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Ragazzi di Vita - Pasolini, II. IL RICCETTO (2)

II. IL RICCETTO (2)

Ma mano a mano che beveva il napoletano si faceva sempre più strano: alla fine del secondo bicchiere era come se gli avessero sfregato la faccia con della carta vetrata, e gli avessero cancellato i connotati: la faccia gli s'era fatta come un pezzo di carne scottata, con gli occhi mezzi chiusi che pareva che li accecasse una gran luce che chissà da dove veniva, e le labbrone che pendevano giù appiccicate fra loro. Quando parlava faceva come una lagna: con gli occhi fermi, che ridevano, in contraddizione con le parole serie e profondamente sentite che pronunciava. Ormai parlava solo il dialetto suo. Era lì, curvo, insaccato tra le spalle, bagnato di sudore, con quella faccia spappolata e gonfia, che guardava fisso il Riccetto, con uno sguardo che brillava di amore fraterno. - Oi nì, - fece, - t'aggio a cunfessà na cosa! - Che me voi dì? - fece il Riccetto ch'era partito pure lui.

Ma il napoletano sogghignò tristemente, scrollando il capo, e tacque per un poco. Poi disse: - E una cosa di un'estrema gravità. Io te la voglio dire a te, perché te sei un amico! - A questa dichiarazione si commossero tutt'e due. Il napoletano ritacque, e il Riccetto con aria seria e dignitosa l'incoraggiò: - Allora dimme quello che me devi da ddì, si voi, eh! Io nun insisto.

- Te lo dico, - fece il napoletano, - ma tu mi devi promettere una cosa!

- Che? - fece pronto il Riccetto.

- Di non parlare con nessuno, - disse solenne il napoletano, completamente impappolato.

Il Riccetto capì la situazione; si fece più serio ancora, gonfiò il petto, e ci si mise una mano sopra: - Parola mia d'onore, - disse.

Il napoletano, come se si sentisse rifare - con gli occhi che gli continuavano a ridere per loro conto, dentro le loro due fessure - cominciò a raccontare la sua storia. Raccontò ch'era stato lui a uccidere una vecchia e due sue figlie zitelle in via Chiaja, con una spranga di ferro, e poi di averle bruciate. Ci mise più d'un quarto d'ora a raccontare questa sbrasata, ripetendo una cosa due o tre volte e facendo tutta una confusione. Il Riccetto non si lasciò impressionare per niente, sgamando subito ch'erano sparate da ubbriaco: ma lo stette ad ascoltare attentamente, dandogli spago e facendo finta di crederci, per poi aver diritto di raccontare lui pure le sue storie. E quante ne aveva da raccontare, che gli erano capitate in quei due anni, dopo l'arrivo degli Americani!

In quei due anni il Riccetto s'era fatto un fijo de na mignotta completo. Se proprio non era come quel ragazzino compagno suo che un giorno ch'erano al Delle Terrazze assieme, uno gli venne a dire: - A coso, cori a casa che tu madre nun ze move più, - e il giorno dopo, quando il Riccetto gli chiese: - Come sta tu madre? - quello fece un sorrisetto e disse: - E morta. - Che? - fece il Riccetto. - E morta, è morta, - confermò l'altro, divertito per la sorpresa del Riccetto. Se non era proprio come quello, insomma, era una mezza specie. All'età sua aveva conosciuto già tante centinaia di persone di ogni condizione e di ogni razza, che ormai uno o l'altro era uguale: e quasi quasi avrebbe potuto comportarsi pure lui come quel tipo che abitava vicino alla Rotonda che un giorno, con un amico suo, aveva pestato un froscio, per rubargli un par di mila lire, e quando il compagno suo gli disse: - Aòh, l'avemo ammazzato, - senza manco guardarlo, quello rispose: - E che me frega.

Il Riccetto s'era abbandonato all'onda dei ricordi: e mentre il napoletano taceva commosso per la sua confessione, con quella faccia da cane arrostito, venne il turno suo per le rievocazioni. Ma lui diceva la verità però.

