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Podcast in Italia, Serve ancora l’esame di maturità? In Colombia

Serve ancora l'esame di maturità? In Colombia

Dalla redazione di Internazionale, io sono Giulia Zoli.

Io sono Claudio Rossi Marcelli e questo è Il Mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo dell'esame di maturità e di come si vive in Colombia.

E poi di un video di Le Monde e di un film.

È venerdì 23 giugno 2023.

Come è andata?

È passata, il che è già un ottimo risultato.

Io sono contento di quello che ho scritto.

Ho deciso di esprimere un po' più il mio pensiero su quello che penso della scuola.

Erano abbordabili, secondo me, soprattutto quelle di cultura generale.

La prossima prova domani inglese, dovrebbe andare bene quella.

Sono abbastanza brava in inglese, spero anche l'orale.

Andrà come andrà.

Il 21 giugno sono cominciati gli esami di maturità per 536.000 studenti.

La prima prova è stata quella di italiano, comune a tutti gli istituti.

E poi ci sarà una seconda prova, che quest'anno sarà latino per il liceo classico e matematica

per il liceo scientifico.

Mentre per gli istituti tecnici del settore economico, la seconda materia sarà economia

aziendale oppure progettazione, costruzione e impianti a seconda del tipo di indirizzo.

Parliamo degli esami di maturità con Cristian Raimo, insegnante, giornalista e scrittore,

che nel 2022 ha pubblicato l'ultima ora, Scuola Democrazia e Utopia, per Ponte alle Grazie.

Il 21 giugno abbiamo fatto la prima prova dell'esame di Stato.

Questo esame di Stato è la prova scritta in italiano ed è stata una prova abbastanza

deludente.

Sia noi docenti che gli studenti si aspettavano di meglio da queste tracce.

Ci poteva essere molto di meglio.

Negli anni passati c'era stato un buon esito della riforma che è stata fatta dalla commissione

Serianni della prova di italiano.

Invece sono uscite delle tracce che non sono piaciute quasi a nessuno.

Le due tracce, la traccia A, la tipologia di analisi del testo riguardava una poesia

di Quasimodo e un brano dagli indifferenti Moravia.

La traccia B, argomentativa, aveva tre brani.

Uno era tratto da Chabot, non l'ha fatta praticamente nessuno, tra gli denigrazioni

di Chabot.

Un'altra ci si è avventurato qualcuno sull'intervista della storia di Oriana Fallaci.

Poi c'era soprattutto, diciamo, hanno fatto l'ultima traccia, la settima traccia, la tipologia

C.

Bisognava commentare di fatto un articolo di Marco Belpoliti che faceva un po' l'elogio

dell'attesa nell'era della simultaneità di WhatsApp.

Delle tracce un po' banali e un po' complicate e forse non gradite da molti.

Parliamo proprio di queste tracce.

Questo è il primo esame di maturità da quando è entrato in carica il governo Meloni.

Cosa ci dice la scelta dei tremi trattati?

La scelta dei tremi trattati ci dice un po' veramente il progetto pedagogico di questo

governo purtroppo che si vede non soltanto in controluce ma in modo plateale dalle sette

tracce.

La più, diciamo, sgradevole è la sesta traccia che è quella addirittura in cui agli studenti

viene chiesto di commentare una lettera indirizzata all'ex ministro Bianchi che chiaramente indica

come nel progetto pedagogico di questo ministero, di questo governo, a partire dalla ridefinizione

del ministero come ministero dell'istruzione del merito, c'è un intento di rifondazione,

propagandistico e addirittura di polemica politica portata nelle tracce dell'esame di

Stato.

Questo è stato, come dire, non soltanto trascurata questa traccia ma è stata addirittura pesantemente

rifiutata agli studenti.

Nelle altre tracce si vede il ritorno del tema retorico.

Il tema retorico è il tema che si faceva fino a metà del novecento, insomma anche fine

novecento e cioè l'idea che bisognasse con parole auliche, con argomentazioni il più

possibile ampollose ripetere una tesi ideale che veniva esposta in quello che ci veniva

chiesto nella traccia e quindi la democrazia è molto bella, aiutare gli altri perché

no.

E un po' i brani scelti e anche soprattutto le domande che accompagnano questi brani scelti,

per esempio appunto la nazione che apre all'umanità, la Quasimodo con una bruttissima poesia che

raccontava lo sconcerto di fronte alla tecnologia, ma anche il tema portante l'italianista come

Bel Politi che raccontava invece semplicemente l'importanza dell'attesa nella società velocissima

di Whatsapp, davano agli studenti un po' il calcio per dire ma sì quanto è importante,

quanto sono stati importanti i bei tempi andati che non ci sono più.

Erano delle tracce quasi tutte un po' antimoderne e questo rispecchia molto come dire la prospettiva

politica e soprattutto educativa di questo governo qui.

Quindi molta retorica, molto passatismo, propaganda di basso livello, tanto vecchiume,

un po' l'odio nei confronti dei giovani di questo governo, insomma si sente in tante cose diverse che fa.

Al di là di queste tracce che molte persone come te hanno trovato deludenti, tu pensi che l'esame di maturità,

l'esame di Stato così come è pensato oggi, svolga ancora bene la sua funzione?

Dipende cosa intendiamo, che cosa può fare un esame di Stato.

Io penso che la scuola italiana in questo momento attraversi una grande crisi, non è sempre stato così,

è vero che la scuola è sempre in crisi, ma in questo momento la scuola ha una doppia crisi, una crisi di autorevolezza,

quindi effettivamente c'è una classe docente, perché la scuola è definanziata, perché appunto il corpo docenti

ha perso molto ruolo, ma perché ha perso soprattutto soldi.

Dall'altra parte anche una crisi dei saperi, cioè perché si studia oggi?

Per andare all'università, perché mi obbliga la famiglia, per il piacere della conoscenza,

quindi queste due crisi oggi si vedono nella scuola italiana, e queste due crisi si riverberano anche sul senso di un esame di Stato.

