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Ragazzi di Vita - Pasolini, VI. IL BAGNO SULL'ANIENE (1)

VI. IL BAGNO SULL'ANIENE (1)

Traiti avanti, Alichino, e Calcabrina

- cominciò egli a dire - e tu, Cagnazzo;

E Barbariccia guidi la decina.

Libicocco vegna oltre, e Draghinazzo,

Ciriatto sannuto, e Graffiacane.

E Farfarello, e Rubicante pazzo.

DANTE, Inferno

--

- Tengo na fame che me cago sotto, - gridò il Begalone. Si tolse la canottiera, in piedi sull'erba zellosa pestata contro la scarpata dell'Aniene, tra le fratte carbonizzate, si sbottonò i calzoni e si mise a pisciare come si trovava. - Qui pisci? - gli gridò il Caciotta che si stava a levare i pedalini un po' più in basso. - Mo vado a piscià in via Arenula, - disse il Begalone, - a sonato.

- Mo se famo er bagno, - disse con viso soddisfatto il Caciotta, che in quei tre annetti s'era ingrassato, - e poi se n'annamo ar cinema. - E li sordi addò li tenghi? - fece ironico Alduccio. - So' cavoli mia, - rispose il Caciotta. - E ito pe' ciche ieri sera, - gridò coi piedi nell'acqua, già ignudo Alduccio. - Vaffan..., va, - si limitò a rispondere il Caciotta stringendo i panni con la cinta.

Li mise insieme agli altri contro un cespuglio polveroso, e andò in pizzo alla scarpata, sul campo dove il grano era stato tagliato da poco, e vi stavano a pascolare due o tre cavalli; lì su i più piccoletti, che c'erano venuti prima di mezzogiorno, s'erano messi a fare a toppate. - Ignudi state, a zozzoni, - gridò il Caciotta. - Fatte li c... tua, - gridò lo Sgarone. - Sto fijo de na mignotta! - gridò al ragazzino il Caciotta, facendo per acchiapparlo. Ma l'altro scappò via, giù per la scarpata a strapiombo dietro il trampolino. Del resto pure il Begalone, il Tirillo e gli altri giovani erano ignudi. Il Caciotta aveva parlato così perché, la mattina, aveva rubato le mutandine al nipote e s'era fatto cucendoli da sé un paio di slippi. - An vedi quanto acchitta! - disse ridendo il Begalone. Si sentì gridare a squarciagola in mezzo al fiume, che scorreva stretto e scuro, sotto il sole, tra le rive piene di canne e di fratte. I ragazzi che erano andati a buttarsi alla draga, arrivavano urlando aggrappati a delle zatterette di canne. -Traversamo fiume, - gridò Alduccio da sotto, e si gettò in acqua. Quasi tutti gli andarono dietro, i ragazzini smisero di fare a toppate e vennero sull'orlo della riva. - Tu non te ce butti? - chiesero al Caciotta. - Er coraggio nun me manca, - egli disse, - ma è la paura che me frega!

Gli altri attraversarono a grandi bracciate, incrociandosi con quelli che arrivavano con le canne, e giunsero sull'altra riva, che veniva giù diritta, lurida. Un rivoletto bianco come la calce la tagliava a metà, tra la fanga indurita e le vecchie fratte, sotto il muro della fabbrica della varecchina, coi suoi serbatoi verdi e i muretti color tabacco, senza finestre. Il Begalone andò sotto lo scolo bianco della varecchina a bagnarsi.

- Quella te ce vole! - gridò, il Caciotta. Il Begalone con le mani a imbuto, voltando appena la testa gli rispose gridando dall'altra riva:

- Viecce a lavà tu sorella!

- A caccoloso! - fece il Caciotta.

- A sgarato 'n c...! - gli rispose il Begalone.

Quelli venuti dalla draga sulle canne s'erano fermati sotto il trampolino a rotolarsi sulla fanga nera, sotto la riva a piombo, e insieme a loro vennero giù i ragazzini.

Sopra la riva erano rimasti solo tre pischelletti, che erano scesi giù da Ponte Mammolo, e dopo essersi fermati un pezzetto sul ponte a guardare, s'erano venuti a cacciare in mezzo agli altri sull'orlo della scarpata, alla curva del fiume, senza che si decidessero a spogliarsi. Se ne stavano attenti a guardare quelli che scherzavano sull'acqua bassa e sul fango, quelli che sguazzavano sul rivolo della varecchina all'altra sponda. I due più piccoletti ridevano divertendosi anche così, il più grande allumava in silenzio; poi cominciò piano piano a svestirsi. Gli altri due fecero come lui, e ammucchiarono tutti insieme i panni: il più piccolo li tenne sotto il braccio, mentre gli altri scendevano giù. Lui però se ne stava ammusolito.

- A Genè, - gridava, - e io nun me lo faccio er bagno? - Dopo, - gli rispose a voce bassa Genesio. Venivano ancora cricche di ragazzini da in fondo alla curva, tra le stoppie che qua e là bruciavano lentamente sulle scarpate della Tiburtina, sul ciglione del fiume, scoppiettando sotto le piccole lingue di fuoco. Venivano due o tre alla volta, baccajando e zompando contro la campagna vuota con in fondo le pareti bianche del Silver Cine e la gobba del Monte del Pecoraro.

Erano quasì ignudi, coi calzoncini tenuti su da uno spago, la canottiera o la maglietta tutta strappata con le falde fuori. Si sfilavano i calzoni camminando, e arrivavano in fondo al campo già coi panni in mano. -Nota mejo de tte, te sto a ddì! - gridava Armandino rabbiosamente, sputando, tenendo per il collare il suo cane lupo, a un maschietto che gli trottava dietro. - Sto c..., - diceva il maschietto che badava a strapparsi di tutta fretta la canottiera grigia di zella, come furono sul posto del bagno, sopra il trampolino di canne e pantano, Armandino gettò un ramo in acqua, e il cane scapitollò per il polverone della scarpata fiutò l'acqua e si gettò a nuoto. Tutti i ragazzini si riunirono a guardarlo. Quello acchiappò il ramo e tenendolo tra i denti scoperti fino alle gengive, risalì felice, schizzando fanga, sulla scarpata. Armandino l'allisciò soddisfatto e rigettò il ramo in acqua, più in là, facendo rifare al cane tutta quella moina. Rivenne su un'altra volta gongolando lasciò cadere il ramo e cominciò a saltare addosso ai ragazzini. Li assaliva puntando le zampe davanti sui loro petti e con la coda incollata tra quelle di dietro, tutto zuppo mugolando di soddisfazione Essi si scansavano ridendo - A fijo de na mignotta! - gli gridavano con simpatia. Il cane andò a prendere di petto lo Sgarone: lo buttò quasi in terra, stringendoselo tra le zampe davanti come se lo volesse abbraccicare, con la bocca aperta.

