisistica di questa autonomia

cioè l'io diventa come Dio

l'io diventa

Dio

siamo di fronte

quindi ecco il tema biblico

siamo di fronte alla

natura perversa del desiderio umano

la Bibbia non è mai morale

almeno

io sono un lettore

ma non c'è mai

moralismo nella Bibbia

ma

c'è l'idea che

l'umano si ammala

quando rigetta la sua fragilità

non è la fragilità la malattia

ma questo guardi

che ha un valore anche clinico

quando i pazienti stanno male

quando si credono degli io

quando sono troppo attaccati al loro io

quando stanno bene, quando fanno amicizia

diciamo nel modo semplice

con la loro fragilità

vanno meglio

questo ci rassura molto

e la ringraziamo

io continuo

sulla scia di Massimo

Calcati

dicendo che in effetti

questa volta faccio il prete

in effetti

Narciso è il primo santo del calendario

forse anche l'unico

direbbe Steiner

che è l'unico

santo venerato

sul cui altare

si sacrifica tutto

anche gli affetti più cari

per questo io credo che

dire che la fragilità

non è una anomalia

dire che il limite

è la condizione umana

è come dire

deve diventare un patrimonio comune

un patrimonio comune di tutti

della scienza, della politica

dell'economia

della spiritualità

della cultura

ecco perché io credo che

ci troviamo di fronte

ad un cambio di epoca

dice Papa Francesco

perché quando il professore Calcati

ricorda l'atomica

e noi per la prima volta nella storia

l'uomo può distruggere

tutti gli altri

la seconda ondata

il tema dell'ecologia

con la distruzione

dell'ambiente

noi possiamo distruggere

l'intero creato

c'è poi una terza prospettiva

che nel libro accenno

tutte le nuove tecnologie

convergenti ed emergenti

dall'intelligenza artificiale

ed intorni

che possono davvero trasformare

l'uomo in una macchina

ecco perché

la dimensione della fragilità

o del limite

diciamo così

è davvero

come dire

la prospettiva più umanizzante

e quando si accenna

appunto

all'amore come cardine

anche della libertà

e dell'uguaglianza

per me è molto vero

perché la famosa affermazione

la mia libertà

finisce dove inizia la tua

e non è più vera

dobbiamo essere liberi solidarmente

congiuntamente

ecco perché

io ho voluto sottolineare un aspetto

cioè aggiungo al termine

fraternità

anche

l'altro termine amicizia

perché una fraternità

malintesa

può diventare omicida

dire che il popolo russo e il popolo italiano

sono un unico popolo

o anche che sono popoli fratelli

ma deve esserci anche

una fraternità

amicale

segnata dall'amore

ecco perché

è un tempo questo particolarmente

prezioso

per riflettere, per dibattere

ecco questo nostro piccolo incontro

io lo sento anche

come un piccolo

aiuto

per sostenerci tutti

in una nuova visione

che deve arrivare

ed è per me triste

assistere

ad esempio

a tanti dibatti

da adesso anche sulla guerra

perchè sono privi

di una visione

quale Europa, quale mondo

vogliamo

dopo quello che sta accadendo

non può esistere un cessato

il fuoco senza una visione

che sia

una visione di

fraternità plurale

una visione

della amicizia

tra i popoli, a me ha fatto sempre

impressione

un'affermazione, qui parlo soprattutto

per i credenti, per i cristiani

un'affermazione di un grande

patriarcha, Tenagoras

quello che si abbracciò con Paolo VI

negli anni 60

rompendo una

divisione e lui diceva

chiese sorelle

popoli fratelli

noi possiamo dire

chiese divise

popoli divisi

ecco bisogna dare

anche al termine

fraternità

un valore

di quell'amicalità, Aristotile diceva

che la polis si fondava sull'amicizia

ecco

un po' su questo io credo

che la politica, l'economia

e il resto, compresa la chiesa

dovremmo riflettere

con maggiore attenzione

perché ha ragione

nel dire che la Bibbia non è

morale, la Bibbia è storica

ed è la storia che ci salva

se è una storia non di

narcisi o di prometei

ma la storia di fratelli

che cercano di amarsi

e di sostenersi

di qui il termine della cura

che prima veniva evocata

io volevo

girarti

una riflessione, una domanda

di Pierluigi

che ci scrive

e approfittare di questa domanda

che ora ti farò per

chiederti anche un commento

sulla tua ultima

attività, sulla tua ultima esperienza

appunto legata al mondo

degli anziani, ci chiede Pierluigi se la

presa di coscienza della necessità

della cura di cui stiamo parlando

è stata

assimilata davvero

o se invece non è

stata una parentesi appunto

emergenziale che già

sta tramontando

e appunto approfitto di questa domanda

per chiederti Vincenzo che

lezioni stai

traendo, che riflessioni

stai facendo da

questo tuo confronto ancora più

serrato che in passato, ovviamente tu di anziani

ti sei occupato molto anche

negli anni passati, però ti volevo chiedere

nella tua esperienza con

l'RSA, con le tante

occasioni di incontro che hai avuto, con le scelte

anche politiche

a cui si sta lavorando, che

riflessioni ci vuoi restituire

su questo punto?

Una battuta che è un po' diversa da

quella che ha fatto il Papa

durante il Covid io amo

dire che siamo tutti

nella stessa tempesta

ma in barche differenti

ci sono alcune

barche molto più fragili

come quelle degli anziani

che sono state spazzate

via in una maniera

incredibilmente

senza

ostacoli

e in effetti questo è avvenuto perché

perché manca la cura

per un verso

la società ci ha allungato la vita di 20-30 anni

per l'altro verso

non sa come mantenercela

ecco la sfida

di come prendersi cura

degli anziani

del nostro paese

non offrire qualche

servizio

ma visto che viviamo tutti

20-30 anni in più

in una prospettiva di infragilimento

è urgente

che la società

si attrezzi

permettetemi questa parola

per prendersi cura di tutti

e accompagnarci

nei nostri

lunghi anni

di infragilimento

appunto prendendoci cura

di un gli altri

e la società dei più deboli

in questo la parte

degli anziani

per certi versi è quella più

fragile ed io

mi trovo in una condizione davvero un po'

