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Storia D'Italia, Il sacco di Roma (408-410) - Ep. 25 (4)

Il sacco di Roma (408-410) - Ep. 25 (4)

Detto questo, nonostante che la forza sia dell'America che di Roma fosse sostanzialmente intatta il day after, entrambe erano state colpite in qualcosa di più importante della loro forza economica e militare: erano state colpite nel loro senso del destino, nei loro miti e nei loro totem più cari. Lo stato Romano non morì nel 410 ma la ferita all'orgoglio romano fu profonda e non facilmente rimarginabile. I Romani erano assolutamente convinti del mito della predestinazione di Roma, e questo non era cambiato con i cristiani: non aveva aspettato il Cristo l'arrivo di Augusto, il fondatore dell'Impero, per camminare sulla terra? Nell'impero tutto nel cerimoniale di corte serviva a coltivare l'idea che Dio guidava l'umanità attraverso un imperatore mosso direttamente dalla sua mano.

La città di Dio, o quella degli Uomini?

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Sandro Botticelli: Sant'Agostino nel suo studio

Lontano, in Africa, viveva un grande vescovo e la mente più raffinata dell'epoca: sarà lui a incrinare e poi ribaltare tutte queste certezze. Si trattava ovviamente di Agostino. In risposta allo shock del sacco di Roma e alle accuse ai Cristiani di aver causato la grande sciagura, Agostino scrisse quello che è forse il suo capolavoro: “la città di Dio”. Nel libro Agostino demolisce pezzo per pezzo l'intera ideologia imperiale romana.

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Innanzitutto Agostino smentisce le pretese di superiorità dei pagani. Roma aveva conosciuto immensi disastri anche quando era stata pagana: dov'erano ad esempio gli Dei quando Roma era stata saccheggiata e incendiata dai Galli di Brenno? Poi Agostino passa a demolire il patriottismo romano. I Cristiani fino ad allora si erano sentiti sempre prima Romani e poi Cristiani, aderendo anch'essi all'incrollabile ideologia del mito dell'invincibilità di Roma. Eppure per Agostino i Cristiani appartenevano anche e soprattutto alla città divina, alla comunità dei credenti, la Gerusalemme celeste, la dimora eterna dei Giusti: i musulmani, tra qualche secolo la chiameranno la “umma”, per i cristiani del medioevo sarà la Cristianità.

Nei primi libri della città di Dio Agostino prende questo concetto e lo porta alle estreme, dolorose conclusioni: in fin dei conti anche Roma, nonostante la sua illustre storia, è solo una città terrena come tutte le altre. Solo perché è arrivata a dominare il mondo tanto a lungo non vuol dire che sia eterna, solo perché ha avuto successo non è detto che questo sia dovuto all'ineguagliabili virtù degli antichi. Il dominio di Roma è derivato dalle condizioni della storia: l'impero è stato costruito sulla brama del potere e la passione del dominio. Roma, a forza di vincere, finì per chiamare Gloria l'esaltazione dei suoi delitti.

Agostino non condanna del tutto l'impero e tutta l'ideologia imperiale: sostiene solamente che anche l'Impero, anche Roma un giorno potrà scomparire: se dovesse cadere Roma, cadrebbe anche la comunità dei cristiani? La risposta per Agostino è un enfatico no. Il buon cristiano è un abitante della Gerusalemme celeste: anche se la città terrena dovesse perire il Cristiano sarebbe sempre, prima di ogni altra cosa, un cittadino della città di Dio. Nelle parole di Peter Heather “I cittadini della città celeste non possono offrire che una lealtà passeggera a qualsivoglia entità terrena, perché solo nel mondo a venire saranno veramente uniti. Nel sacco di Roma Agostino trova conferma della fondamentale illegittimità di tutte le città terrene e lancia un appello ai Cristiani affinché concentrino lo sguardo sulla vita a venire”. Non credo ci sia un passaggio logico più dirompente nella storia del pensiero Romano: Agostino è il vero padre spirituale e intellettuale del più importante concetto della civiltà medioevale: l'appartenenza di ogni cristiano ad una comunità di credenti superiore ad ogni stato terreno, comunità a cui si darà il nome della cristianità e che avrà bisogno, prima o poi, di una forte guida spirituale. E chi meglio del vescovo della città che è stata appena saccheggiata?

Eppure l'impero colpirà ancora

Eppure tutto questo è ancora al di là da venire, Agostino è più un profeta di un futuro prossimo che un araldo di un nuovo presente. Roma è caduta, ma l'Impero non ancora. Nel prossimo episodio parleremo di una improbabile storia d'amore tra il Re dei Goti e la principessa di dei Romani, di un bimbo che avrebbe potuto portare la pace tra Goti e Romani e di un generale e uomo politico Romano tanto grande quanto dimenticato, un uomo che riuscirà con la forza della sua incrollabile volontà a riportare Roma fuori dall'abisso: Flavio Costanzo.

