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Ragazzi di Vita - Pasolini, V. LE NOTTI CALDE (5)

V. LE NOTTI CALDE (5)

Cominciava a schiarire. Sopra i tetti delle case si vedevano striscioni di nubi, sfregati e pestati dal vento, che, lassù, doveva soffiare libero come aveva soffiato il principio del mondo. In basso, invece, non faceva che ciancicare qualche pezzo di manifesto penzolante dai muri, o alzare qualche carta, facendola strusciare contro il marciapiede scrostato o sui binari del tram. Come le case si allargavano, in qualche piazza, su qual che cavalcavia, silenzioso come un camposanto, in qualche terreno lottizzato dove non c'erano che cantieri con le armature alte fino al quinto piano e praticelli zellosi, allora si scorgeva tutto il cielo: coperto da migliaia di nuvolette piccole come pustole, come bollicine, che scendevano giù verso le cime svanite e dentellate dei grattacieli in fondo, in tutte le forme e tutti i colori. Conchigliette nere, cozze giallognole, baffi turchini, sputi color rosso d'uovo; e in fondo, dopo una striscia d'azzurro, limpido e invetrito come un fiume della terra polare, un nuvolone color bianco, tutto riccio, fresco e immenso che pareva il Monte del Purgatorio.

Il Riccetto se ne tornava, bianco in faccia come un cencio, giù verso via Taranto, piano piano, aspettando che piazzassero le bancarelle del mercatino e venisse gente a far la spesa. Aveva una fame, povero figlio, che stava per sturbarsi, e metteva un piede avanti all'altro senza sapere neanche lui dove andava. Via Taranto era lì presso: che ci voleva a arrivarci? Imboccò via Taranto, difatti, ch'era deserta come un campo minato, con migliaia di persiane chiuse sulle facciate che si ammassavano, scure, sulla scesa, verso il cielo pieno di quei fuochi artificiali canditi. E il venticello, fresco, che faceva diventare bianchi e celesti in faccia come finocchi, dava ogni tanto uno scossone alle due file di alberelli appennicati e tubercolosi che salivano, di qua e di là dalla strada, con le facciate, verso il cielo di San Giovanni. Ma lì dov'era il mercatino, all'incrocio di via Monza o di via Orvieto, di bancarelle nemmeno il ricordo. Ma nemmeno un pezzo di carta si vedeva: un torsolo, una coccia, uno spicchio d'aglio acciaccato; niente, pareva che lì di mercati non ce ne fossero stati mai, o che mai ci dovessero venire. - Ah vabbè, - fece il Riccetto, con le mani affondate nelle saccocce, tanto in giù che aveva cacciato il cavallo dei calzoni alle ginocchia, e rannicchiandosi dentro la camicetta col collo rialzato. E risvoltò per la prima strada che gli capitò davanti, locco locco. -Mannaccia la m..., - fece incazzandosi improvvisamente, a denti stretti e a voce quasi forte. - Tanto qqua chi me sente? - disse poi lanciando un'occhiata esplorativa intorno, - e si pure me sentono, che me frega -. Stava tremando come una foglia. I fanali ch'erano ancora accesi si smorzarono di botto: la luce cadde più cruda e triste dal cielo e s'incollò sui muri. Tutti, dai portieri agli impiegati, dalle donne di servizio ai commendatori, dormivano ancora dietro le imposte verniciate di via Pinerolo. Ma a un tratto in fondo alla strada, dei freni si misero a stridere così forte che li avrebbero sentiti fino a San Giovanni; e poi subito dopo dei botti, che rimbombarono in tutto il quartiere ormai investito dal biancore del giorno. Il Riccetto si diresse senza forzare da quella parte, e imboccò piazza Re di Roma. Era lì che facevano tutto quel fracasso. Dietro gli alberetti sulle aiuole nere e bagnate, con le panchine vuote, era fermo il camion dell'immondezza; e in fila lungo il marciapiede, una dozzina di bidoni, con intorno i canestrari con le maniche rimboccate che bestemmiavano. Il conducente era sceso, e coi riccioletti sull'occhio, se li stava a sentire appioppato a un parafango zozzo del camion, con le mani in saccoccia. Un pischello, con un sorrisetto che gli stirava la bocca, divertendosi pure lui perché non gliene fregava niente di quella discussione, e, anzi, gli andava bene perché così non lavorava, se ne stava zitto un po' discosto, con un'asse in mano. - Ma nun lo sei ito a cchiamà, quer fijo de na mignotta? - fece il conducente, rivolgendosi di botto al giovincello; quello arrossì un pochetto, e poi fece calmo: - Come no. -Aòh, a fiji belli, che ve devo da dì! - fece il conducente rivolto ai due spazzini. - Arrangiateve un po'! - E se ne risalì in cabina, allungandosi sul sedile e cacciando i piedi fuori dal finestrino. Ma non era tanto una gran disgrazia per gli spazzini: dovevano soltanto scaricare loro i bidoni dentro il camion anziché uno dei pischelli: l'altro, con una faccia da schiaffi, e sporco come uno zingaro, ci stava. E poi, dopo tutto, l'animaccia loro, se alla Borgata Gordiani o al Quadraro non si fossero trovati dei maschi che, per poi avere diritto d'andare a capare tra l'immondezza, s'alzavano alle tre del mattino e sfaticavano per quattro o cinque ore, non l'avrebbero dovuto fare da sé sempre quel lavoro? Ma ormai s'erano abituati male e gli rodeva, poveracci, a ritrovarsi così inguaiati. Il Riccetto se ne stava lì, con le mani già tirate mezze fuori dalle saccocce, e gli occhi che parlavano.

