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La coscienza di Zeno - Italo Svevo (Zeno's Conscience), 5.6 Storia di un'associazione commerciale

5.6 Storia di un'associazione commerciale

La passeggiata mi ricordò quella della notte dopo il mio fidanzamento. Mancava la luna perché in alto c'era molta nebbia, ma giù era la stessa cosa, perché si camminava sicuri traverso un'aria limpida. Anche Guido ricordò quella sera memoranda:

— È la prima volta che camminiamo di nuovo insieme di notte. Ricordi? Tu allora mi spiegasti che anche nella luna ci si baciava come quaggiù. Adesso invece nella luna continuano il bacio eterno; ne sono sicuro ad onta che questa sera non si veda. Quaggiù, invece...

Voleva ricominciare a dir male di Ada? Della povera malata? Lo interruppi, ma mitemente, quasi associandomi a lui (non l'avevo forse accompagnato per aiutarlo a dimenticare? ):

— Già! Quaggiù non si può sempre baciare! Lassù poi non c'è che l'immagine del bacio. Il bacio è soprattutto movimento.

Tentavo di allontanarmi da tutte le sue questioni, cioè bilancio e Ada, tant'è vero che a tempo seppi eliminare una frase ch'ero stato in procinto di dire che cioè lassù il bacio non generava dei gemelli. Ma lui, per liberarsi dal bilancio, non trovava di meglio che lagnarsi delle altre sue disgrazie. Come avevo presentito, disse male di Ada. Cominciò col rimpiangere che quel suo primo anno di matrimonio fosse stato per lui tanto disastroso. Non parlava dei due gemelli ch'erano tanto cari e belli, ma della malattia di Ada. Egli pensava che la malattia la rendesse irascibile, gelosa e nello stesso tempo poco affettuosa. Terminò coll'esclamare sconsolato:

— La vita è ingiusta e dura!

A me sembrava assolutamente che mi fosse vietato di dire una sola parola che implicasse un mio giudizio fra lui e Ada. Ma mi pareva di dover pur dire qualche cosa. Egli aveva finito col parlare della vita e le aveva appioppati due predicati che non peccavano di soverchia originalità. Io scopersi il meglio proprio perché m'ero messo a fare la critica di quello ch'egli aveva detto. Tante volte si dicono delle cose seguendo il suono delle parole come s'associarono casualmente. Poi, appena, si va a vedere se quello che si disse valeva il fiato che vi si è consumato e qualche volta si scopre che la casuale associazione partorì un'idea. Dissi:

— La vita non è né brutta né bella, ma è originale!

Quando ci pensai mi parve d'aver detta una cosa importante. Designata così, la vita mi parve tanto nuova che stetti a guardarla come se l'avessi veduta per la prima volta coi suoi corpi gassosi, fluidi e solidi. Se l'avessi raccontata a qualcuno che non vi fosse stato abituato e fosse perciò privo del nostro senso comune, sarebbe rimasto senza fiato dinanzi all'enorme costruzione priva di scopo. M'avrebbe domandato: «Ma come l'avete sopportata?». E, informatosi di ogni singolo dettaglio, da quei corpi celesti appesi lassù perché si vedano ma non si tocchino, fino al mistero che circonda la morte, avrebbe certamente esclamato: «Molto originale!»

— Originale la vita! - disse Guido ridendo. - Dove l'hai letto?

Non m'importò di assicurargli che non l'avevo letto in nessun posto perché altrimenti le mie parole avrebbero avuta meno importanza per lui. Ma, più che ci pensavo, più originale trovavo la vita. E non occorreva mica venire dal di fuori per vederla messa insieme in un modo tanto bizzarro. Bastava ricordare tutto quello che noi uomini dalla vita si è aspettato, per vederla tanto strana da arrivare alla conclusione che forse l'uomo vi è stato messo dentro per errore e che non vi appartiene.

Senza esserci accordati sulla direzione della nostra passeggiata, avevamo finito come l'altra volta sull'erta di via Belvedere. Trovato il muricciuolo su cui s'era steso quella notte, Guido vi salì e vi si coricò proprio come l'altra volta. Egli canticchiava, forse sempre oppresso dai suoi pensieri, e meditava certamente sulle inesorabili cifre della sua contabilità. Io invece ricordai che in quel luogo l'avevo voluto uccidere, e confrontando i miei sentimenti di allora con quelli di adesso, ammiravo una volta di più l'incomparabile originalità della vita. Ma improvvisamente ricordai che poco prima e per una bizza di persona ambiziosa, avevo imperversato contro il povero Guido e ciò in una delle peggiori giornate della sua vita. Mi dedicai ad un'indagine: assistevo senza grande dolore alla tortura che veniva inflitta a Guido dal bilancio messo insieme da me con tanta cura e me ne venne un dubbio curioso e subito dopo un curiosissimo ricordo. Il dubbio: ero io buono o cattivo? Il ricordo, provocato improvvisamente dal dubbio che non era nuovo: mi vedevo bambino e vestito (ne sono certo) tuttavia in gonne corte, quando alzavo la mia faccia per domandare a mia madre sorridente: «Sono buono o cattivo, io?». Allora il dubbio doveva essere stato ispirato al bimbo dai tanti che l'avevano detto buono e dai tanti altri che, scherzando, l'avevano qualificato cattivo. Non era affatto da meravigliarsi che il bimbo fosse stato imbarazzato da quel dilemma. Oh incomparabile originalità della vita! Era meraviglioso che il dubbio ch'essa aveva già inflitto al bimbo in forma tanto puerile, non fosse stato sciolto dall'adulto quando aveva già varcata la metà della sua vita.

Nella notte fosca, proprio su quel posto ove io una volta avevo già voluto uccidere, quel dubbio mi angosciò, profondamente. Certamente il bimbo quando aveva sentito vagare quel dubbio nella testa da poco libera dalla cuffia, non ne aveva sofferto tanto perché ai bambini si racconta che dalla cattiveria si guarisce. Per liberarmi da tanta angoscia volli credere di nuovo così, e vi riuscii.

