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Storia D'Italia, Guerra sul Danubio (376-377) - Ep. 16 (1)

Guerra sul Danubio (376-377) - Ep. 16 (1)

Dopo il nostro excursus per comprendere la storia dei Germani in generale e dei Goti in particolare e l'episodio che ci ha descritto l'evoluzione dell'esercito Romano nel quarto secolo credo che abbiamo posto le basi necessarie per riprendere la narrazione nel punto in cui l'avevo interrotta.

Le due nazioni Gotiche sono state sconfitte dagli Unni: molti dei Greutungi sono finiti sotto il tallone dei terribili nomadi venuti dall'Asia centrale. Il giudice dei Tervingi, Athanaric, si è rifugiato nei monti Carpazi. Alcuni tra i Greutungi, assieme ad Alani e perfino Unni disertori si sono diretti verso il territorio romano, al comando di Alatheus e Saphrax. Fritigern, il Goto cristianizzato amico di Valente, ha convinto il grosso del popolo dei Tervingi a migrare verso l'impero. Romani e Goti saranno presto costretti a vivere molto più a contatto di quanto entrambi avessero mai desiderato, gli effetti saranno disastrosi.

In alto il podcast, se lo volete ascoltare o riascoltare

L'IMPERO E I BARBARI: ACCOGLIENZA, INTEGRAZIONE E CONFLITTO

Oggi parleremo di un caso di migrazione e integrazione fallita: è una storia piuttosto triste di una serie di eventi che non era destino si dispiegassero come fecero. Prima di tutto sgombriamo il campo dagli equivoci: non si trattava di una novità. Il barbaricum era un mondo brutale e spesso capitava che una tribù o un popolo venissero sconfitti dai loro vicini e piuttosto che piegarsi agli invasori si rifugiassero nell'Impero, chiedendo direttamente asilo o invadendone le terre cercando di ricavarsi un nuovo territorio in cui vivere.

Da centinaia di anni i Romani avevano una chiara politica nei confronti dei barbari: se entravano nel territorio romano senza autorizzazione erano trattati da nemici e non venivano di solito massacrati, quando venivano inevitabilmente sconfitti. I più forti tra i barbari venivano arruolati nelle legioni ma senza formare unità autonome: venivano sparpagliati e divisi in modo da spezzarne l'unità etnica e linguistica. L'obiettivo era forgiare nuovi soldati fedeli soltanto a Roma. Il grosso del popolo sconfitto veniva però o venduto in schiavitù o installato in villaggi sparsi per tutto l'impero come coloni semiliberi. Così facendo si rimpolpavano le campagne imperiali di nuovi contadini produttori di reddito, in forma di tasse, e produttori di reclute, in forma di soldati. Il popolo sconfitto, grazie a queste misure, perdeva molto rapidamente la sua identità e veniva inglobato nell'Impero.

Altro caso era il popolo che chiedeva asilo politico: l'Impero era di solito accomodante a queste richieste. I Romani avevano una politica di accoglienza da secoli: è attestata almeno da Nerone. I Romani ne avevano chiari i benefici: come nel caso dei popoli sconfitti i popoli accolti nell'impero potevano fornire nuovi soldati e contadini contribuenti. C'era un beneficio anche per i cittadini privati: Il mondo Romano era una complessa economica a base monetaria dove per i contribuenti era possibile evitare la leva militare pagando l'equivalente in denaro del costo dall'arruolamento ed equipaggiamento di un soldato. I nuovi arrivati potevano evitare a migliaia di coloni e cittadini liberi romani la durezza della leva militare. In un paio di generazioni i popoli così accolti diventavano indistinguibili dagli altri cittadini romani, grazie ai meravigliosi effetti del prodigioso melting pot Romano: l'impero era sempre stato capace di accogliere barbari e sfornare in pochi anni fieri sudditi di Roma.

Eppure i Romani avevano capito che l'accoglienza dei migranti era comunque un affare pericoloso: alla fin fine si introduceva nel corpo dell'impero un gruppo di soldati armati e di scarsa fedeltà. Al fine di assicurarsi che tutto filasse liscio c'era a quanto pare una chiara procedura da seguire.