singolare di un religioso

anzi di un

vescovo che dirige un di

castello vaticano di essere anche a

palazzo chigi responsabile

di una commissione che deve

riorganizzare la politica

degli anziani però qui vedo

una strana alleanza

ho accolto questa sfida

perché vedo che oggi

non possiamo stare tanto a dibattere

sulle competenze

oggi c'è una

alleanza comunque

da fare tra

tutti per poter

prendersi cura e sollevare

e aiutare

coloro che sono i più fragili

anzi gli anziani

nella loro fragilità ci dicono

che tutte le età sono

fragili compresa quella giovanile

e questo è un

cambio di cultura

grazie

Vincenzo mi vengono in mente alcune

discussioni che abbiamo

fatto insieme durante la gestazione

del libro intorno al

mito della salute perfetta

ti ricordi Vincenzo? Condividi

con Massimo e con chi ci ascolta

noi avevamo letto insieme questa

definizione di salute

dell'organizzazione mondiale di sanità

poi è cambiata, devi ora

la domanda è a professore Calcati

questa

no nel senso che

come dire

un incentivo alla

nevrosi quella definizione nel senso che

nessuno si può definire in salute

se la salute appunto

è legata a quella definizione

appunto di mancanza

di qualunque forma di malessere

allora mi collego anche a quanto

diceva adesso appunto

Monsignor Paglia

sull'allungamento medio della vita che è una cosa

ovviamente straordinaria

e che però

necessariamente ci mette

a confronto con una lunghissima

stagione in cui la salute perfetta

non è pensabile di averla

e ricordava appunto Monsignor Paglia

che in realtà appunto le fragilità

esistono in tutte le fasi

volevo sollecitare appunto su questo il professor Calcati

questo mito della salute perfetta

ora ci spostiamo ma apparentemente

dal tema

quanti danni ha fatto e quanti danni

continua a fare

beh si insomma

già l'espressione se ci pensate

no

diritto alla salute

è un'espressione

in sé molto contraddittoria

perché

il diritto alla salute non è che noi lo

possiamo assicurare

anzi fa parte

della vita stessa il rischio

di una malattia

nell'atrocità

la malattia che colpisce i bambini per esempio

dov'è il diritto alla salute lì?

