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Novecento, Novecento Parte 1

Novecento Parte 1

Ho scritto questo testo per un attore, Eugenio Allegri, e un regista, Gabriele Vacis. Loro ne hanno fatto uno spettacolo che ha debuttato al festiva di Asti nel luglio di quest'anno. Non so se questo sia sufficiente per dire che ho scritto un testo teatrale: ma ne dubito. Adesso che lo vedo in forma di libro, mi sembra piuttosto un testo che sta in bilico tra una vera messa in scena e un racconto da leggere ad alta voce. Non credo che ci sia un nome, per testi del genere. Comunque, poco importa. A me sembra una bella storia, che valeva la pena di raccontare. E mi piace pensare che qualcuno la leggerà. A. B.

Settembre 1994

Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa... e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire... Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi... Eppure c'era sempre uno, uno solo, uno che per primo... la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte... magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni... alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare... e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov'era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l'America. Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che l'aveva fatta lui, l'America. La sera, dopo il lavoro, e le domeniche, si era fatto aiutare dal cognato, muratore, brava per sona... prima aveva in mente qualcosa in compensato, poi... gli ha preso un po' la mano, ha fatto l'America...

Quello che per primo vede l'America. Su ogni nave ce n'è uno. E non bisogna pensare che siano cose che succedono per caso, no. .. e nemmeno per una questione di diottrie, è il destino, quello. Quella è gente che da sempre c'aveva già quell'istante stampato nella vita. E quando erano bambini, tu potevi guardarli negli occhi, e se guardavi bene, già la vedevi, l'America, già lì pronta a scattare, a scivolare giù per nervi e sangue e che ne so io, fino al cervello e da lì alla lingua, fin dentro quel grido (gridando), AMERICA, c'era già, in quegli occhi, di bambino, tutta, l'America.

Lì, ad aspettare.

Questo me l'ha insegnato Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, il più grande pianista che abbia mai suonato sull'Oceano. Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto. Così, diceva: quello che vedranno.

Io ne ho viste, di Americhe... Sei anni su quella nave, cinque, sei viaggi ogni anno, dall'Europa all'America e ritorno, sempre a mollo nell'oceano, quando scendevi a terra non riuscivi neanche a pisciare dritto nel cesso. Lui era fermo, lui, ma tu, tu continuavi a dondolare. Perché da una nave si può anche scendere: ma dall'oceano... Quando c'ero salito, avevo diciassette anni. E di una sola cosa mi fregava, nella vita: suonare la tromba. Così quando venne fuori quella storia che cercavano gente per il piroscafo, il Virginian, giù al porto, io mi misi in coda. Io e la tromba. Gennaio 1927. Li abbiamo già i suonatori, disse il tizio della Compagnia. Lo so, e mi misi a suonare. Lui se ne stette lì a fissarmi senza muovere un muscolo. Aspettò che finissi, senza dire una parola. Poi mi chiese:

"Cos'era? ".

"Non lo so."

Gli si illuminarono gli occhi.

"Quando non sai cos'è, allora è jazz."

Poi fece una cosa strana con la bocca, forse era un sorriso, aveva un dente d'oro proprio qui, così in centro che sembrava l'avesse messo in vetrina per venderlo.

"Ci vanno matti, per quella musica, lassù."

Lassù voleva dire sulla nave. E quella specie di sorriso voleva dire che mi avevano preso.

Suonavamo tre, quattro volte al giorno. Prima per i ricchi della classe lusso, e poi per quelli della seconda, e ogni tanto si andava da quei poveracci degli emigranti e si suonava per loro, ma senza la divisa, così come veniva, e ogni tanto suonavano anche loro, con noi. Suonavamo perché l'Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov'era, e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. E suonavamo il ragtime, perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede. Su cui Dio ballava, se solo era negro.

(L'attore esce dalla scena. Parte una musica dixie, molto allegra e sostanzialmente idiota. L'attore rientra in scena vestito elegantemente da jazz man da piroscafo. Da qui in poi si comporta come se la band fosse, fisicamente, in scena)

Ladies and Gentlemen, meine Damen und Herren, Signore e Signori... Mesdames e Messieurs, benvenuti su questa nave, su questa città galleggiante che assomiglia in tutto e per tutto al Titanic, calma, state seduti, il signore laggiù si è toccato, l'ho visto benissimo, benvenuti sull'Oceano, a proposito che ci fate qui?, una scommessa, avevate i creditori alle calcagna, siete in ritardo di una trentina d'anni sulla corsa all'oro, volevate vedere la nave e poi non vi siete accorti che era partita, siete usciti un attimo a comprare le sigarette, in questo momento vostra moglie è alla polizia che dice era un uomo buono, normalissimo, in trent'anni mai un litigio... Insomma, che diavolo ci fate qua, a trecento miglia da qualsiasi fottutissimo mondo e a due minuti dal prossimo conato di vomito? Pardon madame, scherzavo, si fidi, se ne va questa nave come una biglia sul biliardo dell'oceano, tac, ancora sei giorni, due ore e quarantasette minuti e plop, in buca, New Yoooooork!