Uno sdentato, con la barba nera come il carbone sulle mascelle bianche per la giannetta, e due occhi da povero cristo, che luccicavano come quelli d'un cane, da ubbriaco con tutto ch'erano le quattro del mattino, gli fece: -Daje - Il Riccetto non se lo fece dire due volte, e mentre i canestrari ridacchiavano, dicendo, chini sui bidoni gelati: - Daje, che mo qua ce magni de grasso. - Approfitta, a maschiè, che qua è na pacchia, - senza filarli per niente, prese l'altra asse che sporgeva dal camion e con l'altro suo collega si mise, di lena, a rotolare dentro il camion i bidoni dell'immondezza e a scaricarli.

Una macchia di vapore grigio e sporco, come inchiostro annacquato, intanto s'andava allargando per le strisce di cielo che s'intravedevano in cima ai palazzoni, nei vuoti della piazza: e il disastro di nuvolette, prima scoloriva, poi veniva assorbito da quel sudiciume. Il bel nuvolone bianco, coi riflessi d'acciaio, s'era smandrappato e sbrillentato, e ora scompariva pure lui come neve nella fanga. L'estate stava per finire. Per tre ore il Riccetto col paraguletto della Borgata Gordiani scaricò bidoni d'immondezza sul camion, sul mucchio che si faceva sempre più alto e che raschiava sempre più i polmoni con un odore che pareva d'essere in un aranceto bruciato. Già si vedevano in giro le prime serve con le borse vuote, e si sentivano sempre più frequenti i gniiiiu, gnieeeeu dei tranvi alle svoltate: e il camion tagliò dal quartiere della gente perbene e granosa, prese la Casilina, rasentò con la sua puzza fresca fresca i casamenti dei poveracci, ballò la samba per strade piene di buche, coi marciapiedi che parevano fogne, tra grandi cavalcavia scrostati, steccionate, impalcature, cantieri, rioni di casupole, villaggi di tuguri, incrociando coi tranvetti di Centocelle coi grappoli d'operai ai predellini, e arrivò, per la Strada Bianca, fin sotto le prime abitazioni della Borgata Gordiani, sola come un campo di concentramento, in mezzo a un piccolo altopiano tra la Casilina e la Prenestina, battuta dal sole e dal vento.

