Il viaggio di una moneta (325-337) - Ep. 3 (1)
Salute e Salve! Benvenuti alla storia d'Italia
Nel precedente episodio abbiamo visto Costantino impadronirsi dell'intero Impero Romano, abbiamo analizzato il suo fondamentale contributo alla storia della Cristianità e del mondo, grazie al concilio di Nicea e alla fondazione di Costantinopoli.
Il mio obiettivo in questo episodio era di parlarvi dei 3 figli di Costantino e poi di Giuliano ma, ahimè, la penna è corsa un po' troppo e ho deciso di rimandare questo argomento al prossimo episodio. Ci sono troppi argomenti che non voglio lasciare inosservati nel prosieguo della narrazione, perché hanno un impatto importante sull'evoluzione dell'impero e sulla storia d'Italia. In questo episodio tracceremo ancora alcuni pezzi dell'evoluzione dell'Impero Romano sotto Costantino, in particolare i temi economici, militari e la sua politica estera. Vedremo poi come Costantino gestirà la transizione verso la nuova generazione a capo dell'impero. Vi anticipo che sarà un tutti contro tutti.
Episodio 3: Il viaggio di una moneta
Prima di arrivare ai nostri amorevoli fratelli dobbiamo tornare a Costantino. Mi rendo conto di parlarne a lungo ma l'uomo è, come direbbero in Francia “uncontournable”, inevitabile nella sua ingombrante grandezza.
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Costantino fu padrone dell'intero Impero Romano, tutto sommato, per un periodo limitato: solamente 12 anni, mentre ne occorsero 20 per passare dalla Britannia a dominare l'intero impero. Eppure in questo periodo impresse un'impronta indelebile sullo stato romano. Riformò in modo importante l'esercito, allargando e stabilizzando il concetto di Comitatus – l'esercito mobile dell'impero – e probabilmente creando i corpi dei limitanei. Ma di tutto questo ho deciso di parlarne in un episodio dedicato all'esercito del tardo impero, mi pare un argomento interessante e che merita un'analisi approfondita. Non anticipo nulla nel dire che gli eserciti del quarto e quinto secolo dopo cristo non avevano molto a che fare con l'immagine classica che abbiamo delle legioni romane.
Sul campo amministrativo Costantino mantenne le riforme di Diocleziano, che aveva riorganizzato le province: prima della crisi del terzo secolo e sotto il principato l'impero era diviso in una quarantina di province, molte di eredità repubblicana, ognuna gestita da un governatore che ne era allo stesso tempo la suprema autorità civile e militare. L'Italia aveva uno status speciale: gli abitanti liberi della Penisola erano tutti cittadini romani e non pagavano l'imposta fondiaria (Ius Italicum), riservata invece ai cittadini dei territori provinciali.
Diocleziano aumentò il numero delle province a un centinaio circa, e la stessa Italia – che fino ad allora era sempre stata considerata al di sopra dei meri territori conquistati – fu equiparata alle altre province. Le province vennero a loro volta raggruppate in dodici diocesi), ad esempio la Diocesi della Gallia, dell'Italia, della Spagna, della Britannia e così via. Ogni diocesi aveva un comandante militare e un amministratore civile. Ho inserito una mappa sulla mia pagina facebook @italiastoria, qualora voleste seguire questa descrizione.
Un'altra innovazione di Diocleziano fu quella di iniziare a dividere le carriere militari e amministrative, ma fu Costantino che portò a termine questo processo. Da allora per ogni cittadino dell'impero con ambizioni di carriera governativa si prospettò una scelta chiara tra i due percorsi di carriera. Con il tempo i nativi romani iniziarono a gravitare sulle carriere burocratiche civili – meno problematiche e più comode – mentre le carriere militari divennero sempre più dominate da barbari, ex barbari e barbari romanizzati. Molti storici in varie epoche hanno giudicato molto negativamente questa evoluzione dello stato romano. Hanno visto nella progressiva barbarizzazione delle carriere militari una scelta suicida che portò ad avere i barbari non alle porte, ma a guardia delle porte della fortezza imperiale, con il sottinteso che la loro fedeltà fosse quantomeno dubbia. Sembra una critica ragionevole, ma vedremo nei prossimi episodi come è ora valutata dalla storiografia moderna. Comunque sia, ai tempi di Costantino questo processo di barbarizzazione era ancora in divenire e nella prima metà del quarto secolo non aveva ancora dispiegato i suoi effetti, veri o presunti.
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Passiamo ora a parlare di un argomento che mi appassiona, in quanto amante della storia e studente di economia, ovvero la riforma monetaria di Costantino.