Se non vi fossi riuscito avrei dovuto piangere per me, per Guido e per la tristissima nostra vita. Il proposito rinnovò l'illusione! Il proposito di mettermi accanto a Guido e di collaborare con lui allo sviluppo del suo commercio da cui dipendeva la sua e la vita dei suoi e ciò senz'alcun utile per me. Intravvidi la possibilità di correre, brigare e studiare per lui e ammisi la possibilità di divenire, per aiutarlo, un grande, un intraprendente, un geniale negoziante. Proprio così pensai in quella fosca sera di questa vita originalissima!

Guido intanto cessò di pensare al bilancio. Abbandonò il suo posto e parve rasserenato. Come se avesse tratta una conclusione da un ragionamento di cui io non sapevo niente, mi disse che al padre non avrebbe detto nulla perché altrimenti il povero vecchio avrebbe intrapreso quell'enorme viaggio dal suo sole estivo alla nostra nebbia invernale. Mi disse poi che la perdita a prima vista sembrava ingente, ma che non lo era poi tanto se non doveva sopportarla tutta da solo. Avrebbe pregata Ada di addossarsene la metà e in compenso le avrebbe concesso una parte degli utili dell'anno seguente. L'altra metà della perdita l'avrebbe sopportata lui.

Io non dissi nulla. Pensai anche che mi fosse proibito di dare dei consigli, perché altrimenti avrei finito col fare quello che assolutamente non volevo, erigendomi a giudice fra i due coniugi. Del resto in quel momento ero tanto pieno di buoni propositi che mi pareva che Ada avrebbe fatto un buon affare partecipando ad un'impresa diretta da noi.

Accompagnai Guido fino alla porta di casa sua e gli strinsi lungamente la mano per rinnovare silenziosamente il proposito di volergli bene. Poi mi studiai di dirgli qualche cosa di gentile e finii col trovare questa frase:

— Che i tuoi gemelli abbiano una buona notte e ti lascino dormire perché certamente hai bisogno di riposo.

Andando via mi morsi le labbra al rimpianto di non aver trovato di meglio. Ma se sapevo che i gemelli oramai che avevano ciascuno la loro balia dormivano a mezzo chilometro da lui e non avrebbero potuto turbargli il sonno! Ad ogni modo egli aveva capita l'intenzione dell'augurio perché l'aveva accettato riconoscente.

Giunto a casa, trovai che Augusta s'era ritirata nella stanza da letto coi bambini. Alfio era attaccato al suo petto mentre Antonia dormiva nel suo lettino volgendoci la nuca ricciuta. Dovetti spiegare la ragione del mio ritardo e perciò le raccontai anche il mezzo escogitato da Guido per liberarsi delle sue passività. Ad Augusta la proposta di Guido parve indegna:

— Al posto di Ada io rifiuterei, - esclamò con violenza per quanto a bassa voce per non spaventare il piccino.

Diretto dai miei propositi di bontà, discussi:

— Perciò, se io capitassi nelle stesse difficoltà di Guido tu non m'aiuteresti?

Essa rise:

— La cosa è ben differente! Fra noi due si vedrebbe quello che sarebbe più vantaggioso per loro! - e accennò al bambino che teneva in braccio e ad Antonia. Poi, dopo un momento di riflessione, continuò: - E se noi ora consigliassimo ad Ada di concedere il suo denaro per continuare quell'affare di cui tu fra breve non farai più parte, non saremmo poi impegnati ad indennizzarla se dovesse poi perderlo?

Era un'idea da ignorante, ma nel mio nuovo altruismo esclamai:

— E perché no?

— Ma non vedi che ne abbiamo due dei bambini cui dobbiamo pensare?

Se li vedevo! La domanda era una figura rettorica veramente vuota di senso.

— E non ne hanno anche loro due dei bambini? - domandai vittoriosamente.

Essa si mise a ridere clamorosamente facendo spaventare Alfio che lasciò di poppare per piangere subito. Essa s'occupò di lui, ma sempre ridendo, ed io accettai il suo riso come se me lo fossi conquistato col mio spirito mentre, in verità, nel momento in cui avevo fatta quella domanda, m'ero sentito movere nel petto un grande amore per i genitori di tutti i bambini e per i bambini di tutti i genitori. Avendone poi riso, di quell'affetto non restò più niente.

Ma anche il cruccio di non sapermi essenzialmente buono si mitigò. Mi pareva di aver sciolto il problema angoscioso. Non si era né buoni né cattivi come non si era tante altre cose ancora. La bontà era la luce che a sprazzi e ad istanti illuminava l'oscuro animo umano. Occorreva la fiaccola bruciante per dare la luce (nell'animo mio c'era stata e prima o poi sarebbe sicuramente anche ritornata) e l'essere pensante a quella luce poteva scegliere la direzione per moversi poi nell'oscurità. Si poteva perciò manifestarsi buoni, tanto buoni, sempre buoni, e questo era l'importante. Quando la luce sarebbe ritornata non avrebbe sorpreso e non avrebbe abbacinato. Ci avrei soffiato su per spegnerla prima, visto ch'io non ne avevo bisogno. Perché io avrei saputo conservare il proposito, cioè la direzione.

Il proposito di bontà è placido e pratico ed io ora ero calmo e freddo. Curioso! L'eccesso di bontà m'aveva fatto eccedere nella stima di me stesso e del mio potere. Che cosa potevo io fare per Guido? Era vero ch'io nel suo ufficio sovrastavo di tanto agli altri quanto nel mio ufficio l'Olivi padre stava al disopra di me. Ma ciò non provava molto. E per essere ben pratico: che cosa avrei io consigliato a Guido il giorno appresso? Forse una mia ispirazione? Ma se neppure al tavolo di giuoco si seguivano le ispirazioni quando si giuocava coi denari altrui! Per far vivere una casa commerciale bisogna crearle un lavoro di ogni giorno e questo si può raggiungere lavorando ogni ora attorno ad una organizzazione. Non ero io che potevo fare una cosa simile, né mi pareva giusto di sottopormi a forza di bontà alla condanna della noia a vita.

Sentivo tuttavia l'impressione fattami dal mio slancio di bontà come un impegno che avessi preso con Guido, e non potevo addormentarmi. Sospirai più volte profondamente e una volta persino gemetti, certamente nel momento in cui mi pareva di essere obbligato di legarmi all'ufficio di Guido come l'Olivi era legato al mio.

Nel dormiveglia Augusta mormorò:

— Che hai? Hai trovato di nuovo da dire con l'Olivi?