Dove il camion s'era fermato, poco prima d'entrare in borgata, c'erano da una parte e dall'altra della strada distese di campi che dovevano esser di grano, ma ch'erano tutti pieni di fratte, buchi e canneti; e più avanti un orto, con gli alberi ancora più vecchi del casolare cadente, e non potati più almeno da una ventina d'anni. Il fossatello era pieno d'acqua nera, e passeggiavano su e giù per l'erba e la terra ancor più nere delle vecchie papere sbandate. Poco più in là del casolare finivano i campi di grano, sperdendosi come andava andava su delle cave abbandonate e ridivenute anch'esse campi, tutti spelacchiati, buoni per i greggi sabini o abruzzesi di passaggio, e interrotti qua e là da burroncelli e strapiombetti. Il viottolo s'insabbiava lì, e lì il camion s'arrestò. - Namo, spicciateve, - fece il conducente, com'ebbe fatto manovra rivoltando il muso del camion verso la Strada Bianca e la parte di dietro sull'orlo di una scarpata quasi a picco. I due lavoranti aprirono le sponde di dietro, e il mucchio dell'immondezza si scaricò giù per la scarpata. Come la frana cessò di rotolare in basso per forza naturale, i due le fecero tener dietro i resti, blu di prussia e rosso pomodoro, ch'erano rimasti a puzzare nel cassone, scopando tutti allaccati. Poi l'autista mise in moto il camion e se ne andò.

Il Riccetto e l'altro restarono soli nella tanfa, con sotto il piano della cava e intorno i campicelli slabbrati. Si misero a sedere uno in alto e uno in basso, e cominciarono a cercare tra i rifiuti.

L'altro era pratico, e se ne stava tutto curvo e attento, con una faccia seria come se stesse a fare un lavoro di precisione: e il Riccetto fece come lui, ma siccome gli schifava raspare colle mani, andò a strappare un ramo da un fico oltre un reticolato che pareva lì dai tempi di Crispi e con quello, stando accucciato, cominciò a spostare le carte zozze, i cocci, le scatole di medicinali, gli avanzi delle minestre e tutta l'altra roba che gli puzzava intorno. Le ore piano piano passarono, e prima di diventare definitivamente grigio e sciroccoso, il cielo fece giusto in tempo a rasserenarsi, lì sopra la Borgata Gordiani, perché il solicello ardente delle nove del mattino picchiasse sulle schiene curve dei due lavoratori. Il Riccetto era tutto un bagno di sudore, e gli occhi ogni tanto gli si oscuravano: vedeva intorno a sé nel buio delle strisce verdi e rosse: era sul punto di sturbarsi per la fame. - Vaffan..., mannaccia a d...! - disse tutto a un botto, sbavando di rabbia. Si drizzò in piedi, e senza neppure salutare l'altro, che del resto neppure lui fece lo sforzo di voltarsi, fece la bella e se n'andò. Percorse sbiellando dalla stanchezza la Strada Bianca, che difatti era tutta bianca di polvere e di sole, sotto il cielo che tornava a offuscarsi, e arrivò rincoglionito sulla Casilina. Lì aspettò un tranvetto, s'attaccò ai respingenti, e dopo un viaggio di più di mezzora era di nuovo in via Taranto: a gironzolare come un cane randagio pel mercatino, tra le bancarelle, fiutando gli odori che nell'afa dello scirocco fiatavano a migliaia, e tutti appetitosi, in quel piccolo spiazzo incassato tra i palazzoni.