Per centinaia di anni l'impero – sotto il principato – aveva avuto un sistema monetario estremamente stabile, fondato sul Aureus d'oro e il Denarius d'argento, oltre che ovviamente monete di valore inferiore. Queste monete avevano il loro valore e cambio fissati sul peso equivalente del metallo contenuto nella moneta. Siamo oramai abituati al concetto che una moneta abbia un valore in sé, indipendente dal costo di stampa delle banconote o dal valore del metallo incluso in una moneta da 2 euro. Ma per la maggior parte della storia il valore di una moneta è stato inteso come il valore del metallo di cui è composta. Molte monete venivano anche tagliate, in quanto il valore di un quarto di una moneta d'oro è…beh, un quarto di una moneta d'oro.
Proviamo a ripercorre insieme Il ciclo della moneta d'oro o d'argento imperiale. Questo prevedeva inizialmente lo scavo del metallo prezioso, in una delle miniere controllate dall'impero. Il metallo prezioso veniva poi trasferito ad una delle zecche imperiali e lì le monete venivano coniate con il volto dell'imperatore regnate: questo era nel mondo antico l'equivalente dei mezzi di comunicazione di massa, in quanto principale testimonianza visibile dei cambi di regime imperiali. Una volta coniate le monete venivano poi utilizzate per pagare le spese di gestione dell'impero, in grandissima parte l'esercito. Si dice a proposito della Prussia che diversi stati hanno un esercito, ma nel caso della Prussia l'esercito ha uno stato: ora questa affermazione sarebbe validissima anche per l'Impero Romano: si calcola che l'esercito pesasse per circa i due terzi sul budget imperiale. I soldati, una volta ricevute le loro monete nuove di zecca, ovviamente spendevano il loro “stipendio” e compravano a loro uso e consumo svariati beni, soprattutto da artigiani privati. Gli artigiani usavano le monete dei soldati per comprare altri beni, ad esempio acquistavano dagli agricoltori il cibo di cui avevano bisogno. Gli agricoltori, con quelle monete, acquistavano altri beni, ad esempio strumenti per l'agricoltura. Grazie a questi meccanismi di trasmissione le monete che lo stato usava per pagare i soldati venivano usate per le transazioni di tutti i giorni, immettendole nel sistema economico.
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Ma non è finita qui: regolarmente artigiani e agricoltori ricevevano la visita dell'esattore imperiale. Questi si premuniva di riprendersi un po' di quelle monete in forma di tasse. Le monete confluivano allora di nuovo nel tesoro imperiale, per poi servire a pagare di nuovo le legioni. E il ciclo ricominciava.
Durante il principato, prima della crisi del terzo secolo, le tasse erano in gran parte sufficienti a finanziare le spese statali, questo evitava che troppe monete dovessero essere prodotte e quindi entrassero in circolazione ogni anno, cosa che avrebbe scatenato l'inflazione riducendone il valore. Sembra strano? bè fidatevi, è così. Come avete detto? Non vi fidate? Va bene cerco di chiarirlo con un semplice concetto economico: più un bene è “comune”, facile da procurare, minore è il suo prezzo. Lo stesso concetto si applica benissimo anche alla moneta: troppe monete in giro e il loro valore scende e quindi avrete bisogno di più monete rispetto a ieri per comprare un altro bene, come ad esempio un pezzo di pane. Questa è l'inflazione. I romani, per inciso, non avevano la benché minima idea di questo concetto, ma ci tornerò presto.
Fin quando durarono i giorni dorati del principato non ci furono grandi problemi: gli imperatori producevano nuove monete con un contenuto – più o meno – equivalente al valore di facciata e le monete prodotte erano in numero limitato. Ma nel terzo secolo iniziarono i veri problemi. Cerchiamo di capire perché.
All'improvviso lo stato si ritrovò con minacce alle frontiere molto più serie del passato, in particolare da parte della nuova dinastia persiana dei Sassanidi, molto più organizzati e potenti dei loro predecessori, i parti. Per far fronte a questa minaccia lo stato avrebbe dovuto aumentare le spese militari. Il problema era che nel contempo l'impero era caduto in una crisi economica, dovuta a due fattori: primo tra tutti i germi – Ricordatevi: pestilenze e germi. Sono un driver della storia molto più importante di quanto normalmente si creda. Due terribili epidemie decimarono il numero di contribuenti e quindi, brutalmente, le entrate. L'altro problema fu la profonda crisi politica, dovuta al fatto che gli imperatori erano oramai legittimati solo dall'esercito e ogni generale di belle speranze si sentiva in dovere di nominarsi imperatore e far fuori il precedente. Ricordate? Ne ho parlato nel primissimo episodio.
