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Ragazzi di Vita - Pasolini, V. LE NOTTI CALDE (3)

V. LE NOTTI CALDE (3)

Il Lenzetta, accomodandosi la fessa con aria mondana, raggiunse il vecchio, e stette a guardare con la coda dell'occhio cosa facevano gli altri due, laggiù avanti, sotto una gran impalcatura, contro le prime praterie dell'Acqua Santa.

Si vedeva che il Riccetto diceva di sì, e Alduccio diceva di no, il Riccetto diceva di sì, e Alduccio diceva di no. Dopo un pochetto però il Riccetto tornò di corsa, e si vide Alduccio che riprendeva a spingere curvo tra le stanghe.

- L'avemo fatto annà avanti da solo a 'a Maranella, - si sentì in dovere di spiegare al vecchio il Riccetto, - che si ce vedrebbero tutt'e tre assieme potrebbero pure svagà!

- Avete fatto bbene, - disse il vecchio.

Erano ormai quasi all'altezza dell'Acqua Santa, a destra c'erano tutte le praterie deserte e le marane, a sinistra cominciava via dell'Arco di Travertino, che puntava dritta verso Porta Furba, e da lì al Mandrione e alla Maranella.

In fondo a via dell'Arco di Travertino, c'erano qua e là due grandi ammucchiamenti di bicocche di cui, camminando per la strada, si godeva magnificamente la vista. Erano tante casupole rosa o bianche, con in mezzo baracche, catapecchie, carrozzoni di zingari senza ruote, magazzini, tutti mescolati insieme e sparsi sopra i prati, in parte, in parte ammucchiati contro i muraglioni dell'Acquedotto, nel disordine più pittoresco.

Tra queste case ce n'era una, sotto l'argine della strada, un poco meglio delle altre, con una frasca e un cartello davanti, dove c'era scritto in rosso a caratteri infantili: «Vino». Da una fessura della porticina usciva ancora un po' di luce. - E aperto, - fece il Lenzetta, dando una rapida occhiata, per rassicurarsi, al Riccetto. Il Riccetto gli fece pronto l'occhietto, battendosi una mano in fondo alla saccoccia quasi sul pisello. - Che, c'avete prescia d'annà a prelevà sti cavoli fiori, a sor maè? - fece il Lenzetta.

- None, nun c'ho prescia, - fece tutto disponibile il vecchio.

- E poi, in caso mai, ve venimo a dà na mano noi due, si nun ve dispiace, eh! - disse il Lenzetta.

- Anzi, - fece il neno, - me fa piacere.

«Ce credo», pensò tra sé il Lenzetta. E forte: - Che l'accettate prima un goccio de vino, a sor maè? Così ve lubrificate un pochetto, co tutta sta umidità che ce sta per li prati!

Quello non chiedeva di meglio, e l'occhio gli brillò astutamente, perché, pur facendo la parte dello stronzo, non era che rinunciasse del tutto a far capire che, tra loro, s'erano capiti. A ogni modo prima d'accettare, per cortesia, fece qualche complimento: - Ma perché ve volete disturbà, -fece, passandosi il sacco da un'ascella all'altra. - Ma quale disturbo, -fecero i due, correndo giù per la scesa dell'argine, e siccome il vecchio veniva giù piano, il Lenzetta disse al muro dell'osteria: - La vita è amara pe' chi ha li piedi dorci.

Dopo cinque minuti i due malandri già s'erano imbriacati. Cominciarono a parlare di Dio e di religione. Il vecchio era testimone. Fu il Riccetto, che arrossendo di piacere per la sua originalità, sottopose al Lenzetta una questione, e il Lenzetta l'ascoltò attento per farci una bella figura:

Aòh, - disse - dimme na cosa, tu ce credi a Maria, quella che chiamano la Madonna, llà?

- Boh, che ne so, - rispose pronto il Lenzetta, - nun l'ho vista mai! - E guardò tutto contento verso il vecchio.

- Be, ce stanno dei fatti, - disse il vecchio, - che dimostrano che la Madonna ce sta.

Ma al Riccetto stava a cuore un particolare dettaglio della cosa: si mise una mano a ventaglio contro la bocca: - Ce lo sai sì, - confidò al Lenzetta, - ch'era vergine e c'aveva un fijo.

- Ammazzete, - fece il Lenzetta diventando ancora più rosso con tutt'e due le mani tese verso di lui, - che, no lo so?

- Che, voi ce credete, a sor maè? - indagò ancora il Riccetto presso il vecchio. Il vecchio allungò la faccia, insaccandola tra le spalle: - E tu ce credi, su sto fatto, a morè? - chiese eludendo la domanda. Il Riccetto tutto soddisfatto partì: - Bisogna vede, - fece, - secondo li punti de vista... come donna umana può pure esse esistita, dal punto di vista della santità e della verginità può anche esse de no... Della santità, può anche esse vero, ma della verginità! Mo hanno inventato i fatti de li fiji artificiali co le provette, ma se pure na donna fa li fiji co le provette, vergine nun ce rimane... Poi c'avemo la fede verso Cristo, verso Dio, verso tutti questi... E se te metti sul raggionamento della fede allora ce credi, alla verginità della Madonna, ma scientificamente io per me credo che nun se possa dimostrà... - Guardò gli altri tutto soddisfatto, come sempre quando ripeteva questo pezzo, che aveva imparato da un giovanotto di Tiburtino e pareva in campana a prendere pure a cazzotti uno che lo venisse a contraddire. Il Lenzetta s'attaccò invece con tutte e due le mani al bordo del tavolino, e cominciò a fare «Pff pff pff», che parevano sbruffi di vapore che uscivano di sotto un coperchio chiuso male.

- Me pari un reggista, - fece, trattenendosi a fatica dallo sbottare completamente a ridere.

