Parte Secunda: Capitolo V
— È un po' scabrosa, ma è così carina che ho una voglia matta di raccontarla — disse Vronskij, guardandola con gli occhi ridenti. — Non farò nomi.
— Tanto meglio, indovinerò.
— Allora ascoltate: due giovani allegri vanno in carrozza...
— S'intende, ufficiali del vostro reggimento.
— Non ho detto ufficiali, semplicemente due giovani che hanno fatto colazione...
— Traducete: che hanno bevuto.
— Forse. Vanno in carrozza a pranzo da un amico, nella più allegra disposizione di spirito. E vedono una bella signora che li sorpassa in vettura, si volta e, così almeno a loro sembra, fa cenno e ride. Quelli, naturalmente, subito dietro a lei. Galoppano a tutta forza. Con sorpresa la bella si ferma all'ingresso di quella stessa casa dove vanno loro. La bella corre al piano di sopra. Essi scorgono solo le labbruzze vermiglie di sotto al velo corto e i deliziosi piccoli piedi.
— Raccontate con tale sentimento che par proprio che siate voi uno dei due.
— Bè, a che cosa avete accennato or ora?... Dunque i giovani entrano in casa del compagno; c'è un pranzo di addio. Qui forse appunto bevono un po' più del necessario, come sempre avviene nei pranzi di addio. E a tavola chiedono chi abita su in quella casa. Nessuno lo sa, ma quando chiedono se al piano di sopra ci sono delle mamzel' , il servo del padrone risponde che lì ce n'è tante. Dopo pranzo i giovani vanno nello studio del padrone di casa e scrivono una lettera alla sconosciuta, una dichiarazione, e portano loro stessi la lettera di sopra per spiegare quello che nella lettera non sarebbe apparso del tutto comprensibile.
— Ma perché mi raccontate tutte queste sciocchezze? E poi?
— Bussano. Vien fuori una cameriera. Consegnano la lettera e assicurano la cameriera che sono tutti e due così innamorati che stanno lì lì per morire sulla porta. La cameriera, perplessa, conduce delle trattative. Ed ecco, a un tratto compare il padrone di casa con le fedine a salsicciotto, rosso come un gambero, il quale spiega che in casa non c'è nessuno all'infuori di sua moglie, e li caccia via tutti e due.
— E come fate a sapere che ha le fedine, così come avete detto, a salsicciotto?
— Ecco, ascoltate. Non sono forse andato oggi a far da paciere?
— E allora?
— E qui viene il bello. Viene in chiaro che si tratta di una coppia felice: un consigliere titolare e una consiglieressa titolare. Il consigliere titolare sporge querela e io faccio da paciere; e quale paciere!... Vi assicuro, Talleyrand non è nulla a petto mio.
— Ma in che consiste la vostra abilità?
— Ecco, ascoltate. Noi ci siamo scusati a questo modo: «siamo desolati, chiediamo venga perdonato il disgraziato equivoco». Il consigliere titolare dai salsicciotti comincia a rabbonirsi, ma vuole anche lui esprimere i suoi sentimenti, e, non appena comincia a esprimerli, ecco che prende fuoco, si riscalda e dice villanie, e io devo di nuovo mettere in moto tutto il mio talento diplomatico. «Sono d'accordo che l'azione non è punto lodevole, ma vi prego prendere in considerazione l'equivoco, l'età giovanile e il fatto che i ragazzi avevano allora allora finito di mangiare. Voi comprenderete! Essi sono pentiti con tutta l'anima, chiedono il vostro perdono». Il consigliere titolare si rabbonisce di nuovo: «D'accordo, conte, sono pronto a perdonare, ma capirete che mia moglie, mia moglie, una donna onesta, è stata sottoposta a un inseguimento, alle villanie ed alle impertinenze di due ragazzacci qualsiasi, masc... ». E pensate che intanto uno di quei ragazzacci sta lì, e io devo far fare la pace. Metto di nuovo in moto tutta la mia diplomazia, ma appena l'affare si avvia alla conclusione, il mio consigliere titolare si scalda ancora, si fa rosso, solleva i salsicciotti e allora, di nuovo, io mi effondo in sottigliezze diplomatiche.
