Capitolo 4. Il professor Terremoto
Se oggi andate a Reggio Calabria, o a Messina, avete la fortuna di vedere queste città di nuovo belle. E non potete immaginare come sono state queste città per tanti, tanti anni, dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. Io le ho viste, pochi mesi dopo quel triste giorno: prima il bel verde degli alberi, i fiori di aranci e limoni. Poi, dopo una curva, ho visto la tristezza di quelle città distrutte.
Vicino a me, sul treno, ci sono altri signori. Insieme cominciamo a parlare, ovviamente del terremoto. Tutti sono d'accordo: i lavori non vanno bene, le macerie sono ancora quasi tutte lì. Poi hanno cominciato a parlare, a dire belle e brutte storie su quella notte del 28 dicembre, a parlare di persone che sono morte, persone che hanno fatto grandi azioni, azioni da eroi.
C'è anche un signore molto magro, con la barba. Ascolta con molta attenzione quelle storie, le ascolta e si muove, non può stare fermo. Però qualche volta, durante la storia, dice una parola. Lo guardiamo, anche un po' arrabbiati, perché quella parola, in quel momento, è molto strana. Se l'eroe della storia è un uomo, si alza e dice:
‒ Disgraziato!
Se è una donna:
‒ Disgraziata!
Poi un ragazzo, in silenzio da molto tempo, gli chiede:
‒ Scusi, ma perché sono disgraziati?
Il signore con la barba, si vede, è molto contento, da molto aspetta questa domanda. Inizia a parlare in modo molto nervoso.
‒ Perché? Io lo so perché, caro signore! Lei si arrabbia, è vero? Anche lei ha sognato di essere lì, a Messina, restare vivo e salvare… non so, una ragazza eh? Cinque bambini, tre vecchi, eh? Parlo bene? Un eroe! Diciamo la verità… Ma, caro signore, caro signore, se ha salvato qualcuno, lei non può essere qui, tranquillo, forte, come adesso. Non è così, caro signore. No, dopo che ha fatto un'azione da eroe, lei è come me. Mi vede? Forse voi tutti non lo vedete, ma io sono un disgraziato! E lei vuole essere un eroe? Un disgraziato!
L'uomo si siede di nuovo, in silenzio. Anche noi non sappiamo più cosa dire.
Dopo un po', l'uomo sembra avere di nuovo voglia di parlare:
‒ Vuole il mio posto? ‒ chiede al giovane.
‒ No, perché?
‒ Perché qualche volta noi diciamo ad un'altra persona che sbaglia, ma solo perché ci piace il posto dove sta.
Il giovane ride e risponde:
‒ No, non voglio il suo posto. Secondo me, se uno fa un'azione bella, eroica, non è un disgraziato.
‒ No? ‒ risponde l'uomo con la barba. ‒ Ascoltate questa storia vera. Ho conosciuto una signora, malata da tanti anni, quasi non può camminare. Vive sempre sola con i suoi quattro bambini, perché il marito lavora lontano. Sapete cosa ha fatto la notte del terremoto? Ha preso i suoi quattro bambini e li ha portati fuori casa, ancora vivi! E sapete come? Lei abita al terzo piano: sale, prende un bambino e scende per i tetti, in un modo che un gatto non può fare! Poi sale di nuovo, e prende un altro bambino… Quattro volte! Questa donna che ha problemi a camminare!
Sicuramente, per voi, è stata una grande azione, da eroi. Disgraziata! Sapete cosa è successo? Il marito, che negli ultimi anni è stato distante e freddo con lei, la vede di nuovo bella. Ha visto questa grande azione quella notte e di nuovo l'ha amata! Presto lei ha aspettato di nuovo un bambino, ma dopo tre mesi ha perso il figlio in modo naturale e poi è morta… La grande azione ha portato la morte!
Il signore finisce di parlare. Tutti gli altri dicono che non è vero, non ha ragione, che di sicuro è morta perché malata.
Il signore con la barba però è sicuro:
‒ E se la signora non muore e il figlio nasce? Non è bello avere un figlio in più, se non può camminare. Già per questo è disgraziata. E poi… secondo voi il figlio che nasce grazie all'amore del marito, dopo il terremoto, nasce per l'azione che ha fatto la signora quella notte?