Ecco l'idea che cercavo! Io avrei consigliato Guido di prendere con sé quale direttore il giovine Olivi! Quel giovinotto tanto serio e tanto laborioso e ch'io vedevo tanto malvolentieri nei miei affari perché pareva s'apprestasse di succedere a suo padre nella loro direzione per tenermene definitivamente fuori, apparteneva evidentemente e a vantaggio di tutti, nell'ufficio di Guido. Facendogli una posizione in casa sua, Guido si sarebbe salvato e il giovine Olivi sarebbe stato più utile in quell'ufficio che non nel mio.

L'idea mi esaltò e destai Augusta per comunicargliela. Anch'essa ne fu tanto entusiasmata da destarsi del tutto. Le pareva che così io avrei più facilmente potuto levarmi dagli affari compromettenti di Guido. Mi addormentai con la coscienza tranquilla: avevo trovato il modo di salvare Guido senza condannare me; anzi tutt'altro.

Non c'è niente di più disgustoso che di vedersi respinto un consiglio ch'è stato sinceramente studiato con uno sforzo che costò persino delle ore di sonno. Da me c'era poi stato un altro sforzo: quello di spogliarmi dell'illusione di poter giovare io stesso agli affari di Guido. Uno sforzo immane. Ero dapprima arrivato ad una vera bontà, poi ad un'assoluta oggettività e mi si mandava a quel paese!

Guido rifiutò il mio consiglio addirittura con disdegno. Non credeva capace il giovine Olivi eppoi gli spiaceva il suo aspetto di giovine vecchio e più ancora gli spiacevano quei suoi occhiali tanto lucenti sulla sua scialba faccia. Gli argomenti erano veramente atti a farmi credere che di fondato non ce ne fosse che uno: il desiderio di farmi dispetto. Finì col dirmi che avrebbe accettato come capo del suo ufficio non il giovine ma il vecchio Olivi. Ma io non credevo di potergli procurare la collaborazione di questi, eppoi io non mi credevo pronto per assumere da un momento all'altro la direzione dei miei affari. Ebbi il torto di discutere e gli dissi che il vecchio Olivi valeva poco. Gli raccontai quanto denaro mi avesse costato la sua caparbietà di non aver voluto comperare a tempo quella tale frutta secca.

— Ebbene! - esclamò Guido. - Se il vecchio non vale più di così, che valore potrà avere il giovine che non è altro che un suo scolaro?

Ecco finalmente un buon argomento, e tanto più dispiacevole per me in quanto lo avevo fornito io con la mia chiacchiera imprudente.

Pochi giorni appresso, Augusta mi raccontò che Guido aveva proposto ad Ada di sopportare col suo denaro metà della perdita del bilancio. Ada vi si rifiutava dicendo ad Augusta:

— Mi tradisce e vuole anche il mio denaro!

Augusta non aveva avuto il coraggio di consigliarle di darglielo, ma assicurava che aveva fatto del suo meglio per far ricredere Ada dal suo giudizio sulla fedeltà del marito. Costei aveva risposto in modo da far ritenere ch'essa a quel proposito la sapesse più lunga di quanto noi si credesse. E Augusta con me ragionava così: - Per il marito bisogna saper portare qualunque sacrificio, ma valeva tale assioma anche per Guido?

Nei giorni seguenti il contegno di Guido si fece veramente straordinario. Veniva in ufficio di tempo in tempo e non vi restava mai per più di mezz'ora. Correva via come chi ha dimenticato il fazzoletto a casa. Seppi poi che andava a portare nuovi argomenti ad Ada che gli parevano decisivi per indurla a fare il voler suo. Aveva veramente l'aspetto di persona che ha pianto troppo o troppo gridato o che s'è addirittura battuto, e neppure in nostra presenza arrivava a domare l'emozione che gli contraeva la gola e gli faceva venire le lacrime agli occhi. Gli domandai che cosa avesse. Mi rispose con un sorriso triste, ma amichevole per dimostrarmi che non l'aveva con me. Poi si raccolse onde poter parlarmi senz'agitarsi di troppo. Infine disse poche parole: Ada lo faceva soffrire con la sua gelosia.

Egli dunque mi raccontava che discutevano le loro storie intime mentre io pur sapevo che c'era anche quella storia del «conto utili e danni» fra di loro.

Ma pareva che questo non avesse importanza. Me lo diceva lui e lo diceva anche Ada ad Augusta non parlandole d'altro che della sua gelosia. Anche la violenza di quelle discussioni, che lasciava traccie tanto profonde sulla faccia di Guido, faceva credere dicessero il vero.

Invece poi risultò che fra' due coniugi non si parlò che della questione del denaro. Ada per superbia e per quanto si facesse dirigere dai suoi dolori passionali, non li aveva mai menzionati, e Guido, forse per la coscienza della sua colpa e per quanto sentisse che in Ada imperversasse l'ira della donna, continuò a discutere gli affari come se il resto non esistesse. Egli s'affannò sempre più a correre dietro a quei denari, mentre lei, che non era affatto toccata da quistioni d'affari, protestava contro la proposta di Guido con un solo argomento: i denari dovevano restare ai bambini. E quand'egli trovava altri argomenti, la sua pace, il vantaggio che sarebbe derivato ai bambini stessi dal suo lavoro, la sicurezza di trovarsi in regola con le prescrizioni di legge, essa lo saldava con un duro «No». Ciò esasperava Guido e - come dai bambini - anche il suo desiderio. Ma ambedue - quando ne parlavano ad altri - credevano di essere esatti asserendo di soffrire per amori e gelosie.

Fu una specie di malinteso che m'impedì d'intervenire a tempo per far cessare l'incresciosa quistione del denaro. Io potevo provare a Guido ch'essa effettivamente mancava d'importanza. Quale contabile sono un po' tardo e non capisco le cose che quando le ho distribuite nei libri, nero sul bianco, ma mi pare che presto io abbia capito che il versamento che Guido esigeva da Ada non avrebbe mutate di molto le cose. A che serviva infatti di farsi fare un versamento di denari? La perdita così non appariva mica minore, a meno che Ada non avesse accettato di far getto del denaro in quella contabilità ciò che Guido non domandava. La legge non si sarebbe mica lasciata ingannare al trovare che, dopo di aver perduto tanto, si voleva rischiare un po' di più attirando nell'azienda dei nuovi capitalisti.