Allumava le bancarelle dei fruttaroli, e, qualche persica e due o tre mele, riuscì a fregarle: se le andò a mangiare in un vicoletto. Poi tornò più affamato ancora con quel po' di dolce nello stomaco attratto dall'odore del formaggio che veniva dalla fila delle bancarelle bianche proprio lì di fronte al vicoletto, dietro la funtanella, sul selciato fradicio. C'erano allineate delle mozzarelle, delle caciotte, e dei provoloni appesi in alto, e sopra il banco c'erano delle pezze già tagliate di emmenthal e di parmigiano, o di pecorino; ce n'erano pure dei pezzi ridotti alla misura di tre o quattro etti, e anche meno, isolati e sparsi tra le forme intere. Il Riccetto, turbato, mise gli occhi su una fetta di gruviera, dalla pasta un po' ingiallita, e così odorosa che toglieva il fiato. Ci s'accostò, facendo moina, e aspettando che il padrone fosse assorbito dalla discussione con una cliente, grassa come un vescovo, che stava da un bel pezzetto lì a esaminare con aria velenosa il formaggio, e con una mossa fulminea zac si beccò il pezzo di gruviera e se lo schiaffò in saccoccia. Il padrone lo sgamò. Piantò il coltello in una forma, fece: - Un minuto, a signò, - uscì fuori dal banco, acchiappò pel colletto della camicia il Riccetto che se la squagliava facendo il tonto, e con aria paragula, sentendosi in pieno diritto di farlo, gli ammollò due sganassoni che lo voltò dall'altra parte. Il Riccetto furioso, come si riebbe dall'intontimento, senza pensar tanto gli si buttò sotto a testa bassa, tirando alla disperata dei ganci ai fianchi: l'altro sbarellò un momento, ma poi, siccome era grosso due volte il Riccetto, cominciò a menarlo in modo tale che se degli altri bancarellari non fossero corsi lì a separarli, l'avrebbe mandato diretto al Policlinico. Ma però, da fusto e da dritto come si sentiva, poté permettersi di calmarsi subito. Disse a quelli che lo reggevano: - Lassateme, lassateme, a moretti, che nun je fo' niente. Che me metto co li regazzini, io? - Il Riccetto invece, tutto pesto e con un po' di sangue che gli spuntava tra i denti, continuò a calciare ancora per un pezzetto tra le braccia di quelli che lo reggevano. - Damme er formaggio mio, e spesa, - fece già quasi conciliante il formaggiaro. - E daje 'sto formaggio, - fece un pesciarolo lì appresso. Il Riccetto sfilò fiacco dalla tasca il pezzo di gruviera, e glielo porse, con una faccia smorta, masticando vaghi pensieri di vendetta e inghiottendo il rancore con il sangue delle gengive. Poi, mentre che il treppio intorno si scioglieva, siccome che il fatto era proprio trascurabile, se ne andò giù in mezzo alla folla, tra le bancarelle rosse, verdi, gialle, tra montagne di pomodori e di melanzani, coi fruttaroli che urlavano intorno così forte che si dovevano piegare sulla pancia, tutti allegri e contenti. Si diresse giù a via Taranto, e si fece piano piano i quattrocento scalini che portavano al pianerottolo dove dormiva. Non si reggeva più in piedi per la debolezza; vide, sì, che la porta dell'appartamento vuoto, di solito chiusa, era aperta e sbatteva di tanto in tanto a qualche colpo d'aria: ma non ci fece caso. Barcollando e a gesti lenti come uno che nuota sott'acqua, cacciò dalla saccoccia un pezzo di spago, lo fece passare per due occhielli e lo legò, tenendo così chiusi i battenti. Poi s'allungò sul pavimento, già addormentato. Non doveva essere passata neppure mezzora - giusto il tempo perché la portiera facesse una telefonata e quelli arrivassero - che il Riccetto si sentì svegliare a pedate e si vide addosso due poliziotti. Per farla breve, durante la notte l'appartamento lì accanto era stato svaligiato - per questo la porta sbatteva.

Il Riccetto, svegliato, poverello, da chissà che sogni - forse di mangiare a un ristorante o di dormire su un letto - s'alzò stropicciandosi gli occhi, e senza capirci niente seguì ciondolando giù per le scale i poliziotti. - Perché m'avranno preso, - si chiedeva, ancora non del tutto sveglio. - Boh. . .! -Lo portarono a Porta Portese, e lo condannarono a quasi tre anni - ci dovette star dentro fino alla primavera del '50! - per imparargli la morale.