- A ignorante testa de c..., - fece il Riccetto, sentendosi giustamente offeso.

- Ma fàmose n'antro mezzo litro, - gridò il Lenzetta, e gli tese la mano,

- te sta bbene?

Ma il Riccetto diede uno schiaffetto sopra la mano tesa: - Mo te sputo in un occhio, mo! - gli fece.

Il Lenzetta aprì le braccia: - Ma che voi parlà de Gesù Cristo e de la Madonna, co sta fame che t'aritrovi, - fece, con una faccia ch'era una braciola. Poi, guardandolo fisso, sbottò a ridere più forte: - Ma perché voi beve er latte, - fece, - mentre hai bevuto sempre l'acqua pura dei ruscelli! de li scoli neri!

- Tu statte zitto, - ribatté il Riccetto, - che c'hai le patate a li piedi, che

potessi annà a chiede la stozza!

Ma il Lenzetta lo guardava sempre fisso, e preso da un'idea che gli dava una irresistibile voglia di ridere, gridò, agitando davanti al Riccetto tutt'e due le mani con le dita strette: - Ma te ricordi quanno che annavi a cercà li baratoletti vòti, e li annavi a vende pe 'no scudo l'uno, pe piacere!

Pure al Riccetto scappò da ridere. Il Lenzetta si stava schiattando. S'alzò in piedi per parlare meglio. - Ma nun te la ricordi, - riprese, - quando che annavi a la maternità, a lo smistamento de li morti de fame, che te facevi dà due tre baratoletti..., - imitò i gesti del Riccetto, tutto abbacchiato, che si fa dare dai portantini un baratoletto di minestra, - ... uno te lo magnavi, e quell'altri facevi l'ostruzzionismo, e li annavi a vende ai derelitti morti de fame come tte!

Tutt'e due a quella sparata si misero a ridere come due sfondati. Il Lenzetta fece qualche movimento falso, e a uno zompo che fece sbellicandosi dal ridere, si sentì un colpetto secco ai suoi piedi sotto il tavolo. Il Riccetto abbassò gli occhi, e scorse sul pavimento di mattoni la Berretta del Cappellone, che era caduta di sotto ai calzoni del Lenzetta. «Sto fijo de na mignotta!» pensò. «Allora sarà stato lui a fregamme 'e scarpe a Villa Borghese!» Il Lenzetta svelto svelto si chinò sotto il tavolo e rinfilò la rivoltella nella cinta.

Il vecchio faceva la faccia d'uno ch'è stato appena preso a pedate nel sedere e, rigirandosi, vede che quello che gliel'ha ammollate s'è storto un piede e sta baccajando dal dolore.

- Che ce l'hai un par de fotografie de le tu fije? - gli chiese rialzandosi il Lenzetta, sempre allegramente. «Si so' brutte», pensò, «je famo pagà pure er litro, e spesamo!» Il vecchio, con la faccia allungata e imbolsita dal vino, sotto la lampadina tutta piena di cacate di mosche che gliela sbiancava, cacciò il portafoglio, e dopo averlo esplorato con i diti zozzi reparto per reparto, mostrò la fotografia d'una ragazzina col vestito della prima comunione.

- E com'è adesso? - chiese il Riccetto che c'era rimasto un po' male.

- Noo! No proprio com'è adesso! - fece il vecchio, e rimestò ancora nel portafoglio. Non resistette alla debolezza di mostrare la sua carta d'identità: era lì, tutto ripulito, col colletto e l'abito nero, e un'espressione alla Rudi. Bifoni Antonio, fu Virgilio, nato a Ferentino, il 3-11-1896. Poi dentro il portafoglio c'erano due tre lirette spicce, la tessera di comunista, due domande per l'Eca e la carta della disoccupazione. Finalmente cacciò fuori l'altre fotografie. Il Lenzetta e il Riccetto si gettarono a pesce.

- An vedi quanto so' bboneee! - fece il Riccetto con un soffio di voce, quasi più coi gesti che con le parole.

- Io me pijo questa, - fece piano piano pure lui il Lenzetta, voltando le spalle al vecchio, - tu te piji quell'altra.

Dall'osteria, per andare dove dovevano andare, si passava da Porta Furba, si svoltava giù verso il Quadraro, si tagliava in mezzo a delle casette isolate come capanne e si arrivava all'orto, che da una parte era limitato da una stradina bianca, dall'altra si perdeva per delle praterie con in fondo una villa e una pineta.

C'era puzzo di stabbio e di paglia al macero, e un gran profumo di finocchi, che si vedevano distendersi come una nuvola verde, con in mezzo la cappuccina, oltre la ramata tutta scassata, tra gli squarci della siepe di cannacce fradice che la costeggiava.

- Namo de qqua, - fece con una faccia da lupo mannaro il vecchio, andandosene ingobbito a passi felpati più giù, dove finiva la ramata, tutta contorta e cominciava una parata d'assi fradice e disuguali, fino a che arrivarono davanti alla scalarola: tra questa e la parata, c'era una specie di passaggio, un buco, coperto con degli zeppi spinosi e un po' di canne. Il vecchio cominciò a rasparci intorno per allargarlo, in ginocchio sulla lingua di cane, la porcacchia, la malva, e i bietoni del fossatello, tutti zuppi di guazza. Attraverso quel buco s'infilarono nell'orto.