Siccome che prima avevano cominciato a parlare degli Americani, il Riccetto riprese quel ragionamento. - Sta a sentì sto pezzo! - disse, tutto gaio e mondano. E cominciò a raccontare due o tre pezzi, uno più gajardo dell'altro, sempre del tempo quando c'erano gli Americani, in cui lui figurava sempre il più fijo de na mignotta di tutti.

Il napoletano lo guardava assorto, accennando di sì con la testa, con un sorriso stanco. Poi gonfiò tutt'a un botto il petto, e senza cambiare espressione, sempre guardando fisso il Riccetto, cominciò: - Io devo espiare! - e giù per un altro quarto d'ora, lui stavolta, con quella moina fuoriscena del suo delitto. Il Riccetto lo lasciò un po' sfogare, com'era giusto, guardandolo pure lui ridendo. Poi appena quello perdette un po' la parlantina e cominciò a zagajare, riattaccò:

- L'Americani erano boni!... A me me facevano un po' rabbia, però me facevano comodo! Ma li Polacchi li mortacci loro, erano marvagi, ma proprio marvagi sa'! Aòh, me ricordo che na vorta, stavo a 'a Toraccia, annavamo a beccà 'a robba ar campo dei Polacchi. Stavamo a camminà, lì vicino a 'e grotte, sentimo strillà, semo iti là vicino, erano du zoccole che staveno a litigà co sti Polacchi, che volevano li sordi. Alora in quer mentre esce uno dalla grotta e noi se nisconnemo, e uno rimane dentro co ste due zoccole. E forse queste se credevano che fosse ito a pijà li sordi. Mo invece quello ariviè co' una latta. Allora prima de entrà dentro 'a grotta, 'a svita, je leva er tappo. Poi 'a versa dentro un bidone, poi chiama quell'amico suo, quell'altro Polacco, e proprio all'ingresso de 'a grotta je tireno questa benzina addosso a 'e du zoccole. Quell'altro accende un cerino e je dà foco. Noi sentimo urlà, urlà, annamo lì e vedemo ste due zoccole tutte annà a foco.

Poi spettò un'altra volta al napoletano, ma ormai questo s'era preso una tropea che non gli stavano manco più aperti l'occhi. - Che se famo n'antra làllera? - chiese scherzoso il Riccetto. Sì, quello forse non sentì nemmeno, e si limitò a ridere per un po'. - Che te va l'acqua pell'orto? - chiese ormai in campana per spesare il Riccetto, allegro. Ormai s'erano stufati di star lì a chiacchierare tutt'e due. Fu il Riccetto a prendere l'iniziativa: - Aaaa... coso, - fece, - se ne volemo annà? - Il napoletano ridacchiò ancora cogli occhi bassi; poi sbiellando s'alzò, e s'avviò diritto a gran passi verso l'uscita in mezzo alla parete di canne intrecciate. Era già buio: tutti avevano già cenato, e se n'erano riusciti di casa a prendere il fresco. Dei giovanotti facevano a fugge in motocicletta intorno al piazzale, dal Delle Terrazze tutto illuminato là in fondo alla pensilina del tram mezza vuota. Mentre il Riccetto pagava, il napoletano compì coscienziosamente alcune operazioni complicate: sternutò, si soffiò il naso tra le dita, pisciò, poi se ne andarono insieme sotto la pensilina a aspettare il tram che doveva riportare dentro Roma il napoletano.

- In dò abbiti? - chiese il Riccetto aspettando. Il napoletano allora sfoderò un sorriso arguto e diabolico, ma tacque. Il Riccetto insistette: -Mbè, nun me lo voi dì? - fece con aria un po' offesa. Il napoletano gli prese una mano, e gliela tenne stretta tra le sue calde e gonfie. - Tu sei n'amico, - cominciò con solennità, e giù un'altra volta con un sacco di assicurazioni d'amicizia, di giuramenti e dichiarazioni. Il Riccetto però non era tanto preso dall'entusiasmo, perché c'aveva una fame e un sonno che non si reggeva più in piedi. In conclusione la situazione del napoletano era questa: lui e i compagni suoi, era solo qualche giorno ch'erano venuti a Roma in cerca di fortuna. Per questo il napoletano s'era adattato a quel lavoro col Riccetto per mezzo sacco. Sennò, quando ci sarebbe stato, l'anno del c...! Col gioco della cartina si facevano i milioni, si facevano. Per intanto lui e i compagni suoi dormivano in una grotta giù sulla scarpata del Tevere, a Testaccio. Il Riccetto capì quale: e drizzò gli orecchi. - Ma alora voi, - fece, intravedendo delle grandi possibilità, - c'avete bisogno de uno che v'aiuti un pochetto... che ve insegni li mejo posti...