V. LE NOTTI CALDE (5) V. THE WARM NIGHTS (5) V. NOCHES CÁLIDAS (5)

Cominciava a schiarire. Sopra i tetti delle case si vedevano striscioni di nubi, sfregati e pestati dal vento, che, lassù, doveva soffiare libero come aveva soffiato il principio del mondo. In basso, invece, non faceva che ciancicare qualche pezzo di manifesto penzolante dai muri, o alzare qualche carta, facendola strusciare contro il marciapiede scrostato o sui binari del tram. Come le case si allargavano, in qualche piazza, su qual che cavalcavia, silenzioso come un camposanto, in qualche terreno lottizzato dove non c'erano che cantieri con le armature alte fino al quinto piano e praticelli zellosi, allora si scorgeva tutto il cielo: coperto da migliaia di nuvolette piccole come pustole, come bollicine, che scendevano giù verso le cime svanite e dentellate dei grattacieli in fondo, in tutte le forme e tutti i colori. Conchigliette nere, cozze giallognole, baffi turchini, sputi color rosso d'uovo; e in fondo, dopo una striscia d'azzurro, limpido e invetrito come un fiume della terra polare, un nuvolone color bianco, tutto riccio, fresco e immenso che pareva il Monte del Purgatorio.

Il Riccetto se ne tornava, bianco in faccia come un cencio, giù verso via Taranto, piano piano, aspettando che piazzassero le bancarelle del mercatino e venisse gente a far la spesa. Aveva una fame, povero figlio, che stava per sturbarsi, e metteva un piede avanti all'altro senza sapere neanche lui dove andava. Via Taranto era lì presso: che ci voleva a arrivarci? Imboccò via Taranto, difatti, ch'era deserta come un campo minato, con migliaia di persiane chiuse sulle facciate che si ammassavano, scure, sulla scesa, verso il cielo pieno di quei fuochi artificiali canditi. E il venticello, fresco, che faceva diventare bianchi e celesti in faccia come finocchi, dava ogni tanto uno scossone alle due file di alberelli appennicati e tubercolosi che salivano, di qua e di là dalla strada, con le facciate, verso il cielo di San Giovanni. Ma lì dov'era il mercatino, all'incrocio di via Monza o di via Orvieto, di bancarelle nemmeno il ricordo. Ma nemmeno un pezzo di carta si vedeva: un torsolo, una coccia, uno spicchio d'aglio acciaccato; niente, pareva che lì di mercati non ce ne fossero stati mai, o che mai ci dovessero venire. - Ah vabbè, - fece il Riccetto, con le mani affondate nelle saccocce, tanto in giù che aveva cacciato il cavallo dei calzoni alle ginocchia, e rannicchiandosi dentro la camicetta col collo rialzato. E risvoltò per la prima strada che gli capitò davanti, locco locco. -Mannaccia la m..., - fece incazzandosi improvvisamente, a denti stretti e a voce quasi forte. - Tanto qqua chi me sente? - disse poi lanciando un'occhiata esplorativa intorno, - e si pure me sentono, che me frega -. Stava tremando come una foglia. I fanali ch'erano ancora accesi si smorzarono di botto: la luce cadde più cruda e triste dal cielo e s'incollò sui muri. Tutti, dai portieri agli impiegati, dalle donne di servizio ai commendatori, dormivano ancora dietro le imposte verniciate di via Pinerolo. Ma a un tratto in fondo alla strada, dei freni si misero a stridere così forte che li avrebbero sentiti fino a San Giovanni; e poi subito dopo dei botti, che rimbombarono in tutto il quartiere ormai investito dal biancore del giorno. Il Riccetto si diresse senza forzare da quella parte, e imboccò piazza Re di Roma. Era lì che facevano tutto quel fracasso. Dietro gli alberetti sulle aiuole nere e bagnate, con le panchine vuote, era fermo il camion dell'immondezza; e in fila lungo il marciapiede, una dozzina di bidoni, con intorno i canestrari con le maniche rimboccate che bestemmiavano. Il conducente era sceso, e coi riccioletti sull'occhio, se li stava a sentire appioppato a un parafango zozzo del camion, con le mani in saccoccia. Un pischello, con un sorrisetto che gli stirava la bocca, divertendosi pure lui perché non gliene fregava niente di quella discussione, e, anzi, gli andava bene perché così non lavorava, se ne stava zitto un po' discosto, con un'asse in mano. - Ma nun lo sei ito a cchiamà, quer fijo de na mignotta? - fece il conducente, rivolgendosi di botto al giovincello; quello arrossì un pochetto, e poi fece calmo: - Come no. -Aòh, a fiji belli, che ve devo da dì! - fece il conducente rivolto ai due spazzini. - Arrangiateve un po'! - E se ne risalì in cabina, allungandosi sul sedile e cacciando i piedi fuori dal finestrino. **Ma non era tanto una gran disgrazia per gli spazzini: dovevano soltanto scaricare loro i bidoni dentro il camion anziché uno dei pischelli: l'altro, con una faccia da schiaffi, e sporco come uno zingaro, ci stava. E poi, dopo tutto, l'animaccia loro, se alla Borgata Gordiani o al Quadraro non si fossero trovati dei maschi che, per poi avere diritto d'andare a capare tra l'immondezza, s'alzavano alle tre del mattino e sfaticavano per quattro o cinque ore, non l'avrebbero dovuto fare da sé sempre quel lavoro? Ma ormai s'erano abituati male e gli rodeva, poveracci, a ritrovarsi così inguaiati. **Il Riccetto se ne stava lì, con le mani già tirate mezze fuori dalle saccocce, e gli occhi che parlavano.