La luce della luna lo investiva tutto, grande com'era, che non ci si vedevano i recinti dell'altra parte. La luna era ormai alta alta nel cielo, s'era rimpicciolita e pareva non volesse più aver che fare col mondo, tutta assorta nella contemplazione di quello che ci stava al di là. Al mondo, pareva che ormai mostrasse solo il sedere; e, da quel sederino d'argento, pioveva giù una luce grandiosa, che invadeva tutto. Brilluccicava, in fondo all'orto, sulle persiche, i salci, i petti d'angelo, le cerase, i sambuchi, che spuntavano qua e là in ciuffi duri come il ferro battuto, contorti e leggeri nel polverone bianco. Poi scendeva radendo a far sprizzare di luce, o a patinarlo di lucore, il piano dell'orto: con le facciatelle curve di bieta o cappuccina metà in luce e metà in ombra, e gli appezzamenti gialli della lattughella e quelli verde oro dei porri e della riccetta. E qua e là i mucchi di paglia, gli attrezzi abbandonati dai burini, nel più pittoresco disordine, che tanto la terra faceva da sola, senza doversi tanto rompere il c... a lavorarla.

Ma il vecchio aveva allumato i cavoli fiori, e soltanto quelli. Seguito dai due soci, senza perdere tempo, attraversò il solco, e si cacciò giù per la spranga, ch'era come un viottoletto con un dito d'acqua in mezzo all'appezzamento di cavoli fiori, e da dove a destra e a sinistra partivano gli scrimoli, acquitrinosi pure loro, dividendo l'appezzamento in tanti riquadri. Su questi s'allineavano, grossi come pavoni, i cavoli fiori in filari di quattro o cinque metri - Daje, - fece il vecchio, che già teneva aperto in mano il coltello. E cacciandosi dentro per uno scrimolo, si immerse tra i filari dei cavoli fiori che gli arrivavano fino alla cintola, e cominciò a farli fuori a colpi di coltello. Li tagliava e li cacciava dentro il sacco incarcandoli con le mani e coi piedi. I due complici, restati più in dietro in osservazione, si guardarono in faccia e sbottarono a ridere, sempre più forte, fino a che le loro sghignazzate si sarebbero sentite al Quadraro. -Stàteve zitti, aòh, - fece il vecchio affacciandosi impensierito tra le cimette turchine dei cavoli fiori. Quelli dopo un po', passato il primo entusiasmo, s'azzittarono: poi piano piano si decisero a far qualcosa, e strapparono un po' di cavoli peruno, senza muoversi dalla spranga, e scegliendo i primi che gli capitavano sottomano. Infilarono il loro bottino, strappato dalla terra grassa con la cimetta, il torso e tutto, dentro il sacco del neno, schiacciando e mezzo rovesciando il carico e prendendolo a calci. - Fate piano, - si raccomandava il vecchio. Ma quelli senza filarlo si divertivano a far stare dentro il sacco più cavoli che potevano, facendosi due risate. Ma finalmente il vecchio si prese il sacco, se l'incollò e partì a zig zag sotto il peso verso il buco. Il Lenzetta però fece tranquillo tranquillo: - Aòh, a mori, aspettate un momento che c'ho da fà un bisogno, - e senza aspettar risposta, si slacciò la cinta, si calò i calzoni e si mise spensieratamente a compiere il lavoro di sgancio sull'erbetta bagnata. Pure il Riccetto e il sor Antonio, stando così le cose, l'imitarono, e si misero tutti tre in fila sul solco, coi sederi alla luce della luna, accucciati sotto un gran ceraso.

Il Lenzetta, adempiendo la bisogna, si mise a cantare. Il vecchio allora lo guardò di sguincio, accucciato come stava accosto al suo sacco pieno, e tutto preoccupato fece: - A coso, ce lo sai che mi' nipote per un cavolo, ma uno de numero, s'è fatto sei mesi de priggione? Che, ce voi fa carcerà tutti quanti?

Il Lenzetta a quelle assennate parole s'azzittò. - A sor maè, - fece allora il Riccetto approfittando di quel momento confidenziale, mentre che il Lenzetta già si stava tirando su i calzoni, - che è fidanzata vostra fija?

Al Lenzetta scappò da ridere, e fece il suo solito «Phhh, phh, phh», mettendo la scusa che rideva per la puzza e stringendosi il naso; il vecchio, inghiottendo paragulo la parte da micco che le circostanze lo costringevano a fare, rispose affabile: - None, nun è fidanzata. - Si tirarono su i calzoni, strinsero le cinte e a pecorone andarono dietro al Lenzetta che già s'era infilato nel buco della parata.

Come furono sulla strada, i due fiji de na mignotta non vollero, capirai, che il vecchio facesse lui la fatica, e s'offrirono loro a tutti i costi d'incollarsi il sacco pieno. Lo portarono un po' peruno sulle spalle, mostrandosi tutti allegri e indifferenti, e facendo una gran moina, mentre camminavano tutti sderenati e bestemmiando dentro di sé per lo sforzo che gli toccava fare, dietro al sor Antonio, che costretto a far la parte del micco, ora aveva i micchi che gli portavano il carico. Quando ch'ebbero lasciato alle spalle, passo passo, Porta Furba e si furono bene internati in mezzo a una Shanghai di orticelli, strade, reti metalliche, villaggetti di tuguri, spiazzi, cantieri, gruppi di palazzoni, marane, e quasi erano arrivati alla Borgata degli Angeli, che si trova tra Torpignattara e il Quadraro, il vecchio fece con contegno di persona compita e di mondo: - Perché nun salite su casa? - Grazie, come no, - risposero i due scagnozzi tutti sudati, e dentro di loro pensavano: «Ce mancava mo che nun c'invitasse a salì, sto froscio!»

La Borgata degli Angeli era tutta deserta a quell'ora, e tra i grandi scatoloni delle case popolari costruite in tante file regolari, si vedevano, giù, quattro strade di terra battuta piena di zozzerie, e in alto, il cielo senza una nuvola con una lunetta che locca locca tramontava.

La porta di strada del palazzone dove abitava il sor Antonio, era aperta. Entrarono, e cominciarono a salire una rampa, due, tre, con un macello di pianerottoli, porte, finestre che davano sui cortiletti interni, tutto scrostato e coi disegni sporchi dei ragazzini a carbone sui muri. Il vecchio suonò il campanello all'interno settantaquattro, con dietro i due aiutanti in attesa, e venne ad aprire dopo un po' proprio la figlia più grande.