Una mattina Guido non si fece veder in ufficio ciò che ci sorprese perché sapevamo che la sera prima non era partito per la caccia. A colazione appresi da Augusta commossa e agitata che Guido la sera prima aveva attentato alla propria vita. Oramai era fuori di pericolo. Devo confessare che la notizia, che ad Augusta sembrava tragica, a me fece rabbia.

Egli era ricorso a quel mezzo drastico per spezzare la resistenza della moglie! Appresi anche subito che l'aveva fatto con tutte le prudenze, perché prima di prendere la morfina se ne era fatta vedere la boccetta stappata in mano. Così al primo torpore in cui cadde, Ada chiamò il medico ed egli fu subito fuori di pericolo. Ada aveva passata una notte orrenda perché il dottore credette di dover fare delle riserve sull'esito dell'avvelenamento, eppoi la sua agitazione fu prolungata da Guido che, quando rinvenne, forse non ancora in piena coscienza, la colmò di rimproveri dicendola la sua nemica, la sua persecutrice, colei che gl'impediva il sano lavoro cui egli voleva accingersi.

Ada gli accordò subito il prestito ch'egli domandava, ma poi, finalmente, nell'intenzione di difendersi, parlò chiaro e gli fece tutti i rimproveri ch'essa tanto tempo aveva trattenuti. Così arrivarono a intendersi perché a lui riuscì - così Augusta credeva - di dissipare in Ada ogni sospetto sulla sua fedeltà. Fu energico e quando lei gli parlò di Carmen, egli gridò:

— Ne sei gelosa? Ebbene, se lo vuoi la mando via oggi stesso.

Ada non aveva risposto e credette così di avere accettata quella proposta e ch'egli vi si fosse impegnato.

Mi meravigliai che Guido avesse saputo comportarsi così nel dormiveglia e giunsi fino a credere ch'egli non avesse ingoiata neppure la piccola dose di morfina ch'egli diceva. A me pareva che uno degli effetti degli annebbiamenti del cervello per sonno, fosse di sciogliere l'animo più indurito, inducendolo alle più ingenue confessioni. Non ero io recente di una tale avventura? Ciò aumentò il mio sdegno e il mio disprezzo per Guido.

Augusta piangeva raccontando in quale stato avesse trovata Ada. No! Ada non era più bella con quegli occhi che sembravano spalancati dal terrore.

Fra me e mia moglie ci fu una lunga discussione se io avessi dovuto far subito una visita a Guido e Ada oppure se non fosse stato meglio di fingere di non saper di nulla e aspettare di rivederlo in ufficio. A me quella visita sembrava una seccatura insopportabile. Vedendolo, come avrei fatto di non dirgli l'animo mio? Dicevo:

— È un'azione indegna per un uomo! Io non ho alcuna voglia di ammazzarmi, ma non v'è dubbio che se decidessi di farlo vi riuscirei subito!

Sentivo proprio così e volevo dirlo ad Augusta. Ma mi sembrava di far troppo onore a Guido paragonandolo a me:

— Non occorre mica essere un chimico per saper distruggere questo nostro organismo ch'è anche troppo sensibile. Non c'è quasi ogni settimana, nella nostra città, la sartina che ingoia la soluzione di fosforo preparata in segreto nella sua povera stanzetta, e da quel veleno rudimentale, ad onta di ogni intervento, viene portata alla morte con la faccina ancora contratta dal dolore fisico e da quello morale che subì la sua animuccia innocente?

Augusta non ammetteva che l'anima della sartina suicida fosse tanto innocente, ma, fatta una lieve protesta, ritornò al suo tentativo d'indurmi a quella visita. Mi raccontò che non dovevo temere di trovarmi in imbarazzo. Essa aveva parlato anche con Guido il quale aveva trattato con lei con tanta serenità come se egli avesse commessa l'azione più comune.

Uscii di casa senza dare la soddisfazione ad Augusta di mostrarmi convinto delle sue ragioni. Dopo lieve esitazione mi avviai senz'altro a compiacere mia moglie. Per quanto breve fosse il percorso, il ritmo del mio passo m'addusse ad una mitigazione del mio giudizio sul conto di Guido. Ricordai la direzione segnatami dalla luce che pochi giorni prima aveva illuminato il mio animo. Guido era un fanciullo, un fanciullo cui avevo promessa la mia indulgenza. Se non gli riusciva di ammazzarsi prima, anche lui prima o poi sarebbe arrivato alla maturità.

La fantesca mi fece entrare in uno stanzino che doveva essere lo studio di Ada. La giornata era fosca e il piccolo ambiente, con la sola finestra coperta da una fitta tenda, era buio. Sulla parete v'erano i ritratti dei genitori di Ada e di Guido. Vi restai poco perché la fantesca ritornò a chiamarmi e mi condusse da Guido e Ada nella loro stanza da letto. Questa era vasta e luminosa anche quel giorno, per le sue due ampie finestre e per la tappezzeria e i mobili chiari. Guido giaceva nel suo letto con la testa fasciata e Ada era seduta accanto a lui.

Guido mi ricevette senz'alcun imbarazzo, anzi con la più viva riconoscenza. Sembrava assonnato, ma per salutarmi eppoi darmi le sue disposizioni, seppe scotersi e apparire desto del tutto. Indi s'abbandonò sul guanciale e chiuse gli occhi. Ricordava che doveva simulare il grande effetto della morfina? Ad ogni modo faceva pietà e non ira ed io mi sentii molto buono.

Non guardai subito Ada: avevo paura della fisonomia di Basedow. Quando la guardai, ebbi una gradevole sorpresa perché mi aspettavo di peggio. I suoi occhi erano veramente ingranditi a dismisura, ma le gonfiezze che sulla sua faccia avevano sostituito le guancie, erano sparite e a me essa parve più bella. Vestiva un'ampia veste rossa, chiusa fino al mento, nella quale il suo povero corpicciuolo si perdeva. C'era in lei qualcosa di molto casto e, per quegli occhi, qualche cosa di molto severo. Non seppi chiarire del tutto i miei sentimenti, ma davvero pensai mi stesse accanto una donna che assomigliava a quell'Ada che io avevo amata.