Uno sdentato, con la barba nera come il carbone sulle mascelle bianche per la giannetta, e due occhi da povero cristo, che luccicavano come quelli d'un cane, da ubbriaco con tutto ch'erano le quattro del mattino, gli fece: -Daje - Il Riccetto non se lo fece dire due volte, e mentre i canestrari ridacchiavano, dicendo, chini sui bidoni gelati: - Daje, che mo qua ce magni de grasso. - Approfitta, a maschiè, che qua è na pacchia, - senza filarli per niente, prese l'altra asse che sporgeva dal camion e con l'altro suo collega si mise, di lena, a rotolare dentro il camion i bidoni dell'immondezza e a scaricarli.

Una macchia di vapore grigio e sporco, come inchiostro annacquato, intanto s'andava allargando per le strisce di cielo che s'intravedevano in cima ai palazzoni, nei vuoti della piazza: e il disastro di nuvolette, prima scoloriva, poi veniva assorbito da quel sudiciume. Il bel nuvolone bianco, coi riflessi d'acciaio, s'era smandrappato e sbrillentato, e ora scompariva pure lui come neve nella fanga. L'estate stava per finire. Per tre ore il Riccetto col paraguletto della Borgata Gordiani scaricò bidoni d'immondezza sul camion, sul mucchio che si faceva sempre più alto e che raschiava sempre più i polmoni con un odore che pareva d'essere in un aranceto bruciato. Già si vedevano in giro le prime serve con le borse vuote, e si sentivano sempre più frequenti i gniiiiu, gnieeeeu dei tranvi alle svoltate: e il camion tagliò dal quartiere della gente perbene e granosa, prese la Casilina, rasentò con la sua puzza fresca fresca i casamenti dei poveracci, ballò la samba per strade piene di buche, coi marciapiedi che parevano fogne, tra grandi cavalcavia scrostati, steccionate, impalcature, cantieri, rioni di casupole, villaggi di tuguri, incrociando coi tranvetti di Centocelle coi grappoli d'operai ai predellini, e arrivò, per la Strada Bianca, fin sotto le prime abitazioni della Borgata Gordiani, sola come un campo di concentramento, in mezzo a un piccolo altopiano tra la Casilina e la Prenestina, battuta dal sole e dal vento.