- Te se vole imbrosà, - disse il Tirillo.

- Sti c..., - rispose lo Sgarone, allontanando il cane, mica tanto sicuro delle sue intenzioni.

- Famo imbrosà dar cane er Piattoletta, - gridò ridendo il Roscetto.

- Daje, daje, - gridarono gli altri.

- A Piattolè, - gridarono giù verso la scarpata, dove il Piattoletta se ne stava solo a divertirsi col fango e l'immondezza del fiume. - Viè qqua, mettete a culambrina, - gridavano i ragazzini dall'alto Lui non rispondeva, chinato a terra, con le scapole che sporgevano, i braccini stecchiti e la faccia da topo con la scucchia puntata contro le costole. In testa teneva un berretto penzolante per coprire le croste, e la nuca pelata pareva ancora più piccola e piena di bozzi. Aveva una faccia gialla, con due grosse occhiaie e le labbra in fuori come quelle d'una scimmietta. Lo Sgarone e il Roscetto scesero giù e cominciarono a tirarlo per le braccia. Lui si mise a piangere, piano, e le lacrime gli bagnarono subito tutta la faccia fino al collo. - Viè a faje 'a grattachecca ar cane, e daje, - gli gridavano, - an vedi che articolo che d'è! - Egli s'aggrappava agli sterpi, al fango, piangendo sempre senza dir niente. Ma intanto il cane, che continuava a saltare mugolando di contentezza, tra l'uno e l'altro, dal ciglio spelato delle stoppie, ad un tratto si mise a prendere tra i denti i panni ammucchiati qua e là e a portarli in giro. - A fijo de na mignottona! - gli strillarono essi rincorrendolo, ridendo, per paura che glieli gettasse in acqua. Lo Sgarone e il Roscetto ridendo lasciarono perdere il Piattoletta, che tagliò subito giù tra le fratte, e salirono a mettere in salvo i loro panni stretti insieme con lo spago.

Mariuccio stringeva i suoi e quelli dei fratelli contro il petto, tirandosi indietro impensierito se il cane gli s'accostava; ma il cane non gli dava retta, anche se andava a sbattergli contro i fianchi, facendolo quasi cadere e infraccicandolo col pelame tutto bagnato. Poi s'accorse di lui e gli saltò addosso allegramente per strappargli i panni di mano. - A Genè, a Genè, -invocava Mariuccio spaventato. Il cane gli aveva preso tra i denti i calzoncini del fratello e glieli tirava. Gli altri maschi ridevano. - Sto malandrino, - gridavano al cane. Genesio con l'altro fratello venne su dalla scarpata tutto gocciolante, e scuotendo una rama fece scappare il cane. Prese i panni dalle braccia di Mariuccio e sempre in silenzio li arrotolò di nuovo.

Era un momento di calma, e si sentiva solo la voce di un vecchio ubbriaco che s'era venuto a sbragare nel sudiciume, e cantava sotto le volte del ponte. Ma quelli ch'erano andati sull'altra sponda adesso se ne tornavano e solcando insieme la corrente gridavano, cantavano. Il Caciotta che non era ancora entrato in acqua gridava: - A Bègalo, è calla? a Bègalo!

- E calla, è calla, - rispondeva il Begalone sbattendo braccia e piedi nell'acqua sporca d'olio, - come la piscia!

- E bùttecete! - gridò ironico lo Sgarone al Caciotta.

- Manco è bono a notà, - gridò un altro piccoletto.

- A stronzo, me impari te, me impari, - disse il Caciotta scuro in faccia.

- E traversa fiume, - disse Armandino, che intanto s'era spogliato, ma come il Caciotta teneva un paro di mutandine ch'aveva rimediato chissà in che modo.

Lasseme puntà solo la puntaaaa...

cantava il vecchio ubbriaco da sotto il ponte.

- Daje a Caciò, daje, - gridavano da sotto la scarpata Alduccio e il Begalone.

- Sì, mo se butta! - disse ghignando Armandino.

Da sotto la scarpata il Roscetto tirò addosso al Caciotta una mollichella di fanga. Il Caciotta s'incazzò. - Chi è stato? - gridò facendosi sull'orlo dello spiazzo, e guardando in giù. I ragazzi ridevano.

- Si trovo chi è stato, - avvertì il Caciotta, - je faccio 'na faccia come un pallone!

- Sai notà, - disse Armandino, - ma mica 'o traversi fiume.

- Pe' traversallo 'o traverserebbe, - ammise il Caciotta, - ma me fa impressione li mortacci sua!

Genesio aveva levato dalla saccoccia dei calzoncini una mezza sigaretta e se la stava a fumare guardando la caciara; lui e i due fratelli erano gli unici di Ponte Mammolo, e se ne stavano per conto loro. Subito una decina di maschi gli si fecero intorno. - Me fai fà na tirata? - dicevano, - E facce fumà!, - Te 'a fumi tutta solo? - S'erano accoccolati intorno a Genesio come accattoni a aspettare una tirata, dandosi spinte e cacciandosi via tra loro. - Indò abbiti, gli chiese lo Sgarone, per farselo amico. - A Ponte Mammolo, - disse Genesio. - Ce stamo a ffà la casa, - annunciò Mariuccio. Dopo qualche boccata Genesio passò muto la cicca allo Sgarone, e gli altri si misero intorno allo Sgarone a aspettare la tirata da lui.

- Mo se famo er bagno, - ripeté contento il Caciotta, - e dopo se n'annamo ar cinema.