Era una bella sorcona di manco vent'anni, con una vestaglietta che le cadeva giù per le spalle, tutta scapigliata e con gli occhi gonfi e la carne calda per il sonno. Allumati i due ospiti, tagliò dietro un paravento tutto stracciato ch'era lì in mezzo all'ingresso.

Il sor Antonio entrò, appoggiò il sacco presso il paravento, e chiamò a voce alta: - A Nadia! - Non sortì fuori nessuno, ma di là dalla parete si sentiva fare sci sci sci come fanno le donne quando stanno in tre o quattro assieme.

«Ammappete, - pensò il Riccetto, - che, ce sta na tribbu, qua dentro?»

- A Nadia! - ripeté il sor Antonio.

Si sentì smucinare più forte, poi venne fuori un'altra volta la figlia più grande, con la vestaglia stretta, con le scarpe e pettinata.

- Te presento sti amichi mia, - fece il sor Antonio. Nadia s'accostò con un sorriso, tutta vergognosa, tenendosi una mano contro la scollatura della vestaglia e l'altra allungata verso di loro, con certi ditini stretti, teneri e bianchi come il burro, che arraparono subito i due compari.

- Mastracca Claudio, - fece il Riccetto, stringendo quella bella manina.

- De Marzi Arfredo, - disse il Lenzetta, facendo altrettanto, con la faccia rossastra e liquefatta che aveva nei momenti d'emozione; lei si vergognava tanto, che si vedeva che quasi le veniva da piangere, tanto più che se ne stavano tutti e quattro lì in piedi, senza muoversi, a guardarsi in faccia.

- Accomodateve, - fece il sor Antonio, e li precedette, attraverso una porta coperta da una tenda, nella cucina. Lì tra il fornello e la credenza in mezzo a quattro o cinque seggiole, c'era pure, contro la parete, una brandina dove rosse e sudate una da testa e una da piedi dormivano due ragazzine, con le lenzuola tutte intorcinate e più grigie che bianche. Sopra il tavolo c'erano dei tegami e dei piatti sporchi, e una nuvoletta di mosche, risvegliate dalla luce, gironzolava e ronzava come in pieno mezzogiorno.

La Nadia era entrata per ultima, e se ne stava in disparte, accanto all'uscio.

- Nun ce fate caso, - disse il sor Antonio, - è na casa de lavoratori!

- Allora, si vedete casa mia! - fece il Lenzetta ridacchiando, per fargli coraggio, ma come farebbe un ragazzino, abituato a discorrere con altri ragazzini zellosi come lui. Il Riccetto ridacchiò pure lui alla mezza sparata del compare. Il Lenzetta, preso dall'entusiasmo, continuò senza più nessuno scrupolo come se ragionasse al Bar della Pugnalata, pisciando ironia dagli occhi: - La cucina de casa nostra, me pare un cacatore, e nella camera da letto ce sta lo smistamento de li sorci in vacanza!

Intanto il sor Antonio aveva preso una improvvisa decisione: balzò nell'ingresso e trascinò dentro in cucina il sacco dei cavoli fiori, sistemandolo tutto soddisfatto sotto il secchiaio.

- Sti due bravi ragazzi m'hanno aiutato, - comunicò alla figlia, - sinnò quanno ce 'a facevo a portalli qqua così presto! a Natale!

A quella uscita del padre, a Nadia, che faceva del tutto per mostrarsi sorridente, tremò la scucchia, che pareva che stesse per sbottare a piangere, e voltò la faccia dall'altra parte.

- Eeeh! - fece cordialone, mettendo la pancia in fuori e alzando le braccia il Lenzetta, - mica se metterà a piagne per così poco!

Ma quella, come se non aspettasse altro che queste parole, sbottò proprio a piangere, e corse via dietro il paravento.

- A matta, a sonata! - si sentì gridare dopo un momento là di dietro.

- È mi moje, - fece il vecchio.

Infatti, non era passato un minuto che venne fuori, pure lei in vestaglia, ma tutta ben pettinata con la crocchia piena di spille, sora Adriana, con davanti due respingenti che non avevano niente da invidiare al sacco dei cavoli fiori. «Bona più la madre che le fije», pensò il Riccetto. Lei entrò sparata in cucina ancora tutta vibrante di sdegno, continuando il discorso che aveva incominciato di là: - Sta scema, che la possino ammaìlla! Ma che, uno s'ha da mette a piagne perché se deve da arrangià pe vive, ma guarda sì che robba! Ai tempi d'oggigiorno! Ma da chi avrà preso, sta fija mia, io no lo so...

S'interruppe, un poco calmata, e studiando, con due rapide occhiate, gli ospiti che le si offrivano tutti smandrappati e filoni allo sguardo.

- Te presento sti amichi mia, - rifece il vecchio.

- Piacere, - fece lei, aggrottando un po' le ciglia e compiendo sbrigativamente quel dovere mondano. - Mastracca Claudio, - ripeté il Riccetto, - Di Marzi Arfredo, ripeté il Lenzetta. Compiuta la necessaria parentesi della presentazione, lei ricominciò coi discorsi che importavano, se pure con un tono più confidenziale: - Ma guarda si s'ha da vede na fija de vent'anni che piagne come na ragazzina, e ppe quale motivo poi! Pe quattro cavoli fiori fracichi! Ma che, c'è da vergognasse c'è? - E sollevò la testa in segno di sfida, con gli occhi che le fiammeggiavano e le mani sui fianchi, contro un invisibile uditorio, probabilmente di signori. - A Nadia! - fece poi, sporgendo la testa oltre lo stipite dell'uscio. - A Nadiaaaa!


