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Storia, L'Arabia prima dell'Islam

L'Arabia prima dell'Islam

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Questo è un video che mi ha fatto un po' di cuore per essere tornato ad ascoltarmi anche quest'anno.

Sì, parlo proprio con te.

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Senza di te io non sarei qui.

Ne approfitto per ricordarvi e prometto che è una delle ultime volte che è uscito il mio nuovo libro,

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posso consigliarvi di lasciare una recensione su Amazon, Feltrinelli, Goodreads.

Aiuto il libro, promesso.

E se non l'avete comprato per le feste, beh, gennaio è un mese buono come tutti gli altri.

Quest'episodio è dedicato a Lorenzo Da Carne, un bimbo di 7 anni, figlio di Saverio.

Lorenzo, mi pare che stai andando alla grande.

Ho visto la tua foto vestito da antico romano.

Siamo tutti fieri di te.

Grazie anche a tutti i 345 sostenitori su Patreon, Taipeee e Youtube.

Ragazzi, meno 55.

Non sono poi così tanti.

Se siete in ascolto, potreste essere i 55 ascoltatori che mancano a raggiungere quota 400.

Vista la lunga pausa, ma soprattutto vista l'incredibile vostra generosità,

ho diverse persone da ringraziare oggi.

Grazie Mauro Samarati per esserti aggiunto al duo a livello Giuseppe Verdi, da 50€,

e anche per la magnifica serata crema.

A proposito, grazie anche a Federico Re per avermi aiutato per Ancona.

I nuovi mecenati su Patreon sono a livello Galileo Galilei,

Eike, Michele Bina, Maurizio Colombo, Stefano Pepe, Ilbone, David Bertini, Matteo Rizzolli e 13 Minuti.

Mentre su Taipeee abbiamo Agents in Rebus e Paolo Lucciola.

A livello Marco Polo abbiamo su Patreon Leonardo Guida e Alexandre da Silva Mello dal Brasile.

Su Taipeee Angelo Michele e Ernesto Barbero.

Grazie a tutti!

Ringrazio inoltre Daniele Farina per essere passato al magico gruppo a livello Dan Talighieri,

Luigi Boselli per essere passato a Leonardo Da Vinci,

e Angelo Salustri per essere arrivato al Galileo Galilei.

Inoltre ringrazio i tanti che hanno aderito al mio appello e sono passati da Patreon e Taipeee,

che garantisce minori costi per entrambi.

Niente IVA per voi e un costo minore per me.

Questo mese sono stati Valerio Barbaking, Luca Damilano, John Ellis, Cesare Bagnari,

Jerome Tron, Fazdev, Mike Lombardi, Tascani Discovery, Pietro Milazzo, Carlo Benvissuto,

Simone Provenzano, Andrea Skywalker, Paolo Tazioli, Yuri Giovannoni, Stefano Po e Alberto Goldoni.

Wow, scusate la lunga lista, ma un enorme grazie!

Mi avete tutti fatto un grandissimo regalo di Natale.

Spero di non deludervi lungo tutto il 2023.

Innanzitutto il mea culpa.

Ahimè ho pronunciato ben due parole in modo scorretto.

La prima è proprio il nome più comune di tutti.

Muhammad e non Muhammad.

A quanto pare ho preso la pronuncia francofona del suo nome, scusate.

Inoltre Mushrikun e non Mushikrun.

Qui ho semplicemente sbagliato la prima volta e mi sono tirato dietro l'errore.

Grazie di cuore a tutti quelli che me lo hanno segnalato.

Nello scorso episodio abbiamo ripercorso gli eventi della vita di Muhammad

ed il suo immediato successore, Abu Bakr,

per comprendere quello che la tradizione islamica da 1200 anni

ci ha raccontato a proposito della nascita della religione e della civiltà islamica

e questo a circa 200 anni di distanza dagli avvenimenti.

Oggi dovremo tornare indietro sui nostri passi

e cercare di dimenticare quello che crediamo di sapere su Muhammad,

l'Islam, i musulmani, l'Arabia e la conquista dell'Oriente Romano e dell'Impero Perseano.

Credo che per narrarvi bene questa storia debba parlarvi dell'Arabia prima di Muhammad

e avrete notato che non ne ho parlato nell'ultimo episodio.

Eravate sorpresi, vero?

Infatti, nella nostra immaginazione,

l'Arabia di Muhammad è completamente diversa dalla Roma che siamo abituati a conoscere.

Si tratta di un mondo desertico, povero, lontano, depresso,

popolato da beduini che attraversano a dorso di cammello

le sabbie della penisola più arida del pianeta.

Gli Arabi ci appaiono dunque come dei nuovi arrivati sul palcoscenico della storia.

E se vi dicessi invece che gli Arabi sono una parte integrante del mondo antico

e la loro storia è intimamente intrecciata con quella romana e persiana?

Se avete ascoltato con attenzione, non credo che sarà una sorpresa.

Saltate a bordo e viaggiamo rapidamente verso le notti d'Oriente, verso la terra d'Arabia.

Sottotitoli e revisione a cura di QTSS

La cosa che si sente dire più spesso a riguardo della conquista araba e dell'espansione dell'Islam

è che fu beh... fatta dagli Arabi.

Oggi gli Egiziani sono Arabi, i Siriani sono Arabi, gli Irakeni sono Arabi.

Ma questo non era il caso alla nostra epoca, o almeno non del tutto.

Eppure anche se escludiamo queste regioni,

neanche in quella che siamo abituati a considerare come l'Arabia vera e propria,

a lungo non ci fu qualcosa o un gruppo etnico che si potesse chiamare Arabi,

ovvero un popolo con una chiara identità etnica.

In questo episodio seguiremo la storia della lenta etnogenesi degli Arabi,

che portò alla nascita di una cultura comune per un vasto gruppo di tribù con,

al massimo, alcune somiglianze linguistiche,

un'etnogenesi che si andò rafforzando nei secoli.

Un caveat però fin d'ora,

il processo di creazione di un'identità araba comune, per quanto possiamo capire,

inizia ben prima dell'arrivo dell'Islam, ma continua anche molto dopo la conquista,

in forme a volte nuove e che vedremo successivamente.

In sostanza l'identità araba è una conseguenza della conquista e dell'espansione dell'Islam,

non una causa.

L'Arabia antica aveva confini più ampi della moderna Arabia Saudita

e iniziava in realtà già ai margini della cosiddetta Mezzaluna Fertile.

Petra e Bosra, con quasi l'intera Giordania moderna, facevano parte dell'Arabia,

così come ogni territorio a sud delle Ofrate, in quello che oggi è l'Iraq Meridionale.

Da questi confini settentrionali l'Arabia storica giungeva fino all'Oceano,

buona parte di quest'immensa regione era ed è estremamente arida,

composta soprattutto da deserti di sabbia e più spesso rocciosi.

Le principali eccezioni a questa regola di aridità assoluta

erano le aree che da sempre ospitavano le società più avanzate dell'Arabia,

lo Yemen a sud e l'Oman a sud-est sono piuttosto fertili,

ricevendo un po' di umidità e di freddo.

Qui si poteva praticare una qualche forma di agricoltura,

qui nacquero le prime civiltà arabe.

Altrove l'Arabia antica era caratterizzata da una rete di oasi,

dove era possibile trovare acqua nel sottosuolo grazie a porzi artesiani,

irrigando aree più o meno vaste.

Non immaginatevi un oasi come un laghetto con qualche tipo di fonte di acqua,

ma un oasis che si riempisce di un'area più o meno vasta.

Non immaginatevi un oasi come un laghetto con quattro palme,

le oasi possono coprire anche decine di chilometri quadrati.

Le oasi e le relativamente fertili terre del sud,

che che ne dica la tradizione,

era dove viveva la maggior parte della popolazione araba.

Infatti la maggior parte degli arabi non erano nomadi del deserto,

ma agricoltori e commercianti.

La zona veramente arida, completamente inospitale,

era soprattutto il centro della penisola,

mentre ai suoi bordi, lungo il mare, era più possibile trovare città e oasi.

Tra i confini dello stato iemenita e le ultime propaggeni del dominio romano

si estendeva lo Ijaz, la regione di origine di Muhammad,

dominato dalle tre città di Yatrib, Taif e Mecca.

Non c'è da stupirsi che lo Yemen, con la sua florida agricoltura,

produsse anche la civiltà più antica e sviluppata della regione.

D'altronde nell'antichità lo Yemen era conosciuto come

Arabia Felix, l'Arabia Felice, ovvero la parte rigogliosa dell'Arabia.

In tempi biblici, nel primo millennio avanti Cristo,

qui sorse il regno di Saba, celebre per la mitica regina di Saba.

Nel primo secolo avanti Cristo, nei tempi in cui la Repubblica Romana

discendeva verso il caos della guerra sociale,

lo Yemen fu unificato dal regno di Imyar, di gran lunga il più importante

stato dell'Arabia Meridionale. L'Imyar, come vedremo, ebbe una

lunghissima storia istituzionale che si interruppe solo ai tempi di Giustiniano.

Molto più a nord, ai confini della Palestina e sull'orlo

della grande civiltà mediterranea, nacque invece la potenza Nabatea.

I Nabatei fondarono la loro magnifica capitale

in uno dei più affascinanti luoghi della terra, il Canyon di Petra,

oggi in Giordania, nella quale realizzarono magnifiche opere di

canalizzazione per accogliere l'acqua e dove alzarono monumenti che

rivaleggiavano con lo splendore di qualunque città romana.

Da tempo sogno di visitarla, almeno da quando la vidi sul grande schermo al

cinema come la città del deserto di Indiana Jones e l'ultima crociata.

Era il 1989, ero un bambino e il mondo stava per cambiare per sempre.

Il regno dei Nabatei si diede all'impero romano ai tempi di Traiano,

forse volontariamente. Il territorio del regno fu costituito in una nuova

provincia, l'Arabia Petrea, che nella tarda antichità fu divisa in più

province, come d'abitudine. Questo territorio romano non aveva verso

il deserto un confine esatto. I romani presidiavano per esempio delle

importanti oasi, ben al di là dei confini che trovate di solito sulle map,

fino al cuore della moderna Arabia Saudita. Alcuni degli abitanti di questo

vasto dominio erano molto fieri di considerarsi romani.

Un reggimento militare costituito dalla tribù di Tammud eresse un tempio in

onore di Marco Aurelio a pochi chilometri a nord di Yatrib, la città

che diverrà un giorno Medina, nell'Oijaz. Allo stesso tempo i nomadi

beduini non riconoscevano l'autorità politica romana e si muovevano

piuttosto liberamente all'interno di queste linee immaginarie, senza

preoccuparsi troppo di inesistenti passaporti o della volontà degli

imperatori. La maggior parte degli abitanti di

questa vasta area era consapevole di parlare lingue intelligibili tra loro e

come vedremo nei secoli si andò sviluppando un sentimento unitario.

All'alba del nostro Evo, ai tempi dei primi imperatori romani, si trattava però

più che altro di una collezione di comunità divise secondo linee tribali.

Ovviamente non parliamo di tribù primitive ma delle tribù clan che

abbiamo già incontrato più volte in questa storia, come nel caso della Roma

Antica con i suoi Fabi, Claudi e Giuli, come per i clan scozzesi o le Fare

Longobarde, si trattava di gruppi allargati uniti da una vaga origine

familiare comune. Come in tutte le società dove non esiste lo Stato o

comunque la forza della legge è molto debole, l'appartenenza ad un clan offre un

certo livello di protezione. In caso di delitti o di offese contro un suo

appartenente la tribù si incaricava infatti di esigere vendetta, i Longobardi

avrebbero parlato di faida. Si tratta di una tipica organizzazione umana studiata

dall'antropologia e comune a tantissime culture, anche lontanissime. Una tribù

per capirsi non deve per forza vivere tutta in prossimità ma può essere

distribuita anche su un vasto territorio, frammista ad altre tribù, costituendo un

network di legami e di contatti utili anche ovviamente all'avanzamento

personale o agli affari o alla costruzione di un potere politico.

Ancora oggi molti stati moderni sono organizzati con forme tribali, nelle

quali per esempio eleggere un presidente di una certa tribù attrarrà

inevitabilmente le ire della tribù nemica. La tribù era il vero mattone della

società araba, come avrete capito i Quraysh nominati nel precedente episodio

sarebbero stati una di queste tribù. L'ascesa dell'impero sassanide nel terzo

secolo portò ad una sorta di cortina di ferro in oriente tra romani e persiani.