- Che fanno a Tibburtino? - chiese Armandino.

- Er leone de Amarfi, - disse sbragandosi soddisfatto sugli stecchi sporchi e la polvere il Caciotta.

Era di buon umore per la piotta e mezza che aveva in saccoccia. Per la Tiburtina passavano di tanto in tanto gli autobus del Casale di San Basilio e di Settecamini, sotto il sole silenzioso che annebbiava, in fondo all'agro bollente, i monti di Tivoli. Su tutto pesava l'odore di mele marce della varecchina, appiccicoso come una macchia d'olio che s'allargasse dalle strutture dello stabilimento - che pareva un ragno con le sue muraglie e i suoi serbatoi - giù per le scarpate dell'Aniene, l'asfalto della strada e le stoppie bruciate da un fuoco che non si distingueva, tanto era forte la luce del sole.

- A Borgo Antico! - gridò con aria protettrice al fratello mezzano di Genesio, il Riccetto, che se ne veniva giù dal ponte in fondo al sentiero, eretto, col petto gonfio dentro la canottiera bianca, facendo la camminata; tanto che smicciandolo un ragazzino di Tiburtino gridò: - Ariva lui! - A Borgo Antì! - ripeté il Riccetto con voce allegra e beffarda, dall'orlo della scarpata, poiché Borgo Antico non l'aveva filato per niente, e come se non l'avesse sentito, si era rannicchiato contro la terra sporca della riva, col viso accigliato voltato giù verso l'acqua. Il Riccetto cominciò ironicamente a spogliarsi. Ammucchiava i panni sotto i piedi, senza fretta; poi s'infilò un paio fiammante di slip e infine tolse dalla saccoccia una nazionale e l'accese. Si accoccolò sulla polvere che bruciava, e guardò un'altra volta sotto la scarpata, tra la caciara dei ragazzini. Mariuccio gli stava accanto, coi panni dei fratelli stretti contro le costole. - A Borgo Antì! - ricominciò il Riccetto. - Ariòcace, - fece ghignando tra i denti il piccoletto che già l'aveva preso di petto. Ma l'altro non lo filava manco per niente. - E facce na cantata, Borgo Antì, - gridò. Borgo Antico però non si voltò nemmeno, fermo nella sua posizione, con la faccia di cioccolata, lucida e nera. - Che, canta pure lui, - fece lo Sgarone ironico. - Come, no, - rispose anch'egli ironico il Riccetto. Borgo Antico stava sempre zitto, e pure Genesio taceva, come se non s'accorgesse di niente. Mariuccio, il più piccolino dei tre fratelli, disse: - Nun je va de cantà. - A stronzo, - disse il Riccetto a Borgo Antico, - tieni 'a gola secca, che? - Che je dai? - chiese tutt'a un botto Genesio. - Je do na nazzionale, va, - disse il Riccetto. - Canta, -ordinò Genesio al fratello. - Mo canta, - annunciò Mariuccio. Borgo Antico alzò le spalle magre e nere e affilò ancora più contro il petto la sua faccia d'uccello. - E canta, - ripeté già in collera Genesio. - E che devo da cantà? - disse Borgo Antico con voce rotta. - Canta Luna Rossa, daje, -disse il Riccetto. Borgo Antico si mise a sedere stringendo contro il torace i ginocchi, e cominciò a cantare in napoletano, tirando fuori una voce dieci volte più grossa di lui, tutto pieno di passione che pareva uno di trent'anni. Gli altri maschi che da un po' non si facevano sentire, dietro le gobbe della scarpata, nel fango, vennero su intorno a lui a ascoltare. - Ammazzalo, quanto canta, - disse il Roscetto, mentre in tutto il fiume non si sentiva che quella voce. Sul più bello che tutti stavano fermi, una nuova mollichella di fanga colpì sulla testa il Caciotta, che ancora non s'era deciso a fare il bagno. - Chi è stato? - rifece lui incazzandosi. - Fa un po' vede che tenghi in quella mano, - disse, vedendo Armandino che, col suo cane appresso, nascondeva una mano dietro alla schiena. Armandino lo guardò negli occhi, con i suoi che gli si erano fatti ironici e un po' impauriti, con aria di sfida, facendo l'indifferente. Ammorgiava un poco prima di mostrare la mano: poi di botto la tolse da dietro la schiena, e la mostrò al Caciotta col palmo aperto, ma il Caciotta fece uno zompo dietro di lui e prendendolo sotto le braccia lo costrinse a alzarsi.