V. LE NOTTI CALDE (3) V. THE WARM NIGHTS (3) V. NOCHES CÁLIDAS (3)

Il Lenzetta, accomodandosi la fessa con aria mondana, raggiunse il vecchio, e stette a guardare con la coda dell'occhio cosa facevano gli altri due, laggiù avanti, sotto una gran impalcatura, contro le prime praterie dell'Acqua Santa.

Si vedeva che il Riccetto diceva di sì, e Alduccio diceva di no, il Riccetto diceva di sì, e Alduccio diceva di no. Dopo un pochetto però il Riccetto tornò di corsa, e si vide Alduccio che riprendeva a spingere curvo tra le stanghe.

- L'avemo fatto annà avanti da solo a 'a Maranella, - si sentì in dovere di spiegare al vecchio il Riccetto, - che si ce vedrebbero tutt'e tre assieme potrebbero pure svagà!

- Avete fatto bbene, - disse il vecchio.

Erano ormai quasi all'altezza dell'Acqua Santa, a destra c'erano tutte le praterie deserte e le marane, a sinistra cominciava via dell'Arco di Travertino, che puntava dritta verso Porta Furba, e da lì al Mandrione e alla Maranella.

In fondo a via dell'Arco di Travertino, c'erano qua e là due grandi ammucchiamenti di bicocche di cui, camminando per la strada, si godeva magnificamente la vista. Erano tante casupole rosa o bianche, con in mezzo baracche, catapecchie, carrozzoni di zingari senza ruote, magazzini, tutti mescolati insieme e sparsi sopra i prati, in parte, in parte ammucchiati contro i muraglioni dell'Acquedotto, nel disordine più pittoresco.

Tra queste case ce n'era una, sotto l'argine della strada, un poco meglio delle altre, con una frasca e un cartello davanti, dove c'era scritto in rosso a caratteri infantili: «Vino». Da una fessura della porticina usciva ancora un po' di luce. - E aperto, - fece il Lenzetta, dando una rapida occhiata, per rassicurarsi, al Riccetto. Il Riccetto gli fece pronto l'occhietto, battendosi una mano in fondo alla saccoccia quasi sul pisello. - Che, c'avete prescia d'annà a prelevà sti cavoli fiori, a sor maè? - fece il Lenzetta.

- None, nun c'ho prescia, - fece tutto disponibile il vecchio.

- E poi, in caso mai, ve venimo a dà na mano noi due, si nun ve dispiace, eh! - disse il Lenzetta.

- Anzi, - fece il neno, - me fa piacere.

«Ce credo», pensò tra sé il Lenzetta. E forte: - Che l'accettate prima un goccio de vino, a sor maè? Così ve lubrificate un pochetto, co tutta sta umidità che ce sta per li prati!

Quello non chiedeva di meglio, e l'occhio gli brillò astutamente, perché, pur facendo la parte dello stronzo, non era che rinunciasse del tutto a far capire che, tra loro, s'erano capiti. A ogni modo prima d'accettare, per cortesia, fece qualche complimento: - Ma perché ve volete disturbà, -fece, passandosi il sacco da un'ascella all'altra. - Ma quale disturbo, -fecero i due, correndo giù per la scesa dell'argine, e siccome il vecchio veniva giù piano, il Lenzetta disse al muro dell'osteria: - La vita è amara pe' chi ha li piedi dorci.

Dopo cinque minuti i due malandri già s'erano imbriacati. Cominciarono a parlare di Dio e di religione. Il vecchio era testimone. Fu il Riccetto, che arrossendo di piacere per la sua originalità, sottopose al Lenzetta una questione, e il Lenzetta l'ascoltò attento per farci una bella figura:

Aòh, - disse - dimme na cosa, tu ce credi a Maria, quella che chiamano la Madonna, llà?

- Boh, che ne so, - rispose pronto il Lenzetta, - nun l'ho vista mai! - E guardò tutto contento verso il vecchio.

- Be, ce stanno dei fatti, - disse il vecchio, - che dimostrano che la Madonna ce sta.

Ma al Riccetto stava a cuore un particolare dettaglio della cosa: si mise una mano a ventaglio contro la bocca: - Ce lo sai sì, - confidò al Lenzetta, - ch'era vergine e c'aveva un fijo.

- Ammazzete, - fece il Lenzetta diventando ancora più rosso con tutt'e due le mani tese verso di lui, - che, no lo so?

- Che, voi ce credete, a sor maè? - indagò ancora il Riccetto presso il vecchio. Il vecchio allungò la faccia, insaccandola tra le spalle: - E tu ce credi, su sto fatto, a morè? - chiese eludendo la domanda. Il Riccetto tutto soddisfatto partì: - Bisogna vede, - fece, - secondo li punti de vista... come donna umana può pure esse esistita, dal punto di vista della santità e della verginità può anche esse de no... Della santità, può anche esse vero, ma della verginità! Mo hanno inventato i fatti de li fiji artificiali co le provette, ma se pure na donna fa li fiji co le provette, vergine nun ce rimane... Poi c'avemo la fede verso Cristo, verso Dio, verso tutti questi... E se te metti sul raggionamento della fede allora ce credi, alla verginità della Madonna, ma scientificamente io per me credo che nun se possa dimostrà... - Guardò gli altri tutto soddisfatto, come sempre quando ripeteva questo pezzo, che aveva imparato da un giovanotto di Tiburtino e pareva in campana a prendere pure a cazzotti uno che lo venisse a contraddire. Il Lenzetta s'attaccò invece con tutte e due le mani al bordo del tavolino, e cominciò a fare «Pff pff pff», che parevano sbruffi di vapore che uscivano di sotto un coperchio chiuso male.

- Me pari un reggista, - fece, trattenendosi a fatica dallo sbottare completamente a ridere.