Come sappiamo da per un pugno di barbari questo diede l'opportunità ad una

potenza regionale semitica e parzialmente araba, Palmira, di diventare

per un po' di tempo l'arbitro della regione. A Palmira si adorava la dea

Allat, carado denato e zenobia. Allat ha una chiara origine etimologica

simile a quella della parola maschile della divinità, Allah, ed inoltre come

vedremo perfino citata nel Qur'an. Un'altra città dove il culto di Allat

era molto forte era Taif, nell'Oijaz, a poca distanza da Medina e Mecca.

Il grande gioco tra le due superpotenze antiche finì ovviamente per investire

anche l'Arabia. L'assenza di risorse e il costo immenso che avrebbe richiesto

presidiare le vaste distese dell'Arabia sconsigliò ai due imperi di colonizzare

direttamente la regione, o almeno di provarci. Entrambi invece stabilirono

relazioni privilegiate con una serie di tribù di confine o con i più lontani

regni costieri dell'Arabia. Il Mar Rosso in particolare aveva un'importanza

crescente per i Romani, visto che era l'unica via d'accesso alle ricchezze

dell'India che non fosse controllata direttamente dai persiani.

Inoltre l'Imiar produceva un prodotto che era richiestissimo nell'impero romano,

l'incenso. Una delle spiegazioni tradizionali dell'importanza commerciale

di Mecca, almeno secondo il Qur'an, era che questa fosse una tappa del percorso

carovaniero dell'incenso, dallo Yemen al mondo romano.

Peccato però che non ha molto senso trasportare l'incenso via terra invece

che sul Mar Rosso e se proprio si deve andare per vie interne non è davvero

agevole passare per Mecca, ma su questo punto ci torneremo.

Comunque sia, l'incenso veniva bruciato nei templi politeistici di tutto il

Mediterraneo ed era la principale fonte di guadagno dell'Imiar, al punto che

l'arrivo del cristianesimo inizialmente fu rovinoso per gli Yemeniti, perché

nella tarda antichità l'associazione dell'incenso con il culto pagano impedì

inizialmente il suo utilizzo per le funzioni cristiane, a differenza di oggi.

Come abbiamo visto nel podcast, le tensioni tra le due superpotenze si

calmarono a fine IV secolo per rimanere tutto sommato sopite per tutto il V.

Solo con l'arrivo al potere di Giustino e Giustiniano la rivalità tra i due

imperi sfociò nuovamente in un ciclo di guerre distruttive destinato a durare un

secolo fino ai tempi di Eraclio. Nel quadro di questa rivalità l'intera

geopolitica dell'Arabia ne uscì rivoluzionata. Il regno dell'Imiar fu la

prima vittima. Giustiniano voleva assicurarsi una via per l'India che non

passasse tra le mani e le tasse dei persiani.

L'imperatore fece quindi intervenire il dirimpettaio regno cristiano di Axum, la

moderna Etiopia, un regno alleato dell'impero romano. Era il 525. Gli Etiopi

conquistarono l'Imiar ponendo fine a sei secoli ininterrotti di statualità

iemenita, uno shock che fu importante per tutta l'Arabia. Per quasi 50 anni un

importante generale etiope governò come vice re di Axum in Imiar.

La dominazione etiope ebbe anche conseguenze religiose visto che

l'ebraismo di stato dell'Imiar fu sostituito dal cristianesimo. 50 anni

dopo la conquista dell'Imiar scoppiò la nuova guerra romano-persiana tra il

folle Giustino II e Cosro I. Siamo al 572 all'incirca i tempi della

nascita di Muhammad. In quegli anni Cosro inviò un grande esercito di

conquista in Yemen espellendo gli axumiti e installando un dominio diretto

persiano con tanto di governatore e una forte guarnigione. Non solo, nei decenni

precedenti e successivi la Persia colonizzò, occupò o istituì regni

clienti su tutte le coste del golfo persico e dell'oceano indiano. Dal

moderno Qatar al Loman e lungo tutta la costa meridionale dell'Arabia fino ai

suoi domini yemeniti. Inevitabilmente la potenza persiana deve

essere penetrata in qualche modo anche verso l'interno grazie ai soliti

meccanismi di clientela, sovvenzioni e favoritismi che le grandi potenze

imperiali utilizzavano per invischiare nel loro volere le popolazioni e i loro

confini. Sappiamo perfino che i persiani

stabilirono delle miniere di oro ed argento nel centro dell'Arabia, nella

regione del Najd, creando anche una strada per trasportare il metallo

prezioso verso la Mesopotamia. A fine VI secolo i persiani dominavano in

sostanza gran parte della penisola arabica orientale e meridionale.

L'Ishasi di Muhammad fu una delle poche regioni che mantennero la propria

autonomia.

Sottotitoli e revisione a cura di QTSS

La situazione nel nord dell'Arabia era più complessa. Nel VI secolo la continua

guerra guerreggiata, alternata alla guerra fredda nelle brevi pause

intermedie, portò alla nascita o allo sviluppo di due grandi coalizioni

arabe di cui abbiamo già parlato. I persiani già a fine IV secolo si erano

alleati con il clan dei Nasridi, della tribù di Lakhm, ma fu Khawad I nel

504 a nominare Al-Mundir ibn Mann come capo di tutte le tribù arabe beduine

presenti su entrambi i lati della frontiera persiana. Con l'aiuto del

denaro e del sostegno persiano Al-Mundir fondò un'enorme coalizione araba che

dominava tutto il nord-est della regione, quelli che noi chiamiamo i Lakhmidi.

Questa confederazione araba contribuiva alle guerre dei persiani in qualità di

federati, o così li avrebbero chiamati i romani. Il loro esercito combatteva al

fianco dei persiani e patugliava il deserto e le oasi tra il moderno Iraq e

l'Oman. La loro capitale era Al-Hira, un'importante città che nacque come

accampamento militare arabo ma che si sviluppò poi in un'importante città

celebrata in tutta l'Arabia per essere quasi una città mitica che attirava i

migranti, mercanti, avventurieri da tutta la penisola. Al-Hira si trovava nell'Iraq

meridionale, a poca distanza dalle Eufrate e dalla fertile Mesopotamia, ma

già all'interno del deserto, in un'oasi fertile. Si trattava del più importante

bastione di difesa di Ctesi Fonte contro qualunque invasore proveniente da sud o

comunque dal deserto. Al-Hira divenne con il tempo una sorta di città mitica

per tutti gli arabi. Qui vivevano i ricchi e potenti, di solito al servizio

dello Shansha, i re dei persiani. Qui secondo la leggenda fu creato

l'alfabeto arabo e si sviluppò la fertile tradizione poetica pre-islamica.

Per gli arabi Al-Hira era un luogo magico.

Una notte un giorno al-Hira sono migliori di un anno di medicina, declama una poesia.

Per contrastare il potere degli acmidi, come sappiamo, i romani risposero

sponsorizzando la famiglia dei Jafnidi, della tribù di Ghassan, che viveva nei

dintorni del lago di Tiberiade. Il loro capo, Al-Harith ibn Jabal, divenne re di

tutti gli arabi che servivano Roma grazie al sostegno di Giustiniano e per

decenni fu il grande rivale di Al-Mundir e degli acmidi. La sua capitale, Al-Jabija,

era la grande rivale di Al-Hira. Si trovava nei pressi dell'Alture del Golan,

celebri per essere state occupate durante la guerra dei Seggiorni che

contrappose Israele ad una coalizione di stati arabi.

I Ghassanidi, in quanto federati romani, svolgevano la stessa funzione degli

acmidi, ma lo facevano nella regione che, dalla moderna Siria meridionale, arriva

fino al nord dell'Arabia Saudita, lambendo il confine settentrionale del

Lijaz di Muhammad. Da notare che i romani distinguevano in modo sottile tra gli

arabi civilizzati e i nomadi saraceni. I primi, gli arabi, erano in sostanza le

popolazioni sedentarie, dedicate all'agricoltura e che si cristianizzarono

molto presto, soprattutto nelle aree contigue con la Palestina.

Gli arabi erano in gran parte cittadini romani che parlavano e scrivevano in

arabo. I romani invece, in latino o in greco, chiamavano i nomadi del deserto

con il nome di saraceni, a prescindere dalla loro fedeltà o meno a Roma.

Nelle fonti persiani e siriache, invece, il nome degli arabi non sottomessi ai persiani

è tagliaje, che vuol dire appunto nomadi. I saraceni in questione erano

particolarmente rinomati sia dai persiani che dai romani come degli

ottimi esploratori e razziatori, oltre che le uniche truppe capaci di

attraversare in modo rapido ed efficace le vaste distese desertiche dell'Arabia,

dove i grandi eserciti imperiali non mettevano piede per evidenti problemi

logistici dovuti all'assenza delle risorse basilari per sfamare e dissetare

un grande esercito in marcia. Unità di saraceni entrarono a far parte

della macchina militare romana già nel IV secolo. Nei dintorni di Damasco è

stata trovata una tomba di un certo Imru al-Qais ibn Amr, che nell'escrizione si

dichiara re di tutti gli arabi. In una delle primissime escrizioni in lingua

araba, leggiamola. Questo è il monumento funerario di Imru al-Qais, figlio di Amr,

re degli arabi. Il suo titolo d'onore era maestro di Asad e Nisar. Nessun re ha

eguagliato i suoi successi. Successivamente morì nell'anno 223, il

settimo giorno di Kaslul. Oh fortuna di coloro che erano suoi amici.

L'arabo si era già affermato come lingua scritta con un suo alfabeto, un

passaggio fondamentale per la costruzione di qualunque identità etnica.

Per esempio un certo Sharahil ibn Zalim ci ha lasciato un'iscrizione nel 568,

che è per metà in greco e per metà in arabo e che parla del martirio di un

cristiano. Allo stesso tempo, mentre il greco e l'aramaico erano le lingue

parlate dalla maggior parte dei civili che interagevano con gli arabi e

sieraceni, la lingua che invece apprendevano negli accampamenti romani

restava il latino. E il latino è penetrato nell'arabo grazie a questo

contatto, soprattutto militare. Kastra per esempio è la fonte dell'arabo Qasr, che

vuol dire fortezza. Un'altra parola latina è Sirat, strada, che deriva dalla

strada le vie militari romane che attraversavano il deserto, come la grande

via di Diocleziano che collegava Petra a Bosra.

Tra l'altro la parola Sirat è molto importante per i musulmani perché è

impiegata nella principale preghiera musulmana, ovvero la Suraprente o Al-Fatiha.

Insomma nel VI secolo possiamo iniziare a parlare di quella che Hoyland definisce

secondary state formation e che io definirei costruzione statale di riflesso

in italiano. Si tratta di un fenomeno che abbiamo già seguito più volte nel

podcast, gruppi di quelli che i romani chiamavano barbari tendono a coalizzarsi

e a coagularsi sulle frontiere imperiali per effetto sia della pressione negativa

dei romani, occorre difendersi da invasioni dall'impero, sia soprattutto

per i contatti frequenti, intensi e sostenuti nel tempo con il mondo

imperiale. Lo stesso meccanismo è all'opera sulla frontiera renana e

danubiana, è così che nascono le coalizioni dei

franchi, alemanni, goti, longobardi e gepidi, il vero contrattare germanico di

gassanidi e lachmidi. Si tratta di un processo che porta alla fondazione di

rudimentali strutture statali che imitano quelle imperiali adattandosi al

contesto. Ne ho parlato a proposito dei tervingi e greutungi nel libro Il Miglior

nemico di Roma. Nel caso degli arabi lachmidi e gassanidi, questo processo

portò alla creazione di comandi e gerarchie militari, di una capitale con

infrastrutture che imitavano quelle romane e persiane, di una corte con la

sua organizzazione e amministrazione, finanziata da qualche rudimentale forma

di tassazione e soprattutto dalla generosità degli imperi. Le opportunità

di carriera e gli stipendi che si potevano guadagnare al servizio degli

imperi fungevano da vero magnete per tutti gli arabi, al punto che gruppi

familiari, fino perfino a intere tribù, si trasferirono verso le terre dei Banu

Gassan e Banu Lachm. In queste corti si dava impulso alla cultura araba, per

esempio nella forma della grande poesia pre-islamica che presto impareremo a

conoscere e che divenne la base di una comune identità araba. La scrittura,

l'alfabeto, un esercito, un singolo re a guidare tutti,

abbiamo già visto questi fattori al lavoro in altri casi di etnogenesi, di

costruzione di una nuova identità comune. Manca però un ultimo elemento che, come

abbiamo visto nel caso dei goti o dei franchi, è fondamentale per costruire

l'infrastruttura di una nuova società e di un nuovo stato. La religione. Anche

qui però vedremo che il mondo dell'arabia pre-islamica era molto diverso

da quanto ci hanno spesso raccontato.

