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La coscienza di Zeno - Italo Svevo (Zeno's Conscience), 6.3 Psico-Analisi

6.3 Psico-Analisi

15 Maggio 1915

Passammo due giorni di festa a Lucinico nella nostra villa. Mio figlio Alfio deve rimettersi di un'influenza e resterà nella villa con la sorella per qualche settimana. Noi ritorneremo qui per le Pentecoste.

Sono riuscito finalmente di ritornare alle mie dolci abitudini, e a cessar di fumare. Sto già molto meglio dacché ho saputo eliminare la libertà che quello sciocco di un dottore aveva voluto concedermi. Oggi che siamo alla metà del mese sono rimasto colpito della difficoltà che offre il nostro calendario ad una regolare e ordinata risoluzione. Nessun mese è uguale all'altro. Per rilevare meglio la propria risoluzione si vorrebbe finire di fumare insieme a qualche cosa d'altro, il mese p.e. Ma salvo il Luglio e Agosto e il Dicembre e il Gennaio non vi sono altri mesi che si susseguano e facciano il paio in quanto a quantità di giorni. Un vero disordine nel tempo!

Per raccogliermi meglio passai il pomeriggio del secondo giorno solitario alle rive dell'Isonzo. Non c'è miglior raccoglimento che star a guardare un'acqua corrente. Si sta fermi e l'acqua corrente fornisce lo svago che occorre perché non è uguale a se stessa nel colore e nel disegno neppure per un attimo.

Era una giornata strana. Certamente in alto soffiava un forte vento perché le nubi vi mutavano continuamente di forma, ma giù l'atmosfera non si moveva. Avveniva che di tempo in tempo, traverso le nubi in movimento, il sole già caldo trovasse il pertugio per inondare dei suoi raggi questo o quel tratto di collina o una cima di montagna, dando risalto al verde dolce del Maggio in mezzo all'ombra che copriva tutto il paesaggio. La temperatura era mite ed anche quella fuga di nubi nel cielo, aveva qualche cosa di primaverile. Non v'era dubbio: il tempo stava risanando!

Fu un vero raccoglimento il mio, uno di quegl'istanti rari che l'avara vita concede, di vera grande oggettività in cui si cessa finalmente di credersi e sentirsi vittima. In mezzo a quel verde rilevato tanto deliziosamente da quegli sprazzi di sole, seppi sorridere alla mia vita ed anche alla mia malattia. La donna vi ebbe un'importanza enorme. Magari a pezzi, i suoi piedini, la sua cintura, la sua bocca, riempirono i miei giorni. E rivedendo la mia vita e anche la mia malattia le amai, le intesi! Com'era stata più bella la mia vita che non quella dei cosidetti sani, coloro che picchiavano o avrebbero voluto picchiare la loro donna ogni giorno salvo in certi momenti. Io, invece, ero stato accompagnato sempre dall'amore. Quando non avevo pensato alla mia donna, vi avevo pensato ancora per farmi perdonare che pensavo anche alle altre. Gli altri abbandonavano la donna delusi e disperando della vita. Da me la vita non fu mai privata del desiderio e l'illusione rinacque subito intera dopo ogni naufragio, nel sogno di membra, di voci, di atteggiamenti più perfetti.

In quel momento ricordai che fra le tante bugie che avevo propinate a quel profondo osservatore ch'era il dottor S., c'era anche quella ch'io non avessi più tradita mia moglie dopo la partenza di Ada. Anche su questa bugia egli fabbricò le sue teorie. Ma là, alla riva di quel fiume, improvvisamente, con spavento, ricordai ch'era vero che da qualche giorno, forse dacché avevo abbandonata la cura, io non avevo ricercata la compagnia di altre donne. Che fossi stato guarito come il dottor S. pretende? Vecchio come sono, da un pezzo le donne non mi guardano più. Se io cesso dal guardare loro, ecco che ogni relazione fra di noi è tagliata.