(Band in primo piano)

Non credo che ci sia bisogno di spiegarvi come questa nave sia, in molti sensi, una nave straordinaria e in definitiva unica. Al comando del capitano Smith, noto claustrofobo e uomo di grande saggezza (avrete certo notato che vive in una scialuppa di salvataggio), lavora per voi uno staff praticamente unico di professionisti assolutamente fuori dall'ordinario: Paul Siezinskj, timoniere, ex sacerdote polacco, sensitivo, pranoterapeuta, purtroppo cieco... Bill Joung, marconista, grande giocatore di scacchi, mancino, balbuziente... il medico di bordo, dott. Klausermanspitzwegensdorfentag, aveste urgenza di chiamarlo siete fregati..., ma soprattutto:

Monsieur Pardin,

lo chef,

direttamente proveniente da Parigi dove peraltro è subito tornato dopo aver verificato di persona la curiosa circostanza che vede questa nave priva di cucine, come ha argutamente notato, tra gli altri, Monsieur Camembert, cabina 12, che oggi si è lamentato per aver trovato il lavabo pieno di maionese, cosa strana, perché di solito nei lavabi teniamo gli affettati, questo per via dell'inesistenza delle cucine, cosa a cui va attribuita tra l'altro l'assenza su questa nave di un vero cuoco, quale certamente era Monsieur Pardin, subito tornato a Parigi da cui proveniva direttamente, nell'illusione di trovare qui sopra delle cucine che invece, a rimanere fedeli ai fatti, non ci sono e questo grazie alla spiritosa dimenticanza del progettista di questa nave, l'insigne ingegner Camilleri, anoressico di fama mondiale, a cui prego di indirizzare il vostro più caloroso applauS0000000...

(Band in primo piano)

Credetemi, non ne troverete altre di navi così: forse, se cercherete per anni ritroverete un capitano claustrofobico, un timoniere cieco, un marconista balbuziente, un dottore dal nome impronunciabile, tutti sulla stessa nave, senza cucine. Può darsi. Ma quel che non vi succederà più, potete giurarci, è di stare lì seduti col culo su dieci centimetri di poltrona e centinaia di metri d'acqua, nel cuore dell'oceano, con davanti agli occhi il miracolo, e nelle orecchie la meraviglia, e nei piedi il ritmo e nel cuore il sound dell'unica, inimitabile, infinita, ATLANTIC JAZZ BAAAAND!!!! !

(Band in primo piano. L'attore presenta gli strumentisti a uno a uno. A ogni nome segue un breve assolo)

Al clarinetto, Sam "Sleepy" Washington! Al banjo, Oscar Delaguerra!

Alla tromba, Tim Tooney! Trombone, Jim Jim "Breath" Gallup! Alla chitarra, Samuel Hockins!

E infine, al piano... Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento.

I1 più grande.

(La musica si interrompe bruscamente. L'attore abbandona il tono da presentatore, e, parlando, si toglie la divisa da musicista)


Novecento Parte 1 Twentieth Century Part 1 Siglo XX Parte 1 Twintigste Eeuw Deel 1 Século XX Parte 1

Ho scritto questo testo per un attore, Eugenio Allegri, e un regista, Gabriele Vacis. J'ai écrit ce texte pour un acteur, Eugenio Allegri, et un metteur en scène, Gabriele Vacis. Loro ne hanno fatto uno spettacolo che ha debuttato al festiva di Asti nel luglio di quest'anno. Non so se questo sia sufficiente per dire che ho scritto un testo teatrale: ma ne dubito. Je ne sais pas si cela suffit pour dire que j'ai écrit une pièce : j'en doute. Adesso che lo vedo in forma di libro, mi sembra piuttosto un testo che sta in bilico tra una vera messa in scena e un racconto da leggere ad alta voce. Maintenant que je le vois sous forme de livre, il m'apparaît plutôt comme un texte qui oscille entre une véritable mise en scène et une histoire à lire à haute voix. Non credo che ci sia un nome, per testi del genere. Je ne pense pas qu'il y ait un nom pour de tels textes. Comunque, poco importa. A me sembra una bella storia, che valeva la pena di raccontare. E mi piace pensare che qualcuno la leggerà. Et j'aime à penser que quelqu'un le lira. A. B.

