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Storia D'Italia, Il sacco di Roma (408-410) - Ep. 25 (3)

Il sacco di Roma (408-410) - Ep. 25 (3)

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Alaric, Ataulf e Attalo – forse dovremmo chiamarli le tre A – marciarono nel frattempo verso il nord Italia, qui diverse città si dichiararono in favore del nuovo governo. Onorio a questo punto, perso il controllo di buona parte dell'impero, fu preso dal panico, come sempre quando questo imperatore volubile e debole sentiva in pericolo la sua sicurezza personale. Onorio inviò a parlamentare con Attalo il suo primo ministro, Giovio, ma questi passò prontamente dalla parte avversaria, venendo nominato al rango di Patrizio da Attalo. A questo punto l'alleanza Romano-Gotica fece sapere a Onorio che avrebbero trattato solo sul luogo del suo esilio: era arrivato il momento di togliersi di torno.

In un universo parallelo Onorio viene esiliato e finisce i suoi giorni a Costantinopoli mentre l'alleanza tra Alaric e la corte di Ravenna passa all'offensiva contro Costantino III e ristabilisce il governo di Ravenna, a questo punto condiviso tra Goti e Romani, come sarà tra cento anni con Teodorico. Ma non siamo nell'universo parallelo e proprio mentre Onorio si apprestava a cedere arrivarono a Ravenna rinforzi dall'oriente: Costantinopoli non aveva dimenticato i suoi fratelli di Ravenna e aveva inviato quattro mila soldati e la promessa di ulteriori aiuti. In contemporanea arrivò la notizia che in Nordafrica il Comes Africae aveva battuto le forze inviate da Attalo: l'Africa restava leale a Onorio.

Il tradimento dei Romani

L'imperatore e quello che restava della sua corte decisero dunque di resistere e rifiutarono le richieste di Attalo. Alaric era furioso: ogni volta che pareva vicino al suo obiettivo questo si allontanava. Richiese di nuovo che Attalo autorizzasse l'invio dei Goti in Africa ma il nostro improbabile anziano imperatore si rifiutò nuovamente: aveva capito che probabilmente Alaric aveva intenzione di stabilire i suoi Goti in Africa e questo lui non lo poteva accettare. Grazie a questo coraggioso rifiuto penso che possiamo decisamente dire che Attalo non era né un codardo, né un traditore.

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Allora Giovio, il nostro amato primo ministro di due corti e maestro dei complotti, consigliò ad Alaric di rimuovere il suo imperatore-fantoccio come condizione per negoziare con Onorio e Ravenna: con un colpo solo Giovio si sarebbe reso l'unico romano importante vicino ad Alaric. In una cerimonia pubblica, nell'estate del 410, Attalo fu privato della dignità imperiale ma in una rottura con la brutale tradizione politica romana Alaric ebbe pietà di lui e non lo mise a morte. Gli permise invece di rimanere con i Goti in qualità di privato cittadino.

A questo punto Alaric riaprì le negoziazioni con Onorio e, a 12 chilometri da Ravenna, organizzò quello che doveva essere il primo incontro personale con l'imperatore: Alaric si recò all'appuntamento con un piccolo seguito, e attese. E attese.

All'improvviso scattò la trappola, probabilmente ordita dal gruppo di ufficiali romani che più si opponeva alla trattativa. Un gruppo di soldati attaccò Alaric e i suoi: questi combatterono per la loro vita ma Alaric riuscì a scamparla. Prima di fuggire Alaric capì chi era ad attaccarlo: Sarus, il capo dei Goti che lo aveva abbandonato dopo la battaglia di Verona e la cui famiglia era nemica dei Balthi di Alaric da tempo immemore. Alaric fu enormemente offeso non solo a causa dell'atto in sé ma proprio a causa dall'identità dell'attaccante. Alaric comprese di aver fallito, ogni suo tentativo di negoziazione e accomodamento era finito contro un muro. Gli restavano solo due opzioni: scoprire il suo bluff e rinunciare all'attacco a Roma, più volte minacciato ma mai portato a termine, o compiere l'atto intollerabile, condanna definitiva del suo nome e della sua intera politica di dura trattativa con l'Impero.