Il napoletano l'abbracciò, poi si mise l'indice contro il naso, e fece segno al Riccetto di starsene zitto, che già s'erano capiti. Quel gesto gli piacque, e lo ripeté due o tre volte: poi riprese in mano la mano del Riccetto e ricominciò coi giuramenti d'amicizia, risalendo a certi confusi e maestosi principi generali che il Riccetto, che aveva un'idea molto più chiara e un piano molto più concreto nella capoccia, faceva fatica a seguire. - Sì, sì! -fece. Era passato un tram, e n'era passato un altro: al terzo, finalmente, il napoletano col mezzo sacco in saccoccia salì, e si diedero la puntata pel giorno dopo, ripetendosela due o tre volte, giù al Ponte Sublicio.

Finalmente il Riccetto aveva trovato una professione: non come Marcello, che mo s'era messo a fare il barista, o come Agnolo, che lavorava da pittore col fratello: ma qualcosa di molto meglio, qualcosa che lo faceva salire di rango fino a considerarsi ormai alla pari, per esempio, con Rocco e con Alvaro, che dai furti dei chiusini erano passati mano a mano a dei lavori molto più impegnativi e di responsabilità, con tutto che, in conclusione, non c'avevano mai una lira in saccoccia e avevano due facce da pidocchiosi peggio di prima. Ormai il Riccetto se la faceva più con loro due che coi pivelli dell'età sua, ossia quelli ch'erano entrati in quattordici anni. Mica si potevano permettere, questi, di andarsela a divertire con uno ch'era sempre ingranato, senza che loro c'avessero na brecola in saccoccia, oppure il massimo il massimo con due tre piotte. Per dire la sincera verità, pure Rocco e Alvaro, qualche volta, e più di qualche volta, stavano in bianco: ma era tutta un'altra cosa! Che fosse per davvero proprio tutta un'altra cosa, il Riccetto ebbe modo di capirlo bene quella domenica ch'era ito a Ostia con loro, ingranato come un dio.

Con la cartina, difatti, in principio mica era andata male. Il Riccetto e i salernitani s'andavano a mettere in qualche bell'angoletto, dalle parti di Campo dei Fiori o a Ponte Vittorio, o in Prati, e poi, quando al posto dell'ombrello si poterono fare un banchetto e al posto delle carte tre pezzi di legno ben piallati con un elastico, due senza carta e uno con un quadratino di carta infilato nell'elastico, pure a Piazza di Spagna o in qualche altro posto elegante: allora si mettevano a incerare allegramente i passanti, e facevano un bel treppio di gente tutta acchittata e granosa. Il Riccetto faceva soltanto, di nome, il pischello, quello che reggeva il banchetto, ma in realtà aveva un incarico più delicato: e rimediava un corpo al giorno, e pure di più. Ma un sabato sera, che s'era già ai primi di giugno, mentre che facevano treppio in via dei Pettinari, arrivarono tutt'a un botto le guardie, correndo giù da Ponte Sisto: il Riccetto fu il primo a vederle e tagliò subito giù per via delle Zoccolette: una guardia gli gridò: -Fermati o sparo -: lui si voltò, vide che per davvero aveva una rivoltella in mano, ma pensò: «Mica me vorrai ammazzà, spero», e continuò a correre fin che arrivò in via Arenula e scomparve pei vicoletti di Piazza Giudia. Gli altri tre invece furono beccati. Li portarono al commissariato, il giorno dopo li rispedirono al paesello col foglio di via, e buona notte. La sera di quello stesso sabato, a ogni modo, il Riccetto era sceso giù nella grotta della scarpata di Ponte Sublicio, ch'era la cantina d'un vecchio palazzo di qualche secolo prima, lasciò perdere il mucchio di panni ch'erano tutto il vestiario dei tre disgraziati, e andò sparato a togliere i due o tre mattoni che coprivano il buco dove erano nascosti i risparmi d'una mesata di lavoro: cinquanta sacchi.