Settembre 1994

Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa... e la vedeva. Ce qui s'est toujours passé, c'est qu'à un moment donné, l'un d'entre eux a levé la tête... et l'a vu. È una cosa difficile da capire. Voglio dire... Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi... Eppure c'era sempre uno, uno solo, uno che per primo... la vedeva. Je veux dire... Nous étions plus d'un millier sur ce bateau, parmi les riches voyageurs, les émigrants et les gens étranges, et nous... Pourtant, il y en avait toujours un, un seul, qui l'a vu en premier. Voglio dire... Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi... Eppure c'era sempre uno, uno solo, uno che per primo... la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte... magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni... alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare... e la vedeva. Peut-être était-il là en train de manger, ou de marcher, simplement, sur le pont... peut-être était-il là en train d'ajuster son pantalon... il a levé la tête un instant, a jeté un regard vers la mer... et l'a vue. Allora si inchiodava, lì dov'era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l'America. Puis il se clouait sur place, son cœur s'emballait et, toujours, à chaque fois, je le jure, toujours, il se tournait vers nous, vers le navire, vers tout le monde, et criait (doucement et lentement) : "America". Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che l'aveva fatta lui, l'America. Puis il est resté là, immobile comme s'il devait entrer dans une photographie, avec le visage de celui qui l'a faite, l'Amérique. La sera, dopo il lavoro, e le domeniche, si era fatto aiutare dal cognato, muratore, brava per sona... prima aveva in mente qualcosa in compensato, poi... gli ha preso un po' la mano, ha fatto l'America... Le soir, après le travail, et le dimanche, il se fait aider par son beau-frère, maçon, bon pour sona... il avait d'abord une idée de contreplaqué, puis... il s'est un peu laissé emporter, il a fait de l'Amérique...

Quello che per primo vede l'America. Su ogni nave ce n'è uno. Il y en a un sur chaque navire. E non bisogna pensare che siano cose che succedono per caso, no. Et il ne faut pas croire que ce sont des choses qui arrivent par hasard, non. .. e nemmeno per una questione di diottrie, è il destino, quello. ce n'est même pas une question de dioptries, c'est le destin. Quella è gente che da sempre c'aveva già quell'istante stampato nella vita. Ce sont des personnes qui ont toujours été marquées par ce moment dans leur vie. E quando erano bambini, tu potevi guardarli negli occhi, e se guardavi bene, già la vedevi, l'America, già lì pronta a scattare, a scivolare giù per nervi e sangue e che ne so io, fino al cervello e da lì alla lingua, fin dentro quel grido (gridando), AMERICA, c'era già, in quegli occhi, di bambino, tutta, l'America.

Lì, ad aspettare.

Questo me l'ha insegnato Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, il più grande pianista che abbia mai suonato sull'Oceano. Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto. Così, diceva: quello che vedranno.

Io ne ho viste, di Americhe... Sei anni su quella nave, cinque, sei viaggi ogni anno, dall'Europa all'America e ritorno, sempre a mollo nell'oceano, quando scendevi a terra non riuscivi neanche a pisciare dritto nel cesso. Lui era fermo, lui, ma tu, tu continuavi a dondolare. Perché da una nave si può anche scendere: ma dall'oceano... Quando c'ero salito, avevo diciassette anni. E di una sola cosa mi fregava, nella vita: suonare la tromba. Così quando venne fuori quella storia che cercavano gente per il piroscafo, il Virginian, giù al porto, io mi misi in coda. Io e la tromba. Gennaio 1927. Li abbiamo già i suonatori, disse il tizio della Compagnia. Lo so, e mi misi a suonare. Lui se ne stette lì a fissarmi senza muovere un muscolo. Aspettò che finissi, senza dire una parola. Poi mi chiese:

"Cos'era? ".

"Non lo so."

Gli si illuminarono gli occhi.

"Quando non sai cos'è, allora è jazz."

Poi fece una cosa strana con la bocca, forse era un sorriso, aveva un dente d'oro proprio qui, così in centro che sembrava l'avesse messo in vetrina per venderlo.

"Ci vanno matti, per quella musica, lassù."

Lassù voleva dire sulla nave. E quella specie di sorriso voleva dire che mi avevano preso.

