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Il Rosso e il Nero - Stendhal, III. Il bene dei poveri (1)

III. Il bene dei poveri (1)

Un curato virtuoso e senza intrighi è una Provvidenza per il villaggio.

FLEURY

--

Bisogna sapere che il curato di Verrières, un vecchio di ottant'anni, ma che doveva all'aria frizzante di quelle montagne una salute e un carattere di ferro, aveva il diritto di visitare ad ogni ora la prigione, l'ospedale e anche l'ospizio di mendicità. Il signor Appert, che da Parigi era stato raccomandato al reverendo Chélan, aveva avuto l'accortezza di arrivare in quella cittadina pettegola proprio alle sei del mattino. Ed era subito andato in canonica.

Leggendo la lettera che gli scriveva il marchese de la Mole, un pari di Francia che era anche il più ricco possidente della provincia, il curato divenne pensieroso.

«Io sono vecchio, e qui mi vogliono bene – disse infine tra sé, – non oserebbero!» Subito dopo, voltandosi verso quel parigino, con uno sguardo in cui, malgrado l'età avanzata, brillava il fuoco sacro che annuncia il piacere di compiere una bella azione un po' pericolosa:

«Venite con me, signore e, in presenza del portiere del carcere e soprattutto dei sorveglianti dell'ospizio di mendicità, abbiate la cortesia di non esprimere alcuna opinione su ciò che vedremo». Appert capì di aver a che fare con un uomo di carattere: seguì il venerabile curato, visitò la prigione, l'ospizio e il ricovero di mendicità, fece molte domande, e nonostante ricevesse strane risposte, non si permise il minimo segno di biasimo.

La visita durò molte ore. Il curato invitò a pranzo Appert, che sostenne però di avere alcune lettere da scrivere: non voleva compromettere di più il suo generoso accompagnatore. Verso le tre andarono a ultimare l'ispezione dell'ospizio di mendicità, e tornarono poi alla prigione. Qui, videro sulla porta il custode del carcere, una specie di gigante alto sei piedi e con le gambe arcuate; il terrore aveva reso ripugnante il suo volto già ignobile.

«Ah! signore – disse al curato appena l'ebbe visto, – la persona che vedo con voi non è il signor Appert?»

«Ebbene?» disse il curato.

«È che da ieri ho l'ordine preciso, inviatomi dal signor prefetto per mezzo di un gendarme, che deve aver galoppato per tutta la notte, di non far entrare il signor Appert nella prigione.»

«Vi dichiaro, signor Noiroud – disse il curato, – che questo viaggiatore è il signor Appert. Riconoscete che ho il diritto di entrare in prigione a qualsiasi ora del giorno e della notte, facendomi accompagnare da chi voglio?»

«Certo, signor curato – rispose a bassa voce e abbassando la testa come un bulldog che obbedisce a malincuore per paura del bastone. – Soltanto, signor curato, ho moglie e figli, e se mi denunciano sarò destituito; non ho che il mio lavoro per vivere.»

«Non sarebbe meno grave, per me, se perdessi il mio» riprese il buon curato, con voce sempre più turbata.

«C'è una bella differenza! – rispose prontamente il carceriere; – voi, signor curato, si sa bene che avete ottocento franchi di rendita, della terra al sole…»

Questi erano i fatti che, commentati, esagerati in cento modi diversi, agitavano da due giorni tutte le passioni astiose della cittadina di Verrières. Ed erano l'argomento della piccola discussione di Rênal con la moglie. Quel mattino, seguito da Valenod, direttore del ricovero di mendicità, era andato dal curato per esprimergli la più viva disapprovazione. Chélan non era protetto da nessuno, e si rese conto del peso di quelle parole.

«Ebbene, signori, io sarò il terzo curato di ottant'anni che viene destituito da queste parti! Sono qui da cinquantasei anni; ho battezzato quasi tutti gli abitanti della città, che era solo un borgo quando ci arrivai. Unisco in matrimonio tutti i giorni dei giovani di cui ho già sposato i nonni. Verrières è la mia famiglia; ma, quando ho visto il forestiero, mi sono detto: “Quest'uomo venuto da Parigi può anche essere un liberale, ce ne sono fin troppi; ma che male può fare ai nostri poveri e ai nostri carcerati?”»