Per questo, quella prima domenica di giugno, il Riccetto era tutto granoso e scherzoso.

Era una bella mattina, col sole che ardeva, libero e giocondo, battendo sui Grattacieli puliti, freschi, attraverso chilometri e chilometri d'azzurro, e facendo piovere oro da tutte le parti. Sulle gobbe riverniciate del Monte di Splendore o di Casadio, sulle facciate dei palazzoni, sui cortili interni, sui marciapiedi: e in mezzo a tutto quell'oro e a quella freschezza, la gente vestita a festa formicolava al centro di Donna Olimpia, alle porte dei caseggiati, intorno al chiosco del giornalaio...

Il Riccetto se n'era uscito presto di casa, tutto linto e pinto e con la saccoccia di dietro dei calzoni bella gonfia. Vide subito, in mezzo a un comizio di giovanotti, che stavano a discutere gridando davanti al portone delle Case Nòve, Rocco e Alvaro: vestiti da lavoro, perché ancora si dovevano lavare, con certe brache di tela gonfie sul cavallo e strette alla caviglia, che, dentro, le loro gambacce si muovevano come fiori nel vasetto, incrociate come quelle dei militari nelle fotografie: e con quelle due facce, lì sopra, che parevano due pezzi del museo criminale conservati sott'olio. Il Riccetto s'accostò a loro, lasciando perdere i pischelli dell'età sua, che davano calci un po' più sotto alla palla rubata a un ragazzino che piangeva. Vedendolo, Alvaro voltò verso di lui la faccia con gli ossi acciaccati a martellate, che quando sorrideva si smuovevano ognuno per conto suo, e gli fece, distratto: - La vita te soride, sì?

- Come no, - fece non meno paragulo il Riccetto.

Era così sicuro di sé e così allegro, che Alvaro lo riguardò con un certo interesse.

- Che fate oggi? - fece del resto il Riccetto stesso.

- Boh, - fece Alvaro, prendendo tempo, con espressione da una parte stanca, dall'altra allusiva e misteriosa.

- Che, se n'annamo a Ostia? - fece il Riccetto, - oggi sto ingranato.

- Eh! - fece spostando su e giù tutti gli ossacci della sua faccia Alvaro. -C'avrai du piotte, c'avrai!

Pure Rocco ascoltava con interesse il discorso.

- Sì, du piotte! - disse vibrando tutto il Riccetto.

- Tengo cinquanta sacchi, - disse dopo un po'. - Cin-quan-ta sac-chi! -ripeté, abbassando la voce e mettendosi una mano a imbuto sull'orlo della bocca.

Alvaro, imitato da Rocco, fu preso da uno scoppio di ilarità, che si dovette sedere sullo scalino sganassando e per poco non si rotolò per terra. Il Riccetto aspettò un poco, divertito, che gli passasse, poi lo prese con due dita per il colletto della camicia e gli fece: - Viè qqua -. Andarono dietro a un angolo, e il Riccetto gli mostrò i cinquanta bigliettoni. I due compari fecero: - Aòh, ce l'hai per davero! - e fecero un'espressione rassegnata che significava: «Beato te!»

- Che, ce venite a Ostia? - disse allora il Riccetto.

- E annamo a Ostia, - rispose Rocco.

- Però prima se dovemo lavà, cambià, - fece Alvaro. - Dàje, v'aspetto, -disse il Riccetto. Gli altri due si scambiarono un'occhiata. - Aòh, - fece dopo un po' esitando Alvaro, con l'ossame sgretolato di soddisfazione sotto la cotica, - a Riccè, che te sentiressi in caso de fatte na pelle, a Ostia? - Il Riccetto fu subito all'altezza della situazione: - Come no, - fece, - si rimediate 'a mecca! - 'A rimediamo, 'a rimediamo, - fece Rocco. - Alora fra na mezzoretta risemo qqua, - fece Alvaro. Se ne andarono dentro il cortile delle Case Nòve, ma invece di andare su casa, o andare a rimediare il mezzo sacco per il biglietto e la cabina, svoltarono per l'ingresso più piccolo a destra che dava in via Ozanam, e entrarono nella tabaccheria, dove c'era il telefono. Si portarono presso l'apparecchio con aria ufficiale: Alvaro fece il numero, e Rocco, cacciate le quindici lire, seguì la telefonata, pieno di partecipazione.

