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Conversazioni d'autore, 'Non si parla mai dei crimini del comunismo'

'Non si parla mai dei crimini del comunismo'

Buonasera, benvenuti a questa conversazione d'autore di Casa Laterza che faremo con Gianluca

Falanga, autore del libro 'Non si parla mai dei crimini del comunismo' per la collana Fact-Checking

la storia alla prova dei fatti. Io sono molto contento che mi sia stato chiesto di dialogare

con lui e comincerò subito prima di dirgli cosa penso del suo libro in generale. Leggo

la prima pagina, un pezzo della prima pagina dell'introduzione. Si lamenta un'amnesia,

l'esistenza di un muro di omertà o addirittura una congiura del silenzio, perché del nazismo

e dei suoi lager sapremmo ormai tutto quasi, mentre si tacerebbe delle morti per fame dell'Ucraina

negli anni trenta, delle deportazioni nell'arcipela Rugulag, parlare scrivere del quale sarebbe ancora

scomodo e imbarazzante. Dietro questa affermazione mi pare evidente non c'è alcun desiderio di

conoscerli meglio. Ecco, quando ho letto queste frasi ho detto Falanga ce l'ha anche con me. Io

ritengo, ritenevo ma ritengo ancora, anche dopo aver letto questo libro che devo dire mi è piaciuto

moltissimo, ma detto questo devo dire che io continuo a essere convinto che in Italia almeno

non è vero che si sia parlato così tanto del comunismo e dei crimini del comunismo in particolare.

Allora la prima domanda che volevo farti era se forse non è l'ottica particolare che tu hai,

perché vivi in Germania da tanto tempo e lavori lì, dove invece il dibattito è stato sicuramente

acceso e dove il confronto anche delle possibili comparazioni tra nazismo e comunismo ha avuto

una profondità e un rigore scientifico anche che in Italia non sempre si è avuto. Io ho avuto la

fortuna di fare ormai molto tempo fa, alla fine degli anni 90, il primo convegno internazionale

in Italia di comparazione tra fascismo, nazismo e stalinismo, poi sono usciti dei libri esteri

che sono stati tradotti anche da qua, uno inglese, uno francese eccetera, però questa comparazione

in Italia non ha mai preso piede, possiamo dire. Bella domanda perché si, un po' investe il titolo,

quindi riguarda il titolo e il titolo è anche un discorso di inserimento di questo

testo nella sua collana che ha questi titoli antifrastici, insomma un po' provocatori,

che vanno a riprendere certe cose del comune detto, del comune sentire, cose che vengono

detto con una certa superficialità, ma poi dietro c'è sempre un significato, una volontà eccetera,

o un'idea. L'idea era, devo dire, non è solo italiana, non l'ho sentito dire solo in Italia,

non si parla dei crimini del comunismo, non se ne parla abbastanza, volendo dire in realtà

qualcos'altro, come dico nell'introduzione, vorrei in qualche modo togliere l'attenzione

da questo parlare invece sempre dei crimini del fascismo, del nazismo eccetera, e come se si

volesse un po' riequilibrare, dietro in realtà poi c'è di più, perché poi c'è volontà anche di,

almeno alcune parti politiche interessate diciamo a questo tipo di operazione,

sminuire o togliere centralità al significato che ha nella cultura occidentale la Shoah,

il periodo del nazismo, i crimini del nazismo eccetera. L'ho sentito dire anche in Germania,

dove è vero che abbiamo un'altra impostazione, ma c'è questa, occasionalmente, c'è questo dire

ah beh si parla sempre degli altri e mai di loro, però è vero, lo devo confessare,

scrivendo il libro mi sono poi accorto, c'è una torsione all'interno del libro,

nel senso c'è questo volere esprimere, guardate a livello internazionale, dei crimini del comunismo,

e poi magari parliamo un po' che cosa vogliamo intendere per comunismo, se ne parla in tutto

il mondo, si studiano in tutto il mondo, sono oggetto di operazioni varie, sia di ricerca,

sia di divulgazione, sia del lavoro nella scuola, quindi la formazione eccetera, hanno un posto.

Contemporaneamente è però vero che appena ci si avvicina, si scopre che soprattutto,

io comincerei dall'Europa occidentale, le conoscenze poi sono in realtà relativamente

deboli, dei fatti, del loro significato e di quello che per esempio significano per l'altra

parte dell'Europa. Dal punto di vista occidentale, Europa occidentale direi che c'è una forte

debolezza nel guardare a questo, che ovviamente ha radici anche ideologiche, può essere motivato

in varie maniere, ma questo è il fatto. Quindi sì, c'è un doppio fondo in realtà in questo titolo,

poi il libro quando lo si legge si vede che questi aspetti vengono sviluppati entrambi.

No, no, da questo punto di vista, infatti dopo questo primo shock iniziale, che ho detto,

oddio ce l'ha con quelli che hanno parlato dei crimini del comunismo in passato, eccetera,

ma anche tu poi in una serie di occasioni dici la più debole risonanza e considerazione che

trovano le testimonianze dei crimini comunisti, cioè effettivamente c'è questo riscontro. Il

problema è vero che quelli che hanno messo in particolare evidenza il carattere criminale del

comunismo l'hanno fatto con una serie di motivazioni e il caso da cui tu non parti ma che

prendi all'inizio molto bene in esame è quello del libro nero del comunismo, perché tu utilizzi

alcuni, tre, quattro saggi del libro nero del comunismo in modo continuo, perché sono dei saggi

bellissimi, però ovviamente la realtà raccontata in quei saggi è stata sommersa dal discorso

ideologico dei cento milioni di morti in cui tu giustamente metti in evidenza, ma non è che si

possono mettere tutti insieme i morti di Stalin, di Pol Pot, di Mao, eccetera, non perché non

siano tutti riconducibili in qualche modo al comunismo, perché non ha un senso storico,

è come mettere in capo alla Chiesa tutti i morti dalle crociate fino alle guerre di religione del

del seicento, insomma, in qualche modo, quindi questo è il problema. Però credo che in qualche

modo rimane vero che c'è una reticenza, per esempio una reticenza che in Italia è ancora,

mi pare, molto forte è quella di disancorare lo Stalinismo, cioè il cuore più nero della

criminalità comunista, dal bolscevismo e dagli eni e tu invece in questo fai una ricostruzione,

mi sembra, estremamente attenta della violenza anche del bolscevismo. Ecco, allora, siccome tu

da una parte dici è giusto parlare di comunismi, perché non possiamo fare una cosa unica, però

nello stesso tempo poi accetti il punto di vista di uno studioso tedesco che dice però in fondo

parlare dei crimini del comunismo e non dei comunismi ha un suo significato. Ecco, puoi

spiegare un po' meglio come hai risolto questa sorta di antinomia, di difficoltà. Sì, sì, può

apparire anche una contraddizione, forse anche leggendo quella pagina in cui c'è questo passaggio

bisogna in qualche modo un attimo fermarsi a riflettere perché è proprio un punto importante,

cioè soprattutto quando si parla spesso anche pubblicisticamente a livello divulgativo di

crimini del comunismo come se fosse un'etichetta chiara a tutti, si fa questa semplificazione che

era proprio tra l'altro anche del libro nero del comunismo, cioè abbiamo una specie di unico

soggetto criminale ispirato da un unico modo, diciamo, di vedere le cose, un'unica ideologia

e che in qualche modo poi va... poi in realtà i saggi, come hai detto, nel libro nero erano molto

differenziati, erano molto circostanziati, ottimamente documentati, non tutti, alcuni

erano di qualità assolutamente. Quindi c'è questa contraddizione fra dover spiegare che c'è una

pluralità perché non c'è uniformità, cioè sono comunismi perché all'occhio di tutti è evidente

che non possiamo associare e mettere nello stesso cassetto il Berlinguer e il Theodor

Tchivkov della Bulgaria o il Pol Pot con lo stesso Lenin, cioè abbiamo ovviamente dei fenomeni

ciascuno nel suo contesto storico, aree geografiche molto diverse l'una dall'altra e quindi non abbiamo

la possibilità di sintetizzare semplicemente dicendo tutta la stessa cosa. Dall'altra però

bisogna guardare a questo fenomeno come un segmento della storia del Novecento che tra l'altro,

almeno per come è nato e come è finito, diciamo, con lo scioglimento dell'Unione Sovietica, ha una

sua continuità. Io ho ripreso un po' questa idea del Gerd Köhnen delle tre ondate, diciamo così,

in cui si costituisce qualcosa che poi va a mettere le premesse per la successiva espansione,

quindi altre esperienze del comunismo. Lì c'è una compattezza che è una compattezza anche

nella diversità, nel senso si agganciano a un asse che va dalla rivoluzione del 17,

ma ci sono storici che vanno ancora indietro, vanno a cercare le radici nel pensiero di Marx,

c'è addirittura chi da storico, credo sia lo stesso Gerd Köhnen nel suo ultimo libro,

che va fino alla preistoria e dice ci sono forme di comunismo, diciamo, che sono presenti nella

storia dell'umanità fin dalla preistoria e quindi ci sono elementi che si possono rintracciare in

altre epoche storiche. Insomma, si deve decidere da dove cominciare, ma a me pare faccia senso

parlare del comunismo novecentesco come esperienza che comincia con la rivoluzione di ottobre,

finisce con la fine dell'Unione Sovietica e con una trasformazione in Cina che però è una

trasformazione coerente a caratteristiche proprie del comunismo cinese. Questo asse attraversa

l'istituzione della terza internazionale, dopo la seconda guerra mondiale la cosa si espande verso

l'Asia e poi c'è una terza ondata che sono Cuba, sono i regimi africani che adottano un certo tipo

di marxismo-leninismo eccetera, quindi sono esperienze poi successive alla decolonizzazione.

Questa è una struttura che mi pare storicamente, per lavorarci da storico, molto solida. C'è anche

una possibilità di ritrovare degli elementi comuni in tutte queste esperienze nonostante

le differenze. Non deve essere per forza la violenza, la violenza chiaramente è molto centrale

in questo libro perché parla dei crimini e anche sui crimini ci sarebbe da ragionare che cosa

intendiamo per crimini. Associamo anche lo stesso libro nero al comunismo sotto crimini,

intendeva un po' tutto, eccidi di massa, le morti per fame, le repressioni nei regimi del

real socialisti del secondo dopoguerra. Insomma sono anche lì fenomeni molto differenti l'uno

dall'altro che sono stati sintetizzati in un'unica etichetta, i crimini, ma andiamo a differenziare

e nella differenziazione scopriamo la ricchezza di tutti questi passaggi storici che vanno

appunto analizzati tutti fino in fondo per capirne la loro valenza, perché poi hanno una ricaduta

importantissima sui popoli che li hanno in qualche modo, le popolazioni che li hanno subiti o che li

hanno vissuti. Mi sembra che un tentativo continuo che tu fai e mi sembra sostanzialmente, alla fine

è uscito, è quello di dire ci sono tanti comunismi diversi e noi non possiamo metterli tutti in uno

stesso sacco eccetera e dobbiamo contestualizzarli, seguirli eccetera, ma nello stesso tempo c'è

qualche elemento comune a partire dall'ideologia molto nel carattere violento, molto nella volontà

di riuscire a influenzare la costruzione di un uomo nuovo, di una trasformazione sociale profonda,

che è una caratteristica di violenza diversa per certi aspetti da quelle di altre violenze

totalitarie che ci sono state nel novecento. E quindi questo continuo giocare su queste due

sponde che poi è la ricchezza e anche la bellezza della comparazione, io ho insegnato per vent'anni

l'ideologia comparata e quindi la comparazione non è né vedere le somiglianze né vedere le

differenze, è soprattutto utilizzata per vedere le differenze ma cercando di capire anche i

caratteri comuni che possono rendere simili alcune esperienze. E quindi da questo punto di vista per

esempio le pagine che dedichi a Ekmer Rossi, che è il caso più eclatante che si potrebbe dire

qualche cosa al di fuori, però tu intanto utilizzi proprio il saggio del libro Nero

del comunismo di Margolin che dice, che parla di caricatura grottesca ma rivelatrice di quella

che era anche l'ideologia comunista che era poi condivisa in tante altre parti. E quindi mi sembra

che parli di questo poi proprio poco prima del capitolo che invece dedichi a Marx e alla

cosiddetta ideologia criminale, invece ci si rende conto che parlare di ideologia criminale

in questo senso nel caso del comunismo non ha nessuna base perché casomai è la trasformazione

dell'ideologia comunista di Lenin, di Stalin, di Mao eccetera che può avere quelle caratteristiche.

Sì, c'è questo discorso che ho provato a fare insomma di ricostruiamo, dovrebbe essere in qualche

modo qualcosa di piuttosto lampante se si ha l'onestà di riconoscerlo, che c'è un disegno

umanista, una filosofia che diventa anche teoria politica eccetera già con Marx, c'è il tentativo

di realizzare qualcosa di questa idea, di questo sistema di idee che poi però viene volgarizzato,

viene canonizzato già dal passaggio da Marx a Engels, gli iscritti che poi lo divulgano,

la prima internazionale, tutte esperienze tra l'altro si dice sempre l'idea deve essere

criminale se ha generato quello che ha generato nel novecento ma l'idea prima ha generato qualcosa

che era estremamente pacifico, che era il movimento operaio fino a Lenin siamo di fronte a un'esperienza

pluralista di dialogo fra varie anime eccetera, si cambiano i connotati del tutto attraverso

l'esperienza di Lenin che va capita chiaramente nel suo contesto ma lì c'è una trasformazione e

cominciano tante cose, avvengono tante cose che poi ritroviamo nel corso del novecento in varie

forme, anche il concepire fondamentalmente il comunismo non tanto come l'obiettivo ma come

lo strumento di costruzione della nazione o di ricostruzione dello Stato che poi troviamo

fortissimo nella Cina, quindi questo comunismo poi fondamentalmente si trasforma continuamente

nel corso della storia non solo la dottrina ma si trasforma anche proprio l'uso che se ne fa,

diventa uno strumento, diventa meno un obiettivo di tipo umanistico applicato alle varie realtà

sociali, umane eccetera dove va in qualche modo a diffondersi. Sulla comparazione io lo trovo un

discorso molto importante perché basta viaggiare un pochettino nei social insomma a sentire queste

cose, qual è il sentire popolare rispetto a queste cose e si è stabilita in Italia fortissima,

in altre realtà un po' meno ma esiste anche questo continuo, ma allora gli altri, questo

confrontare non tanto per comprendere ma proprio per cercare una equiparazione e questo discorso

del cui purtroppo si è aggravato molto quando le istituzioni europee hanno fatto diversi tentativi,

alcuni anche malintesi credo perché le intenzioni forse non erano così cattive, di dire condanniamo

tutti i totalitarismi e sotto questo grosso titolo del totalitarismo ci mettiamo tutto dentro,

poi c'è stata spesso confusione, ci sono delle due o tre diverse risoluzioni al Parlamento

europeo che hanno fatto questo, fra il 2009, 2010 fino al 2019 ce ne sono state diverse che

alla volta parlavano di comunismo, alle volte di stalinismo con una certa imprecisione che in realtà

tradiva il fatto che si vuole cercare di esprimere qualcosa ma avendo in realtà l'insicurezza

rispetto all'esperienza precedente, cioè lo stalinismo come qualcosa assestante che è staccato

da qualcosa che viene prima che invece era positivo o era in qualche modo legittimo. Queste sono

strutture che questo libro voleva in qualche modo abbattere, spezzettare facendo sia chiarezza e sia

in qualche modo puntando un po' il dito contro questo, nel senso che le trovo proprio ostacolanti

a una comprensione di queste, anche elementare di tutta questa storia, sono d'ostacolo questo

continuo volere mettere sullo stesso piano, associare. Lo strumento della comparazione è

produttivo, lo trovo sempre produttivo per comprendere l'uno e l'altro delle cose che si

confrontano però poi ognuno, cioè si comprende la singolarità delle due cose che si vanno a

confrontare, non la loro coincidenza e questo è un po' il problema di quest'operazione che si fa.

Prima di tornare su questo tema dell'equiparazione dei totalitarismi eccetera che è estremamente

importante, però volevo fare un attimo il punto sull'Italia. Da una parte tu dai anche dei giudizi

storici molto sintetici e quindi necessariamente schematici ma abbastanza precisi sul Partito

Comunista su cui io non sono pienamente d'accordo, per esempio sul fatto che il Partito Comunista

sarebbe stato capace di leggere la società italiana. Ora io credo che il Partito Comunista

all'inizio degli anni 60, quando inizia il centro-sinistra e all'inizio degli anni 80,

quando Berlinguer poi fa la scelta etico-morale, è stato incapace invece di capire le grandi

trasformazioni che erano in atto. Però siccome stiamo discutendo adesso della storia d'Italia

nel Partito Comunista, rispetto ai crimini tra virgolette del comunismo in Italia, noi abbiamo

una realtà che è non paradossale ma che è veramente secondo me sintomatica di questa

rimozione e reticenza. In Italia c'è stata una delle vittime dello stalinismo che è sopravvissuta

e ha avuto la possibilità di raccontarlo più di tutti, Dante Corneli che tu citi abbondantemente.

Dante Corneli ha dovuto pubblicarsi tutto per conto suo e le sue memorie perché nessuno voleva

pubblicarle. Una parte è stata pubblicata un po' tagliuzzata da una casa editrice vicina ai

comunisti solo grazie all'intervento di Umberto Terracini che forse era l'unico dei fondatori

del Partito Comunista d'Italia, anche se era molto settario allora, come gli rimproverò lo stesso

Lienin, però era uno totalmente veramente aperto alla storia e alla verità. Quindi se tu oggi

chiedi a chiunque chi è Dante Corneli, nessuno lo sa e credo che questo non perché bisogna soppesare,

ma perché è un altro caso che non è di un italiano, ma parlo della sua traduzione italiana,

tu la conosci sicuramente meglio di me, le memorie di Margarete Buberneumann in Italia

che sono state scritte nel 49, pubblicate nel 49 in Germania. In Italia sono state tradotte

meritoriamente dal Mulino nel 1994, ma io proprio uno o due anni fa, non credo che le cose siano

cambiate molto, ma il direttore del Mulino mi diceva sai quante copie abbiamo venduto

della Buberneumann, quella prigioniera di Stalin e Hitler? 700 copie. Ecco, io credo che questo sia

un po' il segno di questo accettamento di disinteresse che io credo sia legato al fatto

che tutto sommato il comunismo è un vulnus per la sinistra italiana, per quelli che sono stati

comunisti e che quindi in Italia hanno lottato, come non c'è alcun dubbio per democrazia, libertà

e diritti, a doversi portare dietro il peso anche di questo strumento istituzionale al potere che

aveva questo carattere criminale e totalitario. Non so come se ne può uscire, però credo che la cosa

rimani abbastanza ancora oggi. Sono d'accordo, tra l'altro è un po' anche quello che dicevamo

prima, cioè da un lato c'è una pressione strumentalizzante da diversi anni molto forte,

volere utilizzare questo per equiparare, per modificare certi paradigmi della memoria pubblica

che sono molto importanti, dall'altra invece un fastidio perché significa confrontarsi con questi

fatti, bisogna dirlo banalmente ancora oggi, prendere congedo da un certo tipo di convinzioni

che sono legati a miti, la visione, una lettura della rivoluzione bolshevica, dell'ottobre,

socialista, è assolutamente mitizzata e quindi semplificata, schematizzata, che si fa fatica,

nonostante esistano pubblicazioni, che forse non hanno il successo che meriterebbero,

però esistono lavori, pubblicazioni, esistono istituti che fanno ricerca,

che si occupano di questo ed esistono pubblicazioni internazionali che vengono

tradotte. Come si faccia a modificare questo atteggiamento? Francamente difficile da dire,

tranne in qualche modo rimandare sempre ai fatti. Io penso che la congiuntura attuale non sia

semplicissima. Ci sono vari segnali che mi fanno un po' rimanere esitati, mi danno un po' il dubbio

che questa operazione adesso possa in qualche modo cambiare qualche cosa. Io molto modestamente

spero di aver utilizzato un linguaggio e certe immagini, certi giudizi, in una maniera che

possono essere di facile fruizione e quindi forse possono raggiungere qualcuno in più,

ma i tempi non sono semplici. Dall'altra bisogna dire che anche proprio l'attualità ci riapre

l'Europa dell'Est come area molto instabile, come area che attira la nostra attenzione per capire,

i problemi sono eredi di quella storia lì. Certo sono anche eredi di conflitti molto più antichi,

però in qualche modo è evidente che oggi abbiamo una guerra in corso, che ha una fortissima linea

di connessione con quello che è stato il discioglimento dell'Unione Sovietica, che

chiaramente non vuol dire solo la fine del comunismo sovietico, vuol dire la fine dell'impero,

però coinvolge popoli che hanno fatto quell'esperienza lì, loro vengono dai russi come

gli ucraini, come i bielorussi, come tanti popoli dell'Europa dell'Est, vengono dall'esperienza

del comunismo sovietico, o comunque di quell'esperienza che hanno fatto, realsocialismo,

e questo è un bagaglio molto pesante che non è stato in 30 anni di storia, non ancora elaborato,

solo in minima parte, e questi processi sono in corso e forse possono attirare la nostra

attenzione per il fatto che sono collegati all'attualità. Questo è qualcosa che mi da

speranza, non l'atteggiamento frontale, perché lì vengono subito fuori gli impulsi dell'ideologia,

diciamo così, o dello scontro ideologico, mentre invece questo passaggio attraverso l'Europa

dell'Est forse ci può in qualche modo toccare in un altro modo, perché ci richiama a capire da

quali società sono venuti fuori, cioè da quale è il bagaglio di esperienze che in qualche modo

determina certe reazioni odierne, certe dinamiche odierne. È un'eredità complessa quel comunismo

nell'Est europeo. Lo so bene per l'esempio della Germania dell'Est, perché ci vivo dentro e anche

vivo nella Ex Germania dell'Est, quindi sono circondato da persone che hanno questo bagaglio

loro, proprio della loro vita esistenziale, ma lo allargo a tutta Europa dell'Est. L'Europa dell'Est

non viene dallo stalinismo, viene dal realsocialismo, cioè da questa trasformazione e da

questa continuazione che si è trasformata negli anni 50, 60, 70. Hanno vissuto in regimi che avevano

preso una forma di, come lo possiamo chiamare, una dittatura sociale. Alle volte si fa fatica

anche a chiamare totalitari, studiandoli per bene, perché poi si scopre che erano sì pervasi di un

controllo onnipresente, ma spesso associamo il totalitario a qualcosa come una categoria

superiore, quindi ci chiede in realtà uno sforzo comprensivo ancora maggiore in che tipo di realtà

sociale hanno vissuto. Insomma, tutto questo mi dà coraggio, diciamo così. Penso che su questo

fronte forse possiamo arrivare a smuovere qualche cosa. Tu dedichi infatti molte pagine all'Europa

dell'Est e alla memoria del comunismo nell'Europa dell'Est e anche nella Russia,

nella Russia un po' meno forse, alla memoria come è stata costruita a partire dall'89-91

successivamente, ma anche seguendo e dando notizie interessanti sulla costruzione di musei,

di mausolei, di istituti di ricerca, di statue e anche abbattimento. Seguire come la memoria

pubblica ha significato qualche cosa di estremamente importante per quei paesi e che

la memoria pubblica è un terreno in cui difficilmente si possono fare i discorsi

ampi e comparati che stiamo facendo noi qua, perché si tratta spesso di simboli, di racconti

che vogliono avere un significato non didattico ma didascalico, di tipo anche ideologico evidentemente,

e così via. Quindi racconti come in realtà poi ci sia stata un po' in tutti questi paesi una sorta

di deriva nazionalista che tendeva a salvaguardare e a assolvere il proprio paese, il proprio popolo

rispetto ai crimini del comunismo che venivano attribuiti al comunismo in generale o per i

paesi dell'Est alla Russia e all'URSS in particolare. E in più una serie di casi che in realtà pur

essendo noti da allora, da quando sono accaduti, c'è voluto l'epoca di Gorbaciov e gli ultimi anni

per essere finalmente affrontati davvero, anche se ora paradossalmente si è tornati indietro. Parlo

per esempio della strage di Katyn in Polonia, che la scelta di creare una commissione internazionale

in cui erano presenti i polacchi, i russi eccetera è durata poco perché poi Putin ha ritirato la

partecipazione russa a questo. A Katyn uno degli anatomopatologi che faceva parte della commissione

internazionale istituita per valutare effettivamente chi fossero stati i responsabili,

se i russi come appariva o i tedeschi come invece i sovietici accusavano, era un italiano che

ovviamente era un anatomopatologo dell'Università di Napoli, dell'epoca nazista, come si chiamava.

Bene, almeno nel dopoguerra è democristiano, nel 62 diventa sindaco di Napoli anche se per

poco più di un anno e nel momento viene attaccato pubblicamente da Alicata che era

il responsabile funzionale del Partito Comunista dicendo che chi ha costruito la menzogna di Katyn

per salvare il nazismo eccetera noi non possiamo tollerarlo. Quindi questo fa capire che paradossalmente

già diversi anni dopo il 56, dopo il ventesimo congresso eccetera però c'era ancora questa forte

presenza di una lotta di memorie che in realtà è dura a morire e ovviamente è tanto più dura in

quei paesi adesso, il che naturalmente poi significa anche che però da parte nostra,

se pensiamo, è comunque uno dei libri del fact checking, quello che riguarda le foibe se ne

è dire, a lungo un dato di realtà è diventato però una sorta poi di nuovo di mito solo

vittimistico degli italiani che venivano quindi quasi automaticamente assolti da altre colpe

perché erano state vittime di un grave eccidio in quella occasione. Ecco questa questione

della memoria è estremamente rigata. Sì sì sì poi tra l'altro diciamo che questa vicenda

dell'interpretazione e divulgazione delle foibe ha delle dinamiche molto simili a operazioni che

si fanno nell'est europeo dove sostanzialmente crimini di massa dell'epoca di Stalin o di altri

momenti della storia sovietica vengono etnicizzati diciamo così, cioè gli viene dato un carattere,

lo stesso Holodomor ucraino sul quale è comunque ancora aperta una discussione sul carattere del

genocidio se invece in qualche modo non ha diciamo pienamente, non corrisponde pienamente ai criteri

del genocidio eccetera, quindi una etnicizzazione per farne in qualche modo un evento che presenta

la popolazione nel ruolo di vittime attraverso questa operazione di vittimizzazione si si si

compatta diciamo un discorso nazionalista nel senso non esistono non esistono i carnefici,

i carnefici sono sempre gli altri, il che per la storia sovietica è problematica perché poi abbiamo

vittime e carnefici se vogliamo usare queste categorie che non sono sempre proprie va bene

per intenderci di tutte le nazionalità insomma la polizia segreta sovietica aveva al suo interno

non solo ufficiali russi e quindi le repressioni avvenivano con carnefici di tutte le nazionalità

come di tutte le nazionalità potevano essere le vittime quindi vuol dire che l'operazione è

particolarmente falsificante in qualche modo però anche attraverso la falsificazione se

noi andiamo a interpretarla e a capire perché avviene in qualche modo ci dà la possibilità di

avvicinarci poi a quello che è il senso di tutto questo insomma e sono paesi che escono

dall'impero, che non era più l'impero zarista ma era l'impero comunista nel senso nonostante

il comunismo i popoli vivevano insieme all'interno dell'unione sovietica e questo si è sciolto e

questi popoli hanno cercato di ridefinire la loro identità nazionale per alcuni è

stato più semplice per altri è stato più complesso per altri addirittura un po' assurdo

non so pensare alle repubbliche ex sovietiche asiatiche insomma dove alle volte si costruisce

un ruolo di vittima completa di repressione mentre poi invece fondamentalmente hanno

vissuto la maggior parte della popolazione nel periodo sovietico in maniera positiva in

maniera identificandosi in qualche modo con quella storia lì per cui o anche pensiamo ai paesi baltici

insomma dove si fa spesso un'operazione di pulizia di certi aspetti che sono invece i baltici che

hanno combattuto con l'SS etc insomma cioè tutta una complessità che viene poi un po'

abbattuta da questa narrazione nazionale chiamiamola così etnicizzante la definisco io

dietro però c'è insomma sempre la necessità di studiare queste cose il più a fondo possibile

la memoria è un discorso la storia è un altro e il discorso della storia non è per niente

in qualche modo non è per niente completato insomma in questi paesi anche se ci sono quelle

narrazioni gli storici di questi paesi sono molto attivi e studiano molto a fondo e spesso si

scontrano con queste con questi paletti della narrazione ufficiale politica la strumentalizzazione

pensiamo anche alle leggi sulla storia leggi che puniscono gli storici perché non possono scrivere

questo e quest'altro perché l'ede in qualche modo l'immagine nazionale penso sia la russia sia la

polonia e l'ungheria hanno fatto di queste cose insomma è una tendenza preoccupante però dall'altra

deve essere confortante che ci sono anche generazioni che sono estranea quella storia

lì sono nate dopo in qualche modo si confrontano con queste cose in maniera molto più molto più

sciolta peso dell'ideologia o il peso dei traumi del passato per cui storici e nuove generazioni

di storici che rivoluzioneranno questo modo di vedere quindi l'interesse permane per questa storia

allora lascerei per ultimo perché ci stiamo avvicinando verso la fine la questione

dell'equiparazione dei totalitarismi volevo adesso affrontare invece proprio una cosa in cui dai un

giudizio preciso e capire quanto è lo riassunto di un ragionamento profondo o è un po fatto anche

perché poi utilizzi una frase di primo levi e quindi è questo quando dici lasciò fu un crimine

fine a se stesso slegato dalle dinamiche di guerra il prodotto come scriveva primo levi di un

radicalismo astratto e feroce che non ha uguali in tempi moderni ora è slegato dalle dinamiche di

guerra perché certo in qualche modo le dinamiche di guerra per certi aspetti avrebbero dovuto farlo

fare o prima o dopo però il fatto che la shoah come tutti i genocidi del novecento avvengono

in un contesto di guerra è anche questa una realtà non tutte le violenze ma le violenze

più estreme quindi parliamo di genocidi avvengono e sono avvenute tutte in un contesto di guerra

non tutte in una guerra mondiale ovviamente ma anche in guerre circoscritte ma quello in Cambogia

è il risultato finale di una guerra ecco il rischio non è quello di ipostatizzare un po la

shoah di metterla come qualcosa che proprio perché non ha una finalità di conquista di qualcosa di

sconfitta di un nemico ma è l'eliminazione senza motivo di un gruppo ci faccia sfuggire

anche anche perché poi sono molti che l'hanno detto pensiamo allo stesso Eni Wiesel tutto sommato non

si può contestualizzare la shoah e questo però noi sappiamo come storici che senza questa operazione

diventa poi difficile capire anche le motivazioni le dinamiche e il rischio è quello poi se no di

cadere in una spiegazione di tipo morale questo sicuramente è anche un modo in cui il comunismo è

stato raccontato da chiamiamola la parte più becera di quelli che parlano dei crimini del

comunismo perché tutto sommato dicono chiunque comunista chiunque aderisce al comunista non può

cadere nell'essere o nel diventare criminale e quindi diventa una assoluzione dalla storia di

quelle che in realtà invece una serie di dinamiche precise e che dobbiamo ricostruire sono d'accordo

la frase la frase in realtà voleva esprimere forse allora fu infortunata un po sfortunata la

frase ma forse insomma quello che volevo dire era slegata dalle logiche belliche o strettamente

belliche questo penso che non ci piova il c'è una logica sua di quel tipo di crimine quello che

sicuramente la guerra ha fatto c'è il contesto della seconda guerra mondiale della guerra est

eccetera ha aperto lo spazio per realizzare quell'opera lì quindi sicuramente va contestualizzata

certamente non è qualcosa che sta al di fuori delle categorie io forse lo generalizzerei così

nel senso ci sono violenze estreme che hanno trovano espressione in certi spazi che in qualche

modo danno la possibilità alla violenza di scaricarsi e di realizzarsi possono essere spazi

geografici o spazi di situazioni penso a lo stesso stalinismo cioè gli anni di stalin non chiamiamolo

stalin gli anni di stalin e il grande la campagna il grande terrore eccetera è qualcosa che si apre

si chiude come una finestra temporalmente abbastanza delimitata chiaramente delimitabile

ma in qualche modo ha un suo ha una sua ha un suo disegno in qualche modo preciso e che è venuto

fuori soprattutto negli ultimi anni cioè cercando di rileggere di rileggere il grande terrore come

non una fiammata di follia di un uomo paranoico ma cercando di andarla a inserire in un certo

contesto che in realtà partiva addirittura dalla prima rivoluzione nel senso c'è un'evoluzione

un tentativo di una seconda rivoluzione che è così quella della collettivizzazione come un

completamento di un'opera o arrivare a un livello ancora superiore e questo genera tutta una serie

di scompensi e di queste enormi migrazioni eccetera per cui è uno dei fattori che portano

alla decisione di scatenare quel tipo di terrore ce n'erano anche alcuni altri quindi vuol dire

l'accerchiamento dell'occidente eccetera quindi vuol dire che troviamo comunque un contesto e

troviamo dei fattori ma c'è un certo momento e un certo spazio in cui questi si scaricano

e questo lo vedo ovviamente per il per il per la shoah mi pare mi pare lampante no tra l'altro è

anche geograficamente limitato il terreno nel senso avviene soprattutto nei territori lontano

dalla Germania in qualche modo territori occupati o territori conquistati quindi come se fosse uno

spazio fuori dalla loro tra virgolette civiltà in qualche modo quello è lo spazio in cui si

scatena quella violenza ed è interessante che tra l'altro avvenga su territori in qualche modo

che si sovrappongono a quelli sovietici che già avevano conosciuto le stragi e massacri

delle ... eccetera quindi sono come se fossero anche quelli dei territori in qualche

modo penso anche a timothi sneider insomma come come come costruzione questo era un po

quello che andavo a dire lì allora ultima questione perché siamo in chiusura questa

dell'equiparazione di totalitarismi tu insisti molto sul fatto dell'equiparazione dei totalitarismi

crea la difficoltà di comprendere poi anche quella che è stata la criminalità del comunismo per

esempio perché appunto tende a annebbiare le differenze eccetera a me da spesso fastidio la

polemica contro l'equiparazione dei totalitarismi perché mi sembra che sì è vero che ci sono alcuni

che hanno una voce in giornali luoghi pubblici importanti che usano questa equiparazione però

mi sembra di nuovo più preoccupante invece la paura il rifiuto di non comparare di non fare

un confronto tra le esperienze totalitarie nell'appello che una serie di studiosi storici

insegnanti hanno fatto il 24 settembre del 2019 in seguito a una di quelle risoluzioni del

parlamento quella che ha fatto più discutere si diceva a un certo punto parlando dei regimi

comunisti mentre dei regimi nazisti si dice ovviamente che hanno fatto stragi genocidi e

tutto quello che i regimi comuni si macchiarono virgolette di gravi e inaccettabili violazioni

della democrazia e libertà tradirono i loro ideali e i valori e le promesse che avevano

fatto ecco a me una frase del genere sembra veramente il massimo non solo della ipocrisia

ma della falsità storica perché vuol dire non avere il coraggio se non di vedere il comunismo

da valutare rispetto alle promesse poi quali quelle di Marx e quelli pacifici e pluralisti

della fine dell'ottocento come ricordare tu perché se si comincia a confrontare il dato vero della

violenza il rischio è che poi questo discorso di minimizzazione o in qualche modo anche di

giustificazione non si possa fare il che non vuol dire poi di assimilare perché io credo che anzi

nel momento in cui si fa una buona comparazione l'assimilazione non è proponibile mai però

ecco questa secondo me è una realtà che forse in italia è molto più forte di quello che vivi tu

in Germania. Sì sono d'accordo ma l'equiparazione nel senso meccanica alle volte appunto io lo

trovo un po' di intralcio perché si ferma a un livello diciamo strutturale molto esterno

voglio dire sia il nazismo che il regime di Stalin avevano la polizia segreta hanno fatto

le persecuzioni di massa eccetera quindi il lager e il gulag queste comparazioni e associazioni

hanno senso se aiutano a scoprire le peculiarità di entrambe le cose e la peculiarità dell'esperienza

del comunismo è molto poco conosciuta proprio per quello che dici tu nel senso che c'è questo il

comunismo non è mai stato realizzato e quando è stato realizzato è stato tradito ma questo tipo

di affermazione in realtà storicamente non ha moltissimo significato secondo me nel senso che

è anzi è un po' una formula che serve a esorcizzare a tenere lontano qualcosa che non voglio vedere

non voglio non voglio verificare e non voglio conoscere perché invece se mi avvicino scopro

che fondamentalmente molte operazioni hanno una loro coerenza rispetto a certi principi poi si

può discutere se questi principi sono la lettera di Marx o sono una trasformazione successiva

questo è quello che ho fatto anche io nel libro quello che parlavamo della tradizione la ...

la mutazione eccetera però insomma imputare a Stalin o a Lenin o a chi altro che non ha in

qualche modo capito cosa voleva dire Marx la voglio dire che insomma mi pare una cosa anche

un po' arrogante volevano realizzare qualcosa seriamente rispetto a quello che avevano nella

testa lo hanno fatto coerentemente rispetto a certi presupposti questo non è un tradimento

lo stesso Stalin la linea che collega Lenin a Stalin chiaro che non è una linea dritta ci

sono tantissime contraddizioni sviluppi successivi eccetera però non si possono associare le due

figure ma in qualche modo c'è una continuità di molti aspetti molto

importanti e qui questo è uno sviluppo in parte coerente quello di Stalin rispetto a Lenin insomma

questi sono i problemi i problemi da affrontare e penso che ci sarà da lavorare ancora molto su

questo sicuramente benissimo io ringrazio Gianluca Falagna innanzitutto per questo libro che invito

veramente tutti quanti a leggere perché anche se ovviamente non esaurisce la tematica che

affronta però è una formidabile sintesi complessiva che permette di avere intanto

un quadro poi da anche tutta una serie di indicazioni bibliografiche anche per

eventuali approfondimenti successivi quindi auguri per il tuo lavoro successivo e grazie

di questo libro che ci hai dato e che possiamo condividere. Grazie a te, grazie a te.

'Non si parla mai dei crimini del comunismo' Wir sprechen nie über die Verbrechen des Kommunismus". 'We never talk about the crimes of communism' Nunca hablamos de los crímenes del comunismo Nous ne parlons jamais des crimes du communisme 共産主義の罪について語ることはない 'We praten nooit over de misdaden van het communisme' Nunca se fala dos crimes do comunismo 'Мы никогда не говорим о преступлениях коммунизма' "Vi pratar aldrig om kommunismens brott

Buonasera, benvenuti a questa conversazione d'autore di Casa Laterza che faremo con Gianluca

Falanga, autore del libro 'Non si parla mai dei crimini del comunismo' per la collana Fact-Checking

la storia alla prova dei fatti. Io sono molto contento che mi sia stato chiesto di dialogare history to the test of facts. I am very glad that I have been asked to dialogue l'histoire à l'épreuve des faits. Je suis très heureux qu'on m'ait demandé de dialoguer avec vous.

con lui e comincerò subito prima di dirgli cosa penso del suo libro in generale. Leggo with him and I'll start right before I tell him what I think of his book in general. I read

la prima pagina, un pezzo della prima pagina dell'introduzione. Si lamenta un'amnesia, la première page, un morceau de la première page de l'introduction. Il se plaint d'amnésie,

l'esistenza di un muro di omertà o addirittura una congiura del silenzio, perché del nazismo the existence of a wall of omertà or even a conspiracy of silence, because of the Nazi l'existence d'un mur d'omertà ou même d'une conspiration du silence, car le nazisme

e dei suoi lager sapremmo ormai tutto quasi, mentre si tacerebbe delle morti per fame dell'Ucraina et ses lagers, nous saurions presque tout aujourd'hui, alors que nous resterions silencieux sur les morts de faim en Ukraine.

negli anni trenta, delle deportazioni nell'arcipela Rugulag, parlare scrivere del quale sarebbe ancora dans les années 1930, des déportations dans l'archipel des Rugulag, dont l'évocation serait encore à l'ordre du jour.

scomodo e imbarazzante. Dietro questa affermazione mi pare evidente non c'è alcun desiderio di uncomfortable and embarrassing. Behind this statement it seems clear to me there is no desire to inconfortable et gênant. Derrière cette affirmation, il me semble clair qu'il n'y a pas de volonté de

conoscerli meglio. Ecco, quando ho letto queste frasi ho detto Falanga ce l'ha anche con me. Io getting to know them better. Here, when I read these sentences I said Falanga is also mad at me. I apprendre à mieux les connaître. Là, quand j'ai lu ces phrases, je me suis dit que Falanga en avait après moi. I

ritengo, ritenevo ma ritengo ancora, anche dopo aver letto questo libro che devo dire mi è piaciuto I believe, I believed but I still believe, even after reading this book that I have to say I liked it Je crois, j'ai cru et je crois encore, même après avoir lu ce livre que je dois dire que j'ai apprécié.

moltissimo, ma detto questo devo dire che io continuo a essere convinto che in Italia almeno a lot, but having said that I have to say that I continue to be convinced that in Italy at least

non è vero che si sia parlato così tanto del comunismo e dei crimini del comunismo in particolare. it is not true that so much has been said about communism and the crimes of communism in particular.

Allora la prima domanda che volevo farti era se forse non è l'ottica particolare che tu hai, So the first question I wanted to ask you was whether maybe it's not the particular optics that you have, La première question que je voulais vous poser était donc de savoir si ce n'est pas l'optique particulière que vous avez qui est en cause,

perché vivi in Germania da tanto tempo e lavori lì, dove invece il dibattito è stato sicuramente because you've lived in Germany for so long and worked there, where instead the debate was definitely parce que vous avez vécu et travaillé si longtemps en Allemagne, où le débat a certainement eu lieu.

acceso e dove il confronto anche delle possibili comparazioni tra nazismo e comunismo ha avuto heated and where the comparison even of possible comparisons between Nazism and communism had et où la comparaison même des comparaisons possibles entre le nazisme et le communisme a été acceso e dove il confronto anche delle possibili comparazioni tra nazismo e comunismo ha avuto

una profondità e un rigore scientifico anche che in Italia non sempre si è avuto. Io ho avuto la une profondeur et une rigueur scientifique que nous n'avons pas toujours eues en Italie. J'ai eu l'occasion

fortuna di fare ormai molto tempo fa, alla fine degli anni 90, il primo convegno internazionale Nous avons eu la chance d'organiser il y a longtemps, à la fin des années 1990, la première conférence internationale sur le thème de l'égalité entre les femmes et les hommes.

in Italia di comparazione tra fascismo, nazismo e stalinismo, poi sono usciti dei libri esteri in Italy of comparison between fascism, Nazism and Stalinism, then foreign books came out en Italie pour comparer le fascisme, le nazisme et le stalinisme, puis des livres étrangers ont été publiés.

che sono stati tradotti anche da qua, uno inglese, uno francese eccetera, però questa comparazione that have also been translated from here, an English one, a French one and so on, but this comparison

in Italia non ha mai preso piede, possiamo dire. Bella domanda perché si, un po' investe il titolo, in Italy never caught on, we can say. Good question because yes, a little bit invests the title, en Italie n'a jamais eu de succès, on peut le dire. Bonne question, car oui, cela affecte un peu le titre,

quindi riguarda il titolo e il titolo è anche un discorso di inserimento di questo so it's about the title, and the title is also about the inclusion of this Il s'agit donc aussi du titre, et le titre permet également d'insérer cette

testo nella sua collana che ha questi titoli antifrastici, insomma un po' provocatori, text in his series that has these antiphrastic, in short, somewhat provocative titles, texte de sa série qui porte ces titres antiphrastiques, bref, quelque peu provocateurs,

che vanno a riprendere certe cose del comune detto, del comune sentire, cose che vengono that go back to certain things of common saying, common feeling, things that come

detto con una certa superficialità, ma poi dietro c'è sempre un significato, una volontà eccetera, said with a certain superficiality, but then there is always a meaning behind it, a will and so on,

o un'idea. L'idea era, devo dire, non è solo italiana, non l'ho sentito dire solo in Italia,

non si parla dei crimini del comunismo, non se ne parla abbastanza, volendo dire in realtà

qualcos'altro, come dico nell'introduzione, vorrei in qualche modo togliere l'attenzione something else, as I say in the introduction, I would like to somehow take the attention away

da questo parlare invece sempre dei crimini del fascismo, del nazismo eccetera, e come se si from this always talking instead about the crimes of fascism, Nazism and so on, and as if you

volesse un po' riequilibrare, dietro in realtà poi c'è di più, perché poi c'è volontà anche di, wanted to rebalance a little bit, behind actually then there is more, because then there is also will to,

almeno alcune parti politiche interessate diciamo a questo tipo di operazione, at least some political parties interested in let's say this kind of operation,

sminuire o togliere centralità al significato che ha nella cultura occidentale la Shoah, diminish or take away centrality from the significance of the Shoah in Western culture,

il periodo del nazismo, i crimini del nazismo eccetera. L'ho sentito dire anche in Germania, the period of Nazism, the crimes of Nazism and so on. I heard this in Germany as well,

dove è vero che abbiamo un'altra impostazione, ma c'è questa, occasionalmente, c'è questo dire Where it's true that we have another setting, but there is this occasionally, there is this say

ah beh si parla sempre degli altri e mai di loro, però è vero, lo devo confessare, ah well you always talk about others and never about them, but it is true, I must confess,

scrivendo il libro mi sono poi accorto, c'è una torsione all'interno del libro,

nel senso c'è questo volere esprimere, guardate a livello internazionale, dei crimini del comunismo,

e poi magari parliamo un po' che cosa vogliamo intendere per comunismo, se ne parla in tutto

il mondo, si studiano in tutto il mondo, sono oggetto di operazioni varie, sia di ricerca,

sia di divulgazione, sia del lavoro nella scuola, quindi la formazione eccetera, hanno un posto.

Contemporaneamente è però vero che appena ci si avvicina, si scopre che soprattutto,

io comincerei dall'Europa occidentale, le conoscenze poi sono in realtà relativamente

deboli, dei fatti, del loro significato e di quello che per esempio significano per l'altra

parte dell'Europa. Dal punto di vista occidentale, Europa occidentale direi che c'è una forte

debolezza nel guardare a questo, che ovviamente ha radici anche ideologiche, può essere motivato

in varie maniere, ma questo è il fatto. Quindi sì, c'è un doppio fondo in realtà in questo titolo,

poi il libro quando lo si legge si vede che questi aspetti vengono sviluppati entrambi.

No, no, da questo punto di vista, infatti dopo questo primo shock iniziale, che ho detto,

oddio ce l'ha con quelli che hanno parlato dei crimini del comunismo in passato, eccetera,

ma anche tu poi in una serie di occasioni dici la più debole risonanza e considerazione che

trovano le testimonianze dei crimini comunisti, cioè effettivamente c'è questo riscontro. Il

problema è vero che quelli che hanno messo in particolare evidenza il carattere criminale del

comunismo l'hanno fatto con una serie di motivazioni e il caso da cui tu non parti ma che

prendi all'inizio molto bene in esame è quello del libro nero del comunismo, perché tu utilizzi

alcuni, tre, quattro saggi del libro nero del comunismo in modo continuo, perché sono dei saggi

bellissimi, però ovviamente la realtà raccontata in quei saggi è stata sommersa dal discorso

ideologico dei cento milioni di morti in cui tu giustamente metti in evidenza, ma non è che si

possono mettere tutti insieme i morti di Stalin, di Pol Pot, di Mao, eccetera, non perché non

siano tutti riconducibili in qualche modo al comunismo, perché non ha un senso storico,

è come mettere in capo alla Chiesa tutti i morti dalle crociate fino alle guerre di religione del

del seicento, insomma, in qualche modo, quindi questo è il problema. Però credo che in qualche

modo rimane vero che c'è una reticenza, per esempio una reticenza che in Italia è ancora,

mi pare, molto forte è quella di disancorare lo Stalinismo, cioè il cuore più nero della

criminalità comunista, dal bolscevismo e dagli eni e tu invece in questo fai una ricostruzione,

mi sembra, estremamente attenta della violenza anche del bolscevismo. Ecco, allora, siccome tu

da una parte dici è giusto parlare di comunismi, perché non possiamo fare una cosa unica, però

nello stesso tempo poi accetti il punto di vista di uno studioso tedesco che dice però in fondo

parlare dei crimini del comunismo e non dei comunismi ha un suo significato. Ecco, puoi

spiegare un po' meglio come hai risolto questa sorta di antinomia, di difficoltà. Sì, sì, può

apparire anche una contraddizione, forse anche leggendo quella pagina in cui c'è questo passaggio

bisogna in qualche modo un attimo fermarsi a riflettere perché è proprio un punto importante,

cioè soprattutto quando si parla spesso anche pubblicisticamente a livello divulgativo di

crimini del comunismo come se fosse un'etichetta chiara a tutti, si fa questa semplificazione che

era proprio tra l'altro anche del libro nero del comunismo, cioè abbiamo una specie di unico

soggetto criminale ispirato da un unico modo, diciamo, di vedere le cose, un'unica ideologia

e che in qualche modo poi va... poi in realtà i saggi, come hai detto, nel libro nero erano molto

differenziati, erano molto circostanziati, ottimamente documentati, non tutti, alcuni

erano di qualità assolutamente. Quindi c'è questa contraddizione fra dover spiegare che c'è una

pluralità perché non c'è uniformità, cioè sono comunismi perché all'occhio di tutti è evidente

che non possiamo associare e mettere nello stesso cassetto il Berlinguer e il Theodor

Tchivkov della Bulgaria o il Pol Pot con lo stesso Lenin, cioè abbiamo ovviamente dei fenomeni

ciascuno nel suo contesto storico, aree geografiche molto diverse l'una dall'altra e quindi non abbiamo

la possibilità di sintetizzare semplicemente dicendo tutta la stessa cosa. Dall'altra però

bisogna guardare a questo fenomeno come un segmento della storia del Novecento che tra l'altro,

almeno per come è nato e come è finito, diciamo, con lo scioglimento dell'Unione Sovietica, ha una

sua continuità. Io ho ripreso un po' questa idea del Gerd Köhnen delle tre ondate, diciamo così,

in cui si costituisce qualcosa che poi va a mettere le premesse per la successiva espansione,

quindi altre esperienze del comunismo. Lì c'è una compattezza che è una compattezza anche

nella diversità, nel senso si agganciano a un asse che va dalla rivoluzione del 17,

ma ci sono storici che vanno ancora indietro, vanno a cercare le radici nel pensiero di Marx,

c'è addirittura chi da storico, credo sia lo stesso Gerd Köhnen nel suo ultimo libro,

che va fino alla preistoria e dice ci sono forme di comunismo, diciamo, che sono presenti nella

storia dell'umanità fin dalla preistoria e quindi ci sono elementi che si possono rintracciare in

altre epoche storiche. Insomma, si deve decidere da dove cominciare, ma a me pare faccia senso

parlare del comunismo novecentesco come esperienza che comincia con la rivoluzione di ottobre,

finisce con la fine dell'Unione Sovietica e con una trasformazione in Cina che però è una

trasformazione coerente a caratteristiche proprie del comunismo cinese. Questo asse attraversa

l'istituzione della terza internazionale, dopo la seconda guerra mondiale la cosa si espande verso

l'Asia e poi c'è una terza ondata che sono Cuba, sono i regimi africani che adottano un certo tipo

di marxismo-leninismo eccetera, quindi sono esperienze poi successive alla decolonizzazione.

Questa è una struttura che mi pare storicamente, per lavorarci da storico, molto solida. C'è anche

una possibilità di ritrovare degli elementi comuni in tutte queste esperienze nonostante

le differenze. Non deve essere per forza la violenza, la violenza chiaramente è molto centrale

in questo libro perché parla dei crimini e anche sui crimini ci sarebbe da ragionare che cosa

intendiamo per crimini. Associamo anche lo stesso libro nero al comunismo sotto crimini,

intendeva un po' tutto, eccidi di massa, le morti per fame, le repressioni nei regimi del

real socialisti del secondo dopoguerra. Insomma sono anche lì fenomeni molto differenti l'uno

dall'altro che sono stati sintetizzati in un'unica etichetta, i crimini, ma andiamo a differenziare

e nella differenziazione scopriamo la ricchezza di tutti questi passaggi storici che vanno

appunto analizzati tutti fino in fondo per capirne la loro valenza, perché poi hanno una ricaduta

importantissima sui popoli che li hanno in qualche modo, le popolazioni che li hanno subiti o che li

hanno vissuti. Mi sembra che un tentativo continuo che tu fai e mi sembra sostanzialmente, alla fine

è uscito, è quello di dire ci sono tanti comunismi diversi e noi non possiamo metterli tutti in uno

stesso sacco eccetera e dobbiamo contestualizzarli, seguirli eccetera, ma nello stesso tempo c'è

qualche elemento comune a partire dall'ideologia molto nel carattere violento, molto nella volontà

di riuscire a influenzare la costruzione di un uomo nuovo, di una trasformazione sociale profonda,

che è una caratteristica di violenza diversa per certi aspetti da quelle di altre violenze

totalitarie che ci sono state nel novecento. E quindi questo continuo giocare su queste due

sponde che poi è la ricchezza e anche la bellezza della comparazione, io ho insegnato per vent'anni

l'ideologia comparata e quindi la comparazione non è né vedere le somiglianze né vedere le

differenze, è soprattutto utilizzata per vedere le differenze ma cercando di capire anche i

caratteri comuni che possono rendere simili alcune esperienze. E quindi da questo punto di vista per

esempio le pagine che dedichi a Ekmer Rossi, che è il caso più eclatante che si potrebbe dire

qualche cosa al di fuori, però tu intanto utilizzi proprio il saggio del libro Nero

del comunismo di Margolin che dice, che parla di caricatura grottesca ma rivelatrice di quella

che era anche l'ideologia comunista che era poi condivisa in tante altre parti. E quindi mi sembra

che parli di questo poi proprio poco prima del capitolo che invece dedichi a Marx e alla

cosiddetta ideologia criminale, invece ci si rende conto che parlare di ideologia criminale

in questo senso nel caso del comunismo non ha nessuna base perché casomai è la trasformazione

dell'ideologia comunista di Lenin, di Stalin, di Mao eccetera che può avere quelle caratteristiche.

Sì, c'è questo discorso che ho provato a fare insomma di ricostruiamo, dovrebbe essere in qualche

modo qualcosa di piuttosto lampante se si ha l'onestà di riconoscerlo, che c'è un disegno

umanista, una filosofia che diventa anche teoria politica eccetera già con Marx, c'è il tentativo

di realizzare qualcosa di questa idea, di questo sistema di idee che poi però viene volgarizzato,

viene canonizzato già dal passaggio da Marx a Engels, gli iscritti che poi lo divulgano,

la prima internazionale, tutte esperienze tra l'altro si dice sempre l'idea deve essere

criminale se ha generato quello che ha generato nel novecento ma l'idea prima ha generato qualcosa

che era estremamente pacifico, che era il movimento operaio fino a Lenin siamo di fronte a un'esperienza

pluralista di dialogo fra varie anime eccetera, si cambiano i connotati del tutto attraverso

l'esperienza di Lenin che va capita chiaramente nel suo contesto ma lì c'è una trasformazione e

cominciano tante cose, avvengono tante cose che poi ritroviamo nel corso del novecento in varie

forme, anche il concepire fondamentalmente il comunismo non tanto come l'obiettivo ma come

lo strumento di costruzione della nazione o di ricostruzione dello Stato che poi troviamo

fortissimo nella Cina, quindi questo comunismo poi fondamentalmente si trasforma continuamente

nel corso della storia non solo la dottrina ma si trasforma anche proprio l'uso che se ne fa,

diventa uno strumento, diventa meno un obiettivo di tipo umanistico applicato alle varie realtà

sociali, umane eccetera dove va in qualche modo a diffondersi. Sulla comparazione io lo trovo un

discorso molto importante perché basta viaggiare un pochettino nei social insomma a sentire queste

cose, qual è il sentire popolare rispetto a queste cose e si è stabilita in Italia fortissima,

in altre realtà un po' meno ma esiste anche questo continuo, ma allora gli altri, questo

confrontare non tanto per comprendere ma proprio per cercare una equiparazione e questo discorso

del cui purtroppo si è aggravato molto quando le istituzioni europee hanno fatto diversi tentativi,

alcuni anche malintesi credo perché le intenzioni forse non erano così cattive, di dire condanniamo

tutti i totalitarismi e sotto questo grosso titolo del totalitarismo ci mettiamo tutto dentro,

poi c'è stata spesso confusione, ci sono delle due o tre diverse risoluzioni al Parlamento

europeo che hanno fatto questo, fra il 2009, 2010 fino al 2019 ce ne sono state diverse che

alla volta parlavano di comunismo, alle volte di stalinismo con una certa imprecisione che in realtà

tradiva il fatto che si vuole cercare di esprimere qualcosa ma avendo in realtà l'insicurezza

rispetto all'esperienza precedente, cioè lo stalinismo come qualcosa assestante che è staccato

da qualcosa che viene prima che invece era positivo o era in qualche modo legittimo. Queste sono

strutture che questo libro voleva in qualche modo abbattere, spezzettare facendo sia chiarezza e sia

in qualche modo puntando un po' il dito contro questo, nel senso che le trovo proprio ostacolanti

a una comprensione di queste, anche elementare di tutta questa storia, sono d'ostacolo questo

continuo volere mettere sullo stesso piano, associare. Lo strumento della comparazione è

produttivo, lo trovo sempre produttivo per comprendere l'uno e l'altro delle cose che si

confrontano però poi ognuno, cioè si comprende la singolarità delle due cose che si vanno a

confrontare, non la loro coincidenza e questo è un po' il problema di quest'operazione che si fa.

Prima di tornare su questo tema dell'equiparazione dei totalitarismi eccetera che è estremamente

importante, però volevo fare un attimo il punto sull'Italia. Da una parte tu dai anche dei giudizi

storici molto sintetici e quindi necessariamente schematici ma abbastanza precisi sul Partito

Comunista su cui io non sono pienamente d'accordo, per esempio sul fatto che il Partito Comunista

sarebbe stato capace di leggere la società italiana. Ora io credo che il Partito Comunista

all'inizio degli anni 60, quando inizia il centro-sinistra e all'inizio degli anni 80,

quando Berlinguer poi fa la scelta etico-morale, è stato incapace invece di capire le grandi

trasformazioni che erano in atto. Però siccome stiamo discutendo adesso della storia d'Italia

nel Partito Comunista, rispetto ai crimini tra virgolette del comunismo in Italia, noi abbiamo

una realtà che è non paradossale ma che è veramente secondo me sintomatica di questa

rimozione e reticenza. In Italia c'è stata una delle vittime dello stalinismo che è sopravvissuta

e ha avuto la possibilità di raccontarlo più di tutti, Dante Corneli che tu citi abbondantemente.

Dante Corneli ha dovuto pubblicarsi tutto per conto suo e le sue memorie perché nessuno voleva

pubblicarle. Una parte è stata pubblicata un po' tagliuzzata da una casa editrice vicina ai

comunisti solo grazie all'intervento di Umberto Terracini che forse era l'unico dei fondatori

del Partito Comunista d'Italia, anche se era molto settario allora, come gli rimproverò lo stesso

Lienin, però era uno totalmente veramente aperto alla storia e alla verità. Quindi se tu oggi

chiedi a chiunque chi è Dante Corneli, nessuno lo sa e credo che questo non perché bisogna soppesare,

ma perché è un altro caso che non è di un italiano, ma parlo della sua traduzione italiana,

tu la conosci sicuramente meglio di me, le memorie di Margarete Buberneumann in Italia

che sono state scritte nel 49, pubblicate nel 49 in Germania. In Italia sono state tradotte

meritoriamente dal Mulino nel 1994, ma io proprio uno o due anni fa, non credo che le cose siano

cambiate molto, ma il direttore del Mulino mi diceva sai quante copie abbiamo venduto

della Buberneumann, quella prigioniera di Stalin e Hitler? 700 copie. Ecco, io credo che questo sia

un po' il segno di questo accettamento di disinteresse che io credo sia legato al fatto

che tutto sommato il comunismo è un vulnus per la sinistra italiana, per quelli che sono stati

comunisti e che quindi in Italia hanno lottato, come non c'è alcun dubbio per democrazia, libertà

e diritti, a doversi portare dietro il peso anche di questo strumento istituzionale al potere che

aveva questo carattere criminale e totalitario. Non so come se ne può uscire, però credo che la cosa

rimani abbastanza ancora oggi. Sono d'accordo, tra l'altro è un po' anche quello che dicevamo

prima, cioè da un lato c'è una pressione strumentalizzante da diversi anni molto forte,

volere utilizzare questo per equiparare, per modificare certi paradigmi della memoria pubblica

che sono molto importanti, dall'altra invece un fastidio perché significa confrontarsi con questi

fatti, bisogna dirlo banalmente ancora oggi, prendere congedo da un certo tipo di convinzioni

che sono legati a miti, la visione, una lettura della rivoluzione bolshevica, dell'ottobre,

socialista, è assolutamente mitizzata e quindi semplificata, schematizzata, che si fa fatica,

nonostante esistano pubblicazioni, che forse non hanno il successo che meriterebbero,

però esistono lavori, pubblicazioni, esistono istituti che fanno ricerca,

che si occupano di questo ed esistono pubblicazioni internazionali che vengono

tradotte. Come si faccia a modificare questo atteggiamento? Francamente difficile da dire,

tranne in qualche modo rimandare sempre ai fatti. Io penso che la congiuntura attuale non sia

semplicissima. Ci sono vari segnali che mi fanno un po' rimanere esitati, mi danno un po' il dubbio

che questa operazione adesso possa in qualche modo cambiare qualche cosa. Io molto modestamente

spero di aver utilizzato un linguaggio e certe immagini, certi giudizi, in una maniera che

possono essere di facile fruizione e quindi forse possono raggiungere qualcuno in più,

ma i tempi non sono semplici. Dall'altra bisogna dire che anche proprio l'attualità ci riapre

l'Europa dell'Est come area molto instabile, come area che attira la nostra attenzione per capire,

i problemi sono eredi di quella storia lì. Certo sono anche eredi di conflitti molto più antichi,

però in qualche modo è evidente che oggi abbiamo una guerra in corso, che ha una fortissima linea

di connessione con quello che è stato il discioglimento dell'Unione Sovietica, che

chiaramente non vuol dire solo la fine del comunismo sovietico, vuol dire la fine dell'impero,

però coinvolge popoli che hanno fatto quell'esperienza lì, loro vengono dai russi come

gli ucraini, come i bielorussi, come tanti popoli dell'Europa dell'Est, vengono dall'esperienza

del comunismo sovietico, o comunque di quell'esperienza che hanno fatto, realsocialismo,

e questo è un bagaglio molto pesante che non è stato in 30 anni di storia, non ancora elaborato,

solo in minima parte, e questi processi sono in corso e forse possono attirare la nostra

attenzione per il fatto che sono collegati all'attualità. Questo è qualcosa che mi da

speranza, non l'atteggiamento frontale, perché lì vengono subito fuori gli impulsi dell'ideologia,

diciamo così, o dello scontro ideologico, mentre invece questo passaggio attraverso l'Europa

dell'Est forse ci può in qualche modo toccare in un altro modo, perché ci richiama a capire da

quali società sono venuti fuori, cioè da quale è il bagaglio di esperienze che in qualche modo

determina certe reazioni odierne, certe dinamiche odierne. È un'eredità complessa quel comunismo

nell'Est europeo. Lo so bene per l'esempio della Germania dell'Est, perché ci vivo dentro e anche

vivo nella Ex Germania dell'Est, quindi sono circondato da persone che hanno questo bagaglio

loro, proprio della loro vita esistenziale, ma lo allargo a tutta Europa dell'Est. L'Europa dell'Est

non viene dallo stalinismo, viene dal realsocialismo, cioè da questa trasformazione e da

questa continuazione che si è trasformata negli anni 50, 60, 70. Hanno vissuto in regimi che avevano

preso una forma di, come lo possiamo chiamare, una dittatura sociale. Alle volte si fa fatica

anche a chiamare totalitari, studiandoli per bene, perché poi si scopre che erano sì pervasi di un

controllo onnipresente, ma spesso associamo il totalitario a qualcosa come una categoria

superiore, quindi ci chiede in realtà uno sforzo comprensivo ancora maggiore in che tipo di realtà

sociale hanno vissuto. Insomma, tutto questo mi dà coraggio, diciamo così. Penso che su questo

fronte forse possiamo arrivare a smuovere qualche cosa. Tu dedichi infatti molte pagine all'Europa

dell'Est e alla memoria del comunismo nell'Europa dell'Est e anche nella Russia,

nella Russia un po' meno forse, alla memoria come è stata costruita a partire dall'89-91

successivamente, ma anche seguendo e dando notizie interessanti sulla costruzione di musei,

di mausolei, di istituti di ricerca, di statue e anche abbattimento. Seguire come la memoria

pubblica ha significato qualche cosa di estremamente importante per quei paesi e che

la memoria pubblica è un terreno in cui difficilmente si possono fare i discorsi

ampi e comparati che stiamo facendo noi qua, perché si tratta spesso di simboli, di racconti

che vogliono avere un significato non didattico ma didascalico, di tipo anche ideologico evidentemente,

e così via. Quindi racconti come in realtà poi ci sia stata un po' in tutti questi paesi una sorta

di deriva nazionalista che tendeva a salvaguardare e a assolvere il proprio paese, il proprio popolo

rispetto ai crimini del comunismo che venivano attribuiti al comunismo in generale o per i

paesi dell'Est alla Russia e all'URSS in particolare. E in più una serie di casi che in realtà pur

essendo noti da allora, da quando sono accaduti, c'è voluto l'epoca di Gorbaciov e gli ultimi anni

per essere finalmente affrontati davvero, anche se ora paradossalmente si è tornati indietro. Parlo

per esempio della strage di Katyn in Polonia, che la scelta di creare una commissione internazionale

in cui erano presenti i polacchi, i russi eccetera è durata poco perché poi Putin ha ritirato la

partecipazione russa a questo. A Katyn uno degli anatomopatologi che faceva parte della commissione

internazionale istituita per valutare effettivamente chi fossero stati i responsabili,

se i russi come appariva o i tedeschi come invece i sovietici accusavano, era un italiano che

ovviamente era un anatomopatologo dell'Università di Napoli, dell'epoca nazista, come si chiamava.

Bene, almeno nel dopoguerra è democristiano, nel 62 diventa sindaco di Napoli anche se per

poco più di un anno e nel momento viene attaccato pubblicamente da Alicata che era

il responsabile funzionale del Partito Comunista dicendo che chi ha costruito la menzogna di Katyn

per salvare il nazismo eccetera noi non possiamo tollerarlo. Quindi questo fa capire che paradossalmente

già diversi anni dopo il 56, dopo il ventesimo congresso eccetera però c'era ancora questa forte

presenza di una lotta di memorie che in realtà è dura a morire e ovviamente è tanto più dura in

quei paesi adesso, il che naturalmente poi significa anche che però da parte nostra,

se pensiamo, è comunque uno dei libri del fact checking, quello che riguarda le foibe se ne

è dire, a lungo un dato di realtà è diventato però una sorta poi di nuovo di mito solo

vittimistico degli italiani che venivano quindi quasi automaticamente assolti da altre colpe

perché erano state vittime di un grave eccidio in quella occasione. Ecco questa questione

della memoria è estremamente rigata. Sì sì sì poi tra l'altro diciamo che questa vicenda

dell'interpretazione e divulgazione delle foibe ha delle dinamiche molto simili a operazioni che

si fanno nell'est europeo dove sostanzialmente crimini di massa dell'epoca di Stalin o di altri

momenti della storia sovietica vengono etnicizzati diciamo così, cioè gli viene dato un carattere,

lo stesso Holodomor ucraino sul quale è comunque ancora aperta una discussione sul carattere del

genocidio se invece in qualche modo non ha diciamo pienamente, non corrisponde pienamente ai criteri

del genocidio eccetera, quindi una etnicizzazione per farne in qualche modo un evento che presenta

la popolazione nel ruolo di vittime attraverso questa operazione di vittimizzazione si si si

compatta diciamo un discorso nazionalista nel senso non esistono non esistono i carnefici,

i carnefici sono sempre gli altri, il che per la storia sovietica è problematica perché poi abbiamo

vittime e carnefici se vogliamo usare queste categorie che non sono sempre proprie va bene

per intenderci di tutte le nazionalità insomma la polizia segreta sovietica aveva al suo interno

non solo ufficiali russi e quindi le repressioni avvenivano con carnefici di tutte le nazionalità

come di tutte le nazionalità potevano essere le vittime quindi vuol dire che l'operazione è

particolarmente falsificante in qualche modo però anche attraverso la falsificazione se

noi andiamo a interpretarla e a capire perché avviene in qualche modo ci dà la possibilità di

avvicinarci poi a quello che è il senso di tutto questo insomma e sono paesi che escono

dall'impero, che non era più l'impero zarista ma era l'impero comunista nel senso nonostante

il comunismo i popoli vivevano insieme all'interno dell'unione sovietica e questo si è sciolto e

questi popoli hanno cercato di ridefinire la loro identità nazionale per alcuni è

stato più semplice per altri è stato più complesso per altri addirittura un po' assurdo

non so pensare alle repubbliche ex sovietiche asiatiche insomma dove alle volte si costruisce

un ruolo di vittima completa di repressione mentre poi invece fondamentalmente hanno

vissuto la maggior parte della popolazione nel periodo sovietico in maniera positiva in

maniera identificandosi in qualche modo con quella storia lì per cui o anche pensiamo ai paesi baltici

insomma dove si fa spesso un'operazione di pulizia di certi aspetti che sono invece i baltici che

hanno combattuto con l'SS etc insomma cioè tutta una complessità che viene poi un po'

abbattuta da questa narrazione nazionale chiamiamola così etnicizzante la definisco io

dietro però c'è insomma sempre la necessità di studiare queste cose il più a fondo possibile

la memoria è un discorso la storia è un altro e il discorso della storia non è per niente

in qualche modo non è per niente completato insomma in questi paesi anche se ci sono quelle

narrazioni gli storici di questi paesi sono molto attivi e studiano molto a fondo e spesso si

scontrano con queste con questi paletti della narrazione ufficiale politica la strumentalizzazione

pensiamo anche alle leggi sulla storia leggi che puniscono gli storici perché non possono scrivere

questo e quest'altro perché l'ede in qualche modo l'immagine nazionale penso sia la russia sia la

polonia e l'ungheria hanno fatto di queste cose insomma è una tendenza preoccupante però dall'altra

deve essere confortante che ci sono anche generazioni che sono estranea quella storia

lì sono nate dopo in qualche modo si confrontano con queste cose in maniera molto più molto più

sciolta peso dell'ideologia o il peso dei traumi del passato per cui storici e nuove generazioni

di storici che rivoluzioneranno questo modo di vedere quindi l'interesse permane per questa storia

allora lascerei per ultimo perché ci stiamo avvicinando verso la fine la questione

dell'equiparazione dei totalitarismi volevo adesso affrontare invece proprio una cosa in cui dai un

giudizio preciso e capire quanto è lo riassunto di un ragionamento profondo o è un po fatto anche

perché poi utilizzi una frase di primo levi e quindi è questo quando dici lasciò fu un crimine

fine a se stesso slegato dalle dinamiche di guerra il prodotto come scriveva primo levi di un

radicalismo astratto e feroce che non ha uguali in tempi moderni ora è slegato dalle dinamiche di

guerra perché certo in qualche modo le dinamiche di guerra per certi aspetti avrebbero dovuto farlo

fare o prima o dopo però il fatto che la shoah come tutti i genocidi del novecento avvengono

in un contesto di guerra è anche questa una realtà non tutte le violenze ma le violenze

più estreme quindi parliamo di genocidi avvengono e sono avvenute tutte in un contesto di guerra

non tutte in una guerra mondiale ovviamente ma anche in guerre circoscritte ma quello in Cambogia

è il risultato finale di una guerra ecco il rischio non è quello di ipostatizzare un po la

shoah di metterla come qualcosa che proprio perché non ha una finalità di conquista di qualcosa di

sconfitta di un nemico ma è l'eliminazione senza motivo di un gruppo ci faccia sfuggire

anche anche perché poi sono molti che l'hanno detto pensiamo allo stesso Eni Wiesel tutto sommato non

si può contestualizzare la shoah e questo però noi sappiamo come storici che senza questa operazione

diventa poi difficile capire anche le motivazioni le dinamiche e il rischio è quello poi se no di

cadere in una spiegazione di tipo morale questo sicuramente è anche un modo in cui il comunismo è

stato raccontato da chiamiamola la parte più becera di quelli che parlano dei crimini del

comunismo perché tutto sommato dicono chiunque comunista chiunque aderisce al comunista non può

cadere nell'essere o nel diventare criminale e quindi diventa una assoluzione dalla storia di

quelle che in realtà invece una serie di dinamiche precise e che dobbiamo ricostruire sono d'accordo

la frase la frase in realtà voleva esprimere forse allora fu infortunata un po sfortunata la

frase ma forse insomma quello che volevo dire era slegata dalle logiche belliche o strettamente

belliche questo penso che non ci piova il c'è una logica sua di quel tipo di crimine quello che

sicuramente la guerra ha fatto c'è il contesto della seconda guerra mondiale della guerra est

eccetera ha aperto lo spazio per realizzare quell'opera lì quindi sicuramente va contestualizzata

certamente non è qualcosa che sta al di fuori delle categorie io forse lo generalizzerei così

nel senso ci sono violenze estreme che hanno trovano espressione in certi spazi che in qualche

modo danno la possibilità alla violenza di scaricarsi e di realizzarsi possono essere spazi

geografici o spazi di situazioni penso a lo stesso stalinismo cioè gli anni di stalin non chiamiamolo

stalin gli anni di stalin e il grande la campagna il grande terrore eccetera è qualcosa che si apre

si chiude come una finestra temporalmente abbastanza delimitata chiaramente delimitabile

ma in qualche modo ha un suo ha una sua ha un suo disegno in qualche modo preciso e che è venuto

fuori soprattutto negli ultimi anni cioè cercando di rileggere di rileggere il grande terrore come

non una fiammata di follia di un uomo paranoico ma cercando di andarla a inserire in un certo

contesto che in realtà partiva addirittura dalla prima rivoluzione nel senso c'è un'evoluzione

un tentativo di una seconda rivoluzione che è così quella della collettivizzazione come un

completamento di un'opera o arrivare a un livello ancora superiore e questo genera tutta una serie

di scompensi e di queste enormi migrazioni eccetera per cui è uno dei fattori che portano

alla decisione di scatenare quel tipo di terrore ce n'erano anche alcuni altri quindi vuol dire

l'accerchiamento dell'occidente eccetera quindi vuol dire che troviamo comunque un contesto e

troviamo dei fattori ma c'è un certo momento e un certo spazio in cui questi si scaricano

e questo lo vedo ovviamente per il per il per la shoah mi pare mi pare lampante no tra l'altro è

anche geograficamente limitato il terreno nel senso avviene soprattutto nei territori lontano

dalla Germania in qualche modo territori occupati o territori conquistati quindi come se fosse uno

spazio fuori dalla loro tra virgolette civiltà in qualche modo quello è lo spazio in cui si

scatena quella violenza ed è interessante che tra l'altro avvenga su territori in qualche modo

che si sovrappongono a quelli sovietici che già avevano conosciuto le stragi e massacri

delle ... eccetera quindi sono come se fossero anche quelli dei territori in qualche

modo penso anche a timothi sneider insomma come come come costruzione questo era un po

quello che andavo a dire lì allora ultima questione perché siamo in chiusura questa

dell'equiparazione di totalitarismi tu insisti molto sul fatto dell'equiparazione dei totalitarismi

crea la difficoltà di comprendere poi anche quella che è stata la criminalità del comunismo per

esempio perché appunto tende a annebbiare le differenze eccetera a me da spesso fastidio la

polemica contro l'equiparazione dei totalitarismi perché mi sembra che sì è vero che ci sono alcuni

che hanno una voce in giornali luoghi pubblici importanti che usano questa equiparazione però

mi sembra di nuovo più preoccupante invece la paura il rifiuto di non comparare di non fare

un confronto tra le esperienze totalitarie nell'appello che una serie di studiosi storici

insegnanti hanno fatto il 24 settembre del 2019 in seguito a una di quelle risoluzioni del

parlamento quella che ha fatto più discutere si diceva a un certo punto parlando dei regimi

comunisti mentre dei regimi nazisti si dice ovviamente che hanno fatto stragi genocidi e

tutto quello che i regimi comuni si macchiarono virgolette di gravi e inaccettabili violazioni

della democrazia e libertà tradirono i loro ideali e i valori e le promesse che avevano

fatto ecco a me una frase del genere sembra veramente il massimo non solo della ipocrisia

ma della falsità storica perché vuol dire non avere il coraggio se non di vedere il comunismo

da valutare rispetto alle promesse poi quali quelle di Marx e quelli pacifici e pluralisti

della fine dell'ottocento come ricordare tu perché se si comincia a confrontare il dato vero della

violenza il rischio è che poi questo discorso di minimizzazione o in qualche modo anche di

giustificazione non si possa fare il che non vuol dire poi di assimilare perché io credo che anzi

nel momento in cui si fa una buona comparazione l'assimilazione non è proponibile mai però

ecco questa secondo me è una realtà che forse in italia è molto più forte di quello che vivi tu

in Germania. Sì sono d'accordo ma l'equiparazione nel senso meccanica alle volte appunto io lo

trovo un po' di intralcio perché si ferma a un livello diciamo strutturale molto esterno

voglio dire sia il nazismo che il regime di Stalin avevano la polizia segreta hanno fatto

le persecuzioni di massa eccetera quindi il lager e il gulag queste comparazioni e associazioni

hanno senso se aiutano a scoprire le peculiarità di entrambe le cose e la peculiarità dell'esperienza

del comunismo è molto poco conosciuta proprio per quello che dici tu nel senso che c'è questo il

comunismo non è mai stato realizzato e quando è stato realizzato è stato tradito ma questo tipo

di affermazione in realtà storicamente non ha moltissimo significato secondo me nel senso che

è anzi è un po' una formula che serve a esorcizzare a tenere lontano qualcosa che non voglio vedere

non voglio non voglio verificare e non voglio conoscere perché invece se mi avvicino scopro

che fondamentalmente molte operazioni hanno una loro coerenza rispetto a certi principi poi si

può discutere se questi principi sono la lettera di Marx o sono una trasformazione successiva

questo è quello che ho fatto anche io nel libro quello che parlavamo della tradizione la ...

la mutazione eccetera però insomma imputare a Stalin o a Lenin o a chi altro che non ha in

qualche modo capito cosa voleva dire Marx la voglio dire che insomma mi pare una cosa anche

un po' arrogante volevano realizzare qualcosa seriamente rispetto a quello che avevano nella

testa lo hanno fatto coerentemente rispetto a certi presupposti questo non è un tradimento

lo stesso Stalin la linea che collega Lenin a Stalin chiaro che non è una linea dritta ci

sono tantissime contraddizioni sviluppi successivi eccetera però non si possono associare le due

figure ma in qualche modo c'è una continuità di molti aspetti molto

importanti e qui questo è uno sviluppo in parte coerente quello di Stalin rispetto a Lenin insomma

questi sono i problemi i problemi da affrontare e penso che ci sarà da lavorare ancora molto su

questo sicuramente benissimo io ringrazio Gianluca Falagna innanzitutto per questo libro che invito

veramente tutti quanti a leggere perché anche se ovviamente non esaurisce la tematica che

affronta però è una formidabile sintesi complessiva che permette di avere intanto

un quadro poi da anche tutta una serie di indicazioni bibliografiche anche per

eventuali approfondimenti successivi quindi auguri per il tuo lavoro successivo e grazie

di questo libro che ci hai dato e che possiamo condividere. Grazie a te, grazie a te.