Armandino, che non se l'aspettava si scansava nervosamente il ciuffo dagli occhi, guardando sempre il Caciotta con insolenza e un po' di fifa: -Ma che vvòi, a disgrazziato, - gli disse. - Che tenevi lì sotto? - gli chiese sempre più incazzato il Caciotta, prendendo da terra una manciata di fango pestato e arrotolato. - Ma nun me sta a rompe li cojoni nun me sta, -ciancicò Armandino. - Tu sse' stato, ve'? - disse il Caciotta. Armandino scattò, puntandogli contro la mano aperta, con le dita tese: - An vedi questo, ma chi te s'è in... mai, a farlocco! - disse facendosi, a ogni buon conto, una decina di passi più in là. Il Caciotta lo guardò senza dir niente, strozzato dalla collera e si mosse minaccioso verso di lui, che aveva alle sue spalle, per tagliare, tutto il campo e le sponde dell'Aniene fino alla draga, all'osteria del Pescatore, a Tiburtino: ma invece se ne rimase lì fermo come si trovava, un po' gobbo, rosso in faccia e pronto a tutto, per una soddisfazione, pure magari a buscarle. Come il Caciotta gli fu vicino, si piegò di scatto, quasi piangendo, afferrò un pezzo di m... secca che gli stava davanti e gliela tirò in faccia. Ma non riuscì a scappare subito perché, imbestialito, il Caciotta gli fu sopra con due zompi e l'agguantò, mentre si voltava, per il fondo di dietro delle mutandine. Armandino scappò via con le mutandine che penzolavano sgarate sul sedere nudo. Se ne andò lontano, tra un macello di risate, in fondo alla curva del fiume, e lì seduto, mentre il Caciotta tornava con malcelata soddisfazione verso gli altri, si rivoltò le mutandine: tanto non gliene fregava niente che lo vedessero davanti, l'importante era che il didietro fosse al coperto. Intanto tutti continuavano a sghignazzare radunati in cima alla scarpata. - An vedi, ride pure er Piattoletta! - disse il Bègalo, che nel frattempo era venuto di qua del fiume con gli altri, vedendo il Piattoletta con la bocca aperta. Appena che sentì queste parole, il Piattoletta smise di botto di ridere, e fece per tornarsene giù alla scarpata. Ma la mano del Begalone lo fermò. Era impossibile dare un'idea della differenza che c'era tra il Piattoletta e il Begalone. Con quell'occhi storti che c'aveva, lenticchioso e roscio, il Begalone si poteva senza meno considerare lì il più dritto di tutta la cricca: e difatti ci si considerava, mica no, mentre senza nemmeno guardarlo, con aria paziente, acchiappava con la mano per il collo il Piattoletta. Capirai, aveva fatto nottata, metà appennicato al Salario e metà a Villa Borghese, tra paragule e frosci, o sui tram a borseggiare i micchi. Quell'altro lì invece era venuto a fiume dopo aver passato la mattinata con la nonna a capare l'immondezza in mezzo ai prati puzzolenti e ai tuguri dove la cloaca del Policlinico sfocia nell'Aniene. Così adesso, spinto a sedere a terra dalla mano del Bègalo, ci s'era accucciato in silenzio, come quelle bestie che fanno finta d'essere morte, pronto a far la lagna sotto il suo berrettaccio bianco, sudicio, che gli spioveva fin sulla schiena. Solo le due orecchie a sventola impedivano che gli calasse sopra le froce del naso.

- Ride pure lui, sto malandrino, - ripeté il Begalone, fingendo un'aria allegra di protezione, e battendogli con forza la mano sugli ossicini della schiena. Il Piattoletta, squassato da quei colpi, lo guardò. - 'O spezzi, -fece il Riccetto. - Che, te va de scherzà? - rispose il Begalone alzando moina, - e quanno 'o spezzi, sto fusto? - e gli diede un'altra manata sopra le scapole. Il Piattoletta rise un poco storcendo la bocca.

- Ce lo sai pecché stava a ride? - disse lo Sgarone, - ce lo sai? Pecché je vedeva 'a nocchia a Armandino.

- Ah sì-i? - fece il Begalone. - Sto fijo de na mignotta! Mica me lo immaginavo sa' che bisognava mettèsse er bandone, quanno che je stavi accanto! Te piace 'a nocchietta, eh? te possino ammazzatte, te e quell'arabo de tu padre!

Il Piattoletta appiccicò la testa contro il petto, guardando intorno con la coda dell'occhio, mentre tutti ridevano.

- Ma quale nocchietta, quale nocchietta, - disse il Tirillo, agitandosi a gambe larghe col ventre contro il naso di Piattoletta, - questo je piace, a sto froscio.

- Vallo a dà a tu sorella, - sussurrò il Piattoletta che già stava piangendo. Ma il Tirillo gli sbatté due o tre volte col basso ventre nudo sulla faccia, rotolandosi poi sulla polvere. - E lassalo perde, - disse il Begalone, - che mo ce fa na chiacchierata in tedesco, ve' Piattolè?

- Che, è tedesco? - chiese il Riccetto.

- Ma li mortacci sua, - disse il Begalone, - è tedesco ingrese marocchino, vallo un po' a chiede a su madre!

Il Piattoletta era tutto bagnato di pianto, e se lo lasciava scivolare per il viso e per il collo senza asciugarsi.

- Ha' da vede quanto parla er tedesco, - disse lo Sgarone, - dijelo un po' Piattolè.

- E daje, parla, - gridò il Begalone, - li mortacci tua e de tu nonna.

- Si nun parli, - disse il Tirillo saltando in piedi, - te famo un bucio de c... come na capanna.

- Sì, pecché mo 'o tiene piccolo, - disse il Roscetto.

- E la volete piantà, a broccoli, - fece il Begalone abbraccicando il Piattoletta, - che mo si nun ce fa sta chiacchierata in tedesco, je buttamo li panni a fiume e 'o rimannamo a Pietralata ignudo.

Il Piattoletta continuava a piangere. - Addò ha cacciato li panni, sto caccoloso, - chiese il Begalone. - Liggiù, su 'a fanga, - gridò lo Sgarone, e corse a prenderli. - Puro sta berretta, qqua, - fece il Begalone strappandola dalla testa del Piattoletta, che rimase nuda, rasata, e segnata da cicatrici bianche.

Fece tutto un mucchio dei panni, e tenendoli alti con una mano si gettò nel fiume, e lo attraversò. Quando giunse sull'altra riva sotto lo scolo della varecchina, gridò al Piattoletta:

- Mo si nun ce parli in tedesco, li venghi a pija domattina, sti panni zozzi!

- E parla, e che d'è, - gli disse allegro il Riccetto.

- Ma li mortacci tua, - gli gridò lo Sgarone dandogli una pedata sulla schiena. Il Piattoletta si mise a piangere più forte, con la sua faccia da bertuccia, sempre più sfigurata e schifosa: ma nello stesso tempo si decise a parlare. - Ach rich grau riche fram ghelenen fil ach ach, - disse, piano come piangeva.

- Nun te sento! parla più forte! - gridò dall'altra riva il Begalone - Ir zum ach gramen bur ach minen fil ach zum cramen firen, - ripeté un poco più forte il Piattoletta, ricominciando subito a piangere. - Mo fa come l'indiani, - gridò il Begalone. Il Piattoletta ubbidì subito, e bagnato dalle lacrime che continuava a spurgare dagli occhi stretti, si mise a saltellare agitando le braccia e gridando: - Ihiu, ihiuuuu, ihu. - Il Begalone mise giù i panni in un cespo e si gettò in acqua gridando: - Mo cor c... che te li riporto indietro.