c'è una fatalità

c'è qualcosa che noi non possiamo governare

ho evocato prima la figura

di Giobbe che tra tutte è quella che più

incarna questo paradosso

di una sofferenza che non ha legge

quindi quando noi invochiamo

il diritto alla salute in realtà

stiamo formulando qualcosa di

profondamente contraddittorio

il diritto non può essere alla salute

il diritto deve essere alla cura

quello lo possiamo assicurare

noi possiamo assicurare

il diritto alla cura

e come fa notare giustamente Paglia

e questo è un tema a me molto caro

facendo supervisione

clinica in certi hospice

per esempio che si occupano

di accompagnare la vita

alla sua fine diciamo

noi lì vediamo bene che

la cura prosegue

quando la terapia

ha esaurito le sue possibilità

cioè che la cura e la terapia

non sono le stesse cose

così come non è la stessa cosa la cura e la guarigione

come dire noi vediamo a volte

che la terapia ha esaurito

la sua potenzialità

diciamo

benefica

ma resta la cura

e la cura è ciò che umanizza

diciamo così la relazione

con l'altro

e noi dobbiamo preservare

la cura

quindi non garantire un astratto

diritto alla salute

ma garantire un concreto

di spirito e materia

una cura che esorbita

sia la dimensione della guarigione

sia la dimensione della terapia

aggiungerei un'altra cosa

ma qui proprio riguarda il mio mestiere

ma se uno di voi

prendesse l'ultima

formulazione

dei disturbi mentali

il DSM

tutti noi

noi tre

3 più 1

4

tutti noi

e tutte le persone che ci ascoltano

saremmo dentro questo manuale

quindi allora

da una parte c'è

l'idealizzazione della salute

dall'altra parte

c'è la medicalizzazione

della vita

cioè quando un bambino per esempio

in una scuola elementare

particolarmente vivace

difficile da disciplinare

la diagnosi di bambino

iperattivo

non se la prende

una bambina che ha una

fobia alimentare

diventa anoressica

un bambino che fa fatica

ad apprendere

rivela una dislessia

una discalculia

noi siamo di fronte anche ad una esasperazione

della medicalizzazione

della vita

mentre noi dovremmo sempre ribadire il concetto

per cui tutti siamo fatti in modo strano

in modo diverso

in modo un po' disturbato

il problema è rendere il disturbo

fecondo

non pensare che la

salute sia la soppressione

dei cosiddetti disturbi

che poi sono i nostri talenti in realtà

se uno va proprio a spingere a fondo

le cose

cioè le mie anomalie, le mie bizzarrie

parlo dal punto di vista mentale

sono anche

le mie risorse

come dice Paglia

la mia fragilità è preziosa

in quanto tale, in quanto fragile

nonostante

la fragilità

noi dovremmo

liberarci di un concetto di felicità

che è un concetto

conformista

mentre ciascuno di noi

ha il diritto di avere una misura singolare

della sua felicità

perché solo nei regimi totalitari

esiste

un solo modo di essere felice

e che viene

imposto tra l'altro in modo

solitamente violento

e repressivo

Io intervengo solo per salutare

quanti ci ascoltano, mi presento

sono Dario Bassani, il social media manager

degli editori della Terze

e vorrei dire che purtroppo

Lia Di Trapani, la nostra editor, ha avuto

un problema di carattere tecnico

e che quindi non potrà

continuare a moderare

questo bellissimo dialogo che stiamo

tutti seguendo

quindi io ringrazio moltissimo

il professor Recalcati e il monsignor Paglia

che insomma ci hanno dato

molto su cui

pensare in questo momento

e insomma

se non avete altre cose da aggiungere

io fermerei qui

la conversazione

se il monsignor ci congeda

con un'ultima riflessione

Io volevo legarmi

all'ultima affermazione del professor Recalcati

noi corriamo il rischio

di aver, come dire,

romanticizzato l'amore

e romanticizzata

persino la salute

cioè l'abbiamo come

strappata dalla storia

e la storia

è un complesso di

come dire, di debolezze, di ricchezza

di fragilità

di emozioni

ed è in questo

senso allora che forse

la cosa, l'affermazione

più bella

che io vorrei lasciare

più bella, affermazione bella

che ho, ecco lì è tornata

l'affermazione più bella

che io vorrei fare

anche vedendoci finalmente noi tre

come la faceva un bravo

gesuita francese

mai senza l'altro

adesso non voglio dire

mai senza noi tre

allarghiamo

mai senza l'altro

è un modo per capire meglio

e poi vivere meglio questo nostro tempo

quest'epoca che ha bisogno

in effetti di uno scatto

di riflessione

e anche di cura

grazie Vincenzo

mi scuso per essermi assentata

per qualche minuto

ma a proposito di fragilità

dopo due anni di collegamenti

di zoom e di dirette

i miei limiti rispetto alla tecnologia

sono assolutamente identici

vi ringrazio davvero molto

è un'emozione stimolante

che lascia a me

ma credo lascerà tutte le persone

che ci hanno ascoltato

con questa convinzione

della necessità di non limitarsi

alla tecnica

di non limitarsi

a uno sguardo corto

mi pare che l'esortazione

che è arrivata forte e potente

è quella appunto di richiamarsi

ai valori dell'etica

ai valori della comunità

e aggiungo ai valori

dell'ascolto

e del tentativo

di capire

la complessità

di quello che c'è dentro di noi

e intorno a noi

anche a questo servono i libri

che cerchiamo di fare insieme

sicuramente è un tentativo

come dire di comprendere

questa complessità

e insieme anche l'esortazione

a una risposta possibile

che tra l'altro ha questa copertina

che io trovo bellissima

e naturalmente sono

strumenti utilissimi per capire

molto di noi stessi

e degli altri i libri del professor

Recalcati che ora le faccio

questo piccolo dispetto

lei aveva detto non sono qui per parlare dei libri miei

ma almeno in chiusura mi lascia

esprimere la mia gratitudine

perché io sono una sua lettrice

molto attenta, guardi qui quanti ne ho

e quindi è stata veramente un'occasione per me di grande arricchimento

e come senz'altro lo è stato per tutti coloro che ci hanno ascoltato fin qui

grazie davvero, vi ricordo

Vincenzo Paglia, La Forza della Fragilità

grazie professor Recalcati

grazie, faccio vedere il libro

l'ultimo non c'era ancora?

ah no, pensavo fosse il suo

grazie, grazie professor

un saluto a tutti


'La forza della fragilità', con Vincenzo Paglia 'The Strength of Fragility,' with Vincenzo Paglia もろさの強さ」、ヴィンチェンツォ・パリアとともに

Buonasera e benvenuti a Casa la Terza.

Io sono Lia Di Trapani, sono un editor della casettrice

e oggi sono molto contenta di poter ospitare

in questo nostro format Casa la Terza

la presentazione di un libro che è uscito pochissime settimane fa

ed è il libro di Monsignor Vincenzo Paglia, che saluto

e che ringrazio per essere qui con noi stasera

e il libro si intitola La forza della fragilità

a dialogare con Monsignor Paglia

abbiamo l'onore di avere il Professor Massimo Recalcati

che pure ringrazio moltissimo per questa sua disponibilità

Buonasera Professore

Buonasera

Entrambi i nostri ospiti, non è una formula di rito e la verità

non avrebbero bisogno di presentazioni

ma mi sembra comunque giusto dire almeno due parole

sui loro profili professionali

partendo dal nostro autore, ricordiamo che Vincenzo Paglia

è Presidente della Pontificia Accademia per la Vita

Consigliere spirituale della Comunità di Sant'Egidio

e tra le tante altre attività e titoli

voglio segnalare che da ultimo

coordina la Commissione Governativa per le Politiche

in favore della popolazione anziana in Italia

e quindi si occupa in maniera diretta

di un segmento fragile della nostra popolazione

è autore di molte pubblicazioni

questo è il terzo libro che Monsignor Paglia pubblica

con la Casa Editrice alla Terza

ed è una delle voci più ascoltate non solo nel mondo della Chiesa

ma direi nel dibattito pubblico del nostro Paese

il Professor Recalcati è psicoanalista

esercita la sua professione a Milano

ha svolto attività didattica in importanti università

a Pavia e a Verona

ed è Direttore Scientifico della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia IRPA

Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata

anche il Professor Recalcati è una voce presente, ascoltata

tra quelle dei nostri intellettuali

scrive spesso su Repubblica, è autore di numerosi testi

alcuni di taglio più scientifico e di ricerca

alta ed efficace di divulgazione

voglio nominare in particolare l'ultimo libro

che è veramente uscito da pochi giorni, credo addirittura

con l'editore Feltrinelli che si intitola

Pasolini, il fantasma dell'origine

allora, come vi dicevo prima

nello spazio di pochi minuti che ci siamo presi a Modinte prima

appunto prima della diretta

vi dicevo è della verità che sono davvero

curiosa di ascoltarvi e contenta di aver organizzato questo dialogo

perché entrambi per la vostra formazione

per la vostra attività di ricerca e studio

e per la vostra pratica quotidiana

vi confrontate quotidianamente con quello che è l'oggetto di questo libro

ovvero la fragilità

e sarà interessante quindi mettere a confronto

queste esperienze e pratiche, riflessioni diverse

Partirei solo da quello che è l'avvio del volume di Monsignor Paglia

il volume di Monsignor Paglia prende le mosse da una constatazione

quella cioè che la fragilità è una dimensione costitutiva dell'essere umano

e tuttavia ci siamo forse ricordati violentemente

del fatto che la fragilità sia una dimensione costitutiva dell'essere umano

proprio recentemente alla luce delle tragiche vicende legate alla pandemia

la pandemia ci ha messo di fronte con brutalità

di fronte appunto alla nostra mortalità

alla nostra vulnerabilità sotto il profilo della salute

la pandemia ci ha messo in più chiarezza davanti agli occhi

la situazione di tanti segmenti della popolazione

che è stata esposta più di altri a rischio

o riguardante la popolazione anziana in primis

e in qualche modo questa ultima stagione che abbiamo vissuto

ci ha svegliato un po' da un lungo sonno

in cui forse ci volevamo indire di non essere fragili

scrive Monsignor Paglia in apertura nel primo capitolo

nella mentalità comune la fragilità è l'immagine della debolezza

quindi di una condizione negativa persino dannosa

questa è stata lungo e per certi versi ancora l'immagine

che la nostra società e i nostri modelli culturali

ci trasmettono in quanto al tema fragilità

ecco su questo volevo sollecitare da subito il professor Recalcati

per chiedergli se come dire

nella sua esperienza anche lui ritiene che la fragilità è una dimensione

da cui si ritiene di doversi difendere

una dimensione di cui addirittura ci si vergogna

volevo appunto un confronto rispetto a questo avvio del volume

la fragilità come è vista mediamente ed è cambiato qualcosa negli ultimi tempi?

intanto grazie per questo invito

è per me un piacere essere qui e discutere questo libro

come spesso mi capita negli ultimi tempi

trovo sempre un'assonanza maggiore nella lettura di certi autori religiosi

come Vincenzo Paglia che non nei confronti degli psicanalisti

sarà un problema questo non lo so della mia disciplina forse

e perché questo libro a mio giudizio è un libro importante

e converge anche con diverse riflessioni che nel campo della psicanalisi stiamo facendo

e perché intanto isola questa parola chiave che è la parola fragilità

che è una parola come giustamente lei ha detto attraversa anche l'esperienza della psicanalisi

fragilis significa che noi siamo destinati alla morte

che la nostra vita è finita

che la sofferenza è inagirabile

che non siamo padroni delle nostre origini

e che non siamo autosufficienti

non siamo hence causa sui

non siamo causa di noi stessi

ma a partire da questa idea di fragilità

è chiaro che lo sfondo di questo libro è, come ricordava, l'esperienza traumatica del covid

questa esperienza viene tradotta da Monsignor Paglia come un magistero

ed è importante fare questa traduzione

non è solo un trauma quello che abbiamo vissuto

ma nel trauma c'è un magistero

e qual è il magistero del trauma?