L'antica Arabia non era frammentata solo da un punto di vista culturale e

politico, ma anche religioso. Come abbiamo visto il Qur'an sostiene che l'Arabia

prima dell'avvento dell'islam fosse una sorta di paradiso del politeismo antico.

La religione ancestrale degli arabi sarebbe stata centrata su vari culti

locali, idoli e dei tribali. Questi dei erano di solito adorati in dei santuari

locali, spesso legati ad un albero, una sorgente o una roccia sacra. Un caso

classico è quello della siriaca Emesa, dove dominava il culto di El Gabbal,

centrato su una roccia sacra, forse un meteorite adorato come manifestazione

del dio El Gabbal, quello che diede il nome ad Elio Gabbalo e che è

identificato anche con il nome romano di Sol Invictus. Oggi a Mecca c'è una

roccia per certi versi molto simile, un meteorite all'interno della Kaaba, nel

cuore della moschea più importante del mondo islamico. I santuari di queste

divinità politeistiche si trovavano spesso al centro di un'area sacra, detta

Haram, dove non potevano avvenire violenze, un po' come nel trono di spade

e la città dei Dothraki, dove non si può versare sangue appena la morte, ma una

doccia d'oro fuso può andare. Un Haram era di solito gestito da una tribù

potente che, controllando il santuario, controllava anche l'oasi e l'intera

comunità, come nel caso dei Quraysh di Mecca. Questi santuari erano dedicati a

diverse divinità. Conosciamo il nome di tre di esse grazie

proprio al Qur'an. Nei celebri versetti satanici il libro sacro islamico cita i

nomi di ben tre dee, Alalat, Al-Uzà e Manat, con lo scopo però di denunciarle

come dee false bugiarde, per dirla come Dante. Comunque sia, si tratta dell'unico

accenno a nomi di divinità politeistiche che si trova nel Qur'an e per questo ha

attratto l'interesse di molti intellettuali studiosi nel corso dei

secoli. Una curiosità è che sono stati proprio

questi versetti a fare da ispirazione al celebre romanzo di Salman Rushdie, che

gli è immevalso una fatua e una vita molto difficile, come ci è stato

ricordato dal recente attacco da lui subito negli Stati Uniti.

Tornando però alle religioni pre-islamiche, nonostante quanto sostenuto

dal Qur'an, oggi sappiamo che il politeismo era in deciso declino già nel

VI secolo e quasi scomparso al VII secolo. Il monoteismo infatti iniziò a

penetrare in Arabia già dal I secolo d.C. e fece passi da gigante ben

prima dell'arrivo dell'Islam. La prima ondata di monoteisti fu quella

dell'Evropa ebraica. Molti ebrei probabilmente si trasferirono in Arabia

sin dai tempi della distruzione del II Tempio, in seguito alla rivolta

ebraica ai tempi di Nerone e Vespasiano. Come abbiamo visto, nel VII secolo

l'Arabia vantava un'importantissima popolazione ebraica, con interi tribù

che seguivano questa religione. Non è chiaro se si trattasse di discendenti di

antichi emigranti ebrei, oppure di convertiti, o di un misto dei due.

Considerando però che a quest'epoca l'ebraismo era molto più a suo agio con

il proselitismo rispetto all'epoca moderna, penso sia assai più probabile

che si tratti in gran parte di convertiti. D'altronde, altrimenti non si spiega come

un intero stato. L'Imiar decise di convertirsi al giudaismo e ne fece la

religione di stato fino alla conquista etiope del 525. Lo stesso avverrà nelle

steppe della Russia con i Qazari. Dopo gli ebrei arrivarono i cristiani.

Sospettiamo che molti gruppi cristiani, via via espulsi dall'impero romano,

abbiano trovato rifugio in Arabia. Questo sin dagli albori del cristianesimo,

secondo gli storici moderni. Anzi, l'Arabia era una sorta di ricettacolo di

dee espulse dall'impero. Eppure il vero boom del monoteismo in

Arabia è infatti quasi in sincrono con quanto avviene nel mondo romano,

segno dell'importante relazione economica, culturale e commerciale tra Roma e Arabia.

Subito dopo l'arrivo di Costantino sul trono romano, infatti, assistiamo ad un

vero e proprio boom del cristianesimo nella penisola arabica. Come prevedibile, gli arabi

che vivevano dentro ai confini del mondo romano si convertirono presto al cristianesimo niceno.

Con il tempo lo stesso si può dire anche di molte tribù di Saraceni, i nomadi beduini,

in particolare quelli che formeranno la confederazione dei Gassanidi.

A partire dal V secolo, dopo il concilio di Calcedonia, la maggior parte dei cristiani

del nord della penisola arabica erano però di confessione monofisita. Questo creò frizioni con

la politica imperiale che ovviamente spingeva Calcedonia. Ma il cristianesimo non rimase

limitato alle aree sotto il diretto controllo dell'impero romano o di quello dei Gassanidi.

L'affermarsi in Persia del cristianesimo nestoriano portò il nestorianesimo a mettere

radici anche in Arabia, irraggiandosi proprio dai principali centri nestoriani in Mesopotamia.

Oggi sono stati scavati decine di antichi monasteri cristiani sulle coste del Golfo

Persico. Uno è stato trovato di recente negli Emirati Arabi Uniti. Lo trovate nell'immagine

dell'episodio. Altrove furono i calcedoniani a fare proselitismo, come nel caso dell'Oimiar,

dove non vivevano solo ebrei, ma anche una nutrita minoranza di cristiani. Anzi,

la persecuzione di monaci e semplici cristiani da parte dell'Oimiar ebraico fu il caso sbelli

utilizzato da Giustiniano e dagli Etiopi per muovergli guerra e conquistarlo, anche se le

vere ragioni del conflitto avevano più a che fare con la geopolitica che con la religione.

Ma lo sappiamo, con Giustiniano è sempre difficile dividere le due cose.

A fine VI secolo, nel 594, perfino i lachmidi di Al-Hira decisero di convertirsi al cristianesimo,

con sommo scorno del zoroastriano Cosro II, che infatti non apprezzò affatto questa evoluzione.

Come vedremo, Al-Hira divenne sede vescovile e lo sarà per secoli, anche nei periodi di

decadenza che verranno. Alla fine dei conti sono stati trovati siti, monasteri, chiese,

iscrizioni arabo-cristiane in tutta l'Arabia, con una sola eccezione, l'Oijaz di Muhammad.

Effettivamente, la regione dove nacque il movimento islamico sembra non essere stata

toccata in alcun modo dal cristianesimo, e invece essere stata influenzata in modo

importante dall'ebraismo. Questo è un fattore importante da tenere a mente,

perché, come vedremo, nel Quran è evidente che l'autore, o gli autori,

siano molto a loro agio con le dottrine cristiane, e sembra come se il Quran si

aspettasse che il suo pubblico, chi legge, lo sia a sua volta. Un altro piccolo tassello

dei grandi dubbi che circondano l'intera genesi dell'Islam.

L'arrivo del monachesimo cristiano portò con sé anche le ultime tendenze culturali

del mondo cristiano-romano, una certa attenzione all'esperienza ascetica dei

monaci, gli atleti di Dio che abbiamo già incontrato nella storia dei quasi contemporanei

Gregorio Magno e Colombano. Unito a questo, i monaci portarono con loro gli afflati escatologici,

ovvero quella tendenza a considerare imminente la fine del mondo, che abbiamo già visto,

per esempio, di nuovo nel caso di Gregorio Magno, e che sappiamo pervadeva tutto il mondo

intellettuale tardo-antico tra il VI e il VII secolo. D'altronde è facile comprendere come mai,

ovunque gli uomini guardassero, non potevano non notare come la loro civiltà sembrasse

in disfacimento. I grandi monumenti si disgregavano e non venivano ricostruiti,

le strade erano invase d'erba e di sabbia, ovunque era visibile la decadenza delle città

e dei commerci, il declino demografico, il progressivo disgregarsi del convivere civile

causato dalla grande guerra, le stesse ricorrenti pandemie di Yersinia pestis,

sembravano confermare a tutti che il mondo fosse sulla soglia di quello che gli intellettuali

romani di lingua greca chiamavano l'eschaton, la fine del mondo. Il nuovo testamento era molto

chiaro a proposito dell'apocalisse, dell'antichristo e del ritorno di Gesù, simili tendenze sono

riscontrabili anche nel contemporaneo pensiero ebraico. L'attesa degli ultimi giorni,

della fine del mondo, sarà una delle componenti fondamentali dell'islam,

in questo Muhammad e il Quran sono completamente immersi nel miliere culturale dell'epoca.

Dunque ricapitolando, il monoteismo era conosciuto nelle sue varie forme nell'Arabia del VII secolo,

ai tempi di Muhammad, e credo che fu proprio l'affermarsi del monoteismo che permise la

formulazione di un mito fondativo degli arabi, un elemento fondamentale per la maggior parte

delle etnogenesi. I gruppi etnici hanno bisogno di un'origine mitica del loro gruppo, di solito

un'origine che confermi la loro specialità, l'affermazione della loro originalità e importanza

rispetto a tutti gli altri gruppi umani circostanti. Nel caso degli arabi, il mito

fondativo dell'etnogenesi araba del VII secolo è tutto centrato sull'origine abra mitica degli

arabi, che tanta importanza avrà nello spiegare la genesi della ummah islamica. Vista la presenza

di questo mito nel Quran, credo che fosse già diffuso in Arabia ben prima della nascita

dell'islam. Ho già fatto accenno a questa storia, gli arabi sarebbero discendenti di retti di Abramo,

proprio come gli ebrei. A differenza delle dodici tribù ebraiche discendenti di Isacco, gli arabi

discenderebbero da Ishmael, il figlio che Abramo ebbe con una schiava egiziana, Agar. Ovviamente

per dei politeisti questa storia non avrebbe alcuna importanza, quindi è evidente che il mito si andò

formando con la penetrazione del culto dell'unico dio in Arabia, soprattutto grazie al primitivo

proselitismo ebraico. Allora, tra il I e il III secolo, per gli arabi convertitisi al monoteismo

divenne fondamentale inquadrare la loro identità nell'intelaiatura dell'Antico Testamento. In

questa narrazione gli arabi divennero quindi degli antichi monoteisti, seguaci anche loro

della legge di Abramo. Nei secoli però avrebbero in gran parte perduto la loro ancestrale religione

monoteistica. I monoteisti arabi dicevano dunque di voler restaurare questa supposta antica religione

naturale degli arabi, rimuovendo le successive incrostazioni politeistiche. È un tema che tornerà

a proposito del messaggio di Muhammad. D'altronde il profeta non guarda avanti cercando di fondare

una nuova religione, ma afferma categoricamente di voler tornare alla religione naturale degli

arabi, di voler purificare l'originale religione monoteistica da qualunque influsso dei mushrikun,

gli associatori, coloro che associano all'unico dio altri elementi che non gli sono propri. Non

solo, i monoteisti arabi preislamici avevano anche loro un haram, un santuario speciale che

diventa cruciale per la loro identità. Come gli ebrei hanno il Tempio di Gerusalemme, così gli

arabi avevano la loro Kaba, la casa di Dio. Muhammad e i primi credenti parlano sovente

della cosiddetta tenda di Abramo, il luogo ancestrale del monoteismo degli arabi,

costruito dallo stesso Abramo assieme a Jishmael. Nel Quran la Kaba è menzionata molte volte,

anche con il nome di Baka, ma, dettaglio interessante, Mecca è solo nominata una

volta. Torneremo su questo punto, non temete. Il mondo degli arabi, in equilibrio instabile a

confine tra le due grandi superpotenze dell'antichità, entrò in una fase di turbolento

cambiamento sul finire del VI secolo. La guerra romano-persiana di Tiberio e Maurizio portò ad

un primo ripensamento di Maurizio per quanto riguardava i gassanidi. Maurizio,

da magister militum per orientem, finì per dubitare della fedeltà del loro grande re Al-Mundir III.

Nel 581 Maurizio convince l'imperatore Tiberio a far arrestare ed isiliare in Sicilia il re dei

gassanidi. Una volta rimosso il filarca dei gassanidi, Maurizio mosse guerra al suo erede,

finendo poi per dissolvere la confederazione gassanide ai tempi in cui era già imperatore.

I gassanidi rimasero una delle potenze arabe nella regione siriaco-palestinese,

ma il resto delle tribù arabe da loro guidate recuperarono l'indipendenza,

negoziando con Roma singoli trattati di alleanza. Probabile che Maurizio spezzò la coalizione

gassanide anche per risparmiare sui fondi che venivano inviati dai romani al loro re.