I rimproveri del sindaco, e soprattutto quelli di Valenod, si facevano sempre più pressanti:

«Ebbene, signori, fatemi destituire! – aveva esclamato con voce tremante il vecchio curato. – Non lascerò per questo il paese. Come sapete, quarantotto anni fa ho ereditato un terreno che rende ottocento franchi. Vivrò con questa rendita. Nel posto che occupo non ho modo di economizzare, io, signori, ed è forse per questo che non mi spavento quando si parla di farmelo perdere».

Rênal viveva in buon accordo con sua moglie; ma non sapendo rispondere all'obiezione che lei timidamente gli ripeteva: «Che male può fare quel signore di Parigi ai carcerati?», era sul punto di irritarsi davvero, quando lei gettò un grido. Il suo secondo figlio era appena salito sul muretto della terrazza, e si era messo a correre, benché quel muro fosse alto più di venti piedi sopra la vigna che era dall'altra parte. Il timore di spaventare suo figlio e di farlo cadere impediva alla signora de Rênal di rivolgergli la parola. Finalmente il bambino, che rideva della sua prodezza, guardò la madre, vide il suo pallore, saltò giù e corse da lei. Fu molto sgridato.

Questo piccolo incidente cambiò il corso della conversazione.

«Voglio assolutamente che venga a stare a casa nostra il figlio di Sorel, il padrone della segheria – disse Rênal. – Sorveglierà i bambini, che stanno diventando dei diavoletti. È un giovane prete, o quasi, buon latinista, e farà compiere molti progressi ai bambini; ha un carattere fermo, dice il curato. Gli darò 300 franchi e il vitto. Avevo qualche dubbio sulla sua moralità, perché era il beniamino di quel vecchio chirurgo, membro della Legion d'onore, che, con la scusa di essere un loro cugino, si era messo a pensione dai Sorel. Quest'uomo, in fondo, poteva essere benissimo un agente segreto dei liberali; diceva che l'aria dei nostri monti giovava alla sua asma; ma non ci sono prove. Aveva fatto tutte le campagne di Buonaparté in Italia, e si dice che una volta, anche, abbia votato no per l'impero. Questo liberale insegnava il latino al giovane Sorel, e gli ha lasciato un mucchio di libri che aveva portato con sé. Non mi sarebbe mai venuto in mente di mettere il figlio del carpentiere vicino ai nostri bambini; ma il curato, proprio il giorno prima di quella scena che ha guastato per sempre i nostri rapporti, mi ha detto che Sorel studia teologia da tre anni, con il progetto di entrare in seminario; dunque non è un liberale, ed è latinista. Questa sistemazione conviene per più di un motivo – continuò Rênal, guardando sua moglie con aria diplomatica; – Valenod è orgogliosissimo dei due bei normanni che ha appena comperato per il suo calesse. Ma non ha un precettore per i suoi figli.»

«Potrebbe portarcelo via.»

«Dunque approvi il mio progetto? – disse Rênal ringraziando la moglie, con un sorriso, per l'eccellente idea che aveva appena avuto. – Allora abbiamo deciso.»

«Ah, buon Dio, mio caro, come fai presto a decidere!»

«Il fatto è che ho del carattere, io, e il curato se ne è accorto. Non nascondiamoci le cose: qui, siamo circondati dai liberali. Questi mercanti di tela mi invidiano, ne sono certo; due o tre stanno diventando dei ricconi; ebbene! mi piace molto l'idea che vedano passare i figli del signor de Rênal accompagnati dal loro precettore. Farà effetto. Mio nonno ci raccontava spesso che, in gioventù, aveva avuto un precettore. Potrà costarmi cento scudi, ma dev'essere considerata una spesa necessaria per essere all'altezza del nostro rango.»

Questa decisione improvvisa lasciò perplessa la signora de Rênal.