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Le cronache di Ammiano Marcellino ci aiutano a capire cosa accadeva in questi casi. In particolare abbiamo un episodio accaduto durante il regno di Costanzo II. Nel 359 i Sarmati Limigantes, dopo essere stati probabilmente sconfitti dai loro vicini, chiesero asilo all'impero. I Sarmati attraversarono il Danubio al cospetto di un dispiegamento di forze romane impressionante, con il comitatus imperiale pronto a riceverli. Una volta portati di fronte all'imperatore il loro leader si gettò a terra, in un atto tipico del pomposo rituale imperiale, chiedendo perdono al rappresentante di Dio in terra. Quando Costanzo gli fece segno di alzarsi tutti i limiganti buttarono a terra le armi e gli scudi e supplicarono di essere accolti.

Si trattava ovviamente di un teatro preorganizzato che rispettava la forma che i romani volevano dare a questa cerimonia: i barbari dovevano essere visti dall'opinione pubblica imperiale come dei supplicanti e l'imperatore come un sovrano mosso a compassione. Eppure il cerimoniale aveva anche della sostanza: i Sarmati rinunciavano alle loro armi e accettavano di essere spediti in quanto coloni semiliberi in varie località dell'impero con l'obbligo di fornire reclute a richiesta dello stato. Molti tra i Sarmati sarebbero stati arruolati sul posto e inquadrati in unità di connazionali, ma con un ufficiale Romano. Aggiungo che qualcosa andò storto quella volta: non sappiamo cosa avvenne davvero – le fonti romane riportano ovviamente la versione ufficiale della propaganda imperiale – ma qualcosa nella cerimonia andò storto: i Germani protestarono, probabilmente per qualche condizione che non avevano del tutto digerito. L'esercito romano intervenne massacrarono i Sarmati, dimostrando che il dispiegamento di forze non era solo scena.

Abbiamo visto quindi che la procedura imperiale prevedeva una serie di passaggi atti a minimizzare i rischi dell'accoglienza massimizzandone i benefici: disarmo, atto di dedizione dei loro leader, dispiegamento di forze romane preponderanti, dispersione della tribù nell'immenso stato romano, inquadramento degli elementi più bellicosi nell'esercito

UNA FRONTIERA SGUARNITA

📷

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Capidava, uno dei forti romani sul Danubio

Niente di tutto questo accadde nel 376 dopo cristo, in quello che fu senza dubbio il più imponente tentativo di migrazione legale nell'Impero di un popolo del barbaricum. Certamente la responsabilità è anche nell'incompetenza dei Romani e un po' nella malafede dei Goti, ma le ragioni sono un po' più complesse.

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Innanzitutto dobbiamo capire che i Goti si presentarono sul Danubio in un momento molto delicato per quella frontiera: come ho narrato Valente, dopo aver guerreggiato a nord del Danubio contro Athanaric, aveva concluso un accordo con il giudice dei Goti nel 369 per volgere il suo sguardo verso Shapur e gli iraniani. Da allora aveva fatto affluire rinforzi verso la frontiera orientale, in preparazione dell'inevitabile guerra tra Romani e Shapur, un dejà vu per molti di voi. La rivolta di Quadi e Sarmati che tanti grattacapi aveva dato a Valentiniano, fino all'epica sfuriata che aveva posto fine alla sua vita, aveva ulteriormente indebolito l'esercito di Tracia: Valente aveva inviato rinforzi al fratello per sedarla. Un popolo di montanari dalle tendenze brigantesche, gli Isauri, avevano creato ulteriori problemi. La combinazione di questi fattori fece si che, quando i Goti di Fritigern si presentarono sul Danubio, la frontiera Danubiana fosse decisamente sottorganico mentre il grosso del Comitatus di Valente era con lui ad Antiochia, in preparazione della spedizione in oriente.