5.6 Storia di un'associazione commerciale 5.6 History of a trade association 5.6 Histoire d'une association professionnelle 5.6 História de uma associação profissional

La passeggiata mi ricordò quella della notte dopo il mio fidanzamento. Mancava la luna perché in alto c'era molta nebbia, ma giù era la stessa cosa, perché si camminava sicuri traverso un'aria limpida. Anche Guido ricordò quella sera memoranda:

— È la prima volta che camminiamo di nuovo insieme di notte. Ricordi? Tu allora mi spiegasti che anche nella luna ci si baciava come quaggiù. Adesso invece nella luna continuano il bacio eterno; ne sono sicuro ad onta che questa sera non si veda. Quaggiù, invece...

Voleva ricominciare a dir male di Ada? Della povera malata? Lo interruppi, ma mitemente, quasi associandomi a lui (non l'avevo forse accompagnato per aiutarlo a dimenticare? ):

— Già! Quaggiù non si può sempre baciare! Lassù poi non c'è che l'immagine del bacio. Il bacio è soprattutto movimento.

Tentavo di allontanarmi da tutte le sue questioni, cioè bilancio e Ada, tant'è vero che a tempo seppi eliminare una frase ch'ero stato in procinto di dire che cioè lassù il bacio non generava dei gemelli. Ma lui, per liberarsi dal bilancio, non trovava di meglio che lagnarsi delle altre sue disgrazie. Come avevo presentito, disse male di Ada. Cominciò col rimpiangere che quel suo primo anno di matrimonio fosse stato per lui tanto disastroso. Non parlava dei due gemelli ch'erano tanto cari e belli, ma della malattia di Ada. Egli pensava che la malattia la rendesse irascibile, gelosa e nello stesso tempo poco affettuosa. Terminò coll'esclamare sconsolato:

— La vita è ingiusta e dura!

A me sembrava assolutamente che mi fosse vietato di dire una sola parola che implicasse un mio giudizio fra lui e Ada. Ma mi pareva di dover pur dire qualche cosa. Egli aveva finito col parlare della vita e le aveva appioppati due predicati che non peccavano di soverchia originalità. Io scopersi il meglio proprio perché m'ero messo a fare la critica di quello ch'egli aveva detto. Tante volte si dicono delle cose seguendo il suono delle parole come s'associarono casualmente. Poi, appena, si va a vedere se quello che si disse valeva il fiato che vi si è consumato e qualche volta si scopre che la casuale associazione partorì un'idea. Dissi:

— La vita non è né brutta né bella, ma è originale!

Quando ci pensai mi parve d'aver detta una cosa importante. Designata così, la vita mi parve tanto nuova che stetti a guardarla come se l'avessi veduta per la prima volta coi suoi corpi gassosi, fluidi e solidi. Se l'avessi raccontata a qualcuno che non vi fosse stato abituato e fosse perciò privo del nostro senso comune, sarebbe rimasto senza fiato dinanzi all'enorme costruzione priva di scopo. M'avrebbe domandato: «Ma come l'avete sopportata?». E, informatosi di ogni singolo dettaglio, da quei corpi celesti appesi lassù perché si vedano ma non si tocchino, fino al mistero che circonda la morte, avrebbe certamente esclamato: «Molto originale!»

— Originale la vita! - disse Guido ridendo. - Dove l'hai letto?

Non m'importò di assicurargli che non l'avevo letto in nessun posto perché altrimenti le mie parole avrebbero avuta meno importanza per lui. Ma, più che ci pensavo, più originale trovavo la vita. E non occorreva mica venire dal di fuori per vederla messa insieme in un modo tanto bizzarro. Bastava ricordare tutto quello che noi uomini dalla vita si è aspettato, per vederla tanto strana da arrivare alla conclusione che forse l'uomo vi è stato messo dentro per errore e che non vi appartiene.

Senza esserci accordati sulla direzione della nostra passeggiata, avevamo finito come l'altra volta sull'erta di via Belvedere. Trovato il muricciuolo su cui s'era steso quella notte, Guido vi salì e vi si coricò proprio come l'altra volta. Egli canticchiava, forse sempre oppresso dai suoi pensieri, e meditava certamente sulle inesorabili cifre della sua contabilità. Io invece ricordai che in quel luogo l'avevo voluto uccidere, e confrontando i miei sentimenti di allora con quelli di adesso, ammiravo una volta di più l'incomparabile originalità della vita. Ma improvvisamente ricordai che poco prima e per una bizza di persona ambiziosa, avevo imperversato contro il povero Guido e ciò in una delle peggiori giornate della sua vita. Mi dedicai ad un'indagine: assistevo senza grande dolore alla tortura che veniva inflitta a Guido dal bilancio messo insieme da me con tanta cura e me ne venne un dubbio curioso e subito dopo un curiosissimo ricordo. Il dubbio: ero io buono o cattivo? Il ricordo, provocato improvvisamente dal dubbio che non era nuovo: mi vedevo bambino e vestito (ne sono certo) tuttavia in gonne corte, quando alzavo la mia faccia per domandare a mia madre sorridente: «Sono buono o cattivo, io?». Allora il dubbio doveva essere stato ispirato al bimbo dai tanti che l'avevano detto buono e dai tanti altri che, scherzando, l'avevano qualificato cattivo. Non era affatto da meravigliarsi che il bimbo fosse stato imbarazzato da quel dilemma. Oh incomparabile originalità della vita! Era meraviglioso che il dubbio ch'essa aveva già inflitto al bimbo in forma tanto puerile, non fosse stato sciolto dall'adulto quando aveva già varcata la metà della sua vita.

Nella notte fosca, proprio su quel posto ove io una volta avevo già voluto uccidere, quel dubbio mi angosciò, profondamente. Certamente il bimbo quando aveva sentito vagare quel dubbio nella testa da poco libera dalla cuffia, non ne aveva sofferto tanto perché ai bambini si racconta che dalla cattiveria si guarisce. Per liberarmi da tanta angoscia volli credere di nuovo così, e vi riuscii.