- A ignorante testa de c..., - fece il Riccetto, sentendosi giustamente offeso.

- Ma fàmose n'antro mezzo litro, - gridò il Lenzetta, e gli tese la mano,

- te sta bbene?

Ma il Riccetto diede uno schiaffetto sopra la mano tesa: - Mo te sputo in un occhio, mo! - gli fece.

Il Lenzetta aprì le braccia: - Ma che voi parlà de Gesù Cristo e de la Madonna, co sta fame che t'aritrovi, - fece, con una faccia ch'era una braciola. Poi, guardandolo fisso, sbottò a ridere più forte: - Ma perché voi beve er latte, - fece, - mentre hai bevuto sempre l'acqua pura dei ruscelli! de li scoli neri!

- Tu statte zitto, - ribatté il Riccetto, - che c'hai le patate a li piedi, che

potessi annà a chiede la stozza!

Ma il Lenzetta lo guardava sempre fisso, e preso da un'idea che gli dava una irresistibile voglia di ridere, gridò, agitando davanti al Riccetto tutt'e due le mani con le dita strette: - Ma te ricordi quanno che annavi a cercà li baratoletti vòti, e li annavi a vende pe 'no scudo l'uno, pe piacere!

Pure al Riccetto scappò da ridere. Il Lenzetta si stava schiattando. S'alzò in piedi per parlare meglio. - Ma nun te la ricordi, - riprese, - quando che annavi a la maternità, a lo smistamento de li morti de fame, che te facevi dà due tre baratoletti..., - imitò i gesti del Riccetto, tutto abbacchiato, che si fa dare dai portantini un baratoletto di minestra, - ... uno te lo magnavi, e quell'altri facevi l'ostruzzionismo, e li annavi a vende ai derelitti morti de fame come tte!

Tutt'e due a quella sparata si misero a ridere come due sfondati. Il Lenzetta fece qualche movimento falso, e a uno zompo che fece sbellicandosi dal ridere, si sentì un colpetto secco ai suoi piedi sotto il tavolo. Il Riccetto abbassò gli occhi, e scorse sul pavimento di mattoni la Berretta del Cappellone, che era caduta di sotto ai calzoni del Lenzetta. «Sto fijo de na mignotta!» pensò. «Allora sarà stato lui a fregamme 'e scarpe a Villa Borghese!» Il Lenzetta svelto svelto si chinò sotto il tavolo e rinfilò la rivoltella nella cinta.

Il vecchio faceva la faccia d'uno ch'è stato appena preso a pedate nel sedere e, rigirandosi, vede che quello che gliel'ha ammollate s'è storto un piede e sta baccajando dal dolore.

- Che ce l'hai un par de fotografie de le tu fije? - gli chiese rialzandosi il Lenzetta, sempre allegramente. «Si so' brutte», pensò, «je famo pagà pure er litro, e spesamo!» Il vecchio, con la faccia allungata e imbolsita dal vino, sotto la lampadina tutta piena di cacate di mosche che gliela sbiancava, cacciò il portafoglio, e dopo averlo esplorato con i diti zozzi reparto per reparto, mostrò la fotografia d'una ragazzina col vestito della prima comunione.

- E com'è adesso? - chiese il Riccetto che c'era rimasto un po' male.

- Noo! No proprio com'è adesso! - fece il vecchio, e rimestò ancora nel portafoglio. Non resistette alla debolezza di mostrare la sua carta d'identità: era lì, tutto ripulito, col colletto e l'abito nero, e un'espressione alla Rudi. Bifoni Antonio, fu Virgilio, nato a Ferentino, il 3-11-1896. Poi dentro il portafoglio c'erano due tre lirette spicce, la tessera di comunista, due domande per l'Eca e la carta della disoccupazione. Finalmente cacciò fuori l'altre fotografie. Il Lenzetta e il Riccetto si gettarono a pesce.

- An vedi quanto so' bboneee! - fece il Riccetto con un soffio di voce, quasi più coi gesti che con le parole.

- Io me pijo questa, - fece piano piano pure lui il Lenzetta, voltando le spalle al vecchio, - tu te piji quell'altra.

Dall'osteria, per andare dove dovevano andare, si passava da Porta Furba, si svoltava giù verso il Quadraro, si tagliava in mezzo a delle casette isolate come capanne e si arrivava all'orto, che da una parte era limitato da una stradina bianca, dall'altra si perdeva per delle praterie con in fondo una villa e una pineta.

C'era puzzo di stabbio e di paglia al macero, e un gran profumo di finocchi, che si vedevano distendersi come una nuvola verde, con in mezzo la cappuccina, oltre la ramata tutta scassata, tra gli squarci della siepe di cannacce fradice che la costeggiava.

- Namo de qqua, - fece con una faccia da lupo mannaro il vecchio, andandosene ingobbito a passi felpati più giù, dove finiva la ramata, tutta contorta e cominciava una parata d'assi fradice e disuguali, fino a che arrivarono davanti alla scalarola: tra questa e la parata, c'era una specie di passaggio, un buco, coperto con degli zeppi spinosi e un po' di canne. Il vecchio cominciò a rasparci intorno per allargarlo, in ginocchio sulla lingua di cane, la porcacchia, la malva, e i bietoni del fossatello, tutti zuppi di guazza. Attraverso quel buco s'infilarono nell'orto.