III. Il bene dei poveri (1)

**Un curato virtuoso e senza intrighi è una Provvidenza per il villaggio.

FLEURY**

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Bisogna sapere che il curato di Verrières, un vecchio di ottant'anni, ma che doveva all'aria frizzante di quelle montagne una salute e un carattere di ferro, aveva il diritto di visitare ad ogni ora la prigione, l'ospedale e anche l'ospizio di mendicità. Il signor Appert, che da Parigi era stato raccomandato al reverendo Chélan, aveva avuto l'accortezza di arrivare in quella cittadina pettegola proprio alle sei del mattino. Ed era subito andato in canonica.

Leggendo la lettera che gli scriveva il marchese de la Mole, un pari di Francia che era anche il più ricco possidente della provincia, il curato divenne pensieroso.**

«Io sono vecchio, e qui mi vogliono bene – disse infine tra sé, – non oserebbero!» Subito dopo, voltandosi verso quel parigino, con uno sguardo in cui, malgrado l'età avanzata, brillava il fuoco sacro che annuncia il piacere di compiere una bella azione un po' pericolosa:

«Venite con me, signore e, in presenza del portiere del carcere e soprattutto dei sorveglianti dell'ospizio di mendicità, abbiate la cortesia di non esprimere alcuna opinione su ciò che vedremo». Appert capì di aver a che fare con un uomo di carattere: seguì il venerabile curato, visitò la prigione, l'ospizio e il ricovero di mendicità, fece molte domande, e nonostante ricevesse strane risposte, non si permise il minimo segno di biasimo.**

La visita durò molte ore. **Il curato invitò a pranzo Appert, che sostenne però di avere alcune lettere da scrivere: non voleva compromettere di più il suo generoso accompagnatore.** Verso le tre andarono a ultimare l'ispezione dell'ospizio di mendicità, e tornarono poi alla prigione. Qui, videro sulla porta il custode del carcere, **una specie di gigante alto sei piedi e con le gambe arcuate; il terrore aveva reso ripugnante il suo volto già ignobile.**

«Ah! signore – disse al curato appena l'ebbe visto, – la persona che vedo con voi non è il signor Appert?»

«Ebbene?» disse il curato.

«È che da ieri ho l'ordine preciso, inviatomi dal signor prefetto per mezzo di un gendarme, che deve aver galoppato per tutta la notte, di non far entrare il signor Appert nella prigione.»

«Vi dichiaro, signor Noiroud – disse il curato, – che questo viaggiatore è il signor Appert. Riconoscete che ho il diritto di entrare in prigione a qualsiasi ora del giorno e della notte, facendomi accompagnare da chi voglio?»

«Certo, signor curato – rispose a bassa voce e abbassando la testa come un bulldog che obbedisce a malincuore per paura del bastone. – Soltanto, signor curato, ho moglie e figli, e se mi denunciano sarò destituito; non ho che il mio lavoro per vivere.»

«Non sarebbe meno grave, per me, se perdessi il mio» riprese il buon curato, con voce sempre più turbata.

**«C'è una bella differenza! – rispose prontamente il carceriere; – voi, signor curato, si sa bene che avete ottocento franchi di rendita, della terra al sole…»**

Questi erano i fatti che, commentati, esagerati in cento modi diversi, agitavano da due giorni tutte le passioni astiose della cittadina di Verrières. Ed erano l'argomento della piccola discussione di Rênal con la moglie. Quel mattino, seguito da Valenod, direttore del ricovero di mendicità, era andato dal curato per esprimergli la più viva disapprovazione. Chélan non era protetto da nessuno, e si rese conto del peso di quelle parole.

«Ebbene, signori, io sarò il terzo curato di ottant'anni che viene destituito da queste parti!** Sono qui da cinquantasei anni; ho battezzato quasi tutti gli abitanti della città, che era solo un borgo quando ci arrivai. Unisco in matrimonio tutti i giorni dei giovani di cui ho già sposato i nonni. Verrières è la mia famiglia; ma, quando ho visto il forestiero, mi sono detto: “Quest'uomo venuto da Parigi può anche essere un liberale, ce ne sono fin troppi; ma che male può fare ai nostri poveri e ai nostri carcerati?”»