- Pronto, - fece Alvaro, - che pe gentilezza me chiama Nadia? Sì, Nadia, è n'amico suo -. Quello che aveva ricevuto la telefonata andò a chiamare Nadia e, nel frattempo, Alvaro diede un'occhiata a Rocco, appoggiandosi con una spalla, concentrato, alla parete scrostata.

- Pronto, - fece poi, da persona compita, - che sei te Nadia? Senti un po'... Ce sarebbe un affaretto... Che c'hai tempo oggi?... de venì a Ostia... a Ostia, sì... Che?... sì, aòh, che, so' un chiacchierone io?... Ma è ssicuro, è ssicuro!... C'aspetti ar Marechiaro, ha' ccapito, ar Marechiaro... Lì indovve ce sta 'a pista, lì davanti... Sì, sì, come 'artra vorta... A 'e tre tre e un quarto... Va bbè... te saluto, aaaa cosa! - Agganciò l'apparecchio, e seguito da Rocco, rossiccio di soddisfazione, uscì dal tabaccaro.


II. IL RICCETTO (2) II. THE URCHIN (2) II. EL ERIZO (2) II. O OURIÇO (2) II. IGELKOTTEN (2)

Ma mano a mano che beveva il napoletano si faceva sempre più strano: alla fine del secondo bicchiere era come se gli avessero sfregato la faccia con della carta vetrata, e gli avessero cancellato i connotati: la faccia gli s'era fatta come un pezzo di carne scottata, con gli occhi mezzi chiusi che pareva che li accecasse una gran luce che chissà da dove veniva, e le labbrone che pendevano giù appiccicate fra loro. But as he drank the Neapolitan it became more and more strange: at the end of the second glass it was as if his face had been rubbed with sandpaper, and his features had been erased: his face had become like a piece of seared flesh, with half-closed eyes that seemed to be blinded by a great light that who knows where it came from, and the lips hanging down stuck together. Quando parlava faceva come una lagna: con gli occhi fermi, che ridevano, in contraddizione con le parole serie e profondamente sentite che pronunciava. When he spoke he did like a whine: with steady eyes, which laughed, in contradiction with the serious and deeply felt words he uttered. Ormai parlava solo il dialetto suo. By now he only spoke his own dialect. Era lì, curvo, insaccato tra le spalle, bagnato di sudore, con quella faccia spappolata e gonfia, che guardava fisso il Riccetto, con uno sguardo che brillava di amore fraterno. There he was, bent over, stuffed between his shoulders, wet with sweat, with that crushed and swollen face, staring fixedly at Riccetto, with a look that shone with brotherly love. - Oi nì, - fece, - t'aggio a cunfessà na cosa! - Oi nì, - he said, - I pay you a cunfessà na thing! - Che me voi dì? - fece il Riccetto ch'era partito pure lui.

Ma il napoletano sogghignò tristemente, scrollando il capo, e tacque per un poco. But the Neapolitan grinned sadly, shaking his head, and was silent for a while. Poi disse: - E una cosa di un'estrema gravità. Io te la voglio dire a te, perché te sei un amico! - A questa dichiarazione si commossero tutt'e due. Il napoletano ritacque, e il Riccetto con aria seria e dignitosa l'incoraggiò: - Allora dimme quello che me devi da ddì, si voi, eh! Io nun insisto. I don't insist.

- Te lo dico, - fece il napoletano, - ma tu mi devi promettere una cosa! - I tell you, - said the Neapolitan, - but you must promise me something!

- Che? - fece pronto il Riccetto.

- Di non parlare con nessuno, - disse solenne il napoletano, completamente impappolato. "Not to talk to anyone," the Neapolitan said solemnly, completely stuck.

Il Riccetto capì la situazione; si fece più serio ancora, gonfiò il petto, e ci si mise una mano sopra: - Parola mia d'onore, - disse. Riccetto understood the situation; he became more serious still, puffed out his chest, and put his hand on it: "My word of honor," he said.