beh è quello che i nostri sforzi collettivi

soprattutto diciamo in questo secolo

in questo nuovo secolo

di negazione ostinata del limite

di negazione ostinata della fragilità

la nostra retorica

come diceva Rosmini

della smisurata felicità come obbligo

la retorica della smisurata felicità

che finisce per cancellare la sofferenza, la morte, la povertà

la malattia

ebbè tutto questo, tutto questo grande sogno di potenza

si è ribaltato nel suo contrario

per cui noi abbiamo vissuto un trauma

e il trauma dal punto di vista anche clinico

è l'esperienza per la quale un soggetto

passa bruscamente

da una condizione di potenza

a una condizione di impotenza e di fragilità

come dire la fragilità emerge violentemente

tanto quanto ostinati erano i nostri sforzi a cancellarla

cioè a rimuoverla

cioè a negarla

e questo mi pare il primo punto

la prima lezione che poi questo libro isola molto bene

della pandemia

è appunto quella di averci confrontato nuovamente

e questo confronto è inaggirabile

e per certi versi definisce l'umano

definisce la forma umana della vita

con il nostro limite

con un'aggiunta che di fronte al limite

e qui introduco un binomio che

diciamo non è così esplicito nel libro

ma appunto sono interessato a sentire

Monsignore cosa ne pensa

penso di non tradire la sua ispirazione

rispetto a questo limite si è reagito

attraverso due diversi atteggiamenti

il primo atteggiamento è quello della paura

noi abbiamo avuto paura

noi ci siamo sentiti smarriti

la paura è il contrario della potenza

noi ci siamo sentiti smarriti

abbiamo avuto paura

come avevamo paura dello straniero

prima che apparisse il virus

come abbiamo paura di ciò che non conosciamo

come abbiamo paura dell'ignoto

come abbiamo paura della morte

abbiamo avuto paura

e una risposta nei confronti della paura

è l'isolamento

è il chiudersi

è il ripararsi

è rafforzare i confini

lo vediamo anche oggi

in questo secondo incubo terribile della guerra

che al suo fondamento è una paura

paura di essere aggrediti

dunque aggredisco perché ho paura di essere aggredito

la paura

si può fondare un legame sociale sulla paura?