Se noi pensiamo che noi possiamo fare i riti di passaggio, quindi anche l'esame di Stato, un rito di passaggio, una serietà,

senza però fare i passaggi, cioè senza costruire intorno quell'importante liturgia educativa delle scuole superiori

in cui si esalta soprattutto l'aspetto della relazione educativa e non semplicemente l'aspetto della verifica,

come se non ci prepariamo a un rito di passaggio, e quindi tenerlo o non tenerlo può essere la stessa cosa.

Spesso si parla di scuola soltanto appunto quando ci sono degli eventi eccezionali,

che possono essere gli esami di maturità o il primo giorno di scuola, o l'accoltellamento della professoressa,

o il crollo di un edificio scolastico, insomma, mentre ci sono delle grandi trasformazioni che attraversano oggi la scuola,

che sono totalmente ignorate dal giornalismo, dai media, eccetera.

Parlando di come la scuola possa ancora evolversi e migliorarsi, nell'ultimo anno i giornali, questo sì, l'hanno raccontato,

si sono moltiplicati in Italia i casi di scuole che scelgono di non utilizzare voti numerici.

Tu hai scritto anche un articolo per Internazionale al riguardo sulla idea di voti e valutazione.

Secondo te questo approccio è utile e potrebbe avere successo in Italia?

Non secondo me. Secondo, per fortuna, la letteratura scientifica che è sempre più numerosa.

Chi si occupa di docimologia, che sarebbe la scienza della valutazione, negli ultimi anni lavora chiaramente molto a livello sperimentale.

Chiunque fa una ricerca sulla scuola chiaramente è una ricerca che deve avere dati presi da sperimentazioni fatte in classe o con gruppi di studenti.

E si è visto che anche sul lungo periodo, oggi abbiamo appunto studi che hanno dati raccolti in delle fasi temporalmente abbastanza lunghe,

si è visto che effettivamente la valutazione potrebbe essere molto trasformata.

Come dice il libro uscito da poco per Franco Angele di Cristiano Corsini, cioè farla diventare veramente una valutazione che educa.

Cioè non mettere la valutazione alla fine, quasi come corpo estraneo di un processo educativo che prescinde da valutazione,

ma mettere la valutazione al centro, a metà del processo educativo.

Quindi pensare che a partire da una progressiva consapevolezza che docenti e studenti hanno insieme,

delle capacità di progredire nello studio, nei metodi, nelle competenze, eccetera, eccetera,

noi poi possiamo darci altri obiettivi.

Il voto numerico chiaramente sembra sintetizzare questo processo e invece opacizza, nasconde tutto quello che è la grande complessità di una relazione educativa che sta anche nella valutazione.

Più per me è chiara, studente, quella valutazione, più io avrò un'autonomia nel capire come migliorare il mio metodo di studio e le mie competenze.

Parliamo poi in particolare della bocciatura, visto che questo è anche un periodo di promozione di quadri.

In Italia è ancora utilizzata spesso la bocciatura nelle scuole?

Noi abbiamo dei dati chiaramente OX del 2019, abbiamo dei dati sulle bocciature che sono dei due anni della pandemia e che quindi sono dati un po' modificati,

dovremmo vedere i dati di quest'anno.

Dalle prime rilevazioni a campione ti direi di sì, molto, e ti direi di sì rispetto ad altri paesi europei,

e ti direi di sì anche rispetto alle tendenze degli ultimi anni, e quindi quando si dice che in Italia si boccia poco è perché non si conosce qual è la verità.

Si boccia soprattutto al biennio delle superiori, si continua a bocciare addirittura alle medie, nonostante appunto oggi alle medie si possa promuovere per profitto,

anche se si hanno delle lacune molto grossi in alcune materie, ma per esempio si bocciano gli studenti che per una serie di ragioni accumulano molte assenze,

e chiaramente quelle assenze non sono capricciose, ma sono assenze che mostrano un percorso difficile del ragazzo o della ragazza.

Quindi si boccia sì tanto. La domanda su servono ancora le bocciature ha una risposta semplice ed è no, ma non lo dico io che ho una visione democratica,

ma molto radicale della scuola, quindi penso che a partire da più grandi pedagogisti democratici, da Don Milani a Bruno Ciari per arrivare a Belux, a Mierie, a Biesta,

a oggi le bocciature non servono, ma anche quelli che ragionano sulla scuola in termini di progressismo più liberali ne ragiona in modo molto accurato.

Mauro Piras che è un preside fiorentino ha scritto un paio di saggi su questo tema anche per le parole e le cose e mostra la luce anche qui di dati, di sperimentazione, di lunghe osservazioni,

di come bocciare in realtà non serve, non serve allo studente, non serve alla scuola, mentre servirebbe semplicemente la possibilità di ripensare i cicli e di progredire in alcune materie e invece restare con dei debiti in altre.

In questo bisognerebbe ripensare anche alle classi, perché noi oggi pensiamo che la classe è un corpo stabile, unico dall'inizio alla fine di quel ciclo, mentre potrebbe esserci un corpo classe più unito e più stabile e poi ci potrebbero essere invece delle materie che si fanno in altre classi,

quindi io potrei arrivare alla maturità appunto che sono promosso, ho dei buoni voti in sette materie e invece non ho finito fino alla quinta in altre materie e questo comunque mi darebbe la possibilità di essere promosso senza perdere l'intero anno e dover ripetere anche quelle materie su cui invece io riesco a muovermi meglio.

Grazie Cristian Raimo.

Grazie a voi, buon esame di stato, buona maturità insomma a tutti gli studenti e tutti i docenti.

Giulia Testa, editor dei video di Internazionale, racconta un video pubblicato sul sito.

Si parla molto dei rischi di disinformazione e manipolazione legate all'intelligenza artificiale.

I software come ChatGPT e Midjourney infatti producono testi e immagini sempre più realistici.

Ma un video di Le Monde che abbiamo pubblicato sul nostro sito spiega che ci sono ancora una serie di problemi tecnici che ne tradiscono l'origine non umana.

Per esempio, quando generano un'immagine, questi programmi non riescono a riprodurre correttamente alcune parti del corpo come i denti, le gambe e le braccia.