Il napoletano, come se si sentisse rifare - con gli occhi che gli continuavano a ridere per loro conto, dentro le loro due fessure - cominciò a raccontare la sua storia. The Neapolitan, as if he felt himself being redone - with his eyes continuing to laugh on their behalf, inside their two slits - began to tell his story. Raccontò ch'era stato lui a uccidere una vecchia e due sue figlie zitelle in via Chiaja, con una spranga di ferro, e poi di averle bruciate. He said that it was he who killed an old woman and two of her spinster daughters in via Chiaja, with an iron bar, and then burned them. Ci mise più d'un quarto d'ora a raccontare questa sbrasata, ripetendo una cosa due o tre volte e facendo tutta una confusione. It took him more than a quarter of an hour to tell this sbrasata, repeating something two or three times and making a whole mess. Il Riccetto non si lasciò impressionare per niente, sgamando subito ch'erano sparate da ubbriaco: ma lo stette ad ascoltare attentamente, dandogli spago e facendo finta di crederci, per poi aver diritto di raccontare lui pure le sue storie. Riccetto was not at all impressed, immediately detecting that they were shot drunk: but he listened attentively, giving him string and pretending to believe it, only to have the right to tell his stories too. E quante ne aveva da raccontare, che gli erano capitate in quei due anni, dopo l'arrivo degli Americani!

In quei due anni il Riccetto s'era fatto un fijo de na mignotta completo. In those two years Riccetto had made a complete fijo de na whore. Se proprio non era come quel ragazzino compagno suo che un giorno ch'erano al Delle Terrazze assieme, uno gli venne a dire: - A coso, cori a casa che tu madre nun ze move più, - e il giorno dopo, quando il Riccetto gli chiese: - Come sta tu madre? If he was really not like that boy companion of his who one day they were at Delle Terrazze together, one came to say to him: he asked him: - How are you mother? - quello fece un sorrisetto e disse: - E morta. - Che? - fece il Riccetto. - E morta, è morta, - confermò l'altro, divertito per la sorpresa del Riccetto. Se non era proprio come quello, insomma, era una mezza specie. All'età sua aveva conosciuto già tante centinaia di persone di ogni condizione e di ogni razza, che ormai uno o l'altro era uguale: e quasi quasi avrebbe potuto comportarsi pure lui come quel tipo che abitava vicino alla Rotonda che un giorno, con un amico suo, aveva pestato un froscio, per rubargli un par di mila lire, e quando il compagno suo gli disse: - Aòh, l'avemo ammazzato, - senza manco guardarlo, quello rispose: - E che me frega. At his age he had already known so many hundreds of people of every condition and of every race, that by now one or the other was the same: and he could almost have behaved like that guy who lived near the Rotonda that one day, with a friend of his, had beaten a froscio, to steal a par of a thousand lire, and when his companion said to him: - Aòh, we killed him, - without even looking at him, he replied: - And what do I care.

Il Riccetto s'era abbandonato all'onda dei ricordi: e mentre il napoletano taceva commosso per la sua confessione, con quella faccia da cane arrostito, venne il turno suo per le rievocazioni. Ma lui diceva la verità però.

Siccome che prima avevano cominciato a parlare degli Americani, il Riccetto riprese quel ragionamento. - Sta a sentì sto pezzo! - disse, tutto gaio e mondano. E cominciò a raccontare due o tre pezzi, uno più gajardo dell'altro, sempre del tempo quando c'erano gli Americani, in cui lui figurava sempre il più fijo de na mignotta di tutti.