Il dado è tratto

📷

https://italiastoria.files.wordpress.com/2020/03/cole_thomas_the_course_of_empire_destruction_1836.jpg?w=1024" alt=""/>

The course of empire, di Thomas Cole, pittore americano del primo ottocento

Alaric credo che più di ogni altra cosa tenesse alla sua dignità: non poteva dare l'idea ai Romani e ai suoi Goti di aver bluffato per tutti questi anni. Tornato dall'agguato diede l'ordine tanto temuto: dopo una breve marcia il suo immenso esercito si accampò nuovamente attorno all'esausta città di Roma, per la terza volta in due anni. I Romani compresero che erano stati abbandonati dal loro imperatore, che li aveva gettati in pasto ai Goti pur di non fare un accordo con Alaric. Non era più il tempo degli atti di eroismo: resistere, dopo mesi di carestia, pestilenze, sommovimenti politici, era impensabile. Il 24 agosto del 410 l'esercito dei Goti entrò a Roma dalla porta Salaria, la leggenda vuole che fu lasciata aperta dai Romani, forse nella speranza che la resa gli risparmiasse il peggio. Erano passati quasi esattamente 800 anni dall'ultima volta che la città era stata violata, dai Galli di Brenno. Era iniziato il sacco di Roma.

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Nella sua “storia contro i pagani” Orosio vuole dimostrare con tutte le sue forze che il comportamento del cristiano Alaric sia stato impeccabile confrontato al pagano Radogast. A tal fine dipinge un quadro sorprendentemente civile: Alaric diede l'ordine che le chiese principali della città diventassero dei santuari, nessuna decorazione poteva essere derubata e le persone ivi rifugiatevi erano intoccabili. Pare che anche i danni strutturali alla città furono molto limitati. La gran parte degli edifici e dei monumenti rimase in piedi, anche se spogliata di ogni ricchezza rimovibile.

Ma al di là di questa patina di moderazione si celò sicuramente molta violenza: soprattutto nei confronti delle donne. È probabile che la gran parte della popolazione femminile della città venne stuprata, mentre chiunque soffrì violenze da parte dei Goti in cerca di oro e ricchezze. Diversi cittadini furono trascinati via e venduti in schiavitù, probabilmente dai loro vecchi schiavi gotici. Un Monaco Romano-britannico che fu un grande oppositore di Agostino, di nome Pelagio, sopravvisse all'assedio e in una lettera ad un'amica ci dà un racconto di prima mano dell'assedio e del sacco:

Questa triste calamità è appena finita, e sono testimone di come Roma, che comandava il mondo, sia stata sconvolta dalle trombe gotiche, di come quella nazione barbara e vittoriosa prese d'assalto le mura e si fece strada in città. Dove erano allora i privilegi di nascita e le distinzioni tra gli uomini? Tutte le differenze erano livellate dalla comune tragedia. Ogni casa era una scena di sofferenza, e altrettanto piena di dolore e confusione. Lo schiavo e il nobile erano nelle stesse circostanze, e ovunque il terrore della morte e del massacro era lo stesso.

Per tre giorni i Goti si sfogarono sulla città e probabilmente avrebbero voluto restare settimane ma Alaric decise che fosse sufficiente. Aveva reso ognuno di loro ricco oltre ogni immaginazione ma il cibo, nella esausta città, scarseggiava di nuovo. I Goti si ritirarono portandosi dietro tesori di ogni genere, pare perfino le ricchezze del tempio degli Ebrei, saccheggiate più di tre secoli prima. Ma Il tesoro più grande sui quali i Goti misero mano non era fatto di metallo prezioso: si trattava di una principessa, anzi la principessa: Gallia Placidia, sorella dell'imperatore Onorio, figlia dell'imperatore Teodosio e nipote di Valentiniano I, l'uomo che gli eserciti riuniti d'occidente e d'oriente avevano scelto per governare Roma dopo la morte di Giuliano e il disastro in Persia.

Una tomba nel Busento

Alaric diresse i suoi verso sud, verso il mediterraneo e la speranza di uscire da questa maledetta penisola dove non riusciva a trovare casa: I goti, se non volevano morire di fame, dovevano raggiungere delle terre con abbondanza di grano prima dell'arrivo dell'inverno, l'Africa se possibile o in alternativa la Sicilia. I Goti si aprirono una via sanguinaria attraverso il sud della penisola, giunti fino in Calabria provarono ad attraversare lo stretto di Messina con delle barche di fortuna, ma dovettero desistere a causa di una tempesta. A questo punto Alaric fece dietrofront e li ricondusse verso nord, risalendo la Calabria: proprio durante questa marcia, improvvisamente, si ammalò di una malattia che lo portò fulmineamente alla morte. Fu quindi in Calabria che morì Alaric il grande, primo Re dei Visigoti: aveva meritato una fama imperitura. O infamia, a seconda del punto di vista.