Se un dubbio simile mi fosse capitato a Trieste, avrei saputo solverlo subito. Qui era alquanto più difficile.

Pochi giorni prima avevo avuto in mano il libro di memorie del Da Ponte, l'avventuriere contemporaneo del Casanova. Anche lui era passato certamente per Lucinico ed io sognai d'imbattermi in quelle sue dame incipriate dalle membra celate dalla crinolina. Dio mio! Come facevano quelle donne ad arrendersi così presto e tanto di frequente essendo difese da tutti quegli stracci?

Mi parve che il ricordo della crinolina, ad onta della cura, fosse abbastanza eccitante. Ma il mio era un desiderio alquanto fatturato e non bastò a rassicurarmi.

L'esperienza che cercavo l'ebbi poco dopo e fu sufficiente per rassicurarmi, ma non mi costò poco. Per averla, turbai e guastai la relazione più pura che avessi avuta nella mia vita.

M'imbattei in Teresina, la figlia anziana del colono di una tenuta situata accanto alla mia villa. Il padre, da due anni, era rimasto vedovo e la sua numerosa figliuolanza aveva ritrovata la madre in Teresina, una robusta fanciulla che si levava di mattina per lavorare, e cessava il lavoro per coricarsi e raccogliersi per poter riprendere il lavoro. Quel giorno essa guidava l'asinello di solito affidato alle cure del fratellino e camminava accanto al carretto carico di erba fresca, perché il non grande animale non avrebbe saputo portare su per l'erta lieve anche il peso della fanciulla.

L'anno prima Teresina m'era sembrata tuttavia una bimba e non avevo avuta per lei che una simpatia sorridente e paterna. Ma anche il giorno prima, quando l'avevo rivista per la prima volta, ad onta che l'avessi ritrovata cresciuta, la bruna faccina divenuta più seria, le esili spalle allargate sopra il seno che andava arcuandosi nello sviluppo parco del piccolo corpo affaticato, avevo continuato a vederla una bimba immatura di cui non potevo amare che la straordinaria attività e l'istinto materno di cui fruivano i fratellini. Se non ci fosse stata quella maledetta cura e la necessità di verificare subito in quale stato si trovasse la mia malattia, anche quella volta avrei potuto lasciare Lucinico senz'aver turbata tanta innocenza.

Essa non aveva la crinolina. E la faccina pienotta e sorridente non conosceva la cipria. Aveva i piedi nudi e faceva vedere nuda anche metà della gamba. La faccina e i piedini e la gamba non seppero accendermi. La faccia e le membra che Teresina lasciava vedere erano dello stesso colore; all'aria appartenevano tutte e non c'era niente di male che all'aria fossero abbandonate. Forse perciò non riuscivano ad accendermi. Ma al sentirmi tanto freddo mi spaventai. Che dopo la cura mi fosse occorsa la crinolina?

Cominciai coll'accarezzare l'asinello cui avevo procurato un po' di riposo. Poi tentai di ritornare a Teresina e le misi in mano niente meno che dieci corone. Era il primo attentato! L'anno prima, a lei e ai suoi fratellini, per esprimere loro il mio affetto paterno, avevo messo nelle manine solo dei centesimi. Ma si sa che l'affetto paterno è altra cosa. Teresina fu stupita del ricco dono. Accuratamente sollevò il suo gonnellino per riporre in non so che tasca celata il prezioso pezzo di carta. Così vidi un ulteriore pezzo di gamba, ma anch'esso sempre bruno e casto.

Ritornai all'asinello e gli diedi un bacio sulla testa. La mia affettuosità provocò la sua. Allungò il muso ed emise il suo grande grido d'amore che io ascoltai sempre con rispetto. Come varca le distanze e com'è significante con quel primo grido che invoca e si ripete, attenuandosi poi e terminando in un pianto disperato. Ma sentito così da vicino, mi fece dolere il timpano.