UNA MIGRAZIONE DI MASSA

Ammiano e gli altri storici dell'epoca come Eunapio, Zosimo e Orosio sono unanimi nel riportare la felicità di Valente nello scoprire che un popolo bellicoso si era presentato alle sue porte, richiedendo asilo: ecco l'occasione ideale per rafforzare le sue armate sia per la guerra persiana che per una possibile guerra civile, pensò Valente. Inoltre suo fratello, Valentiniano, era morto e chissà cosa sarebbe potuto succedere in occidente, ora che le insegne imperiali erano state affidate ad un ragazzino – Graziano – e un poppante – Valentiniano II. Eppure sia Wolfram che Heather – le mie principali fonti moderne per questo periodo – sono convinti che questa sia solo una ricostruzione ex post per giustificare il disastro che ne seguì.

Cerchiamo di ricostruire cosa avvenne, precisando che è una ricostruzione e non una certezza storica: appena i Tervingi di Fritigern e i Greutungi di Alatheus e Saphrax arrivarono sul Danubio un messaggero e una ambasceria dei Goti furono inviate con il favoloso sistema di posta imperiale ad Antiochia, dove giunsero nel giro di poche settimane: Lupicino, il Comes a capo della Tracia chiedeva istruzioni all'imperatore, sottolineando i rischi potenziali della situazione: non aveva davvero le truppe per impedire ai Goti di passare, se lo avessero voluto con determinazione. I Goti spiegarono la loro situazione e chiesero di essere ammessi all'interno dell'impero, ponendo però condizioni straordinarie dovute anche alla loro forza: non erano i Sarmati Limigantes e non si sarebbero piegati a farsi inviare come contadini semiliberi in giro per l'impero, disarmati e con l'obbligo alla leva. No: chiedevano di essere ammessi e sistemati in Tracia, la regione confinante con il loro paese e dove già vivevano i Goti cristiani di Ulfila. Pretendevano di non essere disarmati ma si impegnavano ad essere inquadrati nell'esercito romano, combattendo la guerra di Valente.

LO STATO MAGGIORE DI VALENTE PRENDE UNA DECISIONE GRAVIDA DI CONSEGUENZE

📷

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Solido di Valente

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Mi immagino Valente e il suo stato maggiore soppesare la questione in una tesa riunione. Proviamo ad immaginarcela, precisando che si tratta di una ricostruzione di fantasia, ma che credo rispetti nello spirito quello che avvenne davvero.

“Siamo qui, pronti alla guerra con il nostro nemico principale, la Persia. Non possiamo distrarci dal nostro obiettivo finale. Lupicino, il Comes della Tracia, dovrà gestire questa cosa da solo” disse il Magister per Orientem.

“I Goti non sono un nemico preoccupante, li abbiamo sconfitti in tutte le recenti guerre: il loro popolo è diviso, solo gli uomini che seguono Fritigern si sono presentati, Athanaric è fuggito chissà dove. Non vedo perché dovremmo trattarli in modo speciale” aggiunge Iulius, il Magister Equitum.

“Comunque sia” sostiene Valente “non possiamo ignorare la minaccia che pongono: potrebbero causare problemi proprio ora che abbiamo bisogno di ogni soldato per la guerra in oriente. Va detto poi che Fritigern è un uomo di cui ci possiamo fidare, ci ha aiutati nella recente guerra ed è anche un seguace di nostro signore Gesù. Questi altri Goti invece, i Greutungi, sono dei selvaggi che vivono nelle steppe Scite. Non sappiamo nulla di loro e non sono certamente degli amici del popolo Romano”. “Sire” aggiunse il Comes dei Domestici, il capo della guardia imperiale “Non siamo soli in questa faccenda, chiediamo aiuto a Graziano: potrà mandare rinforzi a Lupicino per gestire la migrazione. Comunque sia la situazione militare non ci permette di applicare la nostra procedura standard”

La decisione dello stato maggiore fu in linea con questa conversazione immaginaria: un messaggero tornò da Lupicino con delle istruzioni chiare, che applicavano la vecchia e testata politica romana del divide et impera. Solo i seguaci di Fritigern sarebbero stati accolti nell'impero per essere insediati in Tracia, come erano stati insediati lì – e con grande successo – i Goti di Ulfila. I Greutungi invece furono lasciati fuori dalla porta e la flotta fluviale e tutte le truppe disponibili furono inviate a far sì che rimanessero bloccati sulla riva settentrionale del Danubio: un popolo di Goti nell'impero bastava e avanzava. Come misura aggiuntiva di fedeltà e romanizzazione dei più romanizzati dei Goti, i Tervingi, fu richiesto un atto di conversione almeno formale al cristianesimo da parte della loro leadership.