Il napoletano lo guardava assorto, accennando di sì con la testa, con un sorriso stanco. Poi gonfiò tutt'a un botto il petto, e senza cambiare espressione, sempre guardando fisso il Riccetto, cominciò: - Io devo espiare! - e giù per un altro quarto d'ora, lui stavolta, con quella moina fuoriscena del suo delitto. Il Riccetto lo lasciò un po' sfogare, com'era giusto, guardandolo pure lui ridendo. Poi appena quello perdette un po' la parlantina e cominciò a zagajare, riattaccò:

- L'Americani erano boni!... A me me facevano un po' rabbia, però me facevano comodo! Ma li Polacchi li mortacci loro, erano marvagi, ma proprio marvagi sa'! Aòh, me ricordo che na vorta, stavo a 'a Toraccia, annavamo a beccà 'a robba ar campo dei Polacchi. Stavamo a camminà, lì vicino a 'e grotte, sentimo strillà, semo iti là vicino, erano du zoccole che staveno a litigà co sti Polacchi, che volevano li sordi. Alora in quer mentre esce uno dalla grotta e noi se nisconnemo, e uno rimane dentro co ste due zoccole. E forse queste se credevano che fosse ito a pijà li sordi. Mo invece quello ariviè co' una latta. Allora prima de entrà dentro 'a grotta, 'a svita, je leva er tappo. Poi 'a versa dentro un bidone, poi chiama quell'amico suo, quell'altro Polacco, e proprio all'ingresso de 'a grotta je tireno questa benzina addosso a 'e du zoccole. Quell'altro accende un cerino e je dà foco. Noi sentimo urlà, urlà, annamo lì e vedemo ste due zoccole tutte annà a foco.

Poi spettò un'altra volta al napoletano, ma ormai questo s'era preso una tropea che non gli stavano manco più aperti l'occhi. - Che se famo n'antra làllera? - chiese scherzoso il Riccetto. Sì, quello forse non sentì nemmeno, e si limitò a ridere per un po'. - Che te va l'acqua pell'orto? - chiese ormai in campana per spesare il Riccetto, allegro. Ormai s'erano stufati di star lì a chiacchierare tutt'e due. Fu il Riccetto a prendere l'iniziativa: - Aaaa... coso, - fece, - se ne volemo annà? - Il napoletano ridacchiò ancora cogli occhi bassi; poi sbiellando s'alzò, e s'avviò diritto a gran passi verso l'uscita in mezzo alla parete di canne intrecciate. Era già buio: tutti avevano già cenato, e se n'erano riusciti di casa a prendere il fresco. Dei giovanotti facevano a fugge in motocicletta intorno al piazzale, dal Delle Terrazze tutto illuminato là in fondo alla pensilina del tram mezza vuota. Mentre il Riccetto pagava, il napoletano compì coscienziosamente alcune operazioni complicate: sternutò, si soffiò il naso tra le dita, pisciò, poi se ne andarono insieme sotto la pensilina a aspettare il tram che doveva riportare dentro Roma il napoletano.

- In dò abbiti? - chiese il Riccetto aspettando. Il napoletano allora sfoderò un sorriso arguto e diabolico, ma tacque. Il Riccetto insistette: -Mbè, nun me lo voi dì? - fece con aria un po' offesa. Il napoletano gli prese una mano, e gliela tenne stretta tra le sue calde e gonfie. - Tu sei n'amico, - cominciò con solennità, e giù un'altra volta con un sacco di assicurazioni d'amicizia, di giuramenti e dichiarazioni. Il Riccetto però non era tanto preso dall'entusiasmo, perché c'aveva una fame e un sonno che non si reggeva più in piedi. In conclusione la situazione del napoletano era questa: lui e i compagni suoi, era solo qualche giorno ch'erano venuti a Roma in cerca di fortuna. Per questo il napoletano s'era adattato a quel lavoro col Riccetto per mezzo sacco. Sennò, quando ci sarebbe stato, l'anno del c...! Col gioco della cartina si facevano i milioni, si facevano. Per intanto lui e i compagni suoi dormivano in una grotta giù sulla scarpata del Tevere, a Testaccio. Il Riccetto capì quale: e drizzò gli orecchi. - Ma alora voi, - fece, intravedendo delle grandi possibilità, - c'avete bisogno de uno che v'aiuti un pochetto... che ve insegni li mejo posti...

Il napoletano l'abbracciò, poi si mise l'indice contro il naso, e fece segno al Riccetto di starsene zitto, che già s'erano capiti. Quel gesto gli piacque, e lo ripeté due o tre volte: poi riprese in mano la mano del Riccetto e ricominciò coi giuramenti d'amicizia, risalendo a certi confusi e maestosi principi generali che il Riccetto, che aveva un'idea molto più chiara e un piano molto più concreto nella capoccia, faceva fatica a seguire. - Sì, sì! -fece. Era passato un tram, e n'era passato un altro: al terzo, finalmente, il napoletano col mezzo sacco in saccoccia salì, e si diedero la puntata pel giorno dopo, ripetendosela due o tre volte, giù al Ponte Sublicio.