La luce della luna lo investiva tutto, grande com'era, che non ci si vedevano i recinti dell'altra parte. La luna era ormai alta alta nel cielo, s'era rimpicciolita e pareva non volesse più aver che fare col mondo, tutta assorta nella contemplazione di quello che ci stava al di là. Al mondo, pareva che ormai mostrasse solo il sedere; e, da quel sederino d'argento, pioveva giù una luce grandiosa, che invadeva tutto. Brilluccicava, in fondo all'orto, sulle persiche, i salci, i petti d'angelo, le cerase, i sambuchi, che spuntavano qua e là in ciuffi duri come il ferro battuto, contorti e leggeri nel polverone bianco. Poi scendeva radendo a far sprizzare di luce, o a patinarlo di lucore, il piano dell'orto: con le facciatelle curve di bieta o cappuccina metà in luce e metà in ombra, e gli appezzamenti gialli della lattughella e quelli verde oro dei porri e della riccetta. E qua e là i mucchi di paglia, gli attrezzi abbandonati dai burini, nel più pittoresco disordine, che tanto la terra faceva da sola, senza doversi tanto rompere il c... a lavorarla.

Ma il vecchio aveva allumato i cavoli fiori, e soltanto quelli. Seguito dai due soci, senza perdere tempo, attraversò il solco, e si cacciò giù per la spranga, ch'era come un viottoletto con un dito d'acqua in mezzo all'appezzamento di cavoli fiori, e da dove a destra e a sinistra partivano gli scrimoli, acquitrinosi pure loro, dividendo l'appezzamento in tanti riquadri. Su questi s'allineavano, grossi come pavoni, i cavoli fiori in filari di quattro o cinque metri - Daje, - fece il vecchio, che già teneva aperto in mano il coltello. E cacciandosi dentro per uno scrimolo, si immerse tra i filari dei cavoli fiori che gli arrivavano fino alla cintola, e cominciò a farli fuori a colpi di coltello. Li tagliava e li cacciava dentro il sacco incarcandoli con le mani e coi piedi. I due complici, restati più in dietro in osservazione, si guardarono in faccia e sbottarono a ridere, sempre più forte, fino a che le loro sghignazzate si sarebbero sentite al Quadraro. -Stàteve zitti, aòh, - fece il vecchio affacciandosi impensierito tra le cimette turchine dei cavoli fiori. Quelli dopo un po', passato il primo entusiasmo, s'azzittarono: poi piano piano si decisero a far qualcosa, e strapparono un po' di cavoli peruno, senza muoversi dalla spranga, e scegliendo i primi che gli capitavano sottomano. Infilarono il loro bottino, strappato dalla terra grassa con la cimetta, il torso e tutto, dentro il sacco del neno, schiacciando e mezzo rovesciando il carico e prendendolo a calci. - Fate piano, - si raccomandava il vecchio. Ma quelli senza filarlo si divertivano a far stare dentro il sacco più cavoli che potevano, facendosi due risate. Ma finalmente il vecchio si prese il sacco, se l'incollò e partì a zig zag sotto il peso verso il buco. Il Lenzetta però fece tranquillo tranquillo: - Aòh, a mori, aspettate un momento che c'ho da fà un bisogno, - e senza aspettar risposta, si slacciò la cinta, si calò i calzoni e si mise spensieratamente a compiere il lavoro di sgancio sull'erbetta bagnata. Pure il Riccetto e il sor Antonio, stando così le cose, l'imitarono, e si misero tutti tre in fila sul solco, coi sederi alla luce della luna, accucciati sotto un gran ceraso.

Il Lenzetta, adempiendo la bisogna, si mise a cantare. Il vecchio allora lo guardò di sguincio, accucciato come stava accosto al suo sacco pieno, e tutto preoccupato fece: - A coso, ce lo sai che mi' nipote per un cavolo, ma uno de numero, s'è fatto sei mesi de priggione? Che, ce voi fa carcerà tutti quanti?

Il Lenzetta a quelle assennate parole s'azzittò. - A sor maè, - fece allora il Riccetto approfittando di quel momento confidenziale, mentre che il Lenzetta già si stava tirando su i calzoni, - che è fidanzata vostra fija?

Al Lenzetta scappò da ridere, e fece il suo solito «Phhh, phh, phh», mettendo la scusa che rideva per la puzza e stringendosi il naso; il vecchio, inghiottendo paragulo la parte da micco che le circostanze lo costringevano a fare, rispose affabile: - None, nun è fidanzata. - Si tirarono su i calzoni, strinsero le cinte e a pecorone andarono dietro al Lenzetta che già s'era infilato nel buco della parata.

Come furono sulla strada, i due fiji de na mignotta non vollero, capirai, che il vecchio facesse lui la fatica, e s'offrirono loro a tutti i costi d'incollarsi il sacco pieno. Lo portarono un po' peruno sulle spalle, mostrandosi tutti allegri e indifferenti, e facendo una gran moina, mentre camminavano tutti sderenati e bestemmiando dentro di sé per lo sforzo che gli toccava fare, dietro al sor Antonio, che costretto a far la parte del micco, ora aveva i micchi che gli portavano il carico. Quando ch'ebbero lasciato alle spalle, passo passo, Porta Furba e si furono bene internati in mezzo a una Shanghai di orticelli, strade, reti metalliche, villaggetti di tuguri, spiazzi, cantieri, gruppi di palazzoni, marane, e quasi erano arrivati alla Borgata degli Angeli, che si trova tra Torpignattara e il Quadraro, il vecchio fece con contegno di persona compita e di mondo: - Perché nun salite su casa? - Grazie, come no, - risposero i due scagnozzi tutti sudati, e dentro di loro pensavano: «Ce mancava mo che nun c'invitasse a salì, sto froscio!»

La Borgata degli Angeli era tutta deserta a quell'ora, e tra i grandi scatoloni delle case popolari costruite in tante file regolari, si vedevano, giù, quattro strade di terra battuta piena di zozzerie, e in alto, il cielo senza una nuvola con una lunetta che locca locca tramontava.

La porta di strada del palazzone dove abitava il sor Antonio, era aperta. Entrarono, e cominciarono a salire una rampa, due, tre, con un macello di pianerottoli, porte, finestre che davano sui cortiletti interni, tutto scrostato e coi disegni sporchi dei ragazzini a carbone sui muri. Il vecchio suonò il campanello all'interno settantaquattro, con dietro i due aiutanti in attesa, e venne ad aprire dopo un po' proprio la figlia più grande.