La guerra di Tiberio e Maurizio terminò con la fuga di Cosro II in Romania e la decisione di

Maurizio di rimetterlo sul trono nel 592. Due anni dopo, nel 594, i lachmidi si convertirono

alla fede cristiana, come ho detto insospettendo non poco lo zoroastriano Cosro II. Deve essersela

legata al dito, perché lo shansha decise di frammentare il potere dei lachmidi, come i romani

avevano fatto con i gassanidi. Al di là delle questioni religiose, credo che i persiani debbono

aver deciso che privarsi del sostegno dei lachmidi fosse preferibile a continuare a rafforzarli. Non

sia mai che un giorno gli venga qualche grillo nella testa, tipo l'idea di conquistare l'intero

impero persiano. Cosro attese l'occasione giusta quando nel 610 Sharbaraz conquistò Antiochia e

mise l'impero romano sostanzialmente in fuga, Cosro II mosse contro il clan dei lachm,

distruggendone la potenza unificatrice. Nei seguenti anni i persiani presero possesso

della Siria e della Palestina, conquistata nel 614. Ne farlo recisero gli ultimi legami

tra Roma e le tribù che erano dipese dal volere di Costantinopoli. Per ragioni diverse dunque,

al 614 tutte le tribù che erano dipese dalle sovvenzioni di romani e persiani si ritrovarono

senza fondi e senza i consueti vantaggi della vicinanza politica ai rispettivi imperi.

Ctesi Fonte ormai controllava tutti i territori circostanti l'Arabia, dalla Siria all'Egitto,

dalla Mesopotamia all'Oman, dallo Yemen alla Palestina. Cosro II, in uno dei suoi calcoli

politici che gli costarono la testa, deve aver deciso che non aveva più bisogno degli Arabi,

ora che era l'unica superpotenza rimasta sul campo. Erano gli Arabi che avevano bisogno di lui,

si era passati da un duopolio imperiale a un monopolio imperiale. Non c'è quindi da stupirsi

che molti Arabi iniziarono a lanciare attacchi e saccheggi in direzione delle terre fertili

circostanti il loro mondo, sia forse per una certa fedeltà ai romani, in qualche caso sia

più probabilmente per fare pressione sulle autorità persiane, in modo da convincere Cosro II a pagargli

le consuete sovvenzioni così importanti per una società tribale, perché di solito sono la

principale fonte di metallo prezioso con il quale i capi tribali si comprano la fedeltà del loro

comitatus di guerrieri tribali. È in questo periodo che la sicurezza in Palestina, Siria e

Mesopotamia si degrada al punto che molti cristiani lasciano monasteri e città per rifugiarsi altrove,

per esempio in Italia. Impegnato come era però in una danza mortale con l'impero romano, Cosro II

deve aver valutato le razzie arabe come in sostanza delle punture di spillo, come un prezzo

che tutto sommato valeva la pena di pagare in cambio della vittoria finale. Le razzie arabe

era una questione tutto sommato secondaria rispetto all'obiettivo principale che rimaneva

la sconfitta dei romani. Notate nuovamente come le invasioni arabe, per ora sotto forma di razzie,

precedano l'affermarsi dell'autorità di Muhammad sugli arabi. Il grande movimento

delle popolazioni nomade dal deserto dell'Arabia verso tutti i territori della mezzaluna fertile

non è una conseguenza dell'affermarsi dell'Islam, ma è una conseguenza della guerra romano-persiana.

Nei loro attacchi contro gli occupanti persiani o contro la popolazione sedentaria circostante

il deserto, gli arabi compresero infine di essere diventati assai più forti di un tempo. Grazie a

Yersinia pestis, il VI secolo aveva falcidiato la popolazione sedentaria della mezzaluna fertile.

Le città erano sempre più dei gusci vuoti, con una popolazione declinante che veniva decimata

regolarmente ad ogni generazione da una nuova ondata di Yersinia. Ricordiamo che il batterio

Yersinia pestis non poteva diffondersi in regioni aride. La guerra aveva fatto il resto. L'ultima

grande guerra dell'antichità aveva ridotto la capacità militare dei due imperi, degradandone

gli eserciti, riducendone la dimensione e falcidiando l'economia che finanziava le grandi

strutture statali imperiali. Muhammad iniziò la sua esperienza mistica in questo ambiente,

in un mondo dove i rapporti di forza tra il centro e la periferia erano stati riequilibrati

da peste e guerra, in un'Arabia in gran parte occupata le sue frontiere dai persiani e che

cercava un modo di liberarsi dell'occupante zoroastriano, in una penisola percorsa da un

afflato monoteistico che stava prendendo il posto dell'antico politeismo, in una cultura

unificata dalla cultura e dall'alfabeto degli arabi. Spero che questo episodio sia riuscito

nello scopo di immergervi nella cultura degli arabi all'alba dell'islam, spero di aver dimostrato

quanto sia distante il mondo dei veri arabi da quello del nostro immaginario. Qui vorrei citare

le parole di Robert Hoyland che nel suo libro In God's Path, che consiglio assolutamente, ci dice

L'idea dell'Arabia come un mondo desertico, popolato solo da eroici, marziali, beduini, è

affascinante sia per la cultura occidentale che per molte società medio orientali, che hanno spesso

guardato al deserto arabico come la sorgente, la madrepatria da cui tutti discendono. Eppure il

mondo degli arabi all'inizio del VII secolo era molto diverso dalla cartolina che abbiamo in testa,

c'erano città e ampi tratti coltivati, le religioni dell'impero romano vi erano penetrate

in profondità come i tentacoli politici dei due grandi imperi della tarda antichità. Prima di

salutarci però vorrei citarvi una poesia dell'arabia pre-islamica che per la sua bellezza è considerata

una delle più importanti della letteratura araba, che sia sopravvissuta ai primi austeri e puritani

secoli dell'islam è una dimostrazione di quanto fosse apprezzata anche in tempi radicalmente

diversi, un po' come i romani cristianizzati a lungo non poterono fare a meno di Virgilio,

Orazio e Catullo. L'autore non è un arabo qualsiasi ma un vero principe. Imro al-Qais

era l'ultimo figlio di un re degli arabi detronizzato dai lachmidi di Almundir. Costretto

a causa di questo disastro ad una vita raminga tra la Mesopotamia e la Palestina finì alla corte

dei Gassanidi e poi di qui si recò anche a Costantinopoli dove a quanto pare conobbe di

persona Giustiniano. Morì nel 540 sulla via del ritorno in Arabia e secondo la tradizione è sepolto

ad Ancara dove la sua tomba in teoria esiste ancora oggi. La sua poesia più celebre Fermiamoci

e piangiamo è considerata una delle sette più belle del canone arabo. Imro al-Qais come altri

poeti narra la vita coraggiosa del Beduino di belle donne e grandi avventure nei suoi versi.

Ritrovo questo mondo di confine tra la cosiddetta civiltà dei grandi imperi e il mondo selvaggio

del deserto. Quando penserete dunque agli arabi nei prossimi episodi non pensate alla solita

immagine di nomadi sanguinari e barbari fuori usciti dal deserto. Certo c'è anche quello ma

come abbiamo appreso a conoscere più da vicino i goti riconoscendone infine la loro umanità spero

che questa poesia possa fare lo stesso per gli arabi. Ho dovuto tagliare qualcosa ma spero che

il risultato non ne risenta troppo. Fermatevi e qui piangiamo al ricordo di un accampamento e

della mia bella da tanto tempo perduta. Scirocco e Tramontana hanno spazzato a lungo queste dune,

quegli stessi venti che le avevano un tempo intessute. Ogni traccia è scomparsa, vi sono

solo escrementi di gazzella simili a grani di pepe. I miei compagni arrestano i loro corsieri

accanto al mio e mi gridano non abbatterti Imruikeis, non cedere allo sconforto. Ma come

posso non abbattermi? Come posso non cedere allo sconforto? Il mio pensiero corre già a quel mattino

in cui gli uomini caricavano i cammelli preparandosi al lungo viaggio e io vidi una

izzà per l'ultima volta. Queste mie lacrime possono forse lenire il dolore ma a che serve

ora spanderle su una traccia svanita? Così piangevo, oltre che per lei, per le altre belle

che se ne erano andate via, lasciando dietro di loro un profumo di muschio e di garofano. Lacrime

di passione mi inondavano il volto e la barba, quanti momenti felici. Ripenso a quel giorno,

ad Aragulgul, quando costrinsi le ragazze a uscire nude dall'acqua per riprendersi le loro vesti.

Per ricompensarle dello scherzo uccisi la mia cammella e imbandi un grande banchetto. E che

suavi ricordi, quando scendemmo il deserto dividendo la medesima sella, il palanchino

si inclinava di qua e di là sotto il nostro peso e una izzà mi scuoteva cercando di farmi cadere.

Stai ammazzando il cammello Imru Al-Kais, scendi subito o finiremo entrambi per andare a piedi.

Ed io a lei, allenta le briglie se vuoi ma non allontanarmi da quel frutto che ho colto più

volte. E ancora ricordo quando in cima a una duna lei mi lanciò un giuramento irrevocabile e io le

risposi beffardo. Se hai deciso di lasciarmi sia almeno gentile Unaiza e se qualcosa della mia

persona ti ha infastidito allora strappa il mio cuore dal tuo petto e gettalo via. Ti sbagli se

credi che l'amore che ho per te possa uccidermi, ti sbagli se credi che quelle lacrime siano frecce

che possano fare a brandelli il mio cuore. I suoi parenti mi avrebbero volentieri ucciso se

fossero riusciti a mettermi le mani addosso. Avevano disposto uomini di guardia attorno alla

tenda della ragazza per proteggere il suo onore ma quando le pleia di apparvero in cielo come

collane di perle abilmente superai le sentinelle e penetrai nella sua tenda dove la trovai già

svestita per la notte. Mi disse ridendo in nome di dio Umro Alcais non è possibile trarti in

inganno hai una natura incorreggibile. Uscimmo insieme dalla tenda io la precedevo lei mi

seguiva trascinando una veste sulla sabbia per cancellare le nostre impronte. Scivolammo oltre

il recinto in un luogo segreto tra le dune e quando lei si chinò su di me io l'afferrai

slanciata e pallida dalla vita sottile le gambe levigate bella di seno e di corpo. Levava al mento

con orgoglio il collo sottile come quello di una gazzella i riccioli le piovevano neri sulle spalle

folti come un grappolo di datteri. Fattasi donna nelle sue vesti di fanciulla lei ben sapeva come

incantare anche i più saggi tra gli uomini. Oh Unaizza le follie svaniscono con la gioventù

ma non muta il mio amore per te. Ricordi sembrava che le stelle fossero state inchiodate alle

montagne e le pleiadi legate a solide rocce come onde del mare la notte distendeva i suoi mille

veli su di noi. Che lunga lunghissima notte pareva non volesse dissolversi mai nell'aurora e gli

uccelli non erano ancora usciti dai niti quando di primo mattino mi allontanai a cavallo attraverso

il deserto. Grazie mille per l'ascolto e grazie a Valerio Riccardo Antonio e Caterina per essere le

mie magnifiche voci in questo episodio. Questo podcast appartiene a tutti i miei sostenitori ma

in particolare a livello Giuseppe Verdi, Massimiliano Pastore e Mauro Sammarati e a livello

Dante Alighieri, Musumeci, Manuel Marchio, Marco il Nero, Massimo Ciampiconi, Mike Lombardi, David

Lapostata, Luca Baccaro, Guglielmo De Martino e Daniele Farina. Grazie anche ai Leonardo Da Vinci,

Paolo, Pablo, Ido e Jacopo, Riccardo, Frazemo, Enrico, Alberto, Davide, Andrea Vovola ed Agostini,

Settimio, Giovanni, Cesare, Francesco, Favazza e Cateni, Jerome, Diego, Alancik, Flavio,

Edoardo Vacherre de Natale, Stefano, Luca da Milano e Luca Lanotte, Arianna, Maria Teresa,

John, Fazdev, Norman, Claudio, Marco, Barba King, Alfredo, Manuel, Lorenzo, Corrado, Piernicola,

Totila, Vito, Tascio, Inspaten, Carlo, Matteo, Luigi Loretti e Boselli, Simone, Deborah, Pietro,

Tascani Discovery e Giorgio. Alla prossima puntata!

Sottotitoli e revisione a cura di QTSS

Sottotitoli e revisione a cura di QTSS


L'Arabia prima dell'Islam Arabien vor dem Islam Αραβία πριν το Ισλάμ Arabia before Islam Arabia antes del Islam L'Arabie avant l'islam Arabia przed islamem A Arábia antes do Islão Arabien före islam

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Questo è un video che mi ha fatto un po' di cuore per essere tornato ad ascoltarmi anche quest'anno.