Se non vi fossi riuscito avrei dovuto piangere per me, per Guido e per la tristissima nostra vita. Il proposito rinnovò l'illusione! Il proposito di mettermi accanto a Guido e di collaborare con lui allo sviluppo del suo commercio da cui dipendeva la sua e la vita dei suoi e ciò senz'alcun utile per me. Intravvidi la possibilità di correre, brigare e studiare per lui e ammisi la possibilità di divenire, per aiutarlo, un grande, un intraprendente, un geniale negoziante. Proprio così pensai in quella fosca sera di questa vita originalissima!

Guido intanto cessò di pensare al bilancio. Abbandonò il suo posto e parve rasserenato. Come se avesse tratta una conclusione da un ragionamento di cui io non sapevo niente, mi disse che al padre non avrebbe detto nulla perché altrimenti il povero vecchio avrebbe intrapreso quell'enorme viaggio dal suo sole estivo alla nostra nebbia invernale. Mi disse poi che la perdita a prima vista sembrava ingente, ma che non lo era poi tanto se non doveva sopportarla tutta da solo. Avrebbe pregata Ada di addossarsene la metà e in compenso le avrebbe concesso una parte degli utili dell'anno seguente. L'altra metà della perdita l'avrebbe sopportata lui.

Io non dissi nulla. Pensai anche che mi fosse proibito di dare dei consigli, perché altrimenti avrei finito col fare quello che assolutamente non volevo, erigendomi a giudice fra i due coniugi. Del resto in quel momento ero tanto pieno di buoni propositi che mi pareva che Ada avrebbe fatto un buon affare partecipando ad un'impresa diretta da noi.

Accompagnai Guido fino alla porta di casa sua e gli strinsi lungamente la mano per rinnovare silenziosamente il proposito di volergli bene. Poi mi studiai di dirgli qualche cosa di gentile e finii col trovare questa frase:

— Che i tuoi gemelli abbiano una buona notte e ti lascino dormire perché certamente hai bisogno di riposo.

Andando via mi morsi le labbra al rimpianto di non aver trovato di meglio. Ma se sapevo che i gemelli oramai che avevano ciascuno la loro balia dormivano a mezzo chilometro da lui e non avrebbero potuto turbargli il sonno! Ad ogni modo egli aveva capita l'intenzione dell'augurio perché l'aveva accettato riconoscente.

Giunto a casa, trovai che Augusta s'era ritirata nella stanza da letto coi bambini. Alfio era attaccato al suo petto mentre Antonia dormiva nel suo lettino volgendoci la nuca ricciuta. Dovetti spiegare la ragione del mio ritardo e perciò le raccontai anche il mezzo escogitato da Guido per liberarsi delle sue passività. Ad Augusta la proposta di Guido parve indegna:

— Al posto di Ada io rifiuterei, - esclamò con violenza per quanto a bassa voce per non spaventare il piccino.

Diretto dai miei propositi di bontà, discussi:

— Perciò, se io capitassi nelle stesse difficoltà di Guido tu non m'aiuteresti?

Essa rise:

— La cosa è ben differente! Fra noi due si vedrebbe quello che sarebbe più vantaggioso per loro! - e accennò al bambino che teneva in braccio e ad Antonia. Poi, dopo un momento di riflessione, continuò: - E se noi ora consigliassimo ad Ada di concedere il suo denaro per continuare quell'affare di cui tu fra breve non farai più parte, non saremmo poi impegnati ad indennizzarla se dovesse poi perderlo?

Era un'idea da ignorante, ma nel mio nuovo altruismo esclamai:

— E perché no?

— Ma non vedi che ne abbiamo due dei bambini cui dobbiamo pensare?

Se li vedevo! La domanda era una figura rettorica veramente vuota di senso.

— E non ne hanno anche loro due dei bambini? - domandai vittoriosamente.

Essa si mise a ridere clamorosamente facendo spaventare Alfio che lasciò di poppare per piangere subito. Essa s'occupò di lui, ma sempre ridendo, ed io accettai il suo riso come se me lo fossi conquistato col mio spirito mentre, in verità, nel momento in cui avevo fatta quella domanda, m'ero sentito movere nel petto un grande amore per i genitori di tutti i bambini e per i bambini di tutti i genitori. Avendone poi riso, di quell'affetto non restò più niente.

Ma anche il cruccio di non sapermi essenzialmente buono si mitigò. Mi pareva di aver sciolto il problema angoscioso. Non si era né buoni né cattivi come non si era tante altre cose ancora. La bontà era la luce che a sprazzi e ad istanti illuminava l'oscuro animo umano. Occorreva la fiaccola bruciante per dare la luce (nell'animo mio c'era stata e prima o poi sarebbe sicuramente anche ritornata) e l'essere pensante a quella luce poteva scegliere la direzione per moversi poi nell'oscurità. Si poteva perciò manifestarsi buoni, tanto buoni, sempre buoni, e questo era l'importante. Quando la luce sarebbe ritornata non avrebbe sorpreso e non avrebbe abbacinato. Ci avrei soffiato su per spegnerla prima, visto ch'io non ne avevo bisogno. Perché io avrei saputo conservare il proposito, cioè la direzione.

Il proposito di bontà è placido e pratico ed io ora ero calmo e freddo. Curioso! L'eccesso di bontà m'aveva fatto eccedere nella stima di me stesso e del mio potere. Che cosa potevo io fare per Guido? Era vero ch'io nel suo ufficio sovrastavo di tanto agli altri quanto nel mio ufficio l'Olivi padre stava al disopra di me. Ma ciò non provava molto. E per essere ben pratico: che cosa avrei io consigliato a Guido il giorno appresso? Forse una mia ispirazione? Ma se neppure al tavolo di giuoco si seguivano le ispirazioni quando si giuocava coi denari altrui! Per far vivere una casa commerciale bisogna crearle un lavoro di ogni giorno e questo si può raggiungere lavorando ogni ora attorno ad una organizzazione. Non ero io che potevo fare una cosa simile, né mi pareva giusto di sottopormi a forza di bontà alla condanna della noia a vita.

Sentivo tuttavia l'impressione fattami dal mio slancio di bontà come un impegno che avessi preso con Guido, e non potevo addormentarmi. Sospirai più volte profondamente e una volta persino gemetti, certamente nel momento in cui mi pareva di essere obbligato di legarmi all'ufficio di Guido come l'Olivi era legato al mio.

Nel dormiveglia Augusta mormorò:

— Che hai? Hai trovato di nuovo da dire con l'Olivi?