Dove il camion s'era fermato, poco prima d'entrare in borgata, c'erano da una parte e dall'altra della strada distese di campi che dovevano esser di grano, ma ch'erano tutti pieni di fratte, buchi e canneti; e più avanti un orto, con gli alberi ancora più vecchi del casolare cadente, e non potati più almeno da una ventina d'anni. Il fossatello era pieno d'acqua nera, e passeggiavano su e giù per l'erba e la terra ancor più nere delle vecchie papere sbandate. Poco più in là del casolare finivano i campi di grano, sperdendosi come andava andava su delle cave abbandonate e ridivenute anch'esse campi, tutti spelacchiati, buoni per i greggi sabini o abruzzesi di passaggio, e interrotti qua e là da burroncelli e strapiombetti. Il viottolo s'insabbiava lì, e lì il camion s'arrestò. - Namo, spicciateve, - fece il conducente, com'ebbe fatto manovra rivoltando il muso del camion verso la Strada Bianca e la parte di dietro sull'orlo di una scarpata quasi a picco. I due lavoranti aprirono le sponde di dietro, e il mucchio dell'immondezza si scaricò giù per la scarpata. **Come la frana cessò di rotolare in basso per forza naturale, i due le fecero tener dietro i resti, blu di prussia e rosso pomodoro, ch'erano rimasti a puzzare nel cassone, scopando tutti allaccati. **Poi l'autista mise in moto il camion e se ne andò.

Il Riccetto e l'altro restarono soli nella tanfa, con sotto il piano della cava e intorno i campicelli slabbrati. Si misero a sedere uno in alto e uno in basso, e cominciarono a cercare tra i rifiuti.

L'altro era pratico, e se ne stava tutto curvo e attento, con una faccia seria come se stesse a fare un lavoro di precisione: e il Riccetto fece come lui, ma siccome gli schifava raspare colle mani, andò a strappare un ramo da un fico oltre un reticolato che pareva lì dai tempi di Crispi e con quello, stando accucciato, cominciò a spostare le carte zozze, i cocci, le scatole di medicinali, gli avanzi delle minestre e tutta l'altra roba che gli puzzava intorno. Le ore piano piano passarono, e prima di diventare definitivamente grigio e sciroccoso, il cielo fece giusto in tempo a rasserenarsi, lì sopra la Borgata Gordiani, perché il solicello ardente delle nove del mattino picchiasse sulle schiene curve dei due lavoratori. Il Riccetto era tutto un bagno di sudore, e gli occhi ogni tanto gli si oscuravano: vedeva intorno a sé nel buio delle strisce verdi e rosse: era sul punto di sturbarsi per la fame. - Vaffan..., mannaccia a d...! - disse tutto a un botto, sbavando di rabbia. Si drizzò in piedi, e senza neppure salutare l'altro, che del resto neppure lui fece lo sforzo di voltarsi, fece la bella e se n'andò. Percorse sbiellando dalla stanchezza la Strada Bianca, che difatti era tutta bianca di polvere e di sole, sotto il cielo che tornava a offuscarsi, e arrivò rincoglionito sulla Casilina. Lì aspettò un tranvetto, s'attaccò ai respingenti, e dopo un viaggio di più di mezzora era di nuovo in via Taranto: a gironzolare come un cane randagio pel mercatino, tra le bancarelle, fiutando gli odori che nell'afa dello scirocco fiatavano a migliaia, e tutti appetitosi, in quel piccolo spiazzo incassato tra i palazzoni.