VI. IL BAGNO SULL'ANIENE (1) VI. THE BATH ON THE ANIENE (1) VI. BAÑOS EN EL RÍO ANIENE (1)

Traiti avanti, Alichino, e Calcabrina Come forward, Alichino, and Calcabrina

- cominciò egli a dire - e tu, Cagnazzo; - he began to say - and you, Cagnazzo;

E Barbariccia guidi la decina. And Barbariccia lead the ten.

Libicocco vegna oltre, e Draghinazzo,

Ciriatto sannuto, e Graffiacane. Ciriatto sannuto, and Graffiacane.

E Farfarello, e Rubicante pazzo. And Farfarello, and crazy Rubicante.

DANTE, Inferno

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- Tengo na fame che me cago sotto, - gridò il Begalone. "I am hungry that I shit underneath," cried the Begalone. Si tolse la canottiera, in piedi sull'erba zellosa pestata contro la scarpata dell'Aniene, tra le fratte carbonizzate, si sbottonò i calzoni e si mise a pisciare come si trovava. - Qui pisci? - gli gridò il Caciotta che si stava a levare i pedalini un po' più in basso. - Mo vado a piscià in via Arenula, - disse il Begalone, - a sonato.

- Mo se famo er bagno, - disse con viso soddisfatto il Caciotta, che in quei tre annetti s'era ingrassato, - e poi se n'annamo ar cinema. - E li sordi addò li tenghi? - fece ironico Alduccio. - So' cavoli mia, - rispose il Caciotta. - E ito pe' ciche ieri sera, - gridò coi piedi nell'acqua, già ignudo Alduccio. - Vaffan..., va, - si limitò a rispondere il Caciotta stringendo i panni con la cinta.

Li mise insieme agli altri contro un cespuglio polveroso, e andò in pizzo alla scarpata, sul campo dove il grano era stato tagliato da poco, e vi stavano a pascolare due o tre cavalli; lì su i più piccoletti, che c'erano venuti prima di mezzogiorno, s'erano messi a fare a toppate. - Ignudi state, a zozzoni, - gridò il Caciotta. - Fatte li c... tua, - gridò lo Sgarone. - Sto fijo de na mignotta! - gridò al ragazzino il Caciotta, facendo per acchiapparlo. Ma l'altro scappò via, giù per la scarpata a strapiombo dietro il trampolino. Del resto pure il Begalone, il Tirillo e gli altri giovani erano ignudi. Il Caciotta aveva parlato così perché, la mattina, aveva rubato le mutandine al nipote e s'era fatto cucendoli da sé un paio di slippi. - An vedi quanto acchitta! - disse ridendo il Begalone. Si sentì gridare a squarciagola in mezzo al fiume, che scorreva stretto e scuro, sotto il sole, tra le rive piene di canne e di fratte. I ragazzi che erano andati a buttarsi alla draga, arrivavano urlando aggrappati a delle zatterette di canne. -Traversamo fiume, - gridò Alduccio da sotto, e si gettò in acqua. Quasi tutti gli andarono dietro, i ragazzini smisero di fare a toppate e vennero sull'orlo della riva. - Tu non te ce butti? - chiesero al Caciotta. - Er coraggio nun me manca, - egli disse, - ma è la paura che me frega!

Gli altri attraversarono a grandi bracciate, incrociandosi con quelli che arrivavano con le canne, e giunsero sull'altra riva, che veniva giù diritta, lurida. Un rivoletto bianco come la calce la tagliava a metà, tra la fanga indurita e le vecchie fratte, sotto il muro della fabbrica della varecchina, coi suoi serbatoi verdi e i muretti color tabacco, senza finestre. Il Begalone andò sotto lo scolo bianco della varecchina a bagnarsi.

- Quella te ce vole! - gridò, il Caciotta. Il Begalone con le mani a imbuto, voltando appena la testa gli rispose gridando dall'altra riva:

- Viecce a lavà tu sorella!

- A caccoloso! - fece il Caciotta.

- A sgarato 'n c...! - gli rispose il Begalone.

Quelli venuti dalla draga sulle canne s'erano fermati sotto il trampolino a rotolarsi sulla fanga nera, sotto la riva a piombo, e insieme a loro vennero giù i ragazzini.

Sopra la riva erano rimasti solo tre pischelletti, che erano scesi giù da Ponte Mammolo, e dopo essersi fermati un pezzetto sul ponte a guardare, s'erano venuti a cacciare in mezzo agli altri sull'orlo della scarpata, alla curva del fiume, senza che si decidessero a spogliarsi. Se ne stavano attenti a guardare quelli che scherzavano sull'acqua bassa e sul fango, quelli che sguazzavano sul rivolo della varecchina all'altra sponda. I due più piccoletti ridevano divertendosi anche così, il più grande allumava in silenzio; poi cominciò piano piano a svestirsi. Gli altri due fecero come lui, e ammucchiarono tutti insieme i panni: il più piccolo li tenne sotto il braccio, mentre gli altri scendevano giù. Lui però se ne stava ammusolito.

- A Genè, - gridava, - e io nun me lo faccio er bagno? - Dopo, - gli rispose a voce bassa Genesio. Venivano ancora cricche di ragazzini da in fondo alla curva, tra le stoppie che qua e là bruciavano lentamente sulle scarpate della Tiburtina, sul ciglione del fiume, scoppiettando sotto le piccole lingue di fuoco. Venivano due o tre alla volta, baccajando e zompando contro la campagna vuota con in fondo le pareti bianche del Silver Cine e la gobba del Monte del Pecoraro.