la paura può essere il fondamento di un legame sociale generativo

la paura può essere il fondamento di una fratellanza

noi sappiamo che la nascita dello stato moderno

diciamo del patto sociale

avviene attraverso la paura

è la grande tesi di Hobbes

gli esseri umani si mettono insieme

perché condividono la paura

la paura della morte

se lo stato di natura è guerra di tutti contro tutti

allora bisogna come dire ripararci

dando al Leviatano il potere di stabilire la legge

e di proteggere le vite

ma la paura non è la parola scelta da Vincenzo Paglia

in questo libro

l'altra parola che apre un altro tipo di prospettiva

è la parola fragilità

non è solo la considerazione che esistono dei limiti

ma è un modo di pensare il legame sociale

e qui arrivo a concludere

visto che non voglio tenere troppo la parola

se noi mettiamo da una parte

l'origine del legame sociale

a partire dalla paura

Hobbes, il Leviatano

la guerra di tutti contro tutti

il difendersi dall'altro

e dall'altra parte l'idea

che esista un punto di comunione

di condivisione

che è legato al fatto di sentirci

come Paglia ripete spesso nel libro

e mi pare essere un filo rosso del libro

uniti nella sofferenza che abbiamo vissuto

uniti nella precarietà che abbiamo sperimentato

uniti nella cura che ciascuno

dedica all'altro nel tempo della maggior difficoltà

e del maggior smarrimento

un conto è la risposta che si genera dalla paura

un altro conto è la risposta che si genera

dal riconoscersi avere lo stesso destino

la stessa cifra

che è quella dell'essere umano

in questo senso contrapporrei a Hobbes

lo stato di natura, guerra di tutti contro tutti

una grande figura biblica che non è citata nel libro

che è la figura di Giobbe

che è la figura della sofferenza

perché su quello si può costruire

un autentico patto sociale

sul riconoscimento reciproco

che senza l'altro noi siamo perduti

grazie professore per queste prime riflessioni

per questi stimoli

che aprono a molte direzioni di approfondimento

ovviamente do subito la parola

a Monsignor Paglia, ma volevo sottolineare

tra i passaggi

interessanti che abbiamo ascoltato fin qui

uno in particolare

è quello legato alla paura

come esito della consapevolezza

della propria fragilità

e al fatto che, diceva il professor Recalcati

la paura può avere come

conseguenza ulteriore

l'isolamento

ho paura, quindi mi rinchiudo

ho paura, alzo i muri

è una strada possibile

è una conseguenza verosimile

più che verosimile diciamo

spesso reale, e però Vincenzo

ti solleciterei anche su questo punto

è esattamente come dire

la strada che tu

temi più di tutte le altre

perché il libro è un'esortazione

costante, lo ha ricordato anche il professore Recalcati

ha una risposta che si ha

al plurale

allora ti chiederei nel

appunto nell'approfondire

alcune delle sollecitazioni

che già abbiamo avuto fin qui

di toccare in particolare

anche questo tema della paura

e delle direzioni

pericolose che essa può prendere

grazie

io ringrazio anche per l'invito

non solo ma anche per

aver ascoltato alcune

riflessioni di Massimo

Recalcati che come spesso

accade, arricchiscono

quello che uno ha già scritto

e permettono di approfondire

e anche di condurre

anche un po' oltre

le riflessioni che uno

che si fissano su un libro

in effetti la spinta

a sottolineare il magistero

del covid

cioè è stata una grande lezione

e la grande lezione

è che nel pieno della nostra

come dire superanza

tecnologica

nel pieno dello sviluppo

è bastato

un piccolo essere

invisibile

per di più parassita neppure vivente

che ci ha messi tutti in ginocchio

tutti e tutto

ora questa lezione terribile

della come dire

della riscoperta

tragica

della fragilità

ha però comportato

e questo per me è un punto importante

per chi ha potuto viverlo

io l'ho vissuto

anche una reazione singolare di molti

io ho visto crescere

durante la pandemia

spinte solidaristiche

belle

analogamente a quello

che un po' sta succedendo

ora con la guerra

se noi pensiamo che

fino a pochi mesi fa

i confini dell'est Europa

erano segnati da filo spinato

oggi vediamo

una grande apertura

non direi più che dei governi

della popolazione

cioè la fragilità

allora

se per un verso

ci fa riscoprire la paura

per l'altro verso

ha come nel suo profondo

una forza

positiva

che è la forza

che si sperimenta

quando

se ci si unisce tra fragili

si supera il pericolo

si superano

le difficoltà

anzi

viene fino ad emergere

l'urgenza

di una nuova visione

quando si è

fragili c'è una sensibilità

in più

che è quella di sentire il bisogno di aiuto

che è quella di urlare aiuto

che è quella di stendere la mano

che è quella anche di riconoscere

più facilmente

la fragilità dell'altro

diceva

un antico monoco

benedittinio medievale

Ubiamor

Ibi Oculos

se c'è un po' d'amore

ci sono occhi per vedere

ecco perché allora

la fragilità

può essere anche

come dire una spinta

a riconoscersi

vicini

e a scegliere

la vicinanza de facto

in una fraternità di scelta

a fare di ciò che

abbiamo visto esistere

nella biologia

ricordiamo la famosa

il battito d'ali di una farfalla

che poi produce un ciclone

in California

ecco questo legame de facto

oggi deve diventare una scelta

altrimenti se non diventa

una scelta diventa una condanna

infatti

la ragione

di una pandemia che ci ha distrutto

nasce dalla disattenzione

per una globalità

solo diciamo

di efficienza

e non di solidarietà

un mondo troppo largo

ci ha costretti a rinchiudersi

ad isolarci

e questo ci ha reso più deboli

più fragili

sia nella pandemia

ma anche adesso nella guerra

la divisione

rende più fragili

ecco perché io

direi che la forza della fragilità

è una forza

che nasce dalla

consapevolezza

che l'unione dei fragili

ci rende davvero molto forti

non so se questo si può dire

in maniera sloganistica

ma non c'è dubbio

che

il monoteismo dell'io

la egolatria direbbe

Giuseppe de Rita

o l'io come re

cade ai piedi d'argilla

cade al minimo

come dire

problema della globalizzazione

fino a distruggersi

anzi a cercare la pace

dopo essersi distrutti

ecco io invece credo

che la

fragilità

ha dentro di sé una sorta di

se accolta e compresa

di una nuova etica

l'etica

della responsabilità

vicendevole

l'etica della cura

di fronte alla guerra

di fronte alla pandemia

di fronte

alla prossima prova

quella delle cavallette

non so che cosa

potrà avvenire

l'unica vera salvezza

è il prenderci cura

gli uni degli altri

perché da questa reciprocità

che nasce

un nuovo umanesimo

o nuovi umanesimi

ecco

questo voglio dire

come diceva prima bene

i professori Calcati

nessuno

nessuno auto nasce

nessuno si autobattezza

tutti noi

nasciamo

per l'incontro tra due persone

questo

come dire

questa fragilità iniziale

che è il grande dono

della vita è subito

un noi

non c'è un io assoluto

e questo dovrebbe

insegnarci tante cose

poi il professore Calcatti

non riesco a sottolineare

la sparizione del padre

o della madre

grazie Lucesso

intanto

hai aperto in questo

tuo intervento anche una dimensione

che è presente nel libro

e che è una dimensione politica

politica nel senso più alto

del termine

nel senso appunto

della logica quotidiana

parlamentare o partitica

nel senso che tu

nel libro dici esplicitamente

che di nuovo appunto

questa interconnessione

che si è resa così evidente negli ultimi due anni

per via della pandemia

ha messo un po'

come dire a nudo tutti i limiti

delle visioni sovraniste

che invece come dire avevano

dominato

l'attenzione

da un certo punto di vista

il fatto che

ai noi c'è una guerra dentro casa

purtroppo

sembrerebbe ricordarci

che invece ancora

la lettura che tu proponi

non è così entrata

nelle teste

nei cuori di tutti

e tuttavia di nuovo

lo scenario che stiamo assistendo ci ricorda

l'interconnessione

e la difficoltà

anche come dire

di fare scelte

la difficoltà strategica, operativa, politica

in cui i paesi europei

il nostro piccolo

si vedono appunto

coinvolti in questo periodo

è proprio legata dalla consapevolezza

che c'è un legame

fortissimo di tutti

con tutti

passerei alla dimensione

politica sociale

la dimensione invece è un pochino più

legata all'individuo professore

sia per iniziare a dialogare un po' anche con i nostri

ascoltatori

una persona

voleva sapere da lei se nella sua esperienza

è cresciuto

il disagio

psicologico

e se ci vuole dire

come dire, se c'è una particolare

coloritura di un disagio

anche nuovo a cui si assiste

in questo periodo

un altro punto in cui la volevo sollecitare

io invece perché è troppo augiotta

all'occasione

è legato a due

figure mitologiche

che sono centrali anche per il discorso

della psicanalisi a cui fa ricorso

non si inorpaglia nel suo libro

e sono le figure di Prometeo e di Narciso

due come dire

modelli di comportamento

entrambi pericolosi

volevo sapere appunto se si è

riconosciuto in questa lettura

di non si inorpaglia, se ci vuole dire

qualche cosa su cosa è diventato

il narcisismo oggi

se è meno pericoloso che in passato

se insomma volevo

avere il piacere di

sentire da lei un po' una

lettura di questa parte

anche della riflessione di non si inorpaglia

non la sentiamo?