A volte sono troppo numerosi, altre sono in posizioni naturali.

Il video si sofferma in particolare sulle mani e spiega i motivi tecnici per i quali l'intelligenza artificiale crea immagini di mani deformate o con troppe dita.

Tra le tantissime immagini che scorrono nel video c'è anche quella ormai famosa del papa con il piumino.

Avete provato a guardare bene la sua mano destra?

Quindi bisogna proteggere il cuore che questa firma di questi accordi parziali oggi che li portano a un cessamento al fuoco,

a un punto che non avevano mai sperimentato nei dialoghi, a un cessamento al fuoco che segue con una promessa.

Il 25 maggio, in maggio del 2025io, la guerra di decenni si finisce definitivamente tra il LN e l'estate di Colombia.

In questo discorso pronunciato al termine di una cerimonia a Lavana il 9 giugno,

il presidente colombiano Gustavo Petro ha annunciato un accordo per un cessato il fuoco di sei mesi con la guerriglia dell'ELN,

l'Esercito di Liberazione Nazionale, la maggiore organizzazione guerrigliera della Colombia dopo il disarmo delle FARC.

Un passo importante verso la cosiddetta pace totale, la politica di pacificazione con i gruppi armati e criminali supestiti,

promessa in campagna elettorale da Petro, il primo presidente di sinistra della storia del paese.

Ne parliamo con Simone Bruno, corrispondente di France Vincatre che vive a Bogotà e collabora con Internazionale.

È un accordo che è molto importante perché l'ELN, cioè l'Esercito di Liberazione Nazionale,

a differenza delle FARC, è una struttura che è meno piramidale.

Esiste più o meno dallo stesso periodo in cui erano nate le FARC, quindi negli anni 60,

e per la prima volta è arrivata a firmare un accordo di cessate il fuoco con un governo,

nonostante che ci siano stati negoziati, diciamo, differenti formi di negoziati durante vari periodi presidenziali

nell'arco di questi anni.

È una struttura meno piramidale dove loro cercano di lavorare molto di più con il consenso,

piuttosto che con le decisioni prese dall'alto, e quindi raggiungere un accordo di questo tipo

finora non era mai stato possibile.

Ovviamente la cosa è stata aiutata dal fatto che Petro stesso è stato guerriliero quando era giovane,

partecipava in un'altra guerriglia, una guerriglia molto differente, di tipo urbano, che si chiamava l'M19,

però ovviamente il suo passato ha fatto sì che questa volta i negoziati siano potuti arrivare

perlomeno fino a questo punto, poi non sappiamo cosa succederà,

ma questo fa sì che sia veramente una cosa storica nel paese,

è un passo che avvicina la Colombia verso questo concetto della pace totale del presidente Petro,

perché contemporaneamente sta cercando di costruire un negoziato con il più grande gruppo di ex paramilitari

che è il clan del Golfo e con altri gruppi criminali che sono presenti nel territorio,

incluse le varie dissidenze che sono nate quando la FARC ha lasciato le armi.

Cosa prevede l'accordo?

Dunque l'accordo prevede che per sei mesi non ci saranno confrontazioni armate

fra l'esercito e le LN, questa cosa si espande su tutto il territorio,

però non include altri aspetti che hanno a che vedere con sequestro e altri tipi di attività

che svolge le LN che saranno parte di accordi che verranno più in là.

Tu ti sei occupato recentemente di uno scandalo che risale a uno dei periodi più occupi della guerra civile,

di cosa si tratta?

Dunque è uno scandalo che ha preso il nome di falsos positivos,

questo nome viene dalla definizione che hanno dato i giornalisti quando è emerso il fenomeno.

Falso positivo perché nella terminologia militare il positivo è quando i militari riuscivano ad uccidere un nemico.

Questi casi invece sono falsos positivos perché erano messi in scena e non c'era stato realmente un combattimento.

Praticamente si tratta a questo punto di 6.402 casi,

questo secondo il Tribunale speciale del post-conflitto che è stato creato dopo l'accordo di pace del 2016 con le FARC.

Anche se nei corridoi della HEP, questo è il nome del Tribunale, la Justizia Special Paralapass,

si parla di più di 10.000 casi.

10.000 casi che vuol dire 10.000 civili che sono stati portati via dalle loro case,

trasportati in zone di conflitto, spesso a tratti con un'offerta di lavoro falsa,

e una volta arrivati lì sono stati consegnati all'esercito che li ha obbligati a vestirsi da guerrilleri,

dopodiché li ha uccisi e costruito una scena dove questi corpi venivano presentati come guerrilleri uccisi in combattimento.

Questo scandalo è esploso nel 2008, praticamente il 28 di maggio del 2008,

il Presidente ha riconosciuto pubblicamente che questo fatto stava avvenendo,

c'erano ormai delle denunce, l'Ufficio dell'ONU dei diritti umani era presente,

molto attento rispetto a questi casi in Colombia,

e il Presidente Uribe all'epoca, questo scandalo copre praticamente quasi tutte le due presidenze di Uribe, dal 2002 al 2008,

cacciando via alcuni militari per la prima volta nella storia colombiana,

di livello molto alto, tre generali e vari colonnelli,

in una conferenza stampa in diretta alle 6 di mattina,

praticamente riconobbe che il fatto stava accadendo.

Ma a cosa serviva questa missa in scena?

Dunque, in quegli anni la Colombia stava ricevendo un importante aiuto militare da parte degli Stati Uniti,

erano moltissimi soldi che venivano sotto la forma di un piano di aiuto militare che si chiamava Plan Colombia,

lo Stato colombiano quindi sentiva la necessità di presentare dei risultati,

lo stesso Uribe aveva promesso durante la campagna elettorale che avrebbe sconfitto definitivamente la guerriglia,

quindi lui esercitava una pressione fortissima sui soldati, sui militari per ottenere dei risultati.