Erano quasì ignudi, coi calzoncini tenuti su da uno spago, la canottiera o la maglietta tutta strappata con le falde fuori. Si sfilavano i calzoni camminando, e arrivavano in fondo al campo già coi panni in mano. -Nota mejo de tte, te sto a ddì! - gridava Armandino rabbiosamente, sputando, tenendo per il collare il suo cane lupo, a un maschietto che gli trottava dietro. - Sto c..., - diceva il maschietto che badava a strapparsi di tutta fretta la canottiera grigia di zella, come furono sul posto del bagno, sopra il trampolino di canne e pantano, Armandino gettò un ramo in acqua, e il cane scapitollò per il polverone della scarpata fiutò l'acqua e si gettò a nuoto. Tutti i ragazzini si riunirono a guardarlo. Quello acchiappò il ramo e tenendolo tra i denti scoperti fino alle gengive, risalì felice, schizzando fanga, sulla scarpata. Armandino l'allisciò soddisfatto e rigettò il ramo in acqua, più in là, facendo rifare al cane tutta quella moina. Rivenne su un'altra volta gongolando lasciò cadere il ramo e cominciò a saltare addosso ai ragazzini. Li assaliva puntando le zampe davanti sui loro petti e con la coda incollata tra quelle di dietro, tutto zuppo mugolando di soddisfazione Essi si scansavano ridendo - A fijo de na mignotta! - gli gridavano con simpatia. Il cane andò a prendere di petto lo Sgarone: lo buttò quasi in terra, stringendoselo tra le zampe davanti come se lo volesse abbraccicare, con la bocca aperta.

- Te se vole imbrosà, - disse il Tirillo.

- Sti c..., - rispose lo Sgarone, allontanando il cane, mica tanto sicuro delle sue intenzioni.

- Famo imbrosà dar cane er Piattoletta, - gridò ridendo il Roscetto.

- Daje, daje, - gridarono gli altri.

- A Piattolè, - gridarono giù verso la scarpata, dove il Piattoletta se ne stava solo a divertirsi col fango e l'immondezza del fiume. - Viè qqua, mettete a culambrina, - gridavano i ragazzini dall'alto Lui non rispondeva, chinato a terra, con le scapole che sporgevano, i braccini stecchiti e la faccia da topo con la scucchia puntata contro le costole. In testa teneva un berretto penzolante per coprire le croste, e la nuca pelata pareva ancora più piccola e piena di bozzi. Aveva una faccia gialla, con due grosse occhiaie e le labbra in fuori come quelle d'una scimmietta. Lo Sgarone e il Roscetto scesero giù e cominciarono a tirarlo per le braccia. Lui si mise a piangere, piano, e le lacrime gli bagnarono subito tutta la faccia fino al collo. - Viè a faje 'a grattachecca ar cane, e daje, - gli gridavano, - an vedi che articolo che d'è! - Egli s'aggrappava agli sterpi, al fango, piangendo sempre senza dir niente. Ma intanto il cane, che continuava a saltare mugolando di contentezza, tra l'uno e l'altro, dal ciglio spelato delle stoppie, ad un tratto si mise a prendere tra i denti i panni ammucchiati qua e là e a portarli in giro. - A fijo de na mignottona! - gli strillarono essi rincorrendolo, ridendo, per paura che glieli gettasse in acqua. Lo Sgarone e il Roscetto ridendo lasciarono perdere il Piattoletta, che tagliò subito giù tra le fratte, e salirono a mettere in salvo i loro panni stretti insieme con lo spago.

Mariuccio stringeva i suoi e quelli dei fratelli contro il petto, tirandosi indietro impensierito se il cane gli s'accostava; ma il cane non gli dava retta, anche se andava a sbattergli contro i fianchi, facendolo quasi cadere e infraccicandolo col pelame tutto bagnato. Poi s'accorse di lui e gli saltò addosso allegramente per strappargli i panni di mano. - A Genè, a Genè, -invocava Mariuccio spaventato. Il cane gli aveva preso tra i denti i calzoncini del fratello e glieli tirava. Gli altri maschi ridevano. - Sto malandrino, - gridavano al cane. Genesio con l'altro fratello venne su dalla scarpata tutto gocciolante, e scuotendo una rama fece scappare il cane. Prese i panni dalle braccia di Mariuccio e sempre in silenzio li arrotolò di nuovo.**

Era un momento di calma, e si sentiva solo la voce di un vecchio ubbriaco che s'era venuto a sbragare nel sudiciume, e cantava sotto le volte del ponte. Ma quelli ch'erano andati sull'altra sponda adesso se ne tornavano e solcando insieme la corrente gridavano, cantavano. Il Caciotta che non era ancora entrato in acqua gridava: - A Bègalo, è calla? a Bègalo!

- E calla, è calla, - rispondeva il Begalone sbattendo braccia e piedi nell'acqua sporca d'olio, - come la piscia!

- E bùttecete! - gridò ironico lo Sgarone al Caciotta.

- Manco è bono a notà, - gridò un altro piccoletto.

- A stronzo, me impari te, me impari, - disse il Caciotta scuro in faccia.

- E traversa fiume, - disse Armandino, che intanto s'era spogliato, ma come il Caciotta teneva un paro di mutandine ch'aveva rimediato chissà in che modo.

Lasseme puntà solo la puntaaaa...

cantava il vecchio ubbriaco da sotto il ponte.

- Daje a Caciò, daje, - gridavano da sotto la scarpata Alduccio e il Begalone.

- Sì, mo se butta! - disse ghignando Armandino.

Da sotto la scarpata il Roscetto tirò addosso al Caciotta una mollichella di fanga. Il Caciotta s'incazzò. - Chi è stato? - gridò facendosi sull'orlo dello spiazzo, e guardando in giù. I ragazzi ridevano.

- Si trovo chi è stato, - avvertì il Caciotta, - je faccio 'na faccia come un pallone!

- Sai notà, - disse Armandino, - ma mica 'o traversi fiume.

- Pe' traversallo 'o traverserebbe, - ammise il Caciotta, - ma me fa impressione li mortacci sua!

**Genesio aveva levato dalla saccoccia dei calzoncini una mezza sigaretta e se la stava a fumare guardando la caciara; lui e i due fratelli erano gli unici di Ponte Mammolo, e se ne stavano per conto loro. Subito una decina di maschi gli si fecero intorno. - Me fai fà na tirata? - dicevano, - E facce fumà!, - Te 'a fumi tutta solo? - S'erano accoccolati intorno a Genesio come accattoni a aspettare una tirata, dandosi spinte e cacciandosi via tra loro. - Indò abbiti, gli chiese lo Sgarone, per farselo amico. - A Ponte Mammolo, - disse Genesio. - Ce stamo a ffà la casa, - annunciò Mariuccio. Dopo qualche boccata Genesio passò muto la cicca allo Sgarone, e gli altri si misero intorno allo Sgarone a aspettare la tirata da lui.