Sì, parlo proprio con te. Sí, te estoy hablando a ti.

Sei tu che mi permetti di fare quello che amo. Sois vosotros los que me permitís hacer lo que amo.

Senza di te io non sarei qui.

Ne approfitto per ricordarvi e prometto che è una delle ultime volte che è uscito il mio nuovo libro,

Il Miglior Nemico di Roma.

Se lo avete comprato, se vi è piaciuto o volete farmi sapere cosa ne pensate,

posso consigliarvi di lasciare una recensione su Amazon, Feltrinelli, Goodreads.

Aiuto il libro, promesso.

E se non l'avete comprato per le feste, beh, gennaio è un mese buono come tutti gli altri.

Quest'episodio è dedicato a Lorenzo Da Carne, un bimbo di 7 anni, figlio di Saverio.

Lorenzo, mi pare che stai andando alla grande.

Ho visto la tua foto vestito da antico romano.

Siamo tutti fieri di te.

Grazie anche a tutti i 345 sostenitori su Patreon, Taipeee e Youtube.

Ragazzi, meno 55.

Non sono poi così tanti.

Se siete in ascolto, potreste essere i 55 ascoltatori che mancano a raggiungere quota 400.

Vista la lunga pausa, ma soprattutto vista l'incredibile vostra generosità,

ho diverse persone da ringraziare oggi.

Grazie Mauro Samarati per esserti aggiunto al duo a livello Giuseppe Verdi, da 50€,

e anche per la magnifica serata crema.

A proposito, grazie anche a Federico Re per avermi aiutato per Ancona.

I nuovi mecenati su Patreon sono a livello Galileo Galilei,

Eike, Michele Bina, Maurizio Colombo, Stefano Pepe, Ilbone, David Bertini, Matteo Rizzolli e 13 Minuti.

Mentre su Taipeee abbiamo Agents in Rebus e Paolo Lucciola.

A livello Marco Polo abbiamo su Patreon Leonardo Guida e Alexandre da Silva Mello dal Brasile.

Su Taipeee Angelo Michele e Ernesto Barbero.

Grazie a tutti!

Ringrazio inoltre Daniele Farina per essere passato al magico gruppo a livello Dan Talighieri,

Luigi Boselli per essere passato a Leonardo Da Vinci,

e Angelo Salustri per essere arrivato al Galileo Galilei.

Inoltre ringrazio i tanti che hanno aderito al mio appello e sono passati da Patreon e Taipeee,

che garantisce minori costi per entrambi.

Niente IVA per voi e un costo minore per me.

Questo mese sono stati Valerio Barbaking, Luca Damilano, John Ellis, Cesare Bagnari,

Jerome Tron, Fazdev, Mike Lombardi, Tascani Discovery, Pietro Milazzo, Carlo Benvissuto,

Simone Provenzano, Andrea Skywalker, Paolo Tazioli, Yuri Giovannoni, Stefano Po e Alberto Goldoni.

Wow, scusate la lunga lista, ma un enorme grazie!

Mi avete tutti fatto un grandissimo regalo di Natale.

Spero di non deludervi lungo tutto il 2023.

Innanzitutto il mea culpa.

Ahimè ho pronunciato ben due parole in modo scorretto.

La prima è proprio il nome più comune di tutti.

Muhammad e non Muhammad.

A quanto pare ho preso la pronuncia francofona del suo nome, scusate.

Inoltre Mushrikun e non Mushikrun.

Qui ho semplicemente sbagliato la prima volta e mi sono tirato dietro l'errore.

Grazie di cuore a tutti quelli che me lo hanno segnalato.

Nello scorso episodio abbiamo ripercorso gli eventi della vita di Muhammad

ed il suo immediato successore, Abu Bakr,

per comprendere quello che la tradizione islamica da 1200 anni

ci ha raccontato a proposito della nascita della religione e della civiltà islamica

e questo a circa 200 anni di distanza dagli avvenimenti.

Oggi dovremo tornare indietro sui nostri passi

e cercare di dimenticare quello che crediamo di sapere su Muhammad,

l'Islam, i musulmani, l'Arabia e la conquista dell'Oriente Romano e dell'Impero Perseano.

Credo che per narrarvi bene questa storia debba parlarvi dell'Arabia prima di Muhammad

e avrete notato che non ne ho parlato nell'ultimo episodio.

Eravate sorpresi, vero?

Infatti, nella nostra immaginazione,

l'Arabia di Muhammad è completamente diversa dalla Roma che siamo abituati a conoscere.

Si tratta di un mondo desertico, povero, lontano, depresso,

popolato da beduini che attraversano a dorso di cammello

le sabbie della penisola più arida del pianeta.

Gli Arabi ci appaiono dunque come dei nuovi arrivati sul palcoscenico della storia.

E se vi dicessi invece che gli Arabi sono una parte integrante del mondo antico

e la loro storia è intimamente intrecciata con quella romana e persiana?

Se avete ascoltato con attenzione, non credo che sarà una sorpresa.

Saltate a bordo e viaggiamo rapidamente verso le notti d'Oriente, verso la terra d'Arabia.

Sottotitoli e revisione a cura di QTSS

La cosa che si sente dire più spesso a riguardo della conquista araba e dell'espansione dell'Islam

è che fu beh... fatta dagli Arabi.

Oggi gli Egiziani sono Arabi, i Siriani sono Arabi, gli Irakeni sono Arabi.

Ma questo non era il caso alla nostra epoca, o almeno non del tutto.

Eppure anche se escludiamo queste regioni,

neanche in quella che siamo abituati a considerare come l'Arabia vera e propria,

a lungo non ci fu qualcosa o un gruppo etnico che si potesse chiamare Arabi,

ovvero un popolo con una chiara identità etnica.

In questo episodio seguiremo la storia della lenta etnogenesi degli Arabi,

che portò alla nascita di una cultura comune per un vasto gruppo di tribù con,

al massimo, alcune somiglianze linguistiche,

un'etnogenesi che si andò rafforzando nei secoli.

Un caveat però fin d'ora,

il processo di creazione di un'identità araba comune, per quanto possiamo capire,

inizia ben prima dell'arrivo dell'Islam, ma continua anche molto dopo la conquista,

in forme a volte nuove e che vedremo successivamente.

In sostanza l'identità araba è una conseguenza della conquista e dell'espansione dell'Islam,

non una causa.

L'Arabia antica aveva confini più ampi della moderna Arabia Saudita

e iniziava in realtà già ai margini della cosiddetta Mezzaluna Fertile.

Petra e Bosra, con quasi l'intera Giordania moderna, facevano parte dell'Arabia,

così come ogni territorio a sud delle Ofrate, in quello che oggi è l'Iraq Meridionale.

Da questi confini settentrionali l'Arabia storica giungeva fino all'Oceano,

buona parte di quest'immensa regione era ed è estremamente arida,

composta soprattutto da deserti di sabbia e più spesso rocciosi.

Le principali eccezioni a questa regola di aridità assoluta

erano le aree che da sempre ospitavano le società più avanzate dell'Arabia,

lo Yemen a sud e l'Oman a sud-est sono piuttosto fertili,

ricevendo un po' di umidità e di freddo.

Qui si poteva praticare una qualche forma di agricoltura,

qui nacquero le prime civiltà arabe.

Altrove l'Arabia antica era caratterizzata da una rete di oasi,

dove era possibile trovare acqua nel sottosuolo grazie a porzi artesiani,

irrigando aree più o meno vaste.

Non immaginatevi un oasi come un laghetto con qualche tipo di fonte di acqua,

ma un oasis che si riempisce di un'area più o meno vasta.

Non immaginatevi un oasi come un laghetto con quattro palme,

le oasi possono coprire anche decine di chilometri quadrati.

Le oasi e le relativamente fertili terre del sud,

che che ne dica la tradizione,

era dove viveva la maggior parte della popolazione araba.

Infatti la maggior parte degli arabi non erano nomadi del deserto,

ma agricoltori e commercianti.

La zona veramente arida, completamente inospitale,

era soprattutto il centro della penisola,

mentre ai suoi bordi, lungo il mare, era più possibile trovare città e oasi.

Tra i confini dello stato iemenita e le ultime propaggeni del dominio romano

si estendeva lo Ijaz, la regione di origine di Muhammad,

dominato dalle tre città di Yatrib, Taif e Mecca.

Non c'è da stupirsi che lo Yemen, con la sua florida agricoltura,

produsse anche la civiltà più antica e sviluppata della regione.

D'altronde nell'antichità lo Yemen era conosciuto come

Arabia Felix, l'Arabia Felice, ovvero la parte rigogliosa dell'Arabia.

In tempi biblici, nel primo millennio avanti Cristo,

qui sorse il regno di Saba, celebre per la mitica regina di Saba.

Nel primo secolo avanti Cristo, nei tempi in cui la Repubblica Romana

discendeva verso il caos della guerra sociale,

lo Yemen fu unificato dal regno di Imyar, di gran lunga il più importante

stato dell'Arabia Meridionale. L'Imyar, come vedremo, ebbe una

lunghissima storia istituzionale che si interruppe solo ai tempi di Giustiniano.

Molto più a nord, ai confini della Palestina e sull'orlo

della grande civiltà mediterranea, nacque invece la potenza Nabatea.

I Nabatei fondarono la loro magnifica capitale

in uno dei più affascinanti luoghi della terra, il Canyon di Petra,

oggi in Giordania, nella quale realizzarono magnifiche opere di

canalizzazione per accogliere l'acqua e dove alzarono monumenti che

rivaleggiavano con lo splendore di qualunque città romana.

Da tempo sogno di visitarla, almeno da quando la vidi sul grande schermo al

cinema come la città del deserto di Indiana Jones e l'ultima crociata.

Era il 1989, ero un bambino e il mondo stava per cambiare per sempre.

Il regno dei Nabatei si diede all'impero romano ai tempi di Traiano,

forse volontariamente. Il territorio del regno fu costituito in una nuova

provincia, l'Arabia Petrea, che nella tarda antichità fu divisa in più

province, come d'abitudine. Questo territorio romano non aveva verso

il deserto un confine esatto. I romani presidiavano per esempio delle

importanti oasi, ben al di là dei confini che trovate di solito sulle map,

fino al cuore della moderna Arabia Saudita. Alcuni degli abitanti di questo

vasto dominio erano molto fieri di considerarsi romani.

Un reggimento militare costituito dalla tribù di Tammud eresse un tempio in

onore di Marco Aurelio a pochi chilometri a nord di Yatrib, la città

che diverrà un giorno Medina, nell'Oijaz. Allo stesso tempo i nomadi

beduini non riconoscevano l'autorità politica romana e si muovevano

piuttosto liberamente all'interno di queste linee immaginarie, senza

preoccuparsi troppo di inesistenti passaporti o della volontà degli

imperatori. La maggior parte degli abitanti di

questa vasta area era consapevole di parlare lingue intelligibili tra loro e

come vedremo nei secoli si andò sviluppando un sentimento unitario.

All'alba del nostro Evo, ai tempi dei primi imperatori romani, si trattava però

più che altro di una collezione di comunità divise secondo linee tribali.

Ovviamente non parliamo di tribù primitive ma delle tribù clan che

abbiamo già incontrato più volte in questa storia, come nel caso della Roma

Antica con i suoi Fabi, Claudi e Giuli, come per i clan scozzesi o le Fare

Longobarde, si trattava di gruppi allargati uniti da una vaga origine

familiare comune. Come in tutte le società dove non esiste lo Stato o

comunque la forza della legge è molto debole, l'appartenenza ad un clan offre un

certo livello di protezione. In caso di delitti o di offese contro un suo

appartenente la tribù si incaricava infatti di esigere vendetta, i Longobardi

avrebbero parlato di faida. Si tratta di una tipica organizzazione umana studiata

dall'antropologia e comune a tantissime culture, anche lontanissime. Una tribù

per capirsi non deve per forza vivere tutta in prossimità ma può essere

distribuita anche su un vasto territorio, frammista ad altre tribù, costituendo un

network di legami e di contatti utili anche ovviamente all'avanzamento

personale o agli affari o alla costruzione di un potere politico.

Ancora oggi molti stati moderni sono organizzati con forme tribali, nelle

quali per esempio eleggere un presidente di una certa tribù attrarrà

inevitabilmente le ire della tribù nemica. La tribù era il vero mattone della

società araba, come avrete capito i Quraysh nominati nel precedente episodio

sarebbero stati una di queste tribù. L'ascesa dell'impero sassanide nel terzo

secolo portò ad una sorta di cortina di ferro in oriente tra romani e persiani.