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Era il tardo 410 ed erano passati solamente pochi mesi dalla presa di Roma. Molti viderono in quella fine improvvisa il segno della collera divina di fronte alla violazione della città eterna. Secondo la leggenda riportata dal Giordane, i suoi Goti deviarono il fiume Busento e lo seppellirono lì, assieme a una gran parte dei profitti del sacco di Roma, salvo poi ricoprire la tomba con le acque e i corpi di chi aveva lavorata all'opera, in modo da proteggere il secreto del luogo di sepoltura finale del grande Re. Per centinaia di anni schiere di archeologi amatoriali, novelli Schliemann, hanno provato a localizzare la tomba di Alaric ma nessuno l'ha mai trovata, anche perché è quasi sicuramente una leggenda essendo un tipico topos letterario germanico. Ma chissà, voi potreste essere più fortunati!

Alaric è una figura che giganteggia sul quinto secolo ma non va esagerata: fu un buon generale e un capo accorto del suo popolo ma va detto che non riuscì mai a sconfiggere un vero esercito Romano, né a raggiungere il suo fine ultimo di un accordo con Roma. Nel complesso mi pare una figura tragica più che la macchietta malvagia della vulgata: credeva di aver imparato la lezione, Roma ascoltava solo quando minacciata dalle sue spade gotiche. Eppure proprio la sua irruenza e a tratti assenza di diplomazia condannarono la sua politica: già nel 408 era diventato una figura tanto odiata dai capi militari Romani che un accordo con lui era pura Cryptonite per la popolarità di un imperatore o per la carriera pubblica di un funzionario, tanto che la trattativa con Stilicone costò a quest'ultimo la sua vita e quella dei suoi familiari. Il fallimento di Alaric era pertanto inevitabile e il sacco di Roma non fu il suo trionfo ma la sconfitta della sua politica: aveva cacciato i Goti in un cul de sac da cui non sarebbero usciti mai con lui alla guida, ebbe il buon senso quindi di morire e lasciare ad altri la trattativa con lo stato Romano.

L'11 settembre degli antichi

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https://italiastoria.files.wordpress.com/2020/03/unnamed.jpg?w=400" alt=""/>

Il sacco di Roma

Cosa fu il sacco di Roma per i contemporanei? È difficile oggi comprendere davvero la sua portata psicologica per i Romani. Roma aveva avuto sicuramente tempi difficili ma mai, mai i Romani avevano dubitato il suo destino civilizzatore universale. Dio, o gli Dei, non avrebbero mai permesso che i suoi sacri confini fossero violati da un nemico, Roma non poteva cadere perché Roma era il destino ultimo dell'umanità. In sostanza I Romani si erano convinti di essere indispensabili ai disegni divini. Il sacco di Roma fu un brusco, terribile risveglio da tutto questo. E brusco fu: solo nel 405 una enorme invasione barbarica era stata sconfitta senza troppi problemi da Stilicone, nessuno aveva pensato che l'impero fosse in un pericolo talmente grande, neanche quando i disastri iniziarono ad accumularsi l'uno sugli altri: la caduta del Reno, la guerra civile, l'invasione di Alaric.

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Se vogliamo trovare un paragone moderno, il sacco di Roma fu l'11 settembre degli antichi: anche l'America si sentiva invulnerabile, protetta da due immensi oceani e dalla sua ideologia del destino manifesto, della città luccicante sopra la collina nelle parole di Reagan. Non credo che gli europei comprendano che shock fu per l'America ritrovarsi in prima fila, attaccata sul suolo patrio per la prima volta in 200 anni. Eppure questo shock è nulla in confronto al sacco di Roma: Roma non era stata saccheggiata da 800 anni, più del tempo che ci separa da Giotto e Dante. Certamente ci fu chi comprese che le cose avevano preso una brutta piega da tempo ma come abbiamo visto la discesa della china fu rapidissima e devastante e il più probabilmente si illuse fino all'ultimo che fosse solo una crisi temporanea.