- Mo se famo er bagno, - ripeté contento il Caciotta, - e dopo se n'annamo ar cinema.

- Che fanno a Tibburtino? - chiese Armandino.

- Er leone de Amarfi, - disse sbragandosi soddisfatto sugli stecchi sporchi e la polvere il Caciotta.

Era di buon umore per la piotta e mezza che aveva in saccoccia. Per la Tiburtina passavano di tanto in tanto gli autobus del Casale di San Basilio e di Settecamini, sotto il sole silenzioso che annebbiava, in fondo all'agro bollente, i monti di Tivoli. Su tutto pesava l'odore di mele marce della varecchina, appiccicoso come una macchia d'olio che s'allargasse dalle strutture dello stabilimento - che pareva un ragno con le sue muraglie e i suoi serbatoi - giù per le scarpate dell'Aniene, l'asfalto della strada e le stoppie bruciate da un fuoco che non si distingueva, tanto era forte la luce del sole.

- A Borgo Antico! - gridò con aria protettrice al fratello mezzano di Genesio, il Riccetto, che se ne veniva giù dal ponte in fondo al sentiero, eretto, col petto gonfio dentro la canottiera bianca, facendo la camminata; tanto che smicciandolo un ragazzino di Tiburtino gridò: - Ariva lui! - A Borgo Antì! - ripeté il Riccetto con voce allegra e beffarda, dall'orlo della scarpata, poiché Borgo Antico non l'aveva filato per niente, e come se non l'avesse sentito, si era rannicchiato contro la terra sporca della riva, col viso accigliato voltato giù verso l'acqua. Il Riccetto cominciò ironicamente a spogliarsi. Ammucchiava i panni sotto i piedi, senza fretta; poi s'infilò un paio fiammante di slip e infine tolse dalla saccoccia una nazionale e l'accese. Si accoccolò sulla polvere che bruciava, e guardò un'altra volta sotto la scarpata, tra la caciara dei ragazzini. Mariuccio gli stava accanto, coi panni dei fratelli stretti contro le costole. - A Borgo Antì! - ricominciò il Riccetto. - Ariòcace, - fece ghignando tra i denti il piccoletto che già l'aveva preso di petto. Ma l'altro non lo filava manco per niente. - E facce na cantata, Borgo Antì, - gridò. Borgo Antico però non si voltò nemmeno, fermo nella sua posizione, con la faccia di cioccolata, lucida e nera. - Che, canta pure lui, - fece lo Sgarone ironico. - Come, no, - rispose anch'egli ironico il Riccetto. Borgo Antico stava sempre zitto, e pure Genesio taceva, come se non s'accorgesse di niente. Mariuccio, il più piccolino dei tre fratelli, disse: - Nun je va de cantà. - A stronzo, - disse il Riccetto a Borgo Antico, - tieni 'a gola secca, che? - Che je dai? - chiese tutt'a un botto Genesio. - Je do na nazzionale, va, - disse il Riccetto. - Canta, -ordinò Genesio al fratello. - Mo canta, - annunciò Mariuccio. Borgo Antico alzò le spalle magre e nere e affilò ancora più contro il petto la sua faccia d'uccello. - E canta, - ripeté già in collera Genesio. - E che devo da cantà? - disse Borgo Antico con voce rotta. - Canta Luna Rossa, daje, -disse il Riccetto. Borgo Antico si mise a sedere stringendo contro il torace i ginocchi, e cominciò a cantare in napoletano, tirando fuori una voce dieci volte più grossa di lui, tutto pieno di passione che pareva uno di trent'anni. Gli altri maschi che da un po' non si facevano sentire, dietro le gobbe della scarpata, nel fango, vennero su intorno a lui a ascoltare. - Ammazzalo, quanto canta, - disse il Roscetto, mentre in tutto il fiume non si sentiva che quella voce. Sul più bello che tutti stavano fermi, una nuova mollichella di fanga colpì sulla testa il Caciotta, che ancora non s'era deciso a fare il bagno. - Chi è stato? - rifece lui incazzandosi. - Fa un po' vede che tenghi in quella mano, - disse, vedendo Armandino che, col suo cane appresso, nascondeva una mano dietro alla schiena. Armandino lo guardò negli occhi, con i suoi che gli si erano fatti ironici e un po' impauriti, con aria di sfida, facendo l'indifferente. Ammorgiava un poco prima di mostrare la mano: poi di botto la tolse da dietro la schiena, e la mostrò al Caciotta col palmo aperto, ma il Caciotta fece uno zompo dietro di lui e prendendolo sotto le braccia lo costrinse a alzarsi.