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Criticamente però, a differenza di altre migrazioni, veniva concesso all'intero popolo di migrare in una sola regione, la Tracia. Non sappiamo invece se ci fu l'ordine di disarmare i Goti: alcune fonti sostengono di sì e che i Goti si rifiutarono di farlo. Mi pare più probabile che invece i Goti ottennero l'autorizzazione di passare armati perché questa fu una delle condizioni che strapparono a Valente, troppo impegnato in oriente per fare l'unica cosa che avrebbe convinto i Goti a rinunciare alle loro armi: marciare verso il Danubio con il suo Comitatus, imponendo il volere di Roma grazie alla sua forza soverchiante. I Tervingi, d'altro canto, si impegnarono a combattere le guerre di Valente e un gruppo tra di loro fu direttamente arruolato.

GESTIRE IL RISCHIO

Valente credo fosse consapevole che si trattava di una situazione incendiaria, con migliaia di Goti armati nel territorio dell'impero e troppe poche truppe a dissuaderle. Prese quindi delle contromisure per evitare che la situazione finisse fuori controllo: Temistio, il retore che era uno dei bracci destri dell'imperatore, è attestato a Roma quello stesso inverno del 376-377. Chiaramente era stato inviato in Italia, probabile che fece da ambasciatore presso Merobaude e Graziano: Valente chiese ai sovrani dell'occidente l'invio di rinforzi, in modo da tenere sotto controllo la situazione in Tracia. Rinforzi che puntualmente arrivarono in Tracia già nell'estate del 377. Inoltre Valente diede ordine a Lupicino di portare tutte le derrate alimentari del raccolto del 376 al sicuro dentro le mura delle città della Tracia: i Goti si erano portati dietro sicuramente dei viveri per la migrazione ma una volta finite le loro scorte sarebbero stati alla mercé delle autorità romane: era questa potenzialmente una potente leva per convincerli a rigare dritto, finì invece per essere la miccia della rivolta.

Guerra sul Danubio (376-377) - Ep. 16 (1) Krieg an der Donau (376-377) - Ep. 16 (1) War on the Danube (376-377) - Ep. 16 (1) Guerra do Danúbio (376-377) - Ep. 16 (1) Kriget vid Donau (376-377) - Ep. 16 (1)

Dopo il nostro excursus per comprendere la storia dei Germani in generale e dei Goti in particolare e l'episodio che ci ha descritto l'evoluzione dell'esercito Romano nel quarto secolo credo che abbiamo posto le basi necessarie per riprendere la narrazione nel punto in cui l'avevo interrotta.

Le due nazioni Gotiche sono state sconfitte dagli Unni: molti dei Greutungi sono finiti sotto il tallone dei terribili nomadi venuti dall'Asia centrale. Il giudice dei Tervingi, Athanaric, si è rifugiato nei monti Carpazi. Alcuni tra i Greutungi, assieme ad Alani e perfino Unni disertori si sono diretti verso il territorio romano, al comando di Alatheus e Saphrax. Fritigern, il Goto cristianizzato amico di Valente, ha convinto il grosso del popolo dei Tervingi a migrare verso l'impero. Romani e Goti saranno presto costretti a vivere molto più a contatto di quanto entrambi avessero mai desiderato, gli effetti saranno disastrosi.