Come sappiamo da per un pugno di barbari questo diede l'opportunità ad una

potenza regionale semitica e parzialmente araba, Palmira, di diventare

per un po' di tempo l'arbitro della regione. A Palmira si adorava la dea

Allat, carado denato e zenobia. Allat ha una chiara origine etimologica

simile a quella della parola maschile della divinità, Allah, ed inoltre come

vedremo perfino citata nel Qur'an. Un'altra città dove il culto di Allat

era molto forte era Taif, nell'Oijaz, a poca distanza da Medina e Mecca.

Il grande gioco tra le due superpotenze antiche finì ovviamente per investire

anche l'Arabia. L'assenza di risorse e il costo immenso che avrebbe richiesto

presidiare le vaste distese dell'Arabia sconsigliò ai due imperi di colonizzare

direttamente la regione, o almeno di provarci. Entrambi invece stabilirono

relazioni privilegiate con una serie di tribù di confine o con i più lontani

regni costieri dell'Arabia. Il Mar Rosso in particolare aveva un'importanza

crescente per i Romani, visto che era l'unica via d'accesso alle ricchezze

dell'India che non fosse controllata direttamente dai persiani.

Inoltre l'Imiar produceva un prodotto che era richiestissimo nell'impero romano,

l'incenso. Una delle spiegazioni tradizionali dell'importanza commerciale

di Mecca, almeno secondo il Qur'an, era che questa fosse una tappa del percorso

carovaniero dell'incenso, dallo Yemen al mondo romano.

Peccato però che non ha molto senso trasportare l'incenso via terra invece

che sul Mar Rosso e se proprio si deve andare per vie interne non è davvero

agevole passare per Mecca, ma su questo punto ci torneremo.

Comunque sia, l'incenso veniva bruciato nei templi politeistici di tutto il

Mediterraneo ed era la principale fonte di guadagno dell'Imiar, al punto che

l'arrivo del cristianesimo inizialmente fu rovinoso per gli Yemeniti, perché

nella tarda antichità l'associazione dell'incenso con il culto pagano impedì

inizialmente il suo utilizzo per le funzioni cristiane, a differenza di oggi.

Come abbiamo visto nel podcast, le tensioni tra le due superpotenze si

calmarono a fine IV secolo per rimanere tutto sommato sopite per tutto il V.

Solo con l'arrivo al potere di Giustino e Giustiniano la rivalità tra i due

imperi sfociò nuovamente in un ciclo di guerre distruttive destinato a durare un

secolo fino ai tempi di Eraclio. Nel quadro di questa rivalità l'intera

geopolitica dell'Arabia ne uscì rivoluzionata. Il regno dell'Imiar fu la

prima vittima. Giustiniano voleva assicurarsi una via per l'India che non

passasse tra le mani e le tasse dei persiani.

L'imperatore fece quindi intervenire il dirimpettaio regno cristiano di Axum, la

moderna Etiopia, un regno alleato dell'impero romano. Era il 525. Gli Etiopi

conquistarono l'Imiar ponendo fine a sei secoli ininterrotti di statualità

iemenita, uno shock che fu importante per tutta l'Arabia. Per quasi 50 anni un

importante generale etiope governò come vice re di Axum in Imiar.

La dominazione etiope ebbe anche conseguenze religiose visto che

l'ebraismo di stato dell'Imiar fu sostituito dal cristianesimo. 50 anni

dopo la conquista dell'Imiar scoppiò la nuova guerra romano-persiana tra il

folle Giustino II e Cosro I. Siamo al 572 all'incirca i tempi della

nascita di Muhammad. In quegli anni Cosro inviò un grande esercito di

conquista in Yemen espellendo gli axumiti e installando un dominio diretto

persiano con tanto di governatore e una forte guarnigione. Non solo, nei decenni

precedenti e successivi la Persia colonizzò, occupò o istituì regni

clienti su tutte le coste del golfo persico e dell'oceano indiano. Dal

moderno Qatar al Loman e lungo tutta la costa meridionale dell'Arabia fino ai

suoi domini yemeniti. Inevitabilmente la potenza persiana deve

essere penetrata in qualche modo anche verso l'interno grazie ai soliti

meccanismi di clientela, sovvenzioni e favoritismi che le grandi potenze

imperiali utilizzavano per invischiare nel loro volere le popolazioni e i loro

confini. Sappiamo perfino che i persiani

stabilirono delle miniere di oro ed argento nel centro dell'Arabia, nella

regione del Najd, creando anche una strada per trasportare il metallo

prezioso verso la Mesopotamia. A fine VI secolo i persiani dominavano in

sostanza gran parte della penisola arabica orientale e meridionale.

L'Ishasi di Muhammad fu una delle poche regioni che mantennero la propria

autonomia.

Sottotitoli e revisione a cura di QTSS

La situazione nel nord dell'Arabia era più complessa. Nel VI secolo la continua

guerra guerreggiata, alternata alla guerra fredda nelle brevi pause

intermedie, portò alla nascita o allo sviluppo di due grandi coalizioni

arabe di cui abbiamo già parlato. I persiani già a fine IV secolo si erano

alleati con il clan dei Nasridi, della tribù di Lakhm, ma fu Khawad I nel

504 a nominare Al-Mundir ibn Mann come capo di tutte le tribù arabe beduine

presenti su entrambi i lati della frontiera persiana. Con l'aiuto del

denaro e del sostegno persiano Al-Mundir fondò un'enorme coalizione araba che

dominava tutto il nord-est della regione, quelli che noi chiamiamo i Lakhmidi.

Questa confederazione araba contribuiva alle guerre dei persiani in qualità di

federati, o così li avrebbero chiamati i romani. Il loro esercito combatteva al

fianco dei persiani e patugliava il deserto e le oasi tra il moderno Iraq e

l'Oman. La loro capitale era Al-Hira, un'importante città che nacque come

accampamento militare arabo ma che si sviluppò poi in un'importante città

celebrata in tutta l'Arabia per essere quasi una città mitica che attirava i

migranti, mercanti, avventurieri da tutta la penisola. Al-Hira si trovava nell'Iraq

meridionale, a poca distanza dalle Eufrate e dalla fertile Mesopotamia, ma

già all'interno del deserto, in un'oasi fertile. Si trattava del più importante

bastione di difesa di Ctesi Fonte contro qualunque invasore proveniente da sud o

comunque dal deserto. Al-Hira divenne con il tempo una sorta di città mitica

per tutti gli arabi. Qui vivevano i ricchi e potenti, di solito al servizio

dello Shansha, i re dei persiani. Qui secondo la leggenda fu creato

l'alfabeto arabo e si sviluppò la fertile tradizione poetica pre-islamica.

Per gli arabi Al-Hira era un luogo magico.

Una notte un giorno al-Hira sono migliori di un anno di medicina, declama una poesia.

Per contrastare il potere degli acmidi, come sappiamo, i romani risposero

sponsorizzando la famiglia dei Jafnidi, della tribù di Ghassan, che viveva nei

dintorni del lago di Tiberiade. Il loro capo, Al-Harith ibn Jabal, divenne re di

tutti gli arabi che servivano Roma grazie al sostegno di Giustiniano e per

decenni fu il grande rivale di Al-Mundir e degli acmidi. La sua capitale, Al-Jabija,

era la grande rivale di Al-Hira. Si trovava nei pressi dell'Alture del Golan,

celebri per essere state occupate durante la guerra dei Seggiorni che

contrappose Israele ad una coalizione di stati arabi.

I Ghassanidi, in quanto federati romani, svolgevano la stessa funzione degli

acmidi, ma lo facevano nella regione che, dalla moderna Siria meridionale, arriva

fino al nord dell'Arabia Saudita, lambendo il confine settentrionale del

Lijaz di Muhammad. Da notare che i romani distinguevano in modo sottile tra gli

arabi civilizzati e i nomadi saraceni. I primi, gli arabi, erano in sostanza le

popolazioni sedentarie, dedicate all'agricoltura e che si cristianizzarono

molto presto, soprattutto nelle aree contigue con la Palestina.

Gli arabi erano in gran parte cittadini romani che parlavano e scrivevano in

arabo. I romani invece, in latino o in greco, chiamavano i nomadi del deserto

con il nome di saraceni, a prescindere dalla loro fedeltà o meno a Roma.

Nelle fonti persiani e siriache, invece, il nome degli arabi non sottomessi ai persiani

è tagliaje, che vuol dire appunto nomadi. I saraceni in questione erano

particolarmente rinomati sia dai persiani che dai romani come degli

ottimi esploratori e razziatori, oltre che le uniche truppe capaci di

attraversare in modo rapido ed efficace le vaste distese desertiche dell'Arabia,

dove i grandi eserciti imperiali non mettevano piede per evidenti problemi

logistici dovuti all'assenza delle risorse basilari per sfamare e dissetare

un grande esercito in marcia. Unità di saraceni entrarono a far parte

della macchina militare romana già nel IV secolo. Nei dintorni di Damasco è

stata trovata una tomba di un certo Imru al-Qais ibn Amr, che nell'escrizione si

dichiara re di tutti gli arabi. In una delle primissime escrizioni in lingua

araba, leggiamola. Questo è il monumento funerario di Imru al-Qais, figlio di Amr,

re degli arabi. Il suo titolo d'onore era maestro di Asad e Nisar. Nessun re ha

eguagliato i suoi successi. Successivamente morì nell'anno 223, il

settimo giorno di Kaslul. Oh fortuna di coloro che erano suoi amici.

L'arabo si era già affermato come lingua scritta con un suo alfabeto, un

passaggio fondamentale per la costruzione di qualunque identità etnica.

Per esempio un certo Sharahil ibn Zalim ci ha lasciato un'iscrizione nel 568,

che è per metà in greco e per metà in arabo e che parla del martirio di un

cristiano. Allo stesso tempo, mentre il greco e l'aramaico erano le lingue

parlate dalla maggior parte dei civili che interagevano con gli arabi e

sieraceni, la lingua che invece apprendevano negli accampamenti romani

restava il latino. E il latino è penetrato nell'arabo grazie a questo

contatto, soprattutto militare. Kastra per esempio è la fonte dell'arabo Qasr, che

vuol dire fortezza. Un'altra parola latina è Sirat, strada, che deriva dalla

strada le vie militari romane che attraversavano il deserto, come la grande

via di Diocleziano che collegava Petra a Bosra.

Tra l'altro la parola Sirat è molto importante per i musulmani perché è

impiegata nella principale preghiera musulmana, ovvero la Suraprente o Al-Fatiha.

Insomma nel VI secolo possiamo iniziare a parlare di quella che Hoyland definisce

secondary state formation e che io definirei costruzione statale di riflesso

in italiano. Si tratta di un fenomeno che abbiamo già seguito più volte nel

podcast, gruppi di quelli che i romani chiamavano barbari tendono a coalizzarsi

e a coagularsi sulle frontiere imperiali per effetto sia della pressione negativa

dei romani, occorre difendersi da invasioni dall'impero, sia soprattutto

per i contatti frequenti, intensi e sostenuti nel tempo con il mondo

imperiale. Lo stesso meccanismo è all'opera sulla frontiera renana e

danubiana, è così che nascono le coalizioni dei

franchi, alemanni, goti, longobardi e gepidi, il vero contrattare germanico di

gassanidi e lachmidi. Si tratta di un processo che porta alla fondazione di

rudimentali strutture statali che imitano quelle imperiali adattandosi al

contesto. Ne ho parlato a proposito dei tervingi e greutungi nel libro Il Miglior

nemico di Roma. Nel caso degli arabi lachmidi e gassanidi, questo processo

portò alla creazione di comandi e gerarchie militari, di una capitale con

infrastrutture che imitavano quelle romane e persiane, di una corte con la

sua organizzazione e amministrazione, finanziata da qualche rudimentale forma

di tassazione e soprattutto dalla generosità degli imperi. Le opportunità

di carriera e gli stipendi che si potevano guadagnare al servizio degli

imperi fungevano da vero magnete per tutti gli arabi, al punto che gruppi

familiari, fino perfino a intere tribù, si trasferirono verso le terre dei Banu

Gassan e Banu Lachm. In queste corti si dava impulso alla cultura araba, per

esempio nella forma della grande poesia pre-islamica che presto impareremo a

conoscere e che divenne la base di una comune identità araba. La scrittura,

l'alfabeto, un esercito, un singolo re a guidare tutti,

abbiamo già visto questi fattori al lavoro in altri casi di etnogenesi, di

costruzione di una nuova identità comune. Manca però un ultimo elemento che, come

abbiamo visto nel caso dei goti o dei franchi, è fondamentale per costruire

l'infrastruttura di una nuova società e di un nuovo stato. La religione. Anche

qui però vedremo che il mondo dell'arabia pre-islamica era molto diverso

da quanto ci hanno spesso raccontato.