Era una bella sorcona di manco vent'anni, con una vestaglietta che le cadeva giù per le spalle, tutta scapigliata e con gli occhi gonfi e la carne calda per il sonno. Allumati i due ospiti, tagliò dietro un paravento tutto stracciato ch'era lì in mezzo all'ingresso.

Il sor Antonio entrò, appoggiò il sacco presso il paravento, e chiamò a voce alta: - A Nadia! - Non sortì fuori nessuno, ma di là dalla parete si sentiva fare sci sci sci come fanno le donne quando stanno in tre o quattro assieme.

«Ammappete, - pensò il Riccetto, - che, ce sta na tribbu, qua dentro?»

- A Nadia! - ripeté il sor Antonio.

Si sentì smucinare più forte, poi venne fuori un'altra volta la figlia più grande, con la vestaglia stretta, con le scarpe e pettinata.

- Te presento sti amichi mia, - fece il sor Antonio. Nadia s'accostò con un sorriso, tutta vergognosa, tenendosi una mano contro la scollatura della vestaglia e l'altra allungata verso di loro, con certi ditini stretti, teneri e bianchi come il burro, che arraparono subito i due compari.

- Mastracca Claudio, - fece il Riccetto, stringendo quella bella manina.

- De Marzi Arfredo, - disse il Lenzetta, facendo altrettanto, con la faccia rossastra e liquefatta che aveva nei momenti d'emozione; lei si vergognava tanto, che si vedeva che quasi le veniva da piangere, tanto più che se ne stavano tutti e quattro lì in piedi, senza muoversi, a guardarsi in faccia.

- Accomodateve, - fece il sor Antonio, e li precedette, attraverso una porta coperta da una tenda, nella cucina. Lì tra il fornello e la credenza in mezzo a quattro o cinque seggiole, c'era pure, contro la parete, una brandina dove rosse e sudate una da testa e una da piedi dormivano due ragazzine, con le lenzuola tutte intorcinate e più grigie che bianche. Sopra il tavolo c'erano dei tegami e dei piatti sporchi, e una nuvoletta di mosche, risvegliate dalla luce, gironzolava e ronzava come in pieno mezzogiorno.

La Nadia era entrata per ultima, e se ne stava in disparte, accanto all'uscio.

- Nun ce fate caso, - disse il sor Antonio, - è na casa de lavoratori!

- Allora, si vedete casa mia! - fece il Lenzetta ridacchiando, per fargli coraggio, ma come farebbe un ragazzino, abituato a discorrere con altri ragazzini zellosi come lui. Il Riccetto ridacchiò pure lui alla mezza sparata del compare. Il Lenzetta, preso dall'entusiasmo, continuò senza più nessuno scrupolo come se ragionasse al Bar della Pugnalata, pisciando ironia dagli occhi: - La cucina de casa nostra, me pare un cacatore, e nella camera da letto ce sta lo smistamento de li sorci in vacanza!

Intanto il sor Antonio aveva preso una improvvisa decisione: balzò nell'ingresso e trascinò dentro in cucina il sacco dei cavoli fiori, sistemandolo tutto soddisfatto sotto il secchiaio.

- Sti due bravi ragazzi m'hanno aiutato, - comunicò alla figlia, - sinnò quanno ce 'a facevo a portalli qqua così presto! a Natale!

A quella uscita del padre, a Nadia, che faceva del tutto per mostrarsi sorridente, tremò la scucchia, che pareva che stesse per sbottare a piangere, e voltò la faccia dall'altra parte.

- Eeeh! - fece cordialone, mettendo la pancia in fuori e alzando le braccia il Lenzetta, - mica se metterà a piagne per così poco!

Ma quella, come se non aspettasse altro che queste parole, sbottò proprio a piangere, e corse via dietro il paravento.

- A matta, a sonata! - si sentì gridare dopo un momento là di dietro.

- È mi moje, - fece il vecchio.

Infatti, non era passato un minuto che venne fuori, pure lei in vestaglia, ma tutta ben pettinata con la crocchia piena di spille, sora Adriana, con davanti due respingenti che non avevano niente da invidiare al sacco dei cavoli fiori. «Bona più la madre che le fije», pensò il Riccetto. Lei entrò sparata in cucina ancora tutta vibrante di sdegno, continuando il discorso che aveva incominciato di là: - Sta scema, che la possino ammaìlla! Ma che, uno s'ha da mette a piagne perché se deve da arrangià pe vive, ma guarda sì che robba! Ai tempi d'oggigiorno! Ma da chi avrà preso, sta fija mia, io no lo so...

S'interruppe, un poco calmata, e studiando, con due rapide occhiate, gli ospiti che le si offrivano tutti smandrappati e filoni allo sguardo.

- Te presento sti amichi mia, - rifece il vecchio.

- Piacere, - fece lei, aggrottando un po' le ciglia e compiendo sbrigativamente quel dovere mondano. - Mastracca Claudio, - ripeté il Riccetto, - Di Marzi Arfredo, ripeté il Lenzetta. Compiuta la necessaria parentesi della presentazione, lei ricominciò coi discorsi che importavano, se pure con un tono più confidenziale: - Ma guarda si s'ha da vede na fija de vent'anni che piagne come na ragazzina, e ppe quale motivo poi! Pe quattro cavoli fiori fracichi! Ma che, c'è da vergognasse c'è? - E sollevò la testa in segno di sfida, con gli occhi che le fiammeggiavano e le mani sui fianchi, contro un invisibile uditorio, probabilmente di signori. - A Nadia! - fece poi, sporgendo la testa oltre lo stipite dell'uscio. - A Nadiaaaa!