I soldati erano guidati all'epoca dal General Montoya,

il quale aveva trasformato questa richiesta di risultati in una richiesta di corpi,

lui parlava di secchi di sangue, lui voleva litri e secchi di sangue,

e questa pressione era esercitata tutti i giorni su tutti i soldati dell'esercito colombiano,

e quindi cominciarono a nascere questi tipi di casi che poi divennero la maggioranza,

io ho parlato con vari militari che mi dicevano, una volta che abbiamo cominciato,

noi ci chiedevamo ma perché adesso io devo andare a combattere sul serio

quando posso prendere un poveraccio per strada e ammazzarlo e non rischiare la vita,

e quindi la cosa esplose e arrivò a questi livelli,

poi in un conflitto che era ormai degenerato da tantissimi anni,

in un paese dove il valore della vita era sempre più bassa,

e quando dico valore della vita però mi riferisco sempre alla vita dei poveri,

perché c'è una grande differenza in Colombia fra il morto di una zona rurale,

vicino a una zona di conflitto abbandonata dallo Stato,

oppure un cittadino ricco che vive in una parte ricca per esempio di Bogotà.

Da allora molte cose sono cambiate in Colombia,

tu vivi lì a Bogotà da 20 anni e hai assistito a una parte di questi cambiamenti,

la pace oggi è più vicina ma la violenza non è ancora finita,

ma dove si svolge oggi il conflitto, dov'è questa violenza?

Un grande cambiamento nel conflitto colombiano è successo dopo la morte di Pablo Escobar,

Pablo Escobar aveva portato il conflitto,

anche se non esattamente il conflitto con la guerriglia,

ma comunque il conflitto interno colombiano dentro le città.

Una volta che viene ucciso Pablo Escobar,

lentamente il conflitto si comincia a spostare sempre più lontano dai grandi centri abitati,

io sono arrivato in Colombia nel 2003 e ho capito subito,

anzi mi sono sorpreso subito dal fatto che fosse possibile vivere a Bogotà,

ma anche a Medellino oppure nei posti turistici come Cartagena,

ignorando completamente il conflitto armato,

c'era una intera generazione che stava crescendo,

che il conflitto armato lo ascoltava le notizie, al telegiornale,

ma lo viveva più o meno come se fosse la guerra in Iraq,

cioè un concetto completamente lontano,

qualcosa che succedeva e non comprendeva neanche bene perché stesse succedendo,

quasi non riuscivano a razionalizzare il fatto che fosse lo stesso paese dove loro vivevano.

Questo perché la Colombia è un paese talmente grande,

immaginate che è praticamente un po' più piccolo della somma dell'Italia,

più la Francia, più la Spagna,

con una geografia molto complessa,

è attraversato da tre cordiliere delle Ande,

ovviamente le infrastrutture sono quelle che sono,

non sono simili a quelle europee,

quindi è un paese completamente rotto,

è più facile muoversi da una città all'altra in aereo

che andare su queste strade che sono sempre in condizioni pessime.

Il fatto di vivere in queste bolle dentro le città,

poi spostarsi magari in vacanza al mare,

faceva sì che è praticamente un paese rotto,

dove lo Stato non arrivava praticamente nelle zone rurali

e in queste zone rurali è dove c'erano le coltivazioni di coca,

i gruppi armati della guerriglia, dei paramilitari,

l'esercito faceva quello che voleva, eccetera.

E oggi rispetto a quando tu sei arrivato in Colombia,

quali sono le speranze per la pace?

Dunque, da una parte, dal 2016 c'è stato questo accordo di pace firmato,

il presidente Santos dell'epoca poi ha voluto fare un referendum

chiedendo ai colombiani se erano d'accordo con la fine della guerra,

i colombiani hanno detto di no,

era l'epoca della Brexit, eccetera,

l'arrivo delle rete sociali, eccetera.

Io ho visto la società cambiare,

ci sono state delle enormi manifestazioni,

io sono rimasto sorpreso,

non avevo mai visto manifestazioni così grandi

in favore di qualcosa di politico come la pace in Colombia.

E da lì è stato... la società è cresciuta

fino ad arrivare ad eleggere per la prima volta,

dopo 200 anni, un governo di sinistra.

Adesso le prospettive sono quelle che si potrà probabilmente

mettere fine ad alcuni conflitti armati che esistono in Colombia,

magari con le distanze delle FARC, con le LN,

con il gruppo del clan del Golfo,

ma se non si fa qualcosa per cambiare la politica antidroga,

che evidentemente non è decisa a Bogotà,

dopo poco ci saranno nuovamente altri gruppi

che arriveranno e che,

vista la situazione geografica, politica e militare del paese,

cominceranno a coltivare coca

e dopo pochi anni la situazione sarà di nuovo simile adesso.

Grazie a Simone e Bruno.

Grazie a voi.

Il film della settimana consigliato da Anna Franchin,

giornalista di Internazionale.

Avete mai notato quanto i gesti della lingua dei seni

ricordino i movimenti di una danza?

È quello che invita a fare la regista franco-algerina Mounia Medour

nel suo ultimo film, Huria.

La protagonista è una giovane ballerina

che dopo un'aggressione non è più in grado di danzare

ma neanche di parlare.

Durante la riabilitazione conosce alcune donne

che come lei hanno in qualche modo subito dei traumi

e non riescono a comunicare con il mondo esterno.

Quelle donne diventano sue amiche

e le aiutano a trovare un nuovo modo di esprimersi con il corpo.

In un'intervista la regista spiega che con il film voleva parlare

di isolamento, solitudine, disabilità

ma soprattutto di ricostruzione

pensando a Huria che alla fine diventerà più forte

e all'Algeria che è un paese con molte ferite ma ancora in piedi.

Huria di Mounia Medour è nelle sale.

Dalla redazione di Internazionale per oggi è tutto.

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L'appuntamento con il mondo è lunedì mattina alle 6 e 30.

Sottotitoli e revisione a cura di QTSS


Serve ancora l'esame di maturità? In Colombia Brauchen wir noch eine Schulabschlussprüfung? In Kolumbien Do you still need a high school graduation exam? In Colombia ¿Sigue siendo necesario un examen de fin de estudios? En Colombia Avons-nous encore besoin d'un examen de fin d'études ? En Colombie Ainda precisamos de um exame de conclusão do ensino secundário? Na Colômbia Behöver vi fortfarande en studentexamen? I Colombia Чи потрібен нам ще випускний іспит? У Колумбії

Dalla redazione di Internazionale, io sono Giulia Zoli.