provo a dare delle risposte rapide

a tutte e tre le questioni

permettendomi anche però di fare

una piccola

sottolineatura

sulla dimensione politica del testo

di non si inorpaglia

perché mi sembra che lì

come dire

ci sono due indicazioni

molto preziose

la prima indicazione

fa perno sulla cura

noi non dobbiamo

dissociare la cura

dalla politica

cioè non dobbiamo pensare che

la politica

possa esistere senza

implicare una pratica

di cura

e quando diciamo

il signor Pallalo lo dice

meglio nel libro, quando diciamo

che il prendersi cura

è un destino possibile

della fragilità

significa che

la cura impedisce ogni volta

alla vita umana

di essere spersonalizzata in un numero

quando c'è cura

l'altro, quello di cui io mi prendo cura

non è mai un numero

ma assume come diceva Francesco

nella sua enciclica

assume il valore di

di essere

immensamente sacro

immensamente

sacro è l'altro a cui

noi ci dedichiamo

diventa

quando c'è cura

le singolarità sono tutte messe in valore

la politica ha bisogno

della cura

per non

inaridirsi

ed essere solo il luogo dove si

si trasmettono numeri

si quantifica la vita

si spersonalizza la vita

accade anche nella guerra

sono dei numeri

quanti civili, quanti soldati, quanti carri armati

dietro il numero c'è sempre

un volto

come dice un filosofo

c'è sempre un volto

e il volto è il segno

del carattere immensamente sacro

della vita

questo è un primo punto

un secondo punto molto importante

è una lettura

molto identica a quella che Pasolini

ha scritto nella prima lettera di San Paolo e Corinzi

quando

Paglia fa a suo modo

però molto convergenti

in cui si dice che la politica

si fonda sulle grandi parole

della fede e della speranza

ma se queste due parole

restano dissociate

dalla terza parola

che è quella dell'amore

diventano mostruose

semplicemente mostruose

le parole della fede e della speranza

di una grande Russia

del recupero

della restaurazione dell'impero

del recupero dei propri territori

la fede e la speranza

è l'amore che

impedisce che queste due parole

si rivelino mostruose

la domanda

vado in ordine

la domanda della nostra ascoltatrice

quella domanda

risponderei così

che per un verso è evidente che il disagio ha aumentato

coinvolge soprattutto

dal punto di vista psichico

le nuove generazioni

e soprattutto sintomi

come l'attacco di panico

come lo stato d'ansia

come la somatizzazione

come i passaggi all'atto auto-lessivi

come la depressione

che ha investito profondamente

il mondo giovanile

mentre noi siamo abituati a pensare

che la depressione è come dire

accompagni la vita nel suo declino

e invece il covid

ha esasperato una tendenza

che era già in atto prima

cioè sono i giovani

che soffrono maggiormente di depressione

e questa sofferenza è legata

alla mancanza di senso della vita

diciamo la vita non acquista senso

e se la vita non acquista senso

la depressione è la risposta

alla caduta del senso

al tempo stesso però direi

che sarebbe un gravissimo errore

è un punto su cui io insisto molto

nell'etichettare

questa generazione

come la generazione covid

non esiste nessuna generazione covid

esiste un disagio

che deve essere curato

con attenzione

ma se noi introduciamo il termine

nefasto di generazione covid

noi trasformiamo

la sofferenza

in una vittima

mettere l'abito della vittima

significa mettere un abito torbido

che impedisce

l'assunzione della responsabilità

io ho due figli adolescenti

quindi so quanto hanno sofferto

ma non penso che siano generazione covid

penso che il loro compito

sia rendere generativo

quello che hanno vissuto

perché la formazione non è lineare

non è mai come sapere

che la gente ha vissuto

non è mai come salire una scala

un piolo dopo l'altro

la formazione è fatta di inciampi

di incidenti

di cadute da cavallo

è fatta di urti

è fatta di fallimenti

e dunque è fatta anche di prove

come quella del covid

è una prova assolutamente difficile

epocale per certi versi

ma ecco io non identificherei

questa generazione

come la generazione covid

la terza questione

ricordamela?

prometeo e narciso

in realtà il nostro tempo

è il tempo di narciso

innanzitutto lo dice anche Paglia

questo è il tempo di narciso

su questo c'è una grande convergenza

di autori molto diversi tra loro

cosa significa

dire che il nostro tempo

è il tempo di narciso

beh

se ci pensate

e qui rubo un po' il mestiere di Monsignor Paglia

se uno

prende la Torah

c'è un solo peccato

nella Torah

è vero che uno può dire non è vero

c'è una moltiplicazione di peccati

perché si moltiplicano i precetti

ogni cosa che uno fa deve stare attento

ma in realtà

se noi andiamo veramente al sodo

c'è un solo grande peccato

che è la sola grande follia

dell'umano di cui la Torah parla

in continuazione

che è quella di

credersi Dio

di voler farsi Dio

del criterio di essere Dio

che dal serpente tentatore

non a caso evocato da Monsignor Paglia

nel suo libro anche se rapidamente

dalla tentazione

del serpente

non è tanto assaggiare l'oggetto

proibito, non è quello il punto

il punto è farsi come Dio

farsi essere Dio

ma questo si vede in Putin

Putin è la realizzazione

di questa tentazione

di farsi Dio

la bomba atomica che cos'è?