In alto il podcast, se lo volete ascoltare o riascoltare

L'IMPERO E I BARBARI: ACCOGLIENZA, INTEGRAZIONE E CONFLITTO

Oggi parleremo di un caso di migrazione e integrazione fallita: è una storia piuttosto triste di una serie di eventi che non era destino si dispiegassero come fecero. Prima di tutto sgombriamo il campo dagli equivoci: non si trattava di una novità. Il barbaricum era un mondo brutale e spesso capitava che una tribù o un popolo venissero sconfitti dai loro vicini e piuttosto che piegarsi agli invasori si rifugiassero nell'Impero, chiedendo direttamente asilo o invadendone le terre cercando di ricavarsi un nuovo territorio in cui vivere.

Da centinaia di anni i Romani avevano una chiara politica nei confronti dei barbari: se entravano nel territorio romano senza autorizzazione erano trattati da nemici e non venivano di solito massacrati, quando venivano inevitabilmente sconfitti. I più forti tra i barbari venivano arruolati nelle legioni ma senza formare unità autonome: venivano sparpagliati e divisi in modo da spezzarne l'unità etnica e linguistica. L'obiettivo era forgiare nuovi soldati fedeli soltanto a Roma. Il grosso del popolo sconfitto veniva però o venduto in schiavitù o installato in villaggi sparsi per tutto l'impero come coloni semiliberi. Così facendo si rimpolpavano le campagne imperiali di nuovi contadini produttori di reddito, in forma di tasse, e produttori di reclute, in forma di soldati. Il popolo sconfitto, grazie a queste misure, perdeva molto rapidamente la sua identità e veniva inglobato nell'Impero.

Altro caso era il popolo che chiedeva asilo politico: l'Impero era di solito accomodante a queste richieste. I Romani avevano una politica di accoglienza da secoli: è attestata almeno da Nerone. I Romani ne avevano chiari i benefici: come nel caso dei popoli sconfitti i popoli accolti nell'impero potevano fornire nuovi soldati e contadini contribuenti. C'era un beneficio anche per i cittadini privati: Il mondo Romano era una complessa economica a base monetaria dove per i contribuenti era possibile evitare la leva militare pagando l'equivalente in denaro del costo dall'arruolamento ed equipaggiamento di un soldato. I nuovi arrivati potevano evitare a migliaia di coloni e cittadini liberi romani la durezza della leva militare. In un paio di generazioni i popoli così accolti diventavano indistinguibili dagli altri cittadini romani, grazie ai meravigliosi effetti del prodigioso melting pot Romano: l'impero era sempre stato capace di accogliere barbari e sfornare in pochi anni fieri sudditi di Roma.

Eppure i Romani avevano capito che l'accoglienza dei migranti era comunque un affare pericoloso: alla fin fine si introduceva nel corpo dell'impero un gruppo di soldati armati e di scarsa fedeltà. Al fine di assicurarsi che tutto filasse liscio c'era a quanto pare una chiara procedura da seguire.

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Le cronache di Ammiano Marcellino ci aiutano a capire cosa accadeva in questi casi. In particolare abbiamo un episodio accaduto durante il regno di Costanzo II. Nel 359 i Sarmati Limigantes, dopo essere stati probabilmente sconfitti dai loro vicini, chiesero asilo all'impero. I Sarmati attraversarono il Danubio al cospetto di un dispiegamento di forze romane impressionante, con il comitatus imperiale pronto a riceverli. Una volta portati di fronte all'imperatore il loro leader si gettò a terra, in un atto tipico del pomposo rituale imperiale, chiedendo perdono al rappresentante di Dio in terra. Quando Costanzo gli fece segno di alzarsi tutti i limiganti buttarono a terra le armi e gli scudi e supplicarono di essere accolti.

Si trattava ovviamente di un teatro preorganizzato che rispettava la forma che i romani volevano dare a questa cerimonia: i barbari dovevano essere visti dall'opinione pubblica imperiale come dei supplicanti e l'imperatore come un sovrano mosso a compassione. Eppure il cerimoniale aveva anche della sostanza: i Sarmati rinunciavano alle loro armi e accettavano di essere spediti in quanto coloni semiliberi in varie località dell'impero con l'obbligo di fornire reclute a richiesta dello stato. Molti tra i Sarmati sarebbero stati arruolati sul posto e inquadrati in unità di connazionali, ma con un ufficiale Romano. Aggiungo che qualcosa andò storto quella volta: non sappiamo cosa avvenne davvero – le fonti romane riportano ovviamente la versione ufficiale della propaganda imperiale – ma qualcosa nella cerimonia andò storto: i Germani protestarono, probabilmente per qualche condizione che non avevano del tutto digerito. L'esercito romano intervenne massacrarono i Sarmati, dimostrando che il dispiegamento di forze non era solo scena.