Eppure il sacco di Roma fu simile all'11 settembre anche sotto un altro aspetto: in realtà il suo impatto fu più psicologico che reale. L'America del 12 settembre era sempre l'unica superpotenza mondiale, anche se ferita nell'orgoglio e nella carne della sua capitale economica. Anche lo stato Romano non era debole nel 410: i Goti erano riusciti nella loro impresa solo perché chi governava Ravenna era paralizzato dalla paura di utilizzare la sua forza militare per fare alcunché. Lo shock della caduta dell'antica capitale dell'impero porterà al potere a Ravenna un uomo di ben altra pasta che non ci metterà molto a mobilizzare le risorse latenti dell'impero. La sua azione riporterà indietro l'orologio quasi al giorno di quel fatidico 31 dicembre del 406, quando i Germani infransero la frontiera del Reno, scatenando la incredibile sequenza di eventi che conduce al sacco di Roma.

Il sacco di Roma (408-410) - Ep. 25 (3) Die Plünderung Roms (408-410) - Ep. 25 (3) Η άλωση της Ρώμης (408-410) - Επεισόδιο 25 (3) The Sack of Rome (408-410) - Ep. 25 (3) El saqueo de Roma (408-410) - Ep. 25 (3) O saque de Roma (408-410) - Ep. 25 (3) Разграбление Рима (408-410) - Эп. 25 (3)

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Alaric, Ataulf e Attalo – forse dovremmo chiamarli le tre A – marciarono nel frattempo verso il nord Italia, qui diverse città si dichiararono in favore del nuovo governo. Onorio a questo punto, perso il controllo di buona parte dell'impero, fu preso dal panico, come sempre quando questo imperatore volubile e debole sentiva in pericolo la sua sicurezza personale. Onorio inviò a parlamentare con Attalo il suo primo ministro, Giovio, ma questi passò prontamente dalla parte avversaria, venendo nominato al rango di Patrizio da Attalo. A questo punto l'alleanza Romano-Gotica fece sapere a Onorio che avrebbero trattato solo sul luogo del suo esilio: era arrivato il momento di togliersi di torno.

In un universo parallelo Onorio viene esiliato e finisce i suoi giorni a Costantinopoli mentre l'alleanza tra Alaric e la corte di Ravenna passa all'offensiva contro Costantino III e ristabilisce il governo di Ravenna, a questo punto condiviso tra Goti e Romani, come sarà tra cento anni con Teodorico. Ma non siamo nell'universo parallelo e proprio mentre Onorio si apprestava a cedere arrivarono a Ravenna rinforzi dall'oriente: Costantinopoli non aveva dimenticato i suoi fratelli di Ravenna e aveva inviato quattro mila soldati e la promessa di ulteriori aiuti. In contemporanea arrivò la notizia che in Nordafrica il Comes Africae aveva battuto le forze inviate da Attalo: l'Africa restava leale a Onorio.

Il tradimento dei Romani

L'imperatore e quello che restava della sua corte decisero dunque di resistere e rifiutarono le richieste di Attalo. Alaric era furioso: ogni volta che pareva vicino al suo obiettivo questo si allontanava. Richiese di nuovo che Attalo autorizzasse l'invio dei Goti in Africa ma il nostro improbabile anziano imperatore si rifiutò nuovamente: aveva capito che probabilmente Alaric aveva intenzione di stabilire i suoi Goti in Africa e questo lui non lo poteva accettare. Grazie a questo coraggioso rifiuto penso che possiamo decisamente dire che Attalo non era né un codardo, né un traditore.

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Allora Giovio, il nostro amato primo ministro di due corti e maestro dei complotti, consigliò ad Alaric di rimuovere il suo imperatore-fantoccio come condizione per negoziare con Onorio e Ravenna: con un colpo solo Giovio si sarebbe reso l'unico romano importante vicino ad Alaric. In una cerimonia pubblica, nell'estate del 410, Attalo fu privato della dignità imperiale ma in una rottura con la brutale tradizione politica romana Alaric ebbe pietà di lui e non lo mise a morte. Gli permise invece di rimanere con i Goti in qualità di privato cittadino.

A questo punto Alaric riaprì le negoziazioni con Onorio e, a 12 chilometri da Ravenna, organizzò quello che doveva essere il primo incontro personale con l'imperatore: Alaric si recò all'appuntamento con un piccolo seguito, e attese. E attese.