sono come Dio

decido della vita e della morte

di tutti

allora questa deificazione

è diciamo

la forma estrema del narcisismo

la forma maligna del narcisismo

e io penso che sia

un tratto del nostro tempo

di quello che io chiamo appunto

il tempo ipermoderno

concludo su questa parola

che Paglia cittadini Poveschi

che è un autore per me importante

che usa questa

espressione di ipermodernità

il significato che io do a questo termine

è molto semplice

se pensiamo alla modernità con Kant

noi pensiamo

che la modernità

cioè il tempo dell'illuminismo

è stato il tempo in cui l'essere umano

la ragione critica si è emancipata

dalla superscrizione religiosa

nel senso del termine

dall'irrazionalità

delle tenebre

e quindi è un processo di emancipazione

lì io ho guadagnato

la propria autonomia critica

l'ipermodernità

consiste nella

trasfigurazione

narcisistica di questa autonomia

cioè l'io diventa come Dio

l'io diventa

Dio

siamo di fronte

quindi ecco il tema biblico

siamo di fronte alla

natura perversa del desiderio umano

la Bibbia non è mai morale

almeno

io sono un lettore

ma non c'è mai

moralismo nella Bibbia

ma

c'è l'idea che

l'umano si ammala

quando rigetta la sua fragilità

non è la fragilità la malattia

ma questo guardi

che ha un valore anche clinico

quando i pazienti stanno male

quando si credono degli io

quando sono troppo attaccati al loro io

quando stanno bene, quando fanno amicizia

diciamo nel modo semplice

con la loro fragilità

vanno meglio

questo ci rassura molto

e la ringraziamo

io continuo

sulla scia di Massimo

Calcati

dicendo che in effetti

questa volta faccio il prete

in effetti

Narciso è il primo santo del calendario

forse anche l'unico

direbbe Steiner

che è l'unico

santo venerato

sul cui altare

si sacrifica tutto

anche gli affetti più cari

per questo io credo che

dire che la fragilità

non è una anomalia

dire che il limite

è la condizione umana

è come dire

deve diventare un patrimonio comune

un patrimonio comune di tutti

della scienza, della politica

dell'economia

della spiritualità

della cultura

ecco perché io credo che

ci troviamo di fronte

ad un cambio di epoca

dice Papa Francesco

perché quando il professore Calcati

ricorda l'atomica

e noi per la prima volta nella storia

l'uomo può distruggere

tutti gli altri

la seconda ondata

il tema dell'ecologia

con la distruzione

dell'ambiente

noi possiamo distruggere

l'intero creato

c'è poi una terza prospettiva

che nel libro accenno

tutte le nuove tecnologie

convergenti ed emergenti

dall'intelligenza artificiale

ed intorni

che possono davvero trasformare

l'uomo in una macchina

ecco perché

la dimensione della fragilità

o del limite

diciamo così

è davvero

come dire

la prospettiva più umanizzante

e quando si accenna

appunto

all'amore come cardine

anche della libertà

e dell'uguaglianza

per me è molto vero

perché la famosa affermazione

la mia libertà

finisce dove inizia la tua

e non è più vera

dobbiamo essere liberi solidarmente

congiuntamente

ecco perché

io ho voluto sottolineare un aspetto

cioè aggiungo al termine

fraternità

anche

l'altro termine amicizia

perché una fraternità

malintesa

può diventare omicida

dire che il popolo russo e il popolo italiano

sono un unico popolo

o anche che sono popoli fratelli

ma deve esserci anche

una fraternità

amicale

segnata dall'amore

ecco perché

è un tempo questo particolarmente

prezioso

per riflettere, per dibattere

ecco questo nostro piccolo incontro

io lo sento anche

come un piccolo

aiuto

per sostenerci tutti

in una nuova visione

che deve arrivare

ed è per me triste

assistere

ad esempio

a tanti dibatti

da adesso anche sulla guerra

perchè sono privi

di una visione

quale Europa, quale mondo

vogliamo

dopo quello che sta accadendo

non può esistere un cessato

il fuoco senza una visione

che sia

una visione di

fraternità plurale

una visione

della amicizia

tra i popoli, a me ha fatto sempre

impressione

un'affermazione, qui parlo soprattutto

per i credenti, per i cristiani

un'affermazione di un grande

patriarcha, Tenagoras

quello che si abbracciò con Paolo VI

negli anni 60

rompendo una

divisione e lui diceva

chiese sorelle

popoli fratelli

noi possiamo dire

chiese divise

popoli divisi

ecco bisogna dare

anche al termine

fraternità

un valore

di quell'amicalità, Aristotile diceva

che la polis si fondava sull'amicizia

ecco

un po' su questo io credo

che la politica, l'economia

e il resto, compresa la chiesa

dovremmo riflettere

con maggiore attenzione

perché ha ragione

nel dire che la Bibbia non è

morale, la Bibbia è storica

ed è la storia che ci salva

se è una storia non di

narcisi o di prometei

ma la storia di fratelli

che cercano di amarsi

e di sostenersi

di qui il termine della cura

che prima veniva evocata

io volevo

girarti

una riflessione, una domanda

di Pierluigi

che ci scrive

e approfittare di questa domanda

che ora ti farò per

chiederti anche un commento

sulla tua ultima

attività, sulla tua ultima esperienza

appunto legata al mondo

degli anziani, ci chiede Pierluigi se la

presa di coscienza della necessità

della cura di cui stiamo parlando

è stata

assimilata davvero

o se invece non è

stata una parentesi appunto

emergenziale che già

sta tramontando

e appunto approfitto di questa domanda

per chiederti Vincenzo che

lezioni stai

traendo, che riflessioni

stai facendo da

questo tuo confronto ancora più

serrato che in passato, ovviamente tu di anziani

ti sei occupato molto anche

negli anni passati, però ti volevo chiedere

nella tua esperienza con

l'RSA, con le tante

occasioni di incontro che hai avuto, con le scelte

anche politiche

a cui si sta lavorando, che

riflessioni ci vuoi restituire

su questo punto?

Una battuta che è un po' diversa da

quella che ha fatto il Papa

durante il Covid io amo

dire che siamo tutti

nella stessa tempesta

ma in barche differenti

ci sono alcune

barche molto più fragili

come quelle degli anziani

che sono state spazzate

via in una maniera

incredibilmente

senza

ostacoli

e in effetti questo è avvenuto perché

perché manca la cura

per un verso

la società ci ha allungato la vita di 20-30 anni

per l'altro verso

non sa come mantenercela

ecco la sfida

di come prendersi cura

degli anziani

del nostro paese

non offrire qualche

servizio

ma visto che viviamo tutti

20-30 anni in più

in una prospettiva di infragilimento

è urgente

che la società

si attrezzi

permettetemi questa parola

per prendersi cura di tutti

e accompagnarci

nei nostri

lunghi anni

di infragilimento

appunto prendendoci cura

di un gli altri

e la società dei più deboli

in questo la parte

degli anziani

per certi versi è quella più

fragile ed io

mi trovo in una condizione davvero un po'

singolare di un religioso

anzi di un

vescovo che dirige un di

castello vaticano di essere anche a

palazzo chigi responsabile

di una commissione che deve

riorganizzare la politica

degli anziani però qui vedo

una strana alleanza

ho accolto questa sfida

perché vedo che oggi

non possiamo stare tanto a dibattere

sulle competenze

oggi c'è una

alleanza comunque

da fare tra

tutti per poter

prendersi cura e sollevare

e aiutare

coloro che sono i più fragili

anzi gli anziani

nella loro fragilità ci dicono

che tutte le età sono

fragili compresa quella giovanile

e questo è un

cambio di cultura

grazie

Vincenzo mi vengono in mente alcune

discussioni che abbiamo

fatto insieme durante la gestazione

del libro intorno al

mito della salute perfetta

ti ricordi Vincenzo? Condividi

con Massimo e con chi ci ascolta

noi avevamo letto insieme questa

definizione di salute

dell'organizzazione mondiale di sanità

poi è cambiata, devi ora

la domanda è a professore Calcati

questa

no nel senso che

come dire

un incentivo alla

nevrosi quella definizione nel senso che

nessuno si può definire in salute

se la salute appunto

è legata a quella definizione

appunto di mancanza

di qualunque forma di malessere

allora mi collego anche a quanto

diceva adesso appunto

Monsignor Paglia

sull'allungamento medio della vita che è una cosa

ovviamente straordinaria

e che però

necessariamente ci mette

a confronto con una lunghissima

stagione in cui la salute perfetta

non è pensabile di averla

e ricordava appunto Monsignor Paglia

che in realtà appunto le fragilità

esistono in tutte le fasi

volevo sollecitare appunto su questo il professor Calcati

questo mito della salute perfetta

ora ci spostiamo ma apparentemente

dal tema

quanti danni ha fatto e quanti danni

continua a fare

beh si insomma

già l'espressione se ci pensate

no

diritto alla salute

è un'espressione

in sé molto contraddittoria

perché

il diritto alla salute non è che noi lo

possiamo assicurare

anzi fa parte

della vita stessa il rischio

di una malattia

nell'atrocità

la malattia che colpisce i bambini per esempio

dov'è il diritto alla salute lì?