Abbiamo visto quindi che la procedura imperiale prevedeva una serie di passaggi atti a minimizzare i rischi dell'accoglienza massimizzandone i benefici: disarmo, atto di dedizione dei loro leader, dispiegamento di forze romane preponderanti, dispersione della tribù nell'immenso stato romano, inquadramento degli elementi più bellicosi nell'esercito

UNA FRONTIERA SGUARNITA

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Capidava, uno dei forti romani sul Danubio

Niente di tutto questo accadde nel 376 dopo cristo, in quello che fu senza dubbio il più imponente tentativo di migrazione legale nell'Impero di un popolo del barbaricum. Certamente la responsabilità è anche nell'incompetenza dei Romani e un po' nella malafede dei Goti, ma le ragioni sono un po' più complesse.

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Innanzitutto dobbiamo capire che i Goti si presentarono sul Danubio in un momento molto delicato per quella frontiera: come ho narrato Valente, dopo aver guerreggiato a nord del Danubio contro Athanaric, aveva concluso un accordo con il giudice dei Goti nel 369 per volgere il suo sguardo verso Shapur e gli iraniani. Da allora aveva fatto affluire rinforzi verso la frontiera orientale, in preparazione dell'inevitabile guerra tra Romani e Shapur, un dejà vu per molti di voi. La rivolta di Quadi e Sarmati che tanti grattacapi aveva dato a Valentiniano, fino all'epica sfuriata che aveva posto fine alla sua vita, aveva ulteriormente indebolito l'esercito di Tracia: Valente aveva inviato rinforzi al fratello per sedarla. Un popolo di montanari dalle tendenze brigantesche, gli Isauri, avevano creato ulteriori problemi. La combinazione di questi fattori fece si che, quando i Goti di Fritigern si presentarono sul Danubio, la frontiera Danubiana fosse decisamente sottorganico mentre il grosso del Comitatus di Valente era con lui ad Antiochia, in preparazione della spedizione in oriente.

UNA MIGRAZIONE DI MASSA

Ammiano e gli altri storici dell'epoca come Eunapio, Zosimo e Orosio sono unanimi nel riportare la felicità di Valente nello scoprire che un popolo bellicoso si era presentato alle sue porte, richiedendo asilo: ecco l'occasione ideale per rafforzare le sue armate sia per la guerra persiana che per una possibile guerra civile, pensò Valente. Inoltre suo fratello, Valentiniano, era morto e chissà cosa sarebbe potuto succedere in occidente, ora che le insegne imperiali erano state affidate ad un ragazzino – Graziano – e un poppante – Valentiniano II. Eppure sia Wolfram che Heather – le mie principali fonti moderne per questo periodo – sono convinti che questa sia solo una ricostruzione ex post per giustificare il disastro che ne seguì.

Cerchiamo di ricostruire cosa avvenne, precisando che è una ricostruzione e non una certezza storica: appena i Tervingi di Fritigern e i Greutungi di Alatheus e Saphrax arrivarono sul Danubio un messaggero e una ambasceria dei Goti furono inviate con il favoloso sistema di posta imperiale ad Antiochia, dove giunsero nel giro di poche settimane: Lupicino, il Comes a capo della Tracia chiedeva istruzioni all'imperatore, sottolineando i rischi potenziali della situazione: non aveva davvero le truppe per impedire ai Goti di passare, se lo avessero voluto con determinazione. I Goti spiegarono la loro situazione e chiesero di essere ammessi all'interno dell'impero, ponendo però condizioni straordinarie dovute anche alla loro forza: non erano i Sarmati Limigantes e non si sarebbero piegati a farsi inviare come contadini semiliberi in giro per l'impero, disarmati e con l'obbligo alla leva. No: chiedevano di essere ammessi e sistemati in Tracia, la regione confinante con il loro paese e dove già vivevano i Goti cristiani di Ulfila. Pretendevano di non essere disarmati ma si impegnavano ad essere inquadrati nell'esercito romano, combattendo la guerra di Valente.

