Parte Prima: Capitulo XV
Quando la serata fu finita, Kitty raccontò alla madre il suo colloquio con Levin, e, malgrado la pena che provava per lui, la rallegrava l'idea di aver avuto una “domanda di matrimonio”. Non aveva nessun dubbio di non essersi regolata così come conveniva. Ma a letto, per molto tempo, non poté prendere sonno. Un'unica immagine la perseguitava ostinata. Era il viso di Levin con le sopracciglia aggrottate e gli occhi buoni che guardavano di sotto in su, scoraggiati e tristi, mentre, in piedi, ascoltava suo padre e guardava lei e Vronskij. E provò tanta pena per lui che le vennero le lacrime agli occhi. Ma allora pensò subito a quegli col quale lo aveva cambiato. Ricordò con vivezza il viso maschio di lui, la calma dignitosa e la benevolenza che emanavano in ogni suo gesto verso tutti; ricordò l'amore per lei dell'uomo che amava e la gioia le tornò nell'animo e con un sorriso di felicità poggiò la testa sul guanciale. “Che pena, che pena, ma che farci? La colpa non è mia” si andava dicendo; eppure una voce interiore le diceva il contrario. Di che cosa provasse rimorso — d'aver attratto a sé Levin o di averlo respinto — non sapeva. Ma la felicità sua era avvelenata dal dubbio. “Signore abbi pietà, Signore abbi pietà” diceva fra sé e sé finché si addormentò.
Intanto giù, nello studio del principe, si svolgeva una di quelle scenate frequenti fra i genitori, a proposito della figlia preferita.
— Ecco, ecco cosa c'è — gridava il principe agitando le braccia e incrociando subito i risvolti della vestaglia di vaio. — C'è che voi non avete né orgoglio né dignità, c'è che disonorate, rovinate la figliuola con questo stupido e indegno modo di cercarle marito. — Ma abbiate pazienza, per amor di Dio, principe, che ho fatto mai? — diceva la principessa, quasi piangendo.
Dopo la conversazione con la figlia, era venuta dal principe a salutarlo, felice e soddisfatta e, pur non avendo intenzione di parlargli della proposta di Levin e del rifiuto di Kitty, aveva accennato al marito la faccenda di Vronskij che le sembrava del tutto definita, non appena fosse arrivata la madre di lui. E proprio a questo punto il principe aveva preso fuoco, e si era messo a gridare parole sconvenienti.
— Che cosa avete fatto? Ecco cosa: in primo luogo avete adescato un giovanotto e tutta Mosca ne parlerà; e a ragione. Se volete dare una serata, invitate pure chi volete, ma non questi fidanzatelli prescelti. Invitateli pure tutti questi moscardini — così il principe chiamava i giovani brillanti di Mosca — chiamate pure uno strimpellatore e fate pure ballare, ma non mi mettete insieme, come avete fatto questa sera, tutti questi fidanzatelli. A me veder questo, fa schifo, schifo, e ci siete riuscita voi a far girar la testa alla ragazza. Levin è mille volte migliore. Questo invece è un cascamorto di Pietroburgo; li fanno a macchina questi elegantoni, son tutti d'uno stampo, e son tutti... brodaglia. E fosse anche un principe di sangue, mia figlia non ha bisogno di nessuno!
— Ma che cosa ho mai fatto io?
— Questo, questo... — gridò con rabbia il principe.
— Lo so che a dar retta a te — interruppe la principessa — noi non dovremmo mai dar marito a nostra figlia. Ma se è così, meglio allora ritirarsi in campagna.
— Eh sì che è meglio là.
— Ma dimmi, che forse sono io che li adesco? Io non li attiro per nulla. Ma se un giovane, un giovane che ha tutte le qualità, s'innamora, e lei mi pare... — Sì, ecco, vi pare! E se lei per l'appunto si innamorasse e lui pensasse a sposarsi tanto quanto me? Oh, che non lo vedano i miei occhi!... “Ah, lo spiritismo, ah, Nizza, ah, il ballo!”. — E il principe, immaginando di rifare il verso a sua moglie, faceva una riverenza ad ogni parola.
— Ecco, quando avremo fatta l'infelicità di Katen'ka, quando si sarà davvero messa in testa... — Ma perché lo pensi?
— Io non lo penso, lo so; per questo noi uomini abbiamo gli occhi per vedere e non così le donnicciuole. Io vedo, da una parte, un uomo che ha intenzioni serie, Levin; e dall'altro un gallinaccio fanfarone come questo qua, che vuole soltanto divertirsi. — Eh già, ormai ti sei messo in testa certe cose...
— Ecco, te lo ricorderai, ma tardi, come è stato per Dašen'ka. — Su, va bene, non ne parliamo più — lo fermò la principessa, ricordandosi di Dolly infelice.
— E va bene, addio!
E fattisi scambievolmente la croce e baciatisi, i coniugi si separarono, sentendo, però, che ognuno era rimasto nella propria convinzione.
La principessa, che prima era fermamente convinta che quella serata avrebbe deciso la sorte di Kitty e che non si dovevano avere più dubbi sulle intenzioni di Vronskij, era in questo momento turbata dalle parole del marito. E tornata in camera sua, proprio alla stessa maniera di Kitty, col terrore di un avvenire così incerto, ripeté parecchie volte in cuor suo:“Signore abbi pietà, Signore abbi pietà, Signore abbi pietà!”.