Suonavamo tre, quattro volte al giorno. Prima per i ricchi della classe lusso, e poi per quelli della seconda, e ogni tanto si andava da quei poveracci degli emigranti e si suonava per loro, ma senza la divisa, così come veniva, e ogni tanto suonavano anche loro, con noi. Suonavamo perché l'Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov'era, e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. E suonavamo il ragtime, perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede. Su cui Dio ballava, se solo era negro.

(L'attore esce dalla scena. Parte una musica dixie, molto allegra e sostanzialmente idiota. L'attore rientra in scena vestito elegantemente da jazz man da piroscafo. Da qui in poi si comporta come se la band fosse, fisicamente, in scena)

Ladies and Gentlemen, meine Damen und Herren, Signore e Signori... Mesdames e Messieurs, benvenuti su questa nave, su questa città galleggiante che assomiglia in tutto e per tutto al Titanic, calma, state seduti, il signore laggiù si è toccato, l'ho visto benissimo, benvenuti sull'Oceano, a proposito che ci fate qui?, una scommessa, avevate i creditori alle calcagna, siete in ritardo di una trentina d'anni sulla corsa all'oro, volevate vedere la nave e poi non vi siete accorti che era partita, siete usciti un attimo a comprare le sigarette, in questo momento vostra moglie è alla polizia che dice era un uomo buono, normalissimo, in trent'anni mai un litigio... Insomma, che diavolo ci fate qua, a trecento miglia da qualsiasi fottutissimo mondo e a due minuti dal prossimo conato di vomito? Pardon madame, scherzavo, si fidi, se ne va questa nave come una biglia sul biliardo dell'oceano, tac, ancora sei giorni, due ore e quarantasette minuti e plop, in buca, New Yoooooork!

(Band in primo piano)

Non credo che ci sia bisogno di spiegarvi come questa nave sia, in molti sensi, una nave straordinaria e in definitiva unica. Al comando del capitano Smith, noto claustrofobo e uomo di grande saggezza (avrete certo notato che vive in una scialuppa di salvataggio), lavora per voi uno staff praticamente unico di professionisti assolutamente fuori dall'ordinario: Paul Siezinskj, timoniere, ex sacerdote polacco, sensitivo, pranoterapeuta, purtroppo cieco... Bill Joung, marconista, grande giocatore di scacchi, mancino, balbuziente... il medico di bordo, dott. Klausermanspitzwegensdorfentag, aveste urgenza di chiamarlo siete fregati..., ma soprattutto:

Monsieur Pardin,

lo chef,

direttamente proveniente da Parigi dove peraltro è subito tornato dopo aver verificato di persona la curiosa circostanza che vede questa nave priva di cucine, come ha argutamente notato, tra gli altri, Monsieur Camembert, cabina 12, che oggi si è lamentato per aver trovato il lavabo pieno di maionese, cosa strana, perché di solito nei lavabi teniamo gli affettati, questo per via dell'inesistenza delle cucine, cosa a cui va attribuita tra l'altro l'assenza su questa nave di un vero cuoco, quale certamente era Monsieur Pardin, subito tornato a Parigi da cui proveniva direttamente, nell'illusione di trovare qui sopra delle cucine che invece, a rimanere fedeli ai fatti, non ci sono e questo grazie alla spiritosa dimenticanza del progettista di questa nave, l'insigne ingegner Camilleri, anoressico di fama mondiale, a cui prego di indirizzare il vostro più caloroso applauS0000000...

(Band in primo piano)

Credetemi, non ne troverete altre di navi così: forse, se cercherete per anni ritroverete un capitano claustrofobico, un timoniere cieco, un marconista balbuziente, un dottore dal nome impronunciabile, tutti sulla stessa nave, senza cucine. Può darsi. Ma quel che non vi succederà più, potete giurarci, è di stare lì seduti col culo su dieci centimetri di poltrona e centinaia di metri d'acqua, nel cuore dell'oceano, con davanti agli occhi il miracolo, e nelle orecchie la meraviglia, e nei piedi il ritmo e nel cuore il sound dell'unica, inimitabile, infinita, ATLANTIC JAZZ BAAAAND!!!! !

(Band in primo piano. L'attore presenta gli strumentisti a uno a uno. A ogni nome segue un breve assolo)

Al clarinetto, Sam "Sleepy" Washington! Al banjo, Oscar Delaguerra!

Alla tromba, Tim Tooney! Trombone, Jim Jim "Breath" Gallup! Alla chitarra, Samuel Hockins!

E infine, al piano... Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento.

I1 più grande.

(La musica si interrompe bruscamente. L'attore abbandona il tono da presentatore, e, parlando, si toglie la divisa da musicista)