L'antica Arabia non era frammentata solo da un punto di vista culturale e

politico, ma anche religioso. Come abbiamo visto il Qur'an sostiene che l'Arabia

prima dell'avvento dell'islam fosse una sorta di paradiso del politeismo antico.

La religione ancestrale degli arabi sarebbe stata centrata su vari culti

locali, idoli e dei tribali. Questi dei erano di solito adorati in dei santuari

locali, spesso legati ad un albero, una sorgente o una roccia sacra. Un caso

classico è quello della siriaca Emesa, dove dominava il culto di El Gabbal,

centrato su una roccia sacra, forse un meteorite adorato come manifestazione

del dio El Gabbal, quello che diede il nome ad Elio Gabbalo e che è

identificato anche con il nome romano di Sol Invictus. Oggi a Mecca c'è una

roccia per certi versi molto simile, un meteorite all'interno della Kaaba, nel

cuore della moschea più importante del mondo islamico. I santuari di queste

divinità politeistiche si trovavano spesso al centro di un'area sacra, detta

Haram, dove non potevano avvenire violenze, un po' come nel trono di spade

e la città dei Dothraki, dove non si può versare sangue appena la morte, ma una

doccia d'oro fuso può andare. Un Haram era di solito gestito da una tribù

potente che, controllando il santuario, controllava anche l'oasi e l'intera

comunità, come nel caso dei Quraysh di Mecca. Questi santuari erano dedicati a

diverse divinità. Conosciamo il nome di tre di esse grazie

proprio al Qur'an. Nei celebri versetti satanici il libro sacro islamico cita i

nomi di ben tre dee, Alalat, Al-Uzà e Manat, con lo scopo però di denunciarle

come dee false bugiarde, per dirla come Dante. Comunque sia, si tratta dell'unico

accenno a nomi di divinità politeistiche che si trova nel Qur'an e per questo ha

attratto l'interesse di molti intellettuali studiosi nel corso dei

secoli. Una curiosità è che sono stati proprio

questi versetti a fare da ispirazione al celebre romanzo di Salman Rushdie, che

gli è immevalso una fatua e una vita molto difficile, come ci è stato

ricordato dal recente attacco da lui subito negli Stati Uniti.

Tornando però alle religioni pre-islamiche, nonostante quanto sostenuto

dal Qur'an, oggi sappiamo che il politeismo era in deciso declino già nel

VI secolo e quasi scomparso al VII secolo. Il monoteismo infatti iniziò a

penetrare in Arabia già dal I secolo d.C. e fece passi da gigante ben

prima dell'arrivo dell'Islam. La prima ondata di monoteisti fu quella

dell'Evropa ebraica. Molti ebrei probabilmente si trasferirono in Arabia

sin dai tempi della distruzione del II Tempio, in seguito alla rivolta

ebraica ai tempi di Nerone e Vespasiano. Come abbiamo visto, nel VII secolo

l'Arabia vantava un'importantissima popolazione ebraica, con interi tribù

che seguivano questa religione. Non è chiaro se si trattasse di discendenti di

antichi emigranti ebrei, oppure di convertiti, o di un misto dei due.

Considerando però che a quest'epoca l'ebraismo era molto più a suo agio con

il proselitismo rispetto all'epoca moderna, penso sia assai più probabile

che si tratti in gran parte di convertiti. D'altronde, altrimenti non si spiega come

un intero stato. L'Imiar decise di convertirsi al giudaismo e ne fece la

religione di stato fino alla conquista etiope del 525. Lo stesso avverrà nelle

steppe della Russia con i Qazari. Dopo gli ebrei arrivarono i cristiani.

Sospettiamo che molti gruppi cristiani, via via espulsi dall'impero romano,

abbiano trovato rifugio in Arabia. Questo sin dagli albori del cristianesimo,

secondo gli storici moderni. Anzi, l'Arabia era una sorta di ricettacolo di

dee espulse dall'impero. Eppure il vero boom del monoteismo in

Arabia è infatti quasi in sincrono con quanto avviene nel mondo romano,

segno dell'importante relazione economica, culturale e commerciale tra Roma e Arabia.

Subito dopo l'arrivo di Costantino sul trono romano, infatti, assistiamo ad un

vero e proprio boom del cristianesimo nella penisola arabica. Come prevedibile, gli arabi

che vivevano dentro ai confini del mondo romano si convertirono presto al cristianesimo niceno.

Con il tempo lo stesso si può dire anche di molte tribù di Saraceni, i nomadi beduini,

in particolare quelli che formeranno la confederazione dei Gassanidi.

A partire dal V secolo, dopo il concilio di Calcedonia, la maggior parte dei cristiani

del nord della penisola arabica erano però di confessione monofisita. Questo creò frizioni con

la politica imperiale che ovviamente spingeva Calcedonia. Ma il cristianesimo non rimase

limitato alle aree sotto il diretto controllo dell'impero romano o di quello dei Gassanidi.

L'affermarsi in Persia del cristianesimo nestoriano portò il nestorianesimo a mettere

radici anche in Arabia, irraggiandosi proprio dai principali centri nestoriani in Mesopotamia.

Oggi sono stati scavati decine di antichi monasteri cristiani sulle coste del Golfo

Persico. Uno è stato trovato di recente negli Emirati Arabi Uniti. Lo trovate nell'immagine

dell'episodio. Altrove furono i calcedoniani a fare proselitismo, come nel caso dell'Oimiar,

dove non vivevano solo ebrei, ma anche una nutrita minoranza di cristiani. Anzi,

la persecuzione di monaci e semplici cristiani da parte dell'Oimiar ebraico fu il caso sbelli

utilizzato da Giustiniano e dagli Etiopi per muovergli guerra e conquistarlo, anche se le

vere ragioni del conflitto avevano più a che fare con la geopolitica che con la religione.

Ma lo sappiamo, con Giustiniano è sempre difficile dividere le due cose.

A fine VI secolo, nel 594, perfino i lachmidi di Al-Hira decisero di convertirsi al cristianesimo,

con sommo scorno del zoroastriano Cosro II, che infatti non apprezzò affatto questa evoluzione.

Come vedremo, Al-Hira divenne sede vescovile e lo sarà per secoli, anche nei periodi di

decadenza che verranno. Alla fine dei conti sono stati trovati siti, monasteri, chiese,

iscrizioni arabo-cristiane in tutta l'Arabia, con una sola eccezione, l'Oijaz di Muhammad.

Effettivamente, la regione dove nacque il movimento islamico sembra non essere stata

toccata in alcun modo dal cristianesimo, e invece essere stata influenzata in modo

importante dall'ebraismo. Questo è un fattore importante da tenere a mente,

perché, come vedremo, nel Quran è evidente che l'autore, o gli autori,

siano molto a loro agio con le dottrine cristiane, e sembra come se il Quran si

aspettasse che il suo pubblico, chi legge, lo sia a sua volta. Un altro piccolo tassello

dei grandi dubbi che circondano l'intera genesi dell'Islam.

L'arrivo del monachesimo cristiano portò con sé anche le ultime tendenze culturali

del mondo cristiano-romano, una certa attenzione all'esperienza ascetica dei

monaci, gli atleti di Dio che abbiamo già incontrato nella storia dei quasi contemporanei

Gregorio Magno e Colombano. Unito a questo, i monaci portarono con loro gli afflati escatologici,

ovvero quella tendenza a considerare imminente la fine del mondo, che abbiamo già visto,

per esempio, di nuovo nel caso di Gregorio Magno, e che sappiamo pervadeva tutto il mondo

intellettuale tardo-antico tra il VI e il VII secolo. D'altronde è facile comprendere come mai,

ovunque gli uomini guardassero, non potevano non notare come la loro civiltà sembrasse

in disfacimento. I grandi monumenti si disgregavano e non venivano ricostruiti,

le strade erano invase d'erba e di sabbia, ovunque era visibile la decadenza delle città

e dei commerci, il declino demografico, il progressivo disgregarsi del convivere civile

causato dalla grande guerra, le stesse ricorrenti pandemie di Yersinia pestis,

sembravano confermare a tutti che il mondo fosse sulla soglia di quello che gli intellettuali

romani di lingua greca chiamavano l'eschaton, la fine del mondo. Il nuovo testamento era molto

chiaro a proposito dell'apocalisse, dell'antichristo e del ritorno di Gesù, simili tendenze sono

riscontrabili anche nel contemporaneo pensiero ebraico. L'attesa degli ultimi giorni,

della fine del mondo, sarà una delle componenti fondamentali dell'islam,

in questo Muhammad e il Quran sono completamente immersi nel miliere culturale dell'epoca.

Dunque ricapitolando, il monoteismo era conosciuto nelle sue varie forme nell'Arabia del VII secolo,

ai tempi di Muhammad, e credo che fu proprio l'affermarsi del monoteismo che permise la

formulazione di un mito fondativo degli arabi, un elemento fondamentale per la maggior parte

delle etnogenesi. I gruppi etnici hanno bisogno di un'origine mitica del loro gruppo, di solito

un'origine che confermi la loro specialità, l'affermazione della loro originalità e importanza

rispetto a tutti gli altri gruppi umani circostanti. Nel caso degli arabi, il mito

fondativo dell'etnogenesi araba del VII secolo è tutto centrato sull'origine abra mitica degli

arabi, che tanta importanza avrà nello spiegare la genesi della ummah islamica. Vista la presenza

di questo mito nel Quran, credo che fosse già diffuso in Arabia ben prima della nascita

dell'islam. Ho già fatto accenno a questa storia, gli arabi sarebbero discendenti di retti di Abramo,

proprio come gli ebrei. A differenza delle dodici tribù ebraiche discendenti di Isacco, gli arabi

discenderebbero da Ishmael, il figlio che Abramo ebbe con una schiava egiziana, Agar. Ovviamente

per dei politeisti questa storia non avrebbe alcuna importanza, quindi è evidente che il mito si andò

formando con la penetrazione del culto dell'unico dio in Arabia, soprattutto grazie al primitivo

proselitismo ebraico. Allora, tra il I e il III secolo, per gli arabi convertitisi al monoteismo

divenne fondamentale inquadrare la loro identità nell'intelaiatura dell'Antico Testamento. In

questa narrazione gli arabi divennero quindi degli antichi monoteisti, seguaci anche loro

della legge di Abramo. Nei secoli però avrebbero in gran parte perduto la loro ancestrale religione

monoteistica. I monoteisti arabi dicevano dunque di voler restaurare questa supposta antica religione

naturale degli arabi, rimuovendo le successive incrostazioni politeistiche. È un tema che tornerà

a proposito del messaggio di Muhammad. D'altronde il profeta non guarda avanti cercando di fondare

una nuova religione, ma afferma categoricamente di voler tornare alla religione naturale degli

arabi, di voler purificare l'originale religione monoteistica da qualunque influsso dei mushrikun,

gli associatori, coloro che associano all'unico dio altri elementi che non gli sono propri. Non

solo, i monoteisti arabi preislamici avevano anche loro un haram, un santuario speciale che

diventa cruciale per la loro identità. Come gli ebrei hanno il Tempio di Gerusalemme, così gli

arabi avevano la loro Kaba, la casa di Dio. Muhammad e i primi credenti parlano sovente

della cosiddetta tenda di Abramo, il luogo ancestrale del monoteismo degli arabi,

costruito dallo stesso Abramo assieme a Jishmael. Nel Quran la Kaba è menzionata molte volte,

anche con il nome di Baka, ma, dettaglio interessante, Mecca è solo nominata una

volta. Torneremo su questo punto, non temete. Il mondo degli arabi, in equilibrio instabile a

confine tra le due grandi superpotenze dell'antichità, entrò in una fase di turbolento

cambiamento sul finire del VI secolo. La guerra romano-persiana di Tiberio e Maurizio portò ad

un primo ripensamento di Maurizio per quanto riguardava i gassanidi. Maurizio,

da magister militum per orientem, finì per dubitare della fedeltà del loro grande re Al-Mundir III.

Nel 581 Maurizio convince l'imperatore Tiberio a far arrestare ed isiliare in Sicilia il re dei

gassanidi. Una volta rimosso il filarca dei gassanidi, Maurizio mosse guerra al suo erede,

finendo poi per dissolvere la confederazione gassanide ai tempi in cui era già imperatore.