I rimproveri del sindaco, e soprattutto quelli di Valenod, si facevano sempre più pressanti:**

«Ebbene, signori, fatemi destituire! – aveva esclamato con voce tremante il vecchio curato. – Non lascerò per questo il paese. Come sapete, quarantotto anni fa ho ereditato un terreno che rende ottocento franchi. Vivrò con questa rendita. **Nel posto che occupo non ho modo di economizzare, io, signori, ed è forse per questo che non mi spavento quando si parla di farmelo perdere».**

Rênal viveva in buon accordo con sua moglie; **ma non sapendo rispondere all'obiezione che lei timidamente gli ripeteva: «Che male può fare quel signore di Parigi ai carcerati?», era sul punto di irritarsi davvero, quando lei gettò un grido. Il suo secondo figlio era appena salito sul muretto della terrazza, e si era messo a correre, benché quel muro fosse alto più di venti piedi sopra la vigna che era dall'altra parte. Il timore di spaventare suo figlio e di farlo cadere impediva alla signora de Rênal di rivolgergli la parola. Finalmente il bambino, che rideva della sua prodezza, guardò la madre, vide il suo pallore, saltò giù e corse da lei. Fu molto sgridato.

Questo piccolo incidente cambiò il corso della conversazione.**

«Voglio assolutamente che venga a stare a casa nostra il figlio di Sorel, il padrone della segheria – disse Rênal. – Sorveglierà i bambini, che stanno diventando dei diavoletti. È un giovane prete, o quasi, buon latinista, e farà compiere molti progressi ai bambini; ha un carattere fermo, dice il curato. Gli darò 300 franchi e il vitto. Avevo qualche dubbio sulla sua moralità, perché era il beniamino di quel vecchio chirurgo, membro della Legion d'onore, che, con la scusa di essere un loro cugino, si era messo a pensione dai Sorel.** Quest'uomo, in fondo, poteva essere benissimo un agente segreto dei liberali; diceva che l'aria dei nostri monti giovava alla sua asma; ma non ci sono prove.** Aveva fatto tutte le campagne di Buonaparté in Italia, e si dice che una volta, anche, abbia votato no per l'impero. Questo liberale insegnava il latino al giovane Sorel, e gli ha lasciato un mucchio di libri che aveva portato con sé. Non mi sarebbe mai venuto in mente di mettere il figlio del carpentiere vicino ai nostri bambini; ma il curato, proprio il giorno prima di quella scena che ha guastato per sempre i nostri rapporti, mi ha detto che Sorel studia teologia da tre anni, con il progetto di entrare in seminario; dunque non è un liberale, ed è latinista. Questa sistemazione conviene per più di un motivo – continuò Rênal, guardando sua moglie con aria diplomatica; – Valenod è orgogliosissimo dei due bei normanni che ha appena comperato per il suo calesse. Ma non ha un precettore per i suoi figli.»

«Potrebbe portarcelo via.»

«Dunque approvi il mio progetto? – disse Rênal ringraziando la moglie, con un sorriso, per l'eccellente idea che aveva appena avuto. – Allora abbiamo deciso.»**

«Ah, buon Dio, mio caro, come fai presto a decidere!»

«Il fatto è che ho del carattere, io, e il curato se ne è accorto. Non nascondiamoci le cose: qui, siamo circondati dai liberali. Questi mercanti di tela mi invidiano, ne sono certo; due o tre stanno diventando dei ricconi; ebbene! mi piace molto l'idea che vedano passare i figli del signor de Rênal accompagnati dal loro precettore. Farà effetto. Mio nonno ci raccontava spesso che, in gioventù, aveva avuto un precettore. Potrà costarmi cento scudi, ma dev'essere considerata una spesa necessaria per essere all'altezza del nostro rango.»

Questa decisione improvvisa lasciò perplessa la signora de Rênal.