Finalmente il Riccetto aveva trovato una professione: non come Marcello, che mo s'era messo a fare il barista, o come Agnolo, che lavorava da pittore col fratello: ma qualcosa di molto meglio, qualcosa che lo faceva salire di rango fino a considerarsi ormai alla pari, per esempio, con Rocco e con Alvaro, che dai furti dei chiusini erano passati mano a mano a dei lavori molto più impegnativi e di responsabilità, con tutto che, in conclusione, non c'avevano mai una lira in saccoccia e avevano due facce da pidocchiosi peggio di prima. Ormai il Riccetto se la faceva più con loro due che coi pivelli dell'età sua, ossia quelli ch'erano entrati in quattordici anni. Mica si potevano permettere, questi, di andarsela a divertire con uno ch'era sempre ingranato, senza che loro c'avessero na brecola in saccoccia, oppure il massimo il massimo con due tre piotte. Per dire la sincera verità, pure Rocco e Alvaro, qualche volta, e più di qualche volta, stavano in bianco: ma era tutta un'altra cosa! Che fosse per davvero proprio tutta un'altra cosa, il Riccetto ebbe modo di capirlo bene quella domenica ch'era ito a Ostia con loro, ingranato come un dio.

Con la cartina, difatti, in principio mica era andata male. Il Riccetto e i salernitani s'andavano a mettere in qualche bell'angoletto, dalle parti di Campo dei Fiori o a Ponte Vittorio, o in Prati, e poi, quando al posto dell'ombrello si poterono fare un banchetto e al posto delle carte tre pezzi di legno ben piallati con un elastico, due senza carta e uno con un quadratino di carta infilato nell'elastico, pure a Piazza di Spagna o in qualche altro posto elegante: allora si mettevano a incerare allegramente i passanti, e facevano un bel treppio di gente tutta acchittata e granosa. Il Riccetto faceva soltanto, di nome, il pischello, quello che reggeva il banchetto, ma in realtà aveva un incarico più delicato: e rimediava un corpo al giorno, e pure di più. Ma un sabato sera, che s'era già ai primi di giugno, mentre che facevano treppio in via dei Pettinari, arrivarono tutt'a un botto le guardie, correndo giù da Ponte Sisto: il Riccetto fu il primo a vederle e tagliò subito giù per via delle Zoccolette: una guardia gli gridò: -Fermati o sparo -: lui si voltò, vide che per davvero aveva una rivoltella in mano, ma pensò: «Mica me vorrai ammazzà, spero», e continuò a correre fin che arrivò in via Arenula e scomparve pei vicoletti di Piazza Giudia. Gli altri tre invece furono beccati. Li portarono al commissariato, il giorno dopo li rispedirono al paesello col foglio di via, e buona notte. La sera di quello stesso sabato, a ogni modo, il Riccetto era sceso giù nella grotta della scarpata di Ponte Sublicio, ch'era la cantina d'un vecchio palazzo di qualche secolo prima, lasciò perdere il mucchio di panni ch'erano tutto il vestiario dei tre disgraziati, e andò sparato a togliere i due o tre mattoni che coprivano il buco dove erano nascosti i risparmi d'una mesata di lavoro: cinquanta sacchi.

Per questo, quella prima domenica di giugno, il Riccetto era tutto granoso e scherzoso.

Era una bella mattina, col sole che ardeva, libero e giocondo, battendo sui Grattacieli puliti, freschi, attraverso chilometri e chilometri d'azzurro, e facendo piovere oro da tutte le parti. Sulle gobbe riverniciate del Monte di Splendore o di Casadio, sulle facciate dei palazzoni, sui cortili interni, sui marciapiedi: e in mezzo a tutto quell'oro e a quella freschezza, la gente vestita a festa formicolava al centro di Donna Olimpia, alle porte dei caseggiati, intorno al chiosco del giornalