Apologia 5 - 6
V.
Ripiglierà alcuno di voi: - Ma, o Socrate, che faccenda è la tua? D'onde ti sono nate queste calunnie? Se non ti fossi preso brighe che gli altri non si prendono, se fatto non avessi come i piú non fanno, tu non saresti venuto in cosí mala voce. Di' a noi dunque: che è? affinché noi non giudichiamo di te a caso -. Chi dice cosí, dice dirittamente, mi pare; e io mi proverò di chiarire a voi che è mai quel che ha generato contro me la mala fama e calunnia. State a udire: forse parrà ad alcuni di voi che io scherzi; ma, sappiate bene, io vi dirò tutta la verità. Io, Ateniesi, non per altro che per una certa sapienza mi sono procurato cotesta mala fama. Quale sapienza? quella umana, forse: perché può esser bene che di questa sapienza sia io sapiente, e quelli che diceva dianzi sarebbero sapienti di certa sapienza piú che umana: o non so che dico, perocché di questa io non ho cognizione, e chi afferma che sí, mentisce e mi vuole calunniare. E non ischiamazzate, o Ateniesi, se vi par che dica una strana cosa, ché non son mie le parole che io dico, ma sí di tale che degno è che voi gli abbiate fede; imperocché di questa mia, se sapienza ella è, e quale, vi addurrò a testimonio l'Iddio che è in Delfo. Cherofonte, voi lo conoscete: egli fu amico mio da giovine, e amico fu al vostro popolo, e fuggí in questa ultima fuga con voi e tornò con voi; e conoscete Cherofonte com'egli era, e l'impeto suo dove ch'ei si mettesse. Ora andato una volta a Delfo, ecco di che egli osò interrogare l'oracolo; non ischiamazzate, dico, Ateniesi: lo interrogò se alcuno fosse piú sapiente di me. Rispose la Pizia: - Niuno essere piú sapiente. - E di ciò sarà testimonio a voi suo fratello che è qui; ch'egli è morto. VI.
Guardate perché dico questo: perché voglio che conosciate voi d'onde mi sia nata la calunnia. Dunque, udendo io quelle parole, pensai: «Che mai dice l'Iddio? nelle parole sue che mai nasconde? perché io non ho coscienza, né punto né poco, di essere sapiente. Che mai dice, affermando che io sono sapientissimo? certo non mentisce, ché non gli è lecito». E molto tempo stetti in dubitazione che mai volesse Egli dire. Poi e con fatica, mi fui messo cosí a cercare. Andai a un di quei che paiono sapienti, e fra me dissi: «Or, se mai, smentirò il vaticinio e mostrerò all'oracolo che piú sapiente di me è colui: tu dicesti me». E riguardandolo bene (non c'è bisogno che dica il nome, era un dè politici) ecco che mi avvenne. Messomi a conversare con lui, mi parve che quest'uomo ben paresse sapiente ad altri molti uomini, e massimamente a sé medesimo, ma che non fosse. E mi provai di mostrarglielo: - Tu sí credi essere sapiente, ma non sei -. E tosto a lui, e a molti che ivi erano presenti, venni in odio. Andatomene via, ragionai fra me, e cosí dissi: «Son piú sapiente io di questo uomo; imperocché, a vedere, niuno di noi due sa nulla di bello e di buono, ma costui crede sapere, e non sa; io non so, ma non credo né anche sapere. E pare che per cotesta piccolezza sia piú sapiente io, perciò che non credo sapere quello che non so». E andai a un altro, di quelli che mostravano essere piú sapienti di lui; e me ne parve il medesimo: e cosí venni in odio e a quello e a molti altri.