Teresina rideva e il suo riso m'incoraggiò. Ritornai a lei e subito l'afferrai per l'avambraccio sul quale salii con la mano, lento, verso la spalluccia, studiando le mie sensazioni. Grazie al cielo non ero guarito ancora! Avevo cessata la cura in tempo.

Ma Teresina con una legnata fece procedere l'asino per seguirlo e lasciarmi.

Ridendo di cuore perché io restavo lieto anche se la villanella non voleva saperne di me, le dissi:

— Hai lo sposo? Dovresti averlo. E peccato tu non l'abbia già!

Sempre allontanandosi da me, essa mi disse:

— Se ne prendo uno, sarà certamente più giovine di lei!

La mia letizia non s'offuscò per questo. Avrei voluto dare una lezioncina a Teresina e cercai di ricordarmi come da Boccaccio «Maestro Alberto da Bologna onestamente fa vergognare una donna la quale lui d'esser di lei innamorato voleva far vergognare». Ma il ragionamento di Maestro Alberto non ebbe il suo effetto perché Madonna Malgherida de' Ghisolieri gli disse: «Il vostro amor m'è caro sì come di savio e valente uomo esser dee; e per ciò, salva la mia onestà, come a cosa vostra ogni vostro piacere imponete sicuramente».

Tentai di fare di meglio:

— Quando ti dedicherai ai vecchi, Teresina? - gridai per essere inteso da lei che m'era già lontana.

— Quando sarò vecchia anch'io, - urlò essa ridendo di gusto e senza fermarsi.

— Ma allora i vecchi non vorranno più saperne di te. Ascoltami! Io li conosco!

Urlavo, compiacendomi del mio spirito che veniva direttamente dal mio sesso.

In quel momento, in qualche punto del cielo le nubi s'apersero e lasciarono passare dei raggi di sole che andarono a raggiungere Teresina che oramai era lontana da me di una quarantina di metri e di me più in alto di una decina o più. Era bruna, piccola, ma luminosa!

Il sole non illuminò me! Quando si è vecchi si resta all'ombra anche avendo dello spirito.


6.3 Psico-Analisi 6.3 Psycho-Analyse 6.3 Psycho-Analysis 6.3 Analyse psychologique 6.3 Psicanálise

15 Maggio 1915

Passammo due giorni di festa a Lucinico nella nostra villa. Mio figlio Alfio deve rimettersi di un'influenza e resterà nella villa con la sorella per qualche settimana. Noi ritorneremo qui per le Pentecoste.

Sono riuscito finalmente di ritornare alle mie dolci abitudini, e a cessar di fumare. Sto già molto meglio dacché ho saputo eliminare la libertà che quello sciocco di un dottore aveva voluto concedermi. Oggi che siamo alla metà del mese sono rimasto colpito della difficoltà che offre il nostro calendario ad una regolare e ordinata risoluzione. Nessun mese è uguale all'altro. Per rilevare meglio la propria risoluzione si vorrebbe finire di fumare insieme a qualche cosa d'altro, il mese p.e. Ma salvo il Luglio e Agosto e il Dicembre e il Gennaio non vi sono altri mesi che si susseguano e facciano il paio in quanto a quantità di giorni. Un vero disordine nel tempo!

Per raccogliermi meglio passai il pomeriggio del secondo giorno solitario alle rive dell'Isonzo. Non c'è miglior raccoglimento che star a guardare un'acqua corrente. Si sta fermi e l'acqua corrente fornisce lo svago che occorre perché non è uguale a se stessa nel colore e nel disegno neppure per un attimo.

Era una giornata strana. Certamente in alto soffiava un forte vento perché le nubi vi mutavano continuamente di forma, ma giù l'atmosfera non si moveva. Avveniva che di tempo in tempo, traverso le nubi in movimento, il sole già caldo trovasse il pertugio per inondare dei suoi raggi questo o quel tratto di collina o una cima di montagna, dando risalto al verde dolce del Maggio in mezzo all'ombra che copriva tutto il paesaggio. La temperatura era mite ed anche quella fuga di nubi nel cielo, aveva qualche cosa di primaverile. Non v'era dubbio: il tempo stava risanando!