I gassanidi rimasero una delle potenze arabe nella regione siriaco-palestinese,

ma il resto delle tribù arabe da loro guidate recuperarono l'indipendenza,

negoziando con Roma singoli trattati di alleanza. Probabile che Maurizio spezzò la coalizione

gassanide anche per risparmiare sui fondi che venivano inviati dai romani al loro re.

La guerra di Tiberio e Maurizio terminò con la fuga di Cosro II in Romania e la decisione di

Maurizio di rimetterlo sul trono nel 592. Due anni dopo, nel 594, i lachmidi si convertirono

alla fede cristiana, come ho detto insospettendo non poco lo zoroastriano Cosro II. Deve essersela

legata al dito, perché lo shansha decise di frammentare il potere dei lachmidi, come i romani

avevano fatto con i gassanidi. Al di là delle questioni religiose, credo che i persiani debbono

aver deciso che privarsi del sostegno dei lachmidi fosse preferibile a continuare a rafforzarli. Non

sia mai che un giorno gli venga qualche grillo nella testa, tipo l'idea di conquistare l'intero

impero persiano. Cosro attese l'occasione giusta quando nel 610 Sharbaraz conquistò Antiochia e

mise l'impero romano sostanzialmente in fuga, Cosro II mosse contro il clan dei lachm,

distruggendone la potenza unificatrice. Nei seguenti anni i persiani presero possesso

della Siria e della Palestina, conquistata nel 614. Ne farlo recisero gli ultimi legami

tra Roma e le tribù che erano dipese dal volere di Costantinopoli. Per ragioni diverse dunque,

al 614 tutte le tribù che erano dipese dalle sovvenzioni di romani e persiani si ritrovarono

senza fondi e senza i consueti vantaggi della vicinanza politica ai rispettivi imperi.

Ctesi Fonte ormai controllava tutti i territori circostanti l'Arabia, dalla Siria all'Egitto,

dalla Mesopotamia all'Oman, dallo Yemen alla Palestina. Cosro II, in uno dei suoi calcoli

politici che gli costarono la testa, deve aver deciso che non aveva più bisogno degli Arabi,

ora che era l'unica superpotenza rimasta sul campo. Erano gli Arabi che avevano bisogno di lui,

si era passati da un duopolio imperiale a un monopolio imperiale. Non c'è quindi da stupirsi

che molti Arabi iniziarono a lanciare attacchi e saccheggi in direzione delle terre fertili

circostanti il loro mondo, sia forse per una certa fedeltà ai romani, in qualche caso sia

più probabilmente per fare pressione sulle autorità persiane, in modo da convincere Cosro II a pagargli

le consuete sovvenzioni così importanti per una società tribale, perché di solito sono la

principale fonte di metallo prezioso con il quale i capi tribali si comprano la fedeltà del loro

comitatus di guerrieri tribali. È in questo periodo che la sicurezza in Palestina, Siria e

Mesopotamia si degrada al punto che molti cristiani lasciano monasteri e città per rifugiarsi altrove,

per esempio in Italia. Impegnato come era però in una danza mortale con l'impero romano, Cosro II

deve aver valutato le razzie arabe come in sostanza delle punture di spillo, come un prezzo

che tutto sommato valeva la pena di pagare in cambio della vittoria finale. Le razzie arabe

era una questione tutto sommato secondaria rispetto all'obiettivo principale che rimaneva

la sconfitta dei romani. Notate nuovamente come le invasioni arabe, per ora sotto forma di razzie,

precedano l'affermarsi dell'autorità di Muhammad sugli arabi. Il grande movimento

delle popolazioni nomade dal deserto dell'Arabia verso tutti i territori della mezzaluna fertile

non è una conseguenza dell'affermarsi dell'Islam, ma è una conseguenza della guerra romano-persiana.

Nei loro attacchi contro gli occupanti persiani o contro la popolazione sedentaria circostante

il deserto, gli arabi compresero infine di essere diventati assai più forti di un tempo. Grazie a

Yersinia pestis, il VI secolo aveva falcidiato la popolazione sedentaria della mezzaluna fertile.

Le città erano sempre più dei gusci vuoti, con una popolazione declinante che veniva decimata

regolarmente ad ogni generazione da una nuova ondata di Yersinia. Ricordiamo che il batterio

Yersinia pestis non poteva diffondersi in regioni aride. La guerra aveva fatto il resto. L'ultima

grande guerra dell'antichità aveva ridotto la capacità militare dei due imperi, degradandone

gli eserciti, riducendone la dimensione e falcidiando l'economia che finanziava le grandi

strutture statali imperiali. Muhammad iniziò la sua esperienza mistica in questo ambiente,

in un mondo dove i rapporti di forza tra il centro e la periferia erano stati riequilibrati

da peste e guerra, in un'Arabia in gran parte occupata le sue frontiere dai persiani e che

cercava un modo di liberarsi dell'occupante zoroastriano, in una penisola percorsa da un

afflato monoteistico che stava prendendo il posto dell'antico politeismo, in una cultura

unificata dalla cultura e dall'alfabeto degli arabi. Spero che questo episodio sia riuscito

nello scopo di immergervi nella cultura degli arabi all'alba dell'islam, spero di aver dimostrato

quanto sia distante il mondo dei veri arabi da quello del nostro immaginario. Qui vorrei citare

le parole di Robert Hoyland che nel suo libro In God's Path, che consiglio assolutamente, ci dice

L'idea dell'Arabia come un mondo desertico, popolato solo da eroici, marziali, beduini, è

affascinante sia per la cultura occidentale che per molte società medio orientali, che hanno spesso

guardato al deserto arabico come la sorgente, la madrepatria da cui tutti discendono. Eppure il

mondo degli arabi all'inizio del VII secolo era molto diverso dalla cartolina che abbiamo in testa,

c'erano città e ampi tratti coltivati, le religioni dell'impero romano vi erano penetrate

in profondità come i tentacoli politici dei due grandi imperi della tarda antichità. Prima di

salutarci però vorrei citarvi una poesia dell'arabia pre-islamica che per la sua bellezza è considerata

una delle più importanti della letteratura araba, che sia sopravvissuta ai primi austeri e puritani

secoli dell'islam è una dimostrazione di quanto fosse apprezzata anche in tempi radicalmente

diversi, un po' come i romani cristianizzati a lungo non poterono fare a meno di Virgilio,

Orazio e Catullo. L'autore non è un arabo qualsiasi ma un vero principe. Imro al-Qais

era l'ultimo figlio di un re degli arabi detronizzato dai lachmidi di Almundir. Costretto

a causa di questo disastro ad una vita raminga tra la Mesopotamia e la Palestina finì alla corte

dei Gassanidi e poi di qui si recò anche a Costantinopoli dove a quanto pare conobbe di

persona Giustiniano. Morì nel 540 sulla via del ritorno in Arabia e secondo la tradizione è sepolto

ad Ancara dove la sua tomba in teoria esiste ancora oggi. La sua poesia più celebre Fermiamoci

e piangiamo è considerata una delle sette più belle del canone arabo. Imro al-Qais come altri

poeti narra la vita coraggiosa del Beduino di belle donne e grandi avventure nei suoi versi.

Ritrovo questo mondo di confine tra la cosiddetta civiltà dei grandi imperi e il mondo selvaggio

del deserto. Quando penserete dunque agli arabi nei prossimi episodi non pensate alla solita

immagine di nomadi sanguinari e barbari fuori usciti dal deserto. Certo c'è anche quello ma

come abbiamo appreso a conoscere più da vicino i goti riconoscendone infine la loro umanità spero

che questa poesia possa fare lo stesso per gli arabi. Ho dovuto tagliare qualcosa ma spero che

il risultato non ne risenta troppo. Fermatevi e qui piangiamo al ricordo di un accampamento e

della mia bella da tanto tempo perduta. Scirocco e Tramontana hanno spazzato a lungo queste dune,

quegli stessi venti che le avevano un tempo intessute. Ogni traccia è scomparsa, vi sono

solo escrementi di gazzella simili a grani di pepe. I miei compagni arrestano i loro corsieri

accanto al mio e mi gridano non abbatterti Imruikeis, non cedere allo sconforto. Ma come

posso non abbattermi? Come posso non cedere allo sconforto? Il mio pensiero corre già a quel mattino

in cui gli uomini caricavano i cammelli preparandosi al lungo viaggio e io vidi una

izzà per l'ultima volta. Queste mie lacrime possono forse lenire il dolore ma a che serve

ora spanderle su una traccia svanita? Così piangevo, oltre che per lei, per le altre belle

che se ne erano andate via, lasciando dietro di loro un profumo di muschio e di garofano. Lacrime

di passione mi inondavano il volto e la barba, quanti momenti felici. Ripenso a quel giorno,

ad Aragulgul, quando costrinsi le ragazze a uscire nude dall'acqua per riprendersi le loro vesti.

Per ricompensarle dello scherzo uccisi la mia cammella e imbandi un grande banchetto. E che

suavi ricordi, quando scendemmo il deserto dividendo la medesima sella, il palanchino

si inclinava di qua e di là sotto il nostro peso e una izzà mi scuoteva cercando di farmi cadere.

Stai ammazzando il cammello Imru Al-Kais, scendi subito o finiremo entrambi per andare a piedi.

Ed io a lei, allenta le briglie se vuoi ma non allontanarmi da quel frutto che ho colto più

volte. E ancora ricordo quando in cima a una duna lei mi lanciò un giuramento irrevocabile e io le

risposi beffardo. Se hai deciso di lasciarmi sia almeno gentile Unaiza e se qualcosa della mia

persona ti ha infastidito allora strappa il mio cuore dal tuo petto e gettalo via. Ti sbagli se

credi che l'amore che ho per te possa uccidermi, ti sbagli se credi che quelle lacrime siano frecce

che possano fare a brandelli il mio cuore. I suoi parenti mi avrebbero volentieri ucciso se

fossero riusciti a mettermi le mani addosso. Avevano disposto uomini di guardia attorno alla

tenda della ragazza per proteggere il suo onore ma quando le pleia di apparvero in cielo come

collane di perle abilmente superai le sentinelle e penetrai nella sua tenda dove la trovai già

svestita per la notte. Mi disse ridendo in nome di dio Umro Alcais non è possibile trarti in

inganno hai una natura incorreggibile. Uscimmo insieme dalla tenda io la precedevo lei mi

seguiva trascinando una veste sulla sabbia per cancellare le nostre impronte. Scivolammo oltre

il recinto in un luogo segreto tra le dune e quando lei si chinò su di me io l'afferrai

slanciata e pallida dalla vita sottile le gambe levigate bella di seno e di corpo. Levava al mento

con orgoglio il collo sottile come quello di una gazzella i riccioli le piovevano neri sulle spalle

folti come un grappolo di datteri. Fattasi donna nelle sue vesti di fanciulla lei ben sapeva come

incantare anche i più saggi tra gli uomini. Oh Unaizza le follie svaniscono con la gioventù

ma non muta il mio amore per te. Ricordi sembrava che le stelle fossero state inchiodate alle

montagne e le pleiadi legate a solide rocce come onde del mare la notte distendeva i suoi mille

veli su di noi. Che lunga lunghissima notte pareva non volesse dissolversi mai nell'aurora e gli

uccelli non erano ancora usciti dai niti quando di primo mattino mi allontanai a cavallo attraverso

il deserto. Grazie mille per l'ascolto e grazie a Valerio Riccardo Antonio e Caterina per essere le

mie magnifiche voci in questo episodio. Questo podcast appartiene a tutti i miei sostenitori ma

in particolare a livello Giuseppe Verdi, Massimiliano Pastore e Mauro Sammarati e a livello

Dante Alighieri, Musumeci, Manuel Marchio, Marco il Nero, Massimo Ciampiconi, Mike Lombardi, David

Lapostata, Luca Baccaro, Guglielmo De Martino e Daniele Farina. Grazie anche ai Leonardo Da Vinci,

Paolo, Pablo, Ido e Jacopo, Riccardo, Frazemo, Enrico, Alberto, Davide, Andrea Vovola ed Agostini,

Settimio, Giovanni, Cesare, Francesco, Favazza e Cateni, Jerome, Diego, Alancik, Flavio,

Edoardo Vacherre de Natale, Stefano, Luca da Milano e Luca Lanotte, Arianna, Maria Teresa,

John, Fazdev, Norman, Claudio, Marco, Barba King, Alfredo, Manuel, Lorenzo, Corrado, Piernicola,

Totila, Vito, Tascio, Inspaten, Carlo, Matteo, Luigi Loretti e Boselli, Simone, Deborah, Pietro,

Tascani Discovery e Giorgio. Alla prossima puntata!

Sottotitoli e revisione a cura di QTSS

Sottotitoli e revisione a cura di QTSS