Io sono Claudio Rossi Marcelli e questo è Il Mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo dell'esame di maturità e di come si vive in Colombia.

E poi di un video di Le Monde e di un film.

È venerdì 23 giugno 2023.

Come è andata?

È passata, il che è già un ottimo risultato. It passed, which is already a very good result.

Io sono contento di quello che ho scritto.

Ho deciso di esprimere un po' più il mio pensiero su quello che penso della scuola.

Erano abbordabili, secondo me, soprattutto quelle di cultura generale.

La prossima prova domani inglese, dovrebbe andare bene quella.

Sono abbastanza brava in inglese, spero anche l'orale.

Andrà come andrà.

Il 21 giugno sono cominciati gli esami di maturità per 536.000 studenti.

La prima prova è stata quella di italiano, comune a tutti gli istituti.

E poi ci sarà una seconda prova, che quest'anno sarà latino per il liceo classico e matematica

per il liceo scientifico.

Mentre per gli istituti tecnici del settore economico, la seconda materia sarà economia

aziendale oppure progettazione, costruzione e impianti a seconda del tipo di indirizzo.

Parliamo degli esami di maturità con Cristian Raimo, insegnante, giornalista e scrittore,

che nel 2022 ha pubblicato l'ultima ora, Scuola Democrazia e Utopia, per Ponte alle Grazie. who in 2022 published The Last Hour, School Democracy and Utopia, for Ponte alle Grazie.

Il 21 giugno abbiamo fatto la prima prova dell'esame di Stato.

Questo esame di Stato è la prova scritta in italiano ed è stata una prova abbastanza

deludente.

Sia noi docenti che gli studenti si aspettavano di meglio da queste tracce.

Ci poteva essere molto di meglio.

Negli anni passati c'era stato un buon esito della riforma che è stata fatta dalla commissione

Serianni della prova di italiano.

Invece sono uscite delle tracce che non sono piaciute quasi a nessuno.

Le due tracce, la traccia A, la tipologia di analisi del testo riguardava una poesia

di Quasimodo e un brano dagli indifferenti Moravia.

La traccia B, argomentativa, aveva tre brani.

Uno era tratto da Chabot, non l'ha fatta praticamente nessuno, tra gli denigrazioni

di Chabot.

Un'altra ci si è avventurato qualcuno sull'intervista della storia di Oriana Fallaci. Another one someone ventured there on the interview of Oriana Fallaci's story.

Poi c'era soprattutto, diciamo, hanno fatto l'ultima traccia, la settima traccia, la tipologia

C.

Bisognava commentare di fatto un articolo di Marco Belpoliti che faceva un po' l'elogio

dell'attesa nell'era della simultaneità di WhatsApp.

Delle tracce un po' banali e un po' complicate e forse non gradite da molti.

Parliamo proprio di queste tracce.

Questo è il primo esame di maturità da quando è entrato in carica il governo Meloni.

Cosa ci dice la scelta dei tremi trattati? What does the choice of treated thremes tell us?

La scelta dei tremi trattati ci dice un po' veramente il progetto pedagogico di questo

governo purtroppo che si vede non soltanto in controluce ma in modo plateale dalle sette

tracce.

La più, diciamo, sgradevole è la sesta traccia che è quella addirittura in cui agli studenti

viene chiesto di commentare una lettera indirizzata all'ex ministro Bianchi che chiaramente indica

come nel progetto pedagogico di questo ministero, di questo governo, a partire dalla ridefinizione

del ministero come ministero dell'istruzione del merito, c'è un intento di rifondazione,

propagandistico e addirittura di polemica politica portata nelle tracce dell'esame di

Stato.

Questo è stato, come dire, non soltanto trascurata questa traccia ma è stata addirittura pesantemente

rifiutata agli studenti.

Nelle altre tracce si vede il ritorno del tema retorico.

Il tema retorico è il tema che si faceva fino a metà del novecento, insomma anche fine

novecento e cioè l'idea che bisognasse con parole auliche, con argomentazioni il più

possibile ampollose ripetere una tesi ideale che veniva esposta in quello che ci veniva

chiesto nella traccia e quindi la democrazia è molto bella, aiutare gli altri perché

no.

E un po' i brani scelti e anche soprattutto le domande che accompagnano questi brani scelti,

per esempio appunto la nazione che apre all'umanità, la Quasimodo con una bruttissima poesia che

raccontava lo sconcerto di fronte alla tecnologia, ma anche il tema portante l'italianista come

Bel Politi che raccontava invece semplicemente l'importanza dell'attesa nella società velocissima

di Whatsapp, davano agli studenti un po' il calcio per dire ma sì quanto è importante,

quanto sono stati importanti i bei tempi andati che non ci sono più.

Erano delle tracce quasi tutte un po' antimoderne e questo rispecchia molto come dire la prospettiva

politica e soprattutto educativa di questo governo qui.

Quindi molta retorica, molto passatismo, propaganda di basso livello, tanto vecchiume,

un po' l'odio nei confronti dei giovani di questo governo, insomma si sente in tante cose diverse che fa.

Al di là di queste tracce che molte persone come te hanno trovato deludenti, tu pensi che l'esame di maturità,

l'esame di Stato così come è pensato oggi, svolga ancora bene la sua funzione?

Dipende cosa intendiamo, che cosa può fare un esame di Stato.

Io penso che la scuola italiana in questo momento attraversi una grande crisi, non è sempre stato così,

è vero che la scuola è sempre in crisi, ma in questo momento la scuola ha una doppia crisi, una crisi di autorevolezza,

quindi effettivamente c'è una classe docente, perché la scuola è definanziata, perché appunto il corpo docenti

ha perso molto ruolo, ma perché ha perso soprattutto soldi.

Dall'altra parte anche una crisi dei saperi, cioè perché si studia oggi?