Allumava le bancarelle dei fruttaroli, e, qualche persica e due o tre mele, riuscì a fregarle: se le andò a mangiare in un vicoletto. Poi tornò più affamato ancora con quel po' di dolce nello stomaco attratto dall'odore del formaggio che veniva dalla fila delle bancarelle bianche proprio lì di fronte al vicoletto, dietro la funtanella, sul selciato fradicio. C'erano allineate delle mozzarelle, delle caciotte, e dei provoloni appesi in alto, e sopra il banco c'erano delle pezze già tagliate di emmenthal e di parmigiano, o di pecorino; ce n'erano pure dei pezzi ridotti alla misura di tre o quattro etti, e anche meno, isolati e sparsi tra le forme intere. Il Riccetto, turbato, mise gli occhi su una fetta di gruviera, dalla pasta un po' ingiallita, e così odorosa che toglieva il fiato. Ci s'accostò, facendo moina, e aspettando che il padrone fosse assorbito dalla discussione con una cliente, grassa come un vescovo, che stava da un bel pezzetto lì a esaminare con aria velenosa il formaggio, e con una mossa fulminea zac si beccò il pezzo di gruviera e se lo schiaffò in saccoccia. Il padrone lo sgamò. Piantò il coltello in una forma, fece: - Un minuto, a signò, - uscì fuori dal banco, acchiappò pel colletto della camicia il Riccetto che se la squagliava facendo il tonto, e con aria paragula, sentendosi in pieno diritto di farlo, gli ammollò due sganassoni che lo voltò dall'altra parte. Il Riccetto furioso, come si riebbe dall'intontimento, senza pensar tanto gli si buttò sotto a testa bassa, tirando alla disperata dei ganci ai fianchi: l'altro sbarellò un momento, ma poi, siccome era grosso due volte il Riccetto, cominciò a menarlo in modo tale che se degli altri bancarellari non fossero corsi lì a separarli, l'avrebbe mandato diretto al Policlinico. Ma però, da fusto e da dritto come si sentiva, poté permettersi di calmarsi subito. Disse a quelli che lo reggevano: - Lassateme, lassateme, a moretti, che nun je fo' niente. Che me metto co li regazzini, io? - Il Riccetto invece, tutto pesto e con un po' di sangue che gli spuntava tra i denti, continuò a calciare ancora per un pezzetto tra le braccia di quelli che lo reggevano. - Damme er formaggio mio, e spesa, - fece già quasi conciliante il formaggiaro. - E daje 'sto formaggio, - fece un pesciarolo lì appresso. Il Riccetto sfilò fiacco dalla tasca il pezzo di gruviera, e glielo porse, con una faccia smorta, masticando vaghi pensieri di vendetta e inghiottendo il rancore con il sangue delle gengive. Poi, mentre che il treppio intorno si scioglieva, siccome che il fatto era proprio trascurabile, se ne andò giù in mezzo alla folla, tra le bancarelle rosse, verdi, gialle, tra montagne di pomodori e di melanzani, coi fruttaroli che urlavano intorno così forte che si dovevano piegare sulla pancia, tutti allegri e contenti. Si diresse giù a via Taranto, e si fece piano piano i quattrocento scalini che portavano al pianerottolo dove dormiva. Non si reggeva più in piedi per la debolezza; vide, sì, che la porta dell'appartamento vuoto, di solito chiusa, era aperta e sbatteva di tanto in tanto a qualche colpo d'aria: ma non ci fece caso. Barcollando e a gesti lenti come uno che nuota sott'acqua, cacciò dalla saccoccia un pezzo di spago, lo fece passare per due occhielli e lo legò, tenendo così chiusi i battenti. Poi s'allungò sul pavimento, già addormentato. Non doveva essere passata neppure mezzora - giusto il tempo perché la portiera facesse una telefonata e quelli arrivassero - che il Riccetto si sentì svegliare a pedate e si vide addosso due poliziotti. Per farla breve, durante la notte l'appartamento lì accanto era stato svaligiato - per questo la porta sbatteva.

Il Riccetto, svegliato, poverello, da chissà che sogni - forse di mangiare a un ristorante o di dormire su un letto - s'alzò stropicciandosi gli occhi, e senza capirci niente seguì ciondolando giù per le scale i poliziotti. - Perché m'avranno preso, - si chiedeva, ancora non del tutto sveglio. - Boh. . .! -Lo portarono a Porta Portese, e lo condannarono a quasi tre anni - ci dovette star dentro fino alla primavera del '50! - per imparargli la morale.