All'improvviso scattò la trappola, probabilmente ordita dal gruppo di ufficiali romani che più si opponeva alla trattativa. Un gruppo di soldati attaccò Alaric e i suoi: questi combatterono per la loro vita ma Alaric riuscì a scamparla. Prima di fuggire Alaric capì chi era ad attaccarlo: Sarus, il capo dei Goti che lo aveva abbandonato dopo la battaglia di Verona e la cui famiglia era nemica dei Balthi di Alaric da tempo immemore. Alaric fu enormemente offeso non solo a causa dell'atto in sé ma proprio a causa dall'identità dell'attaccante. Alaric comprese di aver fallito, ogni suo tentativo di negoziazione e accomodamento era finito contro un muro. Gli restavano solo due opzioni: scoprire il suo bluff e rinunciare all'attacco a Roma, più volte minacciato ma mai portato a termine, o compiere l'atto intollerabile, condanna definitiva del suo nome e della sua intera politica di dura trattativa con l'Impero.

Il dado è tratto

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The course of empire, di Thomas Cole, pittore americano del primo ottocento

Alaric credo che più di ogni altra cosa tenesse alla sua dignità: non poteva dare l'idea ai Romani e ai suoi Goti di aver bluffato per tutti questi anni. Tornato dall'agguato diede l'ordine tanto temuto: dopo una breve marcia il suo immenso esercito si accampò nuovamente attorno all'esausta città di Roma, per la terza volta in due anni. I Romani compresero che erano stati abbandonati dal loro imperatore, che li aveva gettati in pasto ai Goti pur di non fare un accordo con Alaric. Non era più il tempo degli atti di eroismo: resistere, dopo mesi di carestia, pestilenze, sommovimenti politici, era impensabile. Il 24 agosto del 410 l'esercito dei Goti entrò a Roma dalla porta Salaria, la leggenda vuole che fu lasciata aperta dai Romani, forse nella speranza che la resa gli risparmiasse il peggio. Erano passati quasi esattamente 800 anni dall'ultima volta che la città era stata violata, dai Galli di Brenno. Era iniziato il sacco di Roma.

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Nella sua “storia contro i pagani” Orosio vuole dimostrare con tutte le sue forze che il comportamento del cristiano Alaric sia stato impeccabile confrontato al pagano Radogast. A tal fine dipinge un quadro sorprendentemente civile: Alaric diede l'ordine che le chiese principali della città diventassero dei santuari, nessuna decorazione poteva essere derubata e le persone ivi rifugiatevi erano intoccabili. Pare che anche i danni strutturali alla città furono molto limitati. La gran parte degli edifici e dei monumenti rimase in piedi, anche se spogliata di ogni ricchezza rimovibile.

Ma al di là di questa patina di moderazione si celò sicuramente molta violenza: soprattutto nei confronti delle donne. È probabile che la gran parte della popolazione femminile della città venne stuprata, mentre chiunque soffrì violenze da parte dei Goti in cerca di oro e ricchezze. Diversi cittadini furono trascinati via e venduti in schiavitù, probabilmente dai loro vecchi schiavi gotici. Un Monaco Romano-britannico che fu un grande oppositore di Agostino, di nome Pelagio, sopravvisse all'assedio e in una lettera ad un'amica ci dà un racconto di prima mano dell'assedio e del sacco:

__Questa triste calamità è appena finita, e sono testimone di come Roma, che comandava il mondo, sia stata sconvolta dalle trombe gotiche, di come quella nazione barbara e vittoriosa prese d'assalto le mura e si fece strada in città. Dove erano allora i privilegi di nascita e le distinzioni tra gli uomini? Tutte le differenze erano livellate dalla comune tragedia. Ogni casa era una scena di sofferenza, e altrettanto piena di dolore e confusione. Lo schiavo e il nobile erano nelle stesse circostanze, e ovunque il terrore della morte e del massacro era lo stesso.__

Per tre giorni i Goti si sfogarono sulla città e probabilmente avrebbero voluto restare settimane ma Alaric decise che fosse sufficiente. Aveva reso ognuno di loro ricco oltre ogni immaginazione ma il cibo, nella esausta città, scarseggiava di nuovo. I Goti si ritirarono portandosi dietro tesori di ogni genere, pare perfino le ricchezze del tempio degli Ebrei, saccheggiate più di tre secoli prima. Ma Il tesoro più grande sui quali i Goti misero mano non era fatto di metallo prezioso: si trattava di una principessa, anzi la principessa: Gallia Placidia, sorella dell'imperatore Onorio, figlia dell'imperatore Teodosio e nipote di Valentiniano I, l'uomo che gli eserciti riuniti d'occidente e d'oriente avevano scelto per governare Roma dopo la morte di Giuliano e il disastro in Persia.