‒ Sì, certo!
‒ E allora anche il figlio perso e la morte sono cose successe dopo quella grande azione.
‒ La signora è malata, questo è vero. Ma la signora è già malata da molti anni. È morta perché ha fatto quella grande azione e quindi perché il marito ha visto lei di nuovo bella.
Il giovane risponde:
‒ Ma una madre non può lasciare i figli in casa, non può vedere i figli morire. Che madre è?
‒ Su questo sono d'accordo. Secondo lei è una grande persona.
Anche per me, anche per voi. E i figli sono vivi. Ma lei è morta. Posso, per questo motivo, chiamarla “disgraziata”?
Finisce di parlare per un attimo e poi continua, dopo pochi secondi:
‒ Il male non è poi per quella signora. Lei è morta. Hanno più dolore, più problemi quelli che sono vivi. Ma sapete perché vi dico questo? Sapete perché questa cosa mi fa arrabbiare? L'azione da eroe dura molto poco, un momento. È un momento bellissimo, ogni uomo prende tutte le sue forze e le sue cose migliori. E noi lo vediamo bello, forte, noi vediamo un eroe. Ma la vita è un'altra cosa. Che cosa è la vita? Tante cose brutte, o semplici, che noi dobbiamo fare, ogni giorno. Per questo ci piace l'azione eroica. Perché dimentichiamo le cose di ogni giorno.
Continua, il signore con la barba, continua a parlare.
‒ Io sono professore all'università. Oggi mi hanno detto quello che mi dite voi: quello che dico e scrivo non va bene, non è vero.
Vedete fuori queste città? Questo terremoto? Quindici anni fa c'è stato un altro terremoto, a Reggio Calabria. È stato un terremoto meno brutto, ma in quel momento, la paura è stata tanta: abbiamo visto i tetti delle case aperti e un secondo dopo chiusi… come gli occhi. Vi racconto quest'altra storia. Anche questa storia è vera.
Io ho abitato a Reggio Calabria. Sono un professore di filosofia e ho vissuto per molti anni in una stanza, insieme con due vecchi signori, la loro figlia vedova e i suoi tre bambini.
Quando è arrivato il terremoto, ho sentito subito tanta paura. Poi ho sentito i tre bambini piangere. Ho avuto anche io il mio momento da eroe! Con le scale distrutte, io sono passato dalla finestra, su un tetto e poi su un altro tetto più basso, e poi a terra. Per prendere sei persone e portarle con me, ho portato fuori una persona alla volta, un'altra e poi un'altra, con l'aiuto di Dio. Cinque volte! Prima i bambini, poi la mamma. Alla fine è stato il momento più duro con i vecchi genitori. La vecchia signora ha provato a scendere da sola. È caduta, si è fatta anche male, ma poi tutto è andato bene.
Quindi il terremoto finisce e grazie a me una bella famiglia è viva. Sono un eroe e la mia vita da eroe dura tre mesi.
Sono professore e mi danno una delle prime piccole case di legno per vivere. Naturalmente porto insieme a me anche quella famiglia e naturalmente loro tutti mi vogliono bene. Anche la mamma dei tre bambini, sola ma ancora giovane e bella! Mi sento bene, forte! Un'emozione bellissima.
Sono disgraziato? Sì, perché quel terremoto è finito. È finito anche questo di Messina. Ma la mia vita, ora, è un terremoto. Il finale di questa storia: sono ora padre di tre bambini che non sono miei, sono padre di cinque bambini che sono miei. Otto figli! Poi la moglie, poi il vecchio, poi la vecchia. Undici persone in casa, undici persone che devono mangiare, più io. Quel terremoto è finito. Ma la mia vita è ora un terremoto che non finisce più!
Ma sono stato un eroe! E ora dicono che non ho ragione, che lavoro male perché penso male!
Qualche volta cerco di pensare in modo diverso, tornare il professore giovane di quindici anni fa. Ma in questi momenti, arriva subito la vecchia signora. Ancora è arrabbiata con me, perché ho salvato prima gli altri. Si avvicina a me con la faccia cattiva e mi urla: “Terremoto! Terremoto! Terremoto!”.
I miei studenti lo hanno saputo e ora sapete come mi chiamano?
Il professor Terremoto.