Ecco l'idea che cercavo! Io avrei consigliato Guido di prendere con sé quale direttore il giovine Olivi! Quel giovinotto tanto serio e tanto laborioso e ch'io vedevo tanto malvolentieri nei miei affari perché pareva s'apprestasse di succedere a suo padre nella loro direzione per tenermene definitivamente fuori, apparteneva evidentemente e a vantaggio di tutti, nell'ufficio di Guido. Facendogli una posizione in casa sua, Guido si sarebbe salvato e il giovine Olivi sarebbe stato più utile in quell'ufficio che non nel mio.

L'idea mi esaltò e destai Augusta per comunicargliela. Anch'essa ne fu tanto entusiasmata da destarsi del tutto. Le pareva che così io avrei più facilmente potuto levarmi dagli affari compromettenti di Guido. Mi addormentai con la coscienza tranquilla: avevo trovato il modo di salvare Guido senza condannare me; anzi tutt'altro.

Non c'è niente di più disgustoso che di vedersi respinto un consiglio ch'è stato sinceramente studiato con uno sforzo che costò persino delle ore di sonno. Da me c'era poi stato un altro sforzo: quello di spogliarmi dell'illusione di poter giovare io stesso agli affari di Guido. Uno sforzo immane. Ero dapprima arrivato ad una vera bontà, poi ad un'assoluta oggettività e mi si mandava a quel paese!

Guido rifiutò il mio consiglio addirittura con disdegno. Non credeva capace il giovine Olivi eppoi gli spiaceva il suo aspetto di giovine vecchio e più ancora gli spiacevano quei suoi occhiali tanto lucenti sulla sua scialba faccia. Gli argomenti erano veramente atti a farmi credere che di fondato non ce ne fosse che uno: il desiderio di farmi dispetto. Finì col dirmi che avrebbe accettato come capo del suo ufficio non il giovine ma il vecchio Olivi. Ma io non credevo di potergli procurare la collaborazione di questi, eppoi io non mi credevo pronto per assumere da un momento all'altro la direzione dei miei affari. Ebbi il torto di discutere e gli dissi che il vecchio Olivi valeva poco. Gli raccontai quanto denaro mi avesse costato la sua caparbietà di non aver voluto comperare a tempo quella tale frutta secca.

— Ebbene! - esclamò Guido. - Se il vecchio non vale più di così, che valore potrà avere il giovine che non è altro che un suo scolaro?

Ecco finalmente un buon argomento, e tanto più dispiacevole per me in quanto lo avevo fornito io con la mia chiacchiera imprudente.

Pochi giorni appresso, Augusta mi raccontò che Guido aveva proposto ad Ada di sopportare col suo denaro metà della perdita del bilancio. Ada vi si rifiutava dicendo ad Augusta:

— Mi tradisce e vuole anche il mio denaro!

Augusta non aveva avuto il coraggio di consigliarle di darglielo, ma assicurava che aveva fatto del suo meglio per far ricredere Ada dal suo giudizio sulla fedeltà del marito. Costei aveva risposto in modo da far ritenere ch'essa a quel proposito la sapesse più lunga di quanto noi si credesse. E Augusta con me ragionava così: - Per il marito bisogna saper portare qualunque sacrificio, ma valeva tale assioma anche per Guido?

Nei giorni seguenti il contegno di Guido si fece veramente straordinario. Veniva in ufficio di tempo in tempo e non vi restava mai per più di mezz'ora. Correva via come chi ha dimenticato il fazzoletto a casa. Seppi poi che andava a portare nuovi argomenti ad Ada che gli parevano decisivi per indurla a fare il voler suo. Aveva veramente l'aspetto di persona che ha pianto troppo o troppo gridato o che s'è addirittura battuto, e neppure in nostra presenza arrivava a domare l'emozione che gli contraeva la gola e gli faceva venire le lacrime agli occhi. Gli domandai che cosa avesse. Mi rispose con un sorriso triste, ma amichevole per dimostrarmi che non l'aveva con me. Poi si raccolse onde poter parlarmi senz'agitarsi di troppo. Infine disse poche parole: Ada lo faceva soffrire con la sua gelosia.

Egli dunque mi raccontava che discutevano le loro storie intime mentre io pur sapevo che c'era anche quella storia del «conto utili e danni» fra di loro.

Ma pareva che questo non avesse importanza. Me lo diceva lui e lo diceva anche Ada ad Augusta non parlandole d'altro che della sua gelosia. Anche la violenza di quelle discussioni, che lasciava traccie tanto profonde sulla faccia di Guido, faceva credere dicessero il vero.

Invece poi risultò che fra' due coniugi non si parlò che della questione del denaro. Ada per superbia e per quanto si facesse dirigere dai suoi dolori passionali, non li aveva mai menzionati, e Guido, forse per la coscienza della sua colpa e per quanto sentisse che in Ada imperversasse l'ira della donna, continuò a discutere gli affari come se il resto non esistesse. Egli s'affannò sempre più a correre dietro a quei denari, mentre lei, che non era affatto toccata da quistioni d'affari, protestava contro la proposta di Guido con un solo argomento: i denari dovevano restare ai bambini. E quand'egli trovava altri argomenti, la sua pace, il vantaggio che sarebbe derivato ai bambini stessi dal suo lavoro, la sicurezza di trovarsi in regola con le prescrizioni di legge, essa lo saldava con un duro «No». Ciò esasperava Guido e - come dai bambini - anche il suo desiderio. Ma ambedue - quando ne parlavano ad altri - credevano di essere esatti asserendo di soffrire per amori e gelosie.

Fu una specie di malinteso che m'impedì d'intervenire a tempo per far cessare l'incresciosa quistione del denaro. Io potevo provare a Guido ch'essa effettivamente mancava d'importanza. Quale contabile sono un po' tardo e non capisco le cose che quando le ho distribuite nei libri, nero sul bianco, ma mi pare che presto io abbia capito che il versamento che Guido esigeva da Ada non avrebbe mutate di molto le cose. A che serviva infatti di farsi fare un versamento di denari? La perdita così non appariva mica minore, a meno che Ada non avesse accettato di far getto del denaro in quella contabilità ciò che Guido non domandava. La legge non si sarebbe mica lasciata ingannare al trovare che, dopo di aver perduto tanto, si voleva rischiare un po' di più attirando nell'azienda dei nuovi capitalisti.