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Alaric diresse i suoi verso sud, verso il mediterraneo e la speranza di uscire da questa maledetta penisola dove non riusciva a trovare casa: I goti, se non volevano morire di fame, dovevano raggiungere delle terre con abbondanza di grano prima dell'arrivo dell'inverno, l'Africa se possibile o in alternativa la Sicilia. I Goti si aprirono una via sanguinaria attraverso il sud della penisola, giunti fino in Calabria provarono ad attraversare lo stretto di Messina con delle barche di fortuna, ma dovettero desistere a causa di una tempesta. A questo punto Alaric fece dietrofront e li ricondusse verso nord, risalendo la Calabria: proprio durante questa marcia, improvvisamente, si ammalò di una malattia che lo portò fulmineamente alla morte. Fu quindi in Calabria che morì Alaric il grande, primo Re dei Visigoti: aveva meritato una fama imperitura. O infamia, a seconda del punto di vista.

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Alaric è una figura che giganteggia sul quinto secolo ma non va esagerata: fu un buon generale e un capo accorto del suo popolo ma va detto che non riuscì mai a sconfiggere un vero esercito Romano, né a raggiungere il suo fine ultimo di un accordo con Roma. Nel complesso mi pare una figura tragica più che la macchietta malvagia della vulgata: credeva di aver imparato la lezione, Roma ascoltava solo quando minacciata dalle sue spade gotiche. Eppure proprio la sua irruenza e a tratti assenza di diplomazia condannarono la sua politica: già nel 408 era diventato una figura tanto odiata dai capi militari Romani che un accordo con lui era pura Cryptonite per la popolarità di un imperatore o per la carriera pubblica di un funzionario, tanto che la trattativa con Stilicone costò a quest'ultimo la sua vita e quella dei suoi familiari. Il fallimento di Alaric era pertanto inevitabile e il sacco di Roma non fu il suo trionfo ma la sconfitta della sua politica: aveva cacciato i Goti in un cul de sac da cui non sarebbero usciti mai con lui alla guida, ebbe il buon senso quindi di morire e lasciare ad altri la trattativa con lo stato Romano.

L'11 settembre degli antichi

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Il sacco di Roma

Cosa fu il sacco di Roma per i contemporanei? È difficile oggi comprendere davvero la sua portata psicologica per i Romani. Roma aveva avuto sicuramente tempi difficili ma mai, mai i Romani avevano dubitato il suo destino civilizzatore universale. Dio, o gli Dei, non avrebbero mai permesso che i suoi sacri confini fossero violati da un nemico, Roma non poteva cadere perché Roma era il destino ultimo dell'umanità. In sostanza I Romani si erano convinti di essere indispensabili ai disegni divini. Il sacco di Roma fu un brusco, terribile risveglio da tutto questo. E brusco fu: solo nel 405 una enorme invasione barbarica era stata sconfitta senza troppi problemi da Stilicone, nessuno aveva pensato che l'impero fosse in un pericolo talmente grande, neanche quando i disastri iniziarono ad accumularsi l'uno sugli altri: la caduta del Reno, la guerra civile, l'invasione di Alaric.

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Eppure il sacco di Roma fu simile all'11 settembre anche sotto un altro aspetto: in realtà il suo impatto fu più psicologico che reale. L'America del 12 settembre era sempre l'unica superpotenza mondiale, anche se ferita nell'orgoglio e nella carne della sua capitale economica. Anche lo stato Romano non era debole nel 410: i Goti erano riusciti nella loro impresa solo perché chi governava Ravenna era paralizzato dalla paura di utilizzare la sua forza militare per fare alcunché. Lo shock della caduta dell'antica capitale dell'impero porterà al potere a Ravenna un uomo di ben altra pasta che non ci metterà molto a mobilizzare le risorse latenti dell'impero. La sua azione riporterà indietro l'orologio quasi al giorno di quel fatidico 31 dicembre del 406, quando i Germani infransero la frontiera del Reno, scatenando la incredibile sequenza di eventi che conduce al sacco di Roma.