Per andare all'università, perché mi obbliga la famiglia, per il piacere della conoscenza,

quindi queste due crisi oggi si vedono nella scuola italiana, e queste due crisi si riverberano anche sul senso di un esame di Stato.

Se noi pensiamo che noi possiamo fare i riti di passaggio, quindi anche l'esame di Stato, un rito di passaggio, una serietà,

senza però fare i passaggi, cioè senza costruire intorno quell'importante liturgia educativa delle scuole superiori

in cui si esalta soprattutto l'aspetto della relazione educativa e non semplicemente l'aspetto della verifica,

come se non ci prepariamo a un rito di passaggio, e quindi tenerlo o non tenerlo può essere la stessa cosa.

Spesso si parla di scuola soltanto appunto quando ci sono degli eventi eccezionali,

che possono essere gli esami di maturità o il primo giorno di scuola, o l'accoltellamento della professoressa,

o il crollo di un edificio scolastico, insomma, mentre ci sono delle grandi trasformazioni che attraversano oggi la scuola,

che sono totalmente ignorate dal giornalismo, dai media, eccetera.

Parlando di come la scuola possa ancora evolversi e migliorarsi, nell'ultimo anno i giornali, questo sì, l'hanno raccontato,

si sono moltiplicati in Italia i casi di scuole che scelgono di non utilizzare voti numerici.

Tu hai scritto anche un articolo per Internazionale al riguardo sulla idea di voti e valutazione.

Secondo te questo approccio è utile e potrebbe avere successo in Italia?

Non secondo me. Secondo, per fortuna, la letteratura scientifica che è sempre più numerosa.

Chi si occupa di docimologia, che sarebbe la scienza della valutazione, negli ultimi anni lavora chiaramente molto a livello sperimentale.

Chiunque fa una ricerca sulla scuola chiaramente è una ricerca che deve avere dati presi da sperimentazioni fatte in classe o con gruppi di studenti.

E si è visto che anche sul lungo periodo, oggi abbiamo appunto studi che hanno dati raccolti in delle fasi temporalmente abbastanza lunghe,

si è visto che effettivamente la valutazione potrebbe essere molto trasformata.

Come dice il libro uscito da poco per Franco Angele di Cristiano Corsini, cioè farla diventare veramente una valutazione che educa.

Cioè non mettere la valutazione alla fine, quasi come corpo estraneo di un processo educativo che prescinde da valutazione,

ma mettere la valutazione al centro, a metà del processo educativo.

Quindi pensare che a partire da una progressiva consapevolezza che docenti e studenti hanno insieme,

delle capacità di progredire nello studio, nei metodi, nelle competenze, eccetera, eccetera,

noi poi possiamo darci altri obiettivi.

Il voto numerico chiaramente sembra sintetizzare questo processo e invece opacizza, nasconde tutto quello che è la grande complessità di una relazione educativa che sta anche nella valutazione.

Più per me è chiara, studente, quella valutazione, più io avrò un'autonomia nel capire come migliorare il mio metodo di studio e le mie competenze.

Parliamo poi in particolare della bocciatura, visto che questo è anche un periodo di promozione di quadri.

In Italia è ancora utilizzata spesso la bocciatura nelle scuole?

Noi abbiamo dei dati chiaramente OX del 2019, abbiamo dei dati sulle bocciature che sono dei due anni della pandemia e che quindi sono dati un po' modificati,

dovremmo vedere i dati di quest'anno.

Dalle prime rilevazioni a campione ti direi di sì, molto, e ti direi di sì rispetto ad altri paesi europei,

e ti direi di sì anche rispetto alle tendenze degli ultimi anni, e quindi quando si dice che in Italia si boccia poco è perché non si conosce qual è la verità.

Si boccia soprattutto al biennio delle superiori, si continua a bocciare addirittura alle medie, nonostante appunto oggi alle medie si possa promuovere per profitto, They mostly fail in the two years of high school, they continue to fail even in middle school, despite the fact that precisely today in middle school they can promote for profit,

anche se si hanno delle lacune molto grossi in alcune materie, ma per esempio si bocciano gli studenti che per una serie di ragioni accumulano molte assenze,

e chiaramente quelle assenze non sono capricciose, ma sono assenze che mostrano un percorso difficile del ragazzo o della ragazza.

Quindi si boccia sì tanto. La domanda su servono ancora le bocciature ha una risposta semplice ed è no, ma non lo dico io che ho una visione democratica,

ma molto radicale della scuola, quindi penso che a partire da più grandi pedagogisti democratici, da Don Milani a Bruno Ciari per arrivare a Belux, a Mierie, a Biesta,

a oggi le bocciature non servono, ma anche quelli che ragionano sulla scuola in termini di progressismo più liberali ne ragiona in modo molto accurato.

Mauro Piras che è un preside fiorentino ha scritto un paio di saggi su questo tema anche per le parole e le cose e mostra la luce anche qui di dati, di sperimentazione, di lunghe osservazioni,

di come bocciare in realtà non serve, non serve allo studente, non serve alla scuola, mentre servirebbe semplicemente la possibilità di ripensare i cicli e di progredire in alcune materie e invece restare con dei debiti in altre.

In questo bisognerebbe ripensare anche alle classi, perché noi oggi pensiamo che la classe è un corpo stabile, unico dall'inizio alla fine di quel ciclo, mentre potrebbe esserci un corpo classe più unito e più stabile e poi ci potrebbero essere invece delle materie che si fanno in altre classi,

quindi io potrei arrivare alla maturità appunto che sono promosso, ho dei buoni voti in sette materie e invece non ho finito fino alla quinta in altre materie e questo comunque mi darebbe la possibilità di essere promosso senza perdere l'intero anno e dover ripetere anche quelle materie su cui invece io riesco a muovermi meglio.

Grazie Cristian Raimo.

Grazie a voi, buon esame di stato, buona maturità insomma a tutti gli studenti e tutti i docenti.

Giulia Testa, editor dei video di Internazionale, racconta un video pubblicato sul sito.

Si parla molto dei rischi di disinformazione e manipolazione legate all'intelligenza artificiale.