Fu un vero raccoglimento il mio, uno di quegl'istanti rari che l'avara vita concede, di vera grande oggettività in cui si cessa finalmente di credersi e sentirsi vittima. In mezzo a quel verde rilevato tanto deliziosamente da quegli sprazzi di sole, seppi sorridere alla mia vita ed anche alla mia malattia. La donna vi ebbe un'importanza enorme. Magari a pezzi, i suoi piedini, la sua cintura, la sua bocca, riempirono i miei giorni. E rivedendo la mia vita e anche la mia malattia le amai, le intesi! Com'era stata più bella la mia vita che non quella dei cosidetti sani, coloro che picchiavano o avrebbero voluto picchiare la loro donna ogni giorno salvo in certi momenti. Io, invece, ero stato accompagnato sempre dall'amore. Quando non avevo pensato alla mia donna, vi avevo pensato ancora per farmi perdonare che pensavo anche alle altre. Gli altri abbandonavano la donna delusi e disperando della vita. Da me la vita non fu mai privata del desiderio e l'illusione rinacque subito intera dopo ogni naufragio, nel sogno di membra, di voci, di atteggiamenti più perfetti.

In quel momento ricordai che fra le tante bugie che avevo propinate a quel profondo osservatore ch'era il dottor S., c'era anche quella ch'io non avessi più tradita mia moglie dopo la partenza di Ada. Anche su questa bugia egli fabbricò le sue teorie. Ma là, alla riva di quel fiume, improvvisamente, con spavento, ricordai ch'era vero che da qualche giorno, forse dacché avevo abbandonata la cura, io non avevo ricercata la compagnia di altre donne. Che fossi stato guarito come il dottor S. pretende? Vecchio come sono, da un pezzo le donne non mi guardano più. Se io cesso dal guardare loro, ecco che ogni relazione fra di noi è tagliata.

Se un dubbio simile mi fosse capitato a Trieste, avrei saputo solverlo subito. Qui era alquanto più difficile.

Pochi giorni prima avevo avuto in mano il libro di memorie del Da Ponte, l'avventuriere contemporaneo del Casanova. Anche lui era passato certamente per Lucinico ed io sognai d'imbattermi in quelle sue dame incipriate dalle membra celate dalla crinolina. Dio mio! Come facevano quelle donne ad arrendersi così presto e tanto di frequente essendo difese da tutti quegli stracci?

Mi parve che il ricordo della crinolina, ad onta della cura, fosse abbastanza eccitante. Ma il mio era un desiderio alquanto fatturato e non bastò a rassicurarmi.

L'esperienza che cercavo l'ebbi poco dopo e fu sufficiente per rassicurarmi, ma non mi costò poco. Per averla, turbai e guastai la relazione più pura che avessi avuta nella mia vita.

M'imbattei in Teresina, la figlia anziana del colono di una tenuta situata accanto alla mia villa. Il padre, da due anni, era rimasto vedovo e la sua numerosa figliuolanza aveva ritrovata la madre in Teresina, una robusta fanciulla che si levava di mattina per lavorare, e cessava il lavoro per coricarsi e raccogliersi per poter riprendere il lavoro. Quel giorno essa guidava l'asinello di solito affidato alle cure del fratellino e camminava accanto al carretto carico di erba fresca, perché il non grande animale non avrebbe saputo portare su per l'erta lieve anche il peso della fanciulla.

L'anno prima Teresina m'era sembrata tuttavia una bimba e non avevo avuta per lei che una simpatia sorridente e paterna. Ma anche il giorno prima, quando l'avevo rivista per la prima volta, ad onta che l'avessi ritrovata cresciuta, la bruna faccina divenuta più seria, le esili spalle allargate sopra il seno che andava arcuandosi nello sviluppo parco del piccolo corpo affaticato, avevo continuato a vederla una bimba immatura di cui non potevo amare che la straordinaria attività e l'istinto materno di cui fruivano i fratellini. Se non ci fosse stata quella maledetta cura e la necessità di verificare subito in quale stato si trovasse la mia malattia, anche quella volta avrei potuto lasciare Lucinico senz'aver turbata tanta innocenza.