LO STATO MAGGIORE DI VALENTE PRENDE UNA DECISIONE GRAVIDA DI CONSEGUENZE

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Solido di Valente

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“Siamo qui, pronti alla guerra con il nostro nemico principale, la Persia. Non possiamo distrarci dal nostro obiettivo finale. Lupicino, il Comes della Tracia, dovrà gestire questa cosa da solo” disse il Magister per Orientem.

“I Goti non sono un nemico preoccupante, li abbiamo sconfitti in tutte le recenti guerre: il loro popolo è diviso, solo gli uomini che seguono Fritigern si sono presentati, Athanaric è fuggito chissà dove. Non vedo perché dovremmo trattarli in modo speciale” aggiunge Iulius, il Magister Equitum.

“Comunque sia” sostiene Valente “non possiamo ignorare la minaccia che pongono: potrebbero causare problemi proprio ora che abbiamo bisogno di ogni soldato per la guerra in oriente. Va detto poi che Fritigern è un uomo di cui ci possiamo fidare, ci ha aiutati nella recente guerra ed è anche un seguace di nostro signore Gesù. Questi altri Goti invece, i Greutungi, sono dei selvaggi che vivono nelle steppe Scite. Non sappiamo nulla di loro e non sono certamente degli amici del popolo Romano”. “Sire” aggiunse il Comes dei Domestici, il capo della guardia imperiale “Non siamo soli in questa faccenda, chiediamo aiuto a Graziano: potrà mandare rinforzi a Lupicino per gestire la migrazione. Comunque sia la situazione militare non ci permette di applicare la nostra procedura standard”

La decisione dello stato maggiore fu in linea con questa conversazione immaginaria: un messaggero tornò da Lupicino con delle istruzioni chiare, che applicavano la vecchia e testata politica romana del divide et impera. Solo i seguaci di Fritigern sarebbero stati accolti nell'impero per essere insediati in Tracia, come erano stati insediati lì – e con grande successo – i Goti di Ulfila. I Greutungi invece furono lasciati fuori dalla porta e la flotta fluviale e tutte le truppe disponibili furono inviate a far sì che rimanessero bloccati sulla riva settentrionale del Danubio: un popolo di Goti nell'impero bastava e avanzava. Come misura aggiuntiva di fedeltà e romanizzazione dei più romanizzati dei Goti, i Tervingi, fu richiesto un atto di conversione almeno formale al cristianesimo da parte della loro leadership.

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GESTIRE IL RISCHIO

Valente credo fosse consapevole che si trattava di una situazione incendiaria, con migliaia di Goti armati nel territorio dell'impero e troppe poche truppe a dissuaderle. Prese quindi delle contromisure per evitare che la situazione finisse fuori controllo: Temistio, il retore che era uno dei bracci destri dell'imperatore, è attestato a Roma quello stesso inverno del 376-377. Chiaramente era stato inviato in Italia, probabile che fece da ambasciatore presso Merobaude e Graziano: Valente chiese ai sovrani dell'occidente l'invio di rinforzi, in modo da tenere sotto controllo la situazione in Tracia. Rinforzi che puntualmente arrivarono in Tracia già nell'estate del 377. Inoltre Valente diede ordine a Lupicino di portare tutte le derrate alimentari del raccolto del 376 al sicuro dentro le mura delle città della Tracia: i Goti si erano portati dietro sicuramente dei viveri per la migrazione ma una volta finite le loro scorte sarebbero stati alla mercé delle autorità romane: era questa potenzialmente una potente leva per convincerli a rigare dritto, finì invece per essere la miccia della rivolta.