I software come ChatGPT e Midjourney infatti producono testi e immagini sempre più realistici.

Ma un video di Le Monde che abbiamo pubblicato sul nostro sito spiega che ci sono ancora una serie di problemi tecnici che ne tradiscono l'origine non umana.

Per esempio, quando generano un'immagine, questi programmi non riescono a riprodurre correttamente alcune parti del corpo come i denti, le gambe e le braccia.

A volte sono troppo numerosi, altre sono in posizioni naturali.

Il video si sofferma in particolare sulle mani e spiega i motivi tecnici per i quali l'intelligenza artificiale crea immagini di mani deformate o con troppe dita.

Tra le tantissime immagini che scorrono nel video c'è anche quella ormai famosa del papa con il piumino.

Avete provato a guardare bene la sua mano destra?

Quindi bisogna proteggere il cuore che questa firma di questi accordi parziali oggi che li portano a un cessamento al fuoco,

a un punto che non avevano mai sperimentato nei dialoghi, a un cessamento al fuoco che segue con una promessa.

Il 25 maggio, in maggio del 2025io, la guerra di decenni si finisce definitivamente tra il LN e l'estate di Colombia.

In questo discorso pronunciato al termine di una cerimonia a Lavana il 9 giugno,

il presidente colombiano Gustavo Petro ha annunciato un accordo per un cessato il fuoco di sei mesi con la guerriglia dell'ELN,

l'Esercito di Liberazione Nazionale, la maggiore organizzazione guerrigliera della Colombia dopo il disarmo delle FARC.

Un passo importante verso la cosiddetta pace totale, la politica di pacificazione con i gruppi armati e criminali supestiti,

promessa in campagna elettorale da Petro, il primo presidente di sinistra della storia del paese.

Ne parliamo con Simone Bruno, corrispondente di France Vincatre che vive a Bogotà e collabora con Internazionale.

È un accordo che è molto importante perché l'ELN, cioè l'Esercito di Liberazione Nazionale,

a differenza delle FARC, è una struttura che è meno piramidale.

Esiste più o meno dallo stesso periodo in cui erano nate le FARC, quindi negli anni 60,

e per la prima volta è arrivata a firmare un accordo di cessate il fuoco con un governo,

nonostante che ci siano stati negoziati, diciamo, differenti formi di negoziati durante vari periodi presidenziali

nell'arco di questi anni.

È una struttura meno piramidale dove loro cercano di lavorare molto di più con il consenso,

piuttosto che con le decisioni prese dall'alto, e quindi raggiungere un accordo di questo tipo

finora non era mai stato possibile.

Ovviamente la cosa è stata aiutata dal fatto che Petro stesso è stato guerriliero quando era giovane,

partecipava in un'altra guerriglia, una guerriglia molto differente, di tipo urbano, che si chiamava l'M19,

però ovviamente il suo passato ha fatto sì che questa volta i negoziati siano potuti arrivare

perlomeno fino a questo punto, poi non sappiamo cosa succederà,

ma questo fa sì che sia veramente una cosa storica nel paese,

è un passo che avvicina la Colombia verso questo concetto della pace totale del presidente Petro,

perché contemporaneamente sta cercando di costruire un negoziato con il più grande gruppo di ex paramilitari

che è il clan del Golfo e con altri gruppi criminali che sono presenti nel territorio,

incluse le varie dissidenze che sono nate quando la FARC ha lasciato le armi.

Cosa prevede l'accordo?

Dunque l'accordo prevede che per sei mesi non ci saranno confrontazioni armate

fra l'esercito e le LN, questa cosa si espande su tutto il territorio,

però non include altri aspetti che hanno a che vedere con sequestro e altri tipi di attività

che svolge le LN che saranno parte di accordi che verranno più in là.

Tu ti sei occupato recentemente di uno scandalo che risale a uno dei periodi più occupi della guerra civile,

di cosa si tratta?

Dunque è uno scandalo che ha preso il nome di falsos positivos,

questo nome viene dalla definizione che hanno dato i giornalisti quando è emerso il fenomeno.

Falso positivo perché nella terminologia militare il positivo è quando i militari riuscivano ad uccidere un nemico.

Questi casi invece sono falsos positivos perché erano messi in scena e non c'era stato realmente un combattimento.

Praticamente si tratta a questo punto di 6.402 casi,

questo secondo il Tribunale speciale del post-conflitto che è stato creato dopo l'accordo di pace del 2016 con le FARC.

Anche se nei corridoi della HEP, questo è il nome del Tribunale, la Justizia Special Paralapass,

si parla di più di 10.000 casi.

10.000 casi che vuol dire 10.000 civili che sono stati portati via dalle loro case,

trasportati in zone di conflitto, spesso a tratti con un'offerta di lavoro falsa,

e una volta arrivati lì sono stati consegnati all'esercito che li ha obbligati a vestirsi da guerrilleri,

dopodiché li ha uccisi e costruito una scena dove questi corpi venivano presentati come guerrilleri uccisi in combattimento.

Questo scandalo è esploso nel 2008, praticamente il 28 di maggio del 2008,

il Presidente ha riconosciuto pubblicamente che questo fatto stava avvenendo,

c'erano ormai delle denunce, l'Ufficio dell'ONU dei diritti umani era presente,

molto attento rispetto a questi casi in Colombia,

e il Presidente Uribe all'epoca, questo scandalo copre praticamente quasi tutte le due presidenze di Uribe, dal 2002 al 2008,

cacciando via alcuni militari per la prima volta nella storia colombiana,

di livello molto alto, tre generali e vari colonnelli,

in una conferenza stampa in diretta alle 6 di mattina,

praticamente riconobbe che il fatto stava accadendo.

Ma a cosa serviva questa missa in scena?

Dunque, in quegli anni la Colombia stava ricevendo un importante aiuto militare da parte degli Stati Uniti,

erano moltissimi soldi che venivano sotto la forma di un piano di aiuto militare che si chiamava Plan Colombia,

lo Stato colombiano quindi sentiva la necessità di presentare dei risultati,

lo stesso Uribe aveva promesso durante la campagna elettorale che avrebbe sconfitto definitivamente la guerriglia,

quindi lui esercitava una pressione fortissima sui soldati, sui militari per ottenere dei risultati.