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All'improvviso lo stato si ritrovò allo stesso tempo con la necessità di finanziare maggiori spese militari e con Il problema che nel frattempo le entrate erano crollate, questo creò un deficit che in qualche modo andava riempito. Eh sì, davvero nella storia d'Italia tutto sembra essere già successo. La risposta degli imperatori e del governo fu prevedibile. Gli imperatori si dissero: non arrivano tasse ma dobbiamo pagare gli eserciti, soprattutto se vogliamo tenere la testa saldamente ancorata al collo e non vederla su una picca (cosa che regolarmente accadde, quando i soldati rimasero indietro con i pagamenti). La soluzione? Perfetta, semplice: produrremo più monete. Come dite? Non c'è metallo sufficiente per farle? Facile, prendete una moneta che era d'argento al 95% e fatela d'argento al 70%, con aggiunta una lega meno costosa et voilà, una moneta d'argento che costa meno ma con lo stesso valore di mercato. Dopo anni di svalutazione ai tempi di Galieno, all'apice della crisi del terzo secolo, il Denarius d'argento era praticamente una moneta di rame, con meno del 5% del peso in Argento. E il Denarius era la moneta principale, quella usata per pagare le legioni.
Questa politica – che credo fosse ahimè quasi inevitabile – ebbe due effetti: le nuove monete immesse sul mercato erano troppe e finirono per incrementare l'inflazione, inflazione che fu esacerbata dal fatto che le nuove monete avevano un valore in metallo inferiore a quelle precedenti, cosa che ogni mercante furbo apprese nel giro di cinque minuti dal tenerle in mano la prima volta.
Quando si arrivò ai tempi di Diocleziano oramai l'economia imperiale stava tornando rapidamente al baratto e il sistema della moneta era completamente in pezzi, visto che l'inflazione era oramai fuori controllo. Basti pensare che una misura di farina costava mezzo Denario nel secondo secolo DC e nel terzo secolo il prezzo era intorno ai cento denarii: sono aumenti che sono perfettamente comprensibili nell'economia moderna – parliamo alla fine di un secolo – ma che per i tempi erano assolutamente senza precedenti.
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Diocleziano, dal militare brillante, intelligente ma rigido che era, ebbe un'idea per risolvere il problema, un'idea che hanno avuto politici di ogni tipo in ogni età e luogo, sempre con effetti disastrosi. Non comprendendo appieno l'origine e perfino il concetto di inflazione decise di fissare i prezzi per legge, con il famigerato editto dei prezzi. Ogni bene aveva secondo Diocleziano un valore intrinseco che lui, da bravo dirigente di partito, avrebbe fissato per legge. Va da sé che ovviamente si sviluppo un florido mercato nero, visto che l'editto fu largamente ignorato. Il prezzo è il valore che diamo ad un bene e se usiamo nella transazione un bene intermedio come una moneta, il valore stesso della moneta determina il prezzo in moneta del bene. Ogni tentativo di un governo di determinare i prezzi è destinato a creare un mercato nero con i prezzi reali del bene, a meno di avere mezzi e risorse per perseguire ogni operatore economico del mercato nero, mezzi e risorse che erano certamente fuori portata della macchina burocratica romana. Veramente lo sono perfino della maggior parte degli stati moderni, basti pensare a quanto sta succedendo in questo 2018 in Venezuela.
Diocleziano però non si diede per vinto: non era il tipo. Alla fine, risolse il problema eliminando o marginalizzando la moneta: non poteva più fidarsi delle tasse raccolte in moneta, visto che l'inflazione ne mangiava il valore nel tempo che incorreva tra la raccolta delle tasse e il pagamento dell'esercito. In più le monete che rimanevano in circolazione erano di solito le peggiori, quelle con il minore valore reale, visto che un'altra regola di base dell'economia è che la moneta cattiva scaccia sempre quella buona: le monete “buone”, ovvero con maggior valore reale in metallo, venivano accaparrate e messe sotto il materasso mentre per pagare gli ufficiali gli onesti contadini dell'impero usavano le monete svalutate degli imperatori della crisi. D'altronde era il governo a dire che un Denario di Galieno valeva come uno di Marco Aurelio, bè se il governo voleva un Denario in tasse si sarebbe beccato quello di Galieno. Alla fine Diocleziano perse la pazienza, e come ho accennato nell'episodio introduttivo, passò direttamente a chiedere le tasse in natura: non più 10 denari, ma un determinato quantitativo di grano o di vestiti. Grazie tante, tenetevi le monete. Il Grano e i vestiti così raccolti erano poi utilizzati per sfamare e vestire l'esercito. Semplifico, ma questo era il concetto.