c'è una fatalità

c'è qualcosa che noi non possiamo governare

ho evocato prima la figura

di Giobbe che tra tutte è quella che più

incarna questo paradosso

di una sofferenza che non ha legge

quindi quando noi invochiamo

il diritto alla salute in realtà

stiamo formulando qualcosa di

profondamente contraddittorio

il diritto non può essere alla salute

il diritto deve essere alla cura

quello lo possiamo assicurare

noi possiamo assicurare

il diritto alla cura

e come fa notare giustamente Paglia

e questo è un tema a me molto caro

facendo supervisione

clinica in certi hospice

per esempio che si occupano

di accompagnare la vita

alla sua fine diciamo

noi lì vediamo bene che

la cura prosegue

quando la terapia

ha esaurito le sue possibilità

cioè che la cura e la terapia

non sono le stesse cose

così come non è la stessa cosa la cura e la guarigione

come dire noi vediamo a volte

che la terapia ha esaurito

la sua potenzialità

diciamo

benefica

ma resta la cura

e la cura è ciò che umanizza

diciamo così la relazione

con l'altro

e noi dobbiamo preservare

la cura

quindi non garantire un astratto

diritto alla salute

ma garantire un concreto

di spirito e materia

una cura che esorbita

sia la dimensione della guarigione

sia la dimensione della terapia

aggiungerei un'altra cosa

ma qui proprio riguarda il mio mestiere

ma se uno di voi

prendesse l'ultima

formulazione

dei disturbi mentali

il DSM

tutti noi

noi tre

3 più 1

4

tutti noi

e tutte le persone che ci ascoltano

saremmo dentro questo manuale

quindi allora

da una parte c'è

l'idealizzazione della salute

dall'altra parte

c'è la medicalizzazione

della vita

cioè quando un bambino per esempio

in una scuola elementare

particolarmente vivace

difficile da disciplinare

la diagnosi di bambino

iperattivo

non se la prende

una bambina che ha una

fobia alimentare

diventa anoressica

un bambino che fa fatica

ad apprendere

rivela una dislessia

una discalculia

noi siamo di fronte anche ad una esasperazione

della medicalizzazione

della vita

mentre noi dovremmo sempre ribadire il concetto

per cui tutti siamo fatti in modo strano

in modo diverso

in modo un po' disturbato

il problema è rendere il disturbo

fecondo

non pensare che la

salute sia la soppressione

dei cosiddetti disturbi

che poi sono i nostri talenti in realtà

se uno va proprio a spingere a fondo

le cose

cioè le mie anomalie, le mie bizzarrie

parlo dal punto di vista mentale

sono anche

le mie risorse

come dice Paglia

la mia fragilità è preziosa

in quanto tale, in quanto fragile

nonostante

la fragilità

noi dovremmo

liberarci di un concetto di felicità

che è un concetto

conformista

mentre ciascuno di noi

ha il diritto di avere una misura singolare

della sua felicità

perché solo nei regimi totalitari

esiste

un solo modo di essere felice

e che viene

imposto tra l'altro in modo

solitamente violento

e repressivo

Io intervengo solo per salutare

quanti ci ascoltano, mi presento

sono Dario Bassani, il social media manager

degli editori della Terze

e vorrei dire che purtroppo

Lia Di Trapani, la nostra editor, ha avuto

un problema di carattere tecnico

e che quindi non potrà

continuare a moderare

questo bellissimo dialogo che stiamo

tutti seguendo

quindi io ringrazio moltissimo

il professor Recalcati e il monsignor Paglia

che insomma ci hanno dato

molto su cui

pensare in questo momento

e insomma

se non avete altre cose da aggiungere

io fermerei qui

la conversazione

se il monsignor ci congeda

con un'ultima riflessione

Io volevo legarmi

all'ultima affermazione del professor Recalcati

noi corriamo il rischio

di aver, come dire,

romanticizzato l'amore

e romanticizzata

persino la salute

cioè l'abbiamo come

strappata dalla storia

e la storia

è un complesso di

come dire, di debolezze, di ricchezza

di fragilità

di emozioni

ed è in questo

senso allora che forse

la cosa, l'affermazione

più bella

che io vorrei lasciare

più bella, affermazione bella

che ho, ecco lì è tornata

l'affermazione più bella

che io vorrei fare

anche vedendoci finalmente noi tre

come la faceva un bravo

gesuita francese

mai senza l'altro

adesso non voglio dire

mai senza noi tre

allarghiamo

mai senza l'altro

è un modo per capire meglio

e poi vivere meglio questo nostro tempo

quest'epoca che ha bisogno

in effetti di uno scatto

di riflessione

e anche di cura

grazie Vincenzo

mi scuso per essermi assentata

per qualche minuto

ma a proposito di fragilità

dopo due anni di collegamenti

di zoom e di dirette

i miei limiti rispetto alla tecnologia

sono assolutamente identici

vi ringrazio davvero molto

è un'emozione stimolante

che lascia a me

ma credo lascerà tutte le persone

che ci hanno ascoltato

con questa convinzione

della necessità di non limitarsi

alla tecnica

di non limitarsi

a uno sguardo corto

mi pare che l'esortazione

che è arrivata forte e potente

è quella appunto di richiamarsi

ai valori dell'etica

ai valori della comunità

e aggiungo ai valori

dell'ascolto

e del tentativo

di capire

la complessità

di quello che c'è dentro di noi

e intorno a noi

anche a questo servono i libri

che cerchiamo di fare insieme

sicuramente è un tentativo

come dire di comprendere

questa complessità

e insieme anche l'esortazione

a una risposta possibile

che tra l'altro ha questa copertina

che io trovo bellissima

e naturalmente sono

strumenti utilissimi per capire

molto di noi stessi

e degli altri i libri del professor

Recalcati che ora le faccio

questo piccolo dispetto

lei aveva detto non sono qui per parlare dei libri miei

ma almeno in chiusura mi lascia

esprimere la mia gratitudine

perché io sono una sua lettrice

molto attenta, guardi qui quanti ne ho

e quindi è stata veramente un'occasione per me di grande arricchimento

e come senz'altro lo è stato per tutti coloro che ci hanno ascoltato fin qui

grazie davvero, vi ricordo

Vincenzo Paglia, La Forza della Fragilità

grazie professor Recalcati

grazie, faccio vedere il libro

l'ultimo non c'era ancora?

ah no, pensavo fosse il suo

grazie, grazie professor

un saluto a tutti