I soldati erano guidati all'epoca dal General Montoya,

il quale aveva trasformato questa richiesta di risultati in una richiesta di corpi,

lui parlava di secchi di sangue, lui voleva litri e secchi di sangue,

e questa pressione era esercitata tutti i giorni su tutti i soldati dell'esercito colombiano,

e quindi cominciarono a nascere questi tipi di casi che poi divennero la maggioranza,

io ho parlato con vari militari che mi dicevano, una volta che abbiamo cominciato,

noi ci chiedevamo ma perché adesso io devo andare a combattere sul serio

quando posso prendere un poveraccio per strada e ammazzarlo e non rischiare la vita,

e quindi la cosa esplose e arrivò a questi livelli,

poi in un conflitto che era ormai degenerato da tantissimi anni,

in un paese dove il valore della vita era sempre più bassa,

e quando dico valore della vita però mi riferisco sempre alla vita dei poveri,

perché c'è una grande differenza in Colombia fra il morto di una zona rurale,

vicino a una zona di conflitto abbandonata dallo Stato,

oppure un cittadino ricco che vive in una parte ricca per esempio di Bogotà.

Da allora molte cose sono cambiate in Colombia,

tu vivi lì a Bogotà da 20 anni e hai assistito a una parte di questi cambiamenti,

la pace oggi è più vicina ma la violenza non è ancora finita,

ma dove si svolge oggi il conflitto, dov'è questa violenza?

Un grande cambiamento nel conflitto colombiano è successo dopo la morte di Pablo Escobar,

Pablo Escobar aveva portato il conflitto,

anche se non esattamente il conflitto con la guerriglia,

ma comunque il conflitto interno colombiano dentro le città.

Una volta che viene ucciso Pablo Escobar,

lentamente il conflitto si comincia a spostare sempre più lontano dai grandi centri abitati,

io sono arrivato in Colombia nel 2003 e ho capito subito,

anzi mi sono sorpreso subito dal fatto che fosse possibile vivere a Bogotà,

ma anche a Medellino oppure nei posti turistici come Cartagena,

ignorando completamente il conflitto armato,

c'era una intera generazione che stava crescendo,

che il conflitto armato lo ascoltava le notizie, al telegiornale,

ma lo viveva più o meno come se fosse la guerra in Iraq,

cioè un concetto completamente lontano,

qualcosa che succedeva e non comprendeva neanche bene perché stesse succedendo,

quasi non riuscivano a razionalizzare il fatto che fosse lo stesso paese dove loro vivevano.

Questo perché la Colombia è un paese talmente grande,

immaginate che è praticamente un po' più piccolo della somma dell'Italia,

più la Francia, più la Spagna,

con una geografia molto complessa,

è attraversato da tre cordiliere delle Ande,

ovviamente le infrastrutture sono quelle che sono,

non sono simili a quelle europee,

quindi è un paese completamente rotto,

è più facile muoversi da una città all'altra in aereo

che andare su queste strade che sono sempre in condizioni pessime.

Il fatto di vivere in queste bolle dentro le città,

poi spostarsi magari in vacanza al mare,

faceva sì che è praticamente un paese rotto,

dove lo Stato non arrivava praticamente nelle zone rurali

e in queste zone rurali è dove c'erano le coltivazioni di coca,

i gruppi armati della guerriglia, dei paramilitari,

l'esercito faceva quello che voleva, eccetera.

E oggi rispetto a quando tu sei arrivato in Colombia,

quali sono le speranze per la pace?

Dunque, da una parte, dal 2016 c'è stato questo accordo di pace firmato,

il presidente Santos dell'epoca poi ha voluto fare un referendum

chiedendo ai colombiani se erano d'accordo con la fine della guerra,

i colombiani hanno detto di no,

era l'epoca della Brexit, eccetera,

l'arrivo delle rete sociali, eccetera.

Io ho visto la società cambiare,

ci sono state delle enormi manifestazioni,

io sono rimasto sorpreso,

non avevo mai visto manifestazioni così grandi

in favore di qualcosa di politico come la pace in Colombia.

E da lì è stato... la società è cresciuta

fino ad arrivare ad eleggere per la prima volta,

dopo 200 anni, un governo di sinistra.

Adesso le prospettive sono quelle che si potrà probabilmente

mettere fine ad alcuni conflitti armati che esistono in Colombia,

magari con le distanze delle FARC, con le LN,

con il gruppo del clan del Golfo,

ma se non si fa qualcosa per cambiare la politica antidroga,

che evidentemente non è decisa a Bogotà,

dopo poco ci saranno nuovamente altri gruppi

che arriveranno e che,

vista la situazione geografica, politica e militare del paese,

cominceranno a coltivare coca

e dopo pochi anni la situazione sarà di nuovo simile adesso.

Grazie a Simone e Bruno.

Grazie a voi.

Il film della settimana consigliato da Anna Franchin,

giornalista di Internazionale.

Avete mai notato quanto i gesti della lingua dei seni

ricordino i movimenti di una danza?

È quello che invita a fare la regista franco-algerina Mounia Medour

nel suo ultimo film, Huria.

La protagonista è una giovane ballerina

che dopo un'aggressione non è più in grado di danzare

ma neanche di parlare.

Durante la riabilitazione conosce alcune donne

che come lei hanno in qualche modo subito dei traumi

e non riescono a comunicare con il mondo esterno.

Quelle donne diventano sue amiche

e le aiutano a trovare un nuovo modo di esprimersi con il corpo.

In un'intervista la regista spiega che con il film voleva parlare

di isolamento, solitudine, disabilità

ma soprattutto di ricostruzione

pensando a Huria che alla fine diventerà più forte

e all'Algeria che è un paese con molte ferite ma ancora in piedi.

Huria di Mounia Medour è nelle sale.

Dalla redazione di Internazionale per oggi è tutto.

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Sottotitoli e revisione a cura di QTSS