Armandino, che non se l'aspettava si scansava nervosamente il ciuffo dagli occhi, guardando sempre il Caciotta con insolenza e un po' di fifa: -Ma che vvòi, a disgrazziato, - gli disse. - Che tenevi lì sotto? - gli chiese sempre più incazzato il Caciotta, prendendo da terra una manciata di fango pestato e arrotolato. - Ma nun me sta a rompe li cojoni nun me sta, -ciancicò Armandino. - Tu sse' stato, ve'? - disse il Caciotta. Armandino scattò, puntandogli contro la mano aperta, con le dita tese: - An vedi questo, ma chi te s'è in... mai, a farlocco! - disse facendosi, a ogni buon conto, una decina di passi più in là. Il Caciotta lo guardò senza dir niente, strozzato dalla collera e si mosse minaccioso verso di lui, che aveva alle sue spalle, per tagliare, tutto il campo e le sponde dell'Aniene fino alla draga, all'osteria del Pescatore, a Tiburtino: ma invece se ne rimase lì fermo come si trovava, un po' gobbo, rosso in faccia e pronto a tutto, per una soddisfazione, pure magari a buscarle. Come il Caciotta gli fu vicino, si piegò di scatto, quasi piangendo, afferrò un pezzo di m... secca che gli stava davanti e gliela tirò in faccia. Ma non riuscì a scappare subito perché, imbestialito, il Caciotta gli fu sopra con due zompi e l'agguantò, mentre si voltava, per il fondo di dietro delle mutandine. Armandino scappò via con le mutandine che penzolavano sgarate sul sedere nudo. Se ne andò lontano, tra un macello di risate, in fondo alla curva del fiume, e lì seduto, mentre il Caciotta tornava con malcelata soddisfazione verso gli altri, si rivoltò le mutandine: tanto non gliene fregava niente che lo vedessero davanti, l'importante era che il didietro fosse al coperto. Intanto tutti continuavano a sghignazzare radunati in cima alla scarpata. - An vedi, ride pure er Piattoletta! - disse il Bègalo, che nel frattempo era venuto di qua del fiume con gli altri, vedendo il Piattoletta con la bocca aperta. Appena che sentì queste parole, il Piattoletta smise di botto di ridere, e fece per tornarsene giù alla scarpata. Ma la mano del Begalone lo fermò. Era impossibile dare un'idea della differenza che c'era tra il Piattoletta e il Begalone. Con quell'occhi storti che c'aveva, lenticchioso e roscio, il Begalone si poteva senza meno considerare lì il più dritto di tutta la cricca: e difatti ci si considerava, mica no, mentre senza nemmeno guardarlo, con aria paziente, acchiappava con la mano per il collo il Piattoletta. Capirai, aveva fatto nottata, metà appennicato al Salario e metà a Villa Borghese, tra paragule e frosci, o sui tram a borseggiare i micchi. Quell'altro lì invece era venuto a fiume dopo aver passato la mattinata con la nonna a capare l'immondezza in mezzo ai prati puzzolenti e ai tuguri dove la cloaca del Policlinico sfocia nell'Aniene. Così adesso, spinto a sedere a terra dalla mano del Bègalo, ci s'era accucciato in silenzio, come quelle bestie che fanno finta d'essere morte, pronto a far la lagna sotto il suo berrettaccio bianco, sudicio, che gli spioveva fin sulla schiena. Solo le due orecchie a sventola impedivano che gli calasse sopra le froce del naso.

- Ride pure lui, sto malandrino, - ripeté il Begalone, fingendo un'aria allegra di protezione, e battendogli con forza la mano sugli ossicini della schiena. Il Piattoletta, squassato da quei colpi, lo guardò. - 'O spezzi, -fece il Riccetto. - Che, te va de scherzà? - rispose il Begalone alzando moina, - e quanno 'o spezzi, sto fusto? - e gli diede un'altra manata sopra le scapole. Il Piattoletta rise un poco storcendo la bocca.

- Ce lo sai pecché stava a ride? - disse lo Sgarone, - ce lo sai? Pecché je vedeva 'a nocchia a Armandino.

- Ah sì-i? - fece il Begalone. - Sto fijo de na mignotta! Mica me lo immaginavo sa' che bisognava mettèsse er bandone, quanno che je stavi accanto! Te piace 'a nocchietta, eh? te possino ammazzatte, te e quell'arabo de tu padre!

Il Piattoletta appiccicò la testa contro il petto, guardando intorno con la coda dell'occhio, mentre tutti ridevano.

- Ma quale nocchietta, quale nocchietta, - disse il Tirillo, agitandosi a gambe larghe col ventre contro il naso di Piattoletta, - questo je piace, a sto froscio.

- Vallo a dà a tu sorella, - sussurrò il Piattoletta che già stava piangendo. Ma il Tirillo gli sbatté due o tre volte col basso ventre nudo sulla faccia, rotolandosi poi sulla polvere. - E lassalo perde, - disse il Begalone, - che mo ce fa na chiacchierata in tedesco, ve' Piattolè?

- Che, è tedesco? - chiese il Riccetto.

- Ma li mortacci sua, - disse il Begalone, - è tedesco ingrese marocchino, vallo un po' a chiede a su madre!

Il Piattoletta era tutto bagnato di pianto, e se lo lasciava scivolare per il viso e per il collo senza asciugarsi.

- Ha' da vede quanto parla er tedesco, - disse lo Sgarone, - dijelo un po' Piattolè.

- E daje, parla, - gridò il Begalone, - li mortacci tua e de tu nonna.

- Si nun parli, - disse il Tirillo saltando in piedi, - te famo un bucio de c... come na capanna.

- Sì, pecché mo 'o tiene piccolo, - disse il Roscetto.

- E la volete piantà, a broccoli, - fece il Begalone abbraccicando il Piattoletta, - che mo si nun ce fa sta chiacchierata in tedesco, je buttamo li panni a fiume e 'o rimannamo a Pietralata ignudo.

Il Piattoletta continuava a piangere. - Addò ha cacciato li panni, sto caccoloso, - chiese il Begalone. - Liggiù, su 'a fanga, - gridò lo Sgarone, e corse a prenderli. - Puro sta berretta, qqua, - fece il Begalone strappandola dalla testa del Piattoletta, che rimase nuda, rasata, e segnata da cicatrici bianche.

Fece tutto un mucchio dei panni, e tenendoli alti con una mano si gettò nel fiume, e lo attraversò. Quando giunse sull'altra riva sotto lo scolo della varecchina, gridò al Piattoletta:

- Mo si nun ce parli in tedesco, li venghi a pija domattina, sti panni zozzi!

- E parla, e che d'è, - gli disse allegro il Riccetto.

- Ma li mortacci tua, - gli gridò lo Sgarone dandogli una pedata sulla schiena. Il Piattoletta si mise a piangere più forte, con la sua faccia da bertuccia, sempre più sfigurata e schifosa: ma nello stesso tempo si decise a parlare. - Ach rich grau riche fram ghelenen fil ach ach, - disse, piano come piangeva.

- Nun te sento! parla più forte! - gridò dall'altra riva il Begalone - Ir zum ach gramen bur ach minen fil ach zum cramen firen, - ripeté un poco più forte il Piattoletta, ricominciando subito a piangere. - Mo fa come l'indiani, - gridò il Begalone. Il Piattoletta ubbidì subito, e bagnato dalle lacrime che continuava a spurgare dagli occhi stretti, si mise a saltellare agitando le braccia e gridando: - Ihiu, ihiuuuu, ihu. - Il Begalone mise giù i panni in un cespo e si gettò in acqua gridando: - Mo cor c... che te li riporto indietro.