Il sacco di Roma (408-410) - Ep. 25 (4) Die Plünderung Roms (408-410) - Ep. 25 (4) Η άλωση της Ρώμης (408-410) - Επεισόδιο 25 (4) The Sack of Rome (408-410) - Ep. 25 (4) El saqueo de Roma (408-410) - Ep. 25 (4)

Detto questo, nonostante che la forza sia dell'America che di Roma fosse sostanzialmente intatta il day after, entrambe erano state colpite in qualcosa di più importante della loro forza economica e militare: erano state colpite nel loro senso del destino, nei loro miti e nei loro totem più cari. И хотя на следующий день мощь и Америки, и Рима была практически нетронута, обеим странам был нанесен удар по чему-то более важному, чем их экономическая и военная мощь: им был нанесен удар по их чувству судьбы, их мифам и их самым заветным тотемам. Lo stato Romano non morì nel 410 ma la ferita all'orgoglio romano fu profonda e non facilmente rimarginabile. I Romani erano assolutamente convinti del mito della predestinazione di Roma, e questo non era cambiato con i cristiani: non aveva aspettato il Cristo l'arrivo di Augusto, il fondatore dell'Impero, per camminare sulla terra? Nell'impero tutto nel cerimoniale di corte serviva a coltivare l'idea che Dio guidava l'umanità attraverso un imperatore mosso direttamente dalla sua mano.

La città di Dio, o quella degli Uomini?

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Sandro Botticelli: Sant'Agostino nel suo studio

Lontano, in Africa, viveva un grande vescovo e la mente più raffinata dell'epoca: sarà lui a incrinare e poi ribaltare tutte queste certezze. Si trattava ovviamente di Agostino. In risposta allo shock del sacco di Roma e alle accuse ai Cristiani di aver causato la grande sciagura, Agostino scrisse quello che è forse il suo capolavoro: “la città di Dio”. Nel libro Agostino demolisce pezzo per pezzo l'intera ideologia imperiale romana.

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Innanzitutto Agostino smentisce le pretese di superiorità dei pagani. Roma aveva conosciuto immensi disastri anche quando era stata pagana: dov'erano ad esempio gli Dei quando Roma era stata saccheggiata e incendiata dai Galli di Brenno? Poi Agostino passa a demolire il patriottismo romano. I Cristiani fino ad allora si erano sentiti sempre prima Romani e poi Cristiani, aderendo anch'essi all'incrollabile ideologia del mito dell'invincibilità di Roma. Eppure per Agostino i Cristiani appartenevano anche e soprattutto alla città divina, alla comunità dei credenti, la Gerusalemme celeste, la dimora eterna dei Giusti: i musulmani, tra qualche secolo la chiameranno la “umma”, per i cristiani del medioevo sarà la Cristianità.

Nei primi libri della città di Dio Agostino prende questo concetto e lo porta alle estreme, dolorose conclusioni: in fin dei conti anche Roma, nonostante la sua illustre storia, è solo una città terrena come tutte le altre. Solo perché è arrivata a dominare il mondo tanto a lungo non vuol dire che sia eterna, solo perché ha avuto successo non è detto che questo sia dovuto all'ineguagliabili virtù degli antichi. Il dominio di Roma è derivato dalle condizioni della storia: l'impero è stato costruito sulla brama del potere e la passione del dominio. Roma, a forza di vincere, finì per chiamare Gloria l'esaltazione dei suoi delitti.

Agostino non condanna del tutto l'impero e tutta l'ideologia imperiale: sostiene solamente che anche l'Impero, anche Roma un giorno potrà scomparire: se dovesse cadere Roma, cadrebbe anche la comunità dei cristiani? La risposta per Agostino è un enfatico no. Il buon cristiano è un abitante della Gerusalemme celeste: anche se la città terrena dovesse perire il Cristiano sarebbe sempre, prima di ogni altra cosa, un cittadino della città di Dio. Nelle parole di Peter Heather “I cittadini della città celeste non possono offrire che una lealtà passeggera a qualsivoglia entità terrena, perché solo nel mondo a venire saranno veramente uniti. Nel sacco di Roma Agostino trova conferma della fondamentale illegittimità di tutte le città terrene e lancia un appello ai Cristiani affinché concentrino lo sguardo sulla vita a venire”. Non credo ci sia un passaggio logico più dirompente nella storia del pensiero Romano: Agostino è il vero padre spirituale e intellettuale del più importante concetto della civiltà medioevale: l'appartenenza di ogni cristiano ad una comunità di credenti superiore ad ogni stato terreno, comunità a cui si darà il nome della cristianità e che avrà bisogno, prima o poi, di una forte guida spirituale. E chi meglio del vescovo della città che è stata appena saccheggiata?

Eppure l'impero colpirà ancora

Eppure tutto questo è ancora al di là da venire, Agostino è più un profeta di un futuro prossimo che un araldo di un nuovo presente. Roma è caduta, ma l'Impero non ancora. Nel prossimo episodio parleremo di una improbabile storia d'amore tra il Re dei Goti e la principessa di dei Romani, di un bimbo che avrebbe potuto portare la pace tra Goti e Romani e di un generale e uomo politico Romano tanto grande quanto dimenticato, un uomo che riuscirà con la forza della sua incrollabile volontà a riportare Roma fuori dall'abisso: Flavio Costanzo.