Una mattina Guido non si fece veder in ufficio ciò che ci sorprese perché sapevamo che la sera prima non era partito per la caccia. A colazione appresi da Augusta commossa e agitata che Guido la sera prima aveva attentato alla propria vita. Oramai era fuori di pericolo. Devo confessare che la notizia, che ad Augusta sembrava tragica, a me fece rabbia.

Egli era ricorso a quel mezzo drastico per spezzare la resistenza della moglie! Appresi anche subito che l'aveva fatto con tutte le prudenze, perché prima di prendere la morfina se ne era fatta vedere la boccetta stappata in mano. Così al primo torpore in cui cadde, Ada chiamò il medico ed egli fu subito fuori di pericolo. Ada aveva passata una notte orrenda perché il dottore credette di dover fare delle riserve sull'esito dell'avvelenamento, eppoi la sua agitazione fu prolungata da Guido che, quando rinvenne, forse non ancora in piena coscienza, la colmò di rimproveri dicendola la sua nemica, la sua persecutrice, colei che gl'impediva il sano lavoro cui egli voleva accingersi.

Ada gli accordò subito il prestito ch'egli domandava, ma poi, finalmente, nell'intenzione di difendersi, parlò chiaro e gli fece tutti i rimproveri ch'essa tanto tempo aveva trattenuti. Così arrivarono a intendersi perché a lui riuscì - così Augusta credeva - di dissipare in Ada ogni sospetto sulla sua fedeltà. Fu energico e quando lei gli parlò di Carmen, egli gridò:

— Ne sei gelosa? Ebbene, se lo vuoi la mando via oggi stesso.

Ada non aveva risposto e credette così di avere accettata quella proposta e ch'egli vi si fosse impegnato.

Mi meravigliai che Guido avesse saputo comportarsi così nel dormiveglia e giunsi fino a credere ch'egli non avesse ingoiata neppure la piccola dose di morfina ch'egli diceva. A me pareva che uno degli effetti degli annebbiamenti del cervello per sonno, fosse di sciogliere l'animo più indurito, inducendolo alle più ingenue confessioni. Non ero io recente di una tale avventura? Ciò aumentò il mio sdegno e il mio disprezzo per Guido.

Augusta piangeva raccontando in quale stato avesse trovata Ada. No! Ada non era più bella con quegli occhi che sembravano spalancati dal terrore.

Fra me e mia moglie ci fu una lunga discussione se io avessi dovuto far subito una visita a Guido e Ada oppure se non fosse stato meglio di fingere di non saper di nulla e aspettare di rivederlo in ufficio. A me quella visita sembrava una seccatura insopportabile. Vedendolo, come avrei fatto di non dirgli l'animo mio? Dicevo:

— È un'azione indegna per un uomo! Io non ho alcuna voglia di ammazzarmi, ma non v'è dubbio che se decidessi di farlo vi riuscirei subito!

Sentivo proprio così e volevo dirlo ad Augusta. Ma mi sembrava di far troppo onore a Guido paragonandolo a me:

— Non occorre mica essere un chimico per saper distruggere questo nostro organismo ch'è anche troppo sensibile. Non c'è quasi ogni settimana, nella nostra città, la sartina che ingoia la soluzione di fosforo preparata in segreto nella sua povera stanzetta, e da quel veleno rudimentale, ad onta di ogni intervento, viene portata alla morte con la faccina ancora contratta dal dolore fisico e da quello morale che subì la sua animuccia innocente?

Augusta non ammetteva che l'anima della sartina suicida fosse tanto innocente, ma, fatta una lieve protesta, ritornò al suo tentativo d'indurmi a quella visita. Mi raccontò che non dovevo temere di trovarmi in imbarazzo. Essa aveva parlato anche con Guido il quale aveva trattato con lei con tanta serenità come se egli avesse commessa l'azione più comune.

Uscii di casa senza dare la soddisfazione ad Augusta di mostrarmi convinto delle sue ragioni. Dopo lieve esitazione mi avviai senz'altro a compiacere mia moglie. Per quanto breve fosse il percorso, il ritmo del mio passo m'addusse ad una mitigazione del mio giudizio sul conto di Guido. Ricordai la direzione segnatami dalla luce che pochi giorni prima aveva illuminato il mio animo. Guido era un fanciullo, un fanciullo cui avevo promessa la mia indulgenza. Se non gli riusciva di ammazzarsi prima, anche lui prima o poi sarebbe arrivato alla maturità.

La fantesca mi fece entrare in uno stanzino che doveva essere lo studio di Ada. La giornata era fosca e il piccolo ambiente, con la sola finestra coperta da una fitta tenda, era buio. Sulla parete v'erano i ritratti dei genitori di Ada e di Guido. Vi restai poco perché la fantesca ritornò a chiamarmi e mi condusse da Guido e Ada nella loro stanza da letto. Questa era vasta e luminosa anche quel giorno, per le sue due ampie finestre e per la tappezzeria e i mobili chiari. Guido giaceva nel suo letto con la testa fasciata e Ada era seduta accanto a lui.

Guido mi ricevette senz'alcun imbarazzo, anzi con la più viva riconoscenza. Sembrava assonnato, ma per salutarmi eppoi darmi le sue disposizioni, seppe scotersi e apparire desto del tutto. Indi s'abbandonò sul guanciale e chiuse gli occhi. Ricordava che doveva simulare il grande effetto della morfina? Ad ogni modo faceva pietà e non ira ed io mi sentii molto buono.

Non guardai subito Ada: avevo paura della fisonomia di Basedow. Quando la guardai, ebbi una gradevole sorpresa perché mi aspettavo di peggio. I suoi occhi erano veramente ingranditi a dismisura, ma le gonfiezze che sulla sua faccia avevano sostituito le guancie, erano sparite e a me essa parve più bella. Vestiva un'ampia veste rossa, chiusa fino al mento, nella quale il suo povero corpicciuolo si perdeva. C'era in lei qualcosa di molto casto e, per quegli occhi, qualche cosa di molto severo. Non seppi chiarire del tutto i miei sentimenti, ma davvero pensai mi stesse accanto una donna che assomigliava a quell'Ada che io avevo amata.