Essa non aveva la crinolina. E la faccina pienotta e sorridente non conosceva la cipria. Aveva i piedi nudi e faceva vedere nuda anche metà della gamba. La faccina e i piedini e la gamba non seppero accendermi. La faccia e le membra che Teresina lasciava vedere erano dello stesso colore; all'aria appartenevano tutte e non c'era niente di male che all'aria fossero abbandonate. Forse perciò non riuscivano ad accendermi. Ma al sentirmi tanto freddo mi spaventai. Che dopo la cura mi fosse occorsa la crinolina?

Cominciai coll'accarezzare l'asinello cui avevo procurato un po' di riposo. Poi tentai di ritornare a Teresina e le misi in mano niente meno che dieci corone. Era il primo attentato! L'anno prima, a lei e ai suoi fratellini, per esprimere loro il mio affetto paterno, avevo messo nelle manine solo dei centesimi. Ma si sa che l'affetto paterno è altra cosa. Teresina fu stupita del ricco dono. Accuratamente sollevò il suo gonnellino per riporre in non so che tasca celata il prezioso pezzo di carta. Così vidi un ulteriore pezzo di gamba, ma anch'esso sempre bruno e casto.

Ritornai all'asinello e gli diedi un bacio sulla testa. La mia affettuosità provocò la sua. Allungò il muso ed emise il suo grande grido d'amore che io ascoltai sempre con rispetto. Come varca le distanze e com'è significante con quel primo grido che invoca e si ripete, attenuandosi poi e terminando in un pianto disperato. Ma sentito così da vicino, mi fece dolere il timpano.

Teresina rideva e il suo riso m'incoraggiò. Ritornai a lei e subito l'afferrai per l'avambraccio sul quale salii con la mano, lento, verso la spalluccia, studiando le mie sensazioni. Grazie al cielo non ero guarito ancora! Avevo cessata la cura in tempo.

Ma Teresina con una legnata fece procedere l'asino per seguirlo e lasciarmi.

Ridendo di cuore perché io restavo lieto anche se la villanella non voleva saperne di me, le dissi:

— Hai lo sposo? Dovresti averlo. E peccato tu non l'abbia già!

Sempre allontanandosi da me, essa mi disse:

— Se ne prendo uno, sarà certamente più giovine di lei!

La mia letizia non s'offuscò per questo. Avrei voluto dare una lezioncina a Teresina e cercai di ricordarmi come da Boccaccio «Maestro Alberto da Bologna onestamente fa vergognare una donna la quale lui d'esser di lei innamorato voleva far vergognare». Ma il ragionamento di Maestro Alberto non ebbe il suo effetto perché Madonna Malgherida de' Ghisolieri gli disse: «Il vostro amor m'è caro sì come di savio e valente uomo esser dee; e per ciò, salva la mia onestà, come a cosa vostra ogni vostro piacere imponete sicuramente».

Tentai di fare di meglio:

— Quando ti dedicherai ai vecchi, Teresina? - gridai per essere inteso da lei che m'era già lontana.

— Quando sarò vecchia anch'io, - urlò essa ridendo di gusto e senza fermarsi.

— Ma allora i vecchi non vorranno più saperne di te. Ascoltami! Io li conosco!

Urlavo, compiacendomi del mio spirito che veniva direttamente dal mio sesso.

In quel momento, in qualche punto del cielo le nubi s'apersero e lasciarono passare dei raggi di sole che andarono a raggiungere Teresina che oramai era lontana da me di una quarantina di metri e di me più in alto di una decina o più. Era bruna, piccola, ma luminosa!

Il sole non illuminò me! Quando si è vecchi si resta all'ombra anche avendo dello spirito.