— Ah, questa bisogna raccontarvela! — disse Betsy alla signora che entrava nel palco. — Mi ha fatto tanto ridere.
— Su, bonne chance ! — aggiunse, dando a Vronskij un dito libero della mano che teneva il ventaglio e abbassando, con un movimento delle spalle, il corpetto del vestito che si era sollevato per apparire interamente scollata quando si sarebbe accostata, secondo l'uso, al parapetto del palco, alla luce del gas e agli sguardi di tutti.
Vronskij andò al Teatro Francese, dove realmente doveva vedere il comandante del reggimento, che non perdeva neanche una rappresentazione, per parlargli della sua opera di pace che lo occupava e lo divertiva da due giorni. In questo affare era implicato Petrickij, cui egli voleva bene, e un altro, entrato da poco nel reggimento, un buon ragazzo, un ottimo compagno, il giovane principe Kedrov. Ma era l'onore del reggimento principalmente in giuoco. Tutti e due erano dello squadrone di Vronskij. Al comandante del reggimento si era presentato un impiegato, il consigliere titolare Venden, con una querela contro gli ufficiali che gli avevano offeso la moglie. La sua giovane moglie (come raccontava Venden che era ammogliato da sei mesi appena) stava in chiesa con la mamma, quando, avvertito a un tratto un certo malessere dovuto a un suo particolare stato, e non potendo più stare in piedi, era andata a casa con la prima vettura che le era capitata. A questo punto le si erano messi dietro gli ufficiali, lei s'era spaventata e, sentendosi sempre peggio, era corsa su per le scale a casa. Lo stesso Venden, tornato dal tribunale, aveva sentito la scampanellata e il vocio e, visti gli ufficiali ubriachi con la lettera in mano, era uscito e li aveva scaraventati fuori.
— Ma, dite quel che volete — diceva il comandante del reggimento a Vronskij dopo averlo fatto accostare a sé — Petrickij diventa impossibile. Non passa una settimana senza una storia. Questo funzionario non farà passar liscia la cosa, la manderà avanti.
Vronskij vedeva quanto fosse incresciosa la faccenda, come si dovesse evitare un duello e far di tutto per rabbonire il consigliere e mettere a tacere la cosa. Il comandante del reggimento si era rivolto a Vronskij proprio perché egli apparteneva all'aristocrazia ed era persona intelligente e soprattutto gelosa dell'onore del reggimento. Discussero un po' e decisero di fare andare Petrickij e Kedrov con Vronskij da questo consigliere titolare a chiedere scusa. Il comandante del reggimento e Vronskij capivano entrambi che il nome di Vronskij e la sua qualifica di aiutante di campo dovevano contribuire non poco a rabbonire il consigliere titolare. E in realtà queste due prerogative risultarono in parte efficienti, ma la conclusione era rimasta dubbia, come del resto stava raccontando lo stesso Vronskij.
Giunto al Teatro Francese, Vronskij si era appartato insieme con il comandante del reggimento nel ridotto e gli andava raccontando il suo successo o insuccesso. Dopo aver riflettuto, il comandante del reggimento decise di lasciar cadere la faccenda; ma poi, per divertirsi, cominciò a interrogare Vronskij sui particolari dell'incontro, e a lungo non poté trattenersi dal ridere ascoltando quel che Vronskij diceva del consigliere titolare che, quando stava per calmarsi, si accendeva di nuovo al ricordo dei particolari dell'offesa, e sul fatto che Vronskij, alla prima mezza parola conciliante, aveva battuto in ritirata, spingendo avanti a sé Petrickij.
— È un brutto affare, ma esilarante. Kedrov non può certo battersi con quel signore. Ma si scaldava proprio così furiosamente? — tornava a chiedere, ridendo, il comandante. — E come vi pare questa sera Claire? Una meraviglia! — disse, alludendo alla nuova attrice francese. — Per quanto la si veda, ogni volta è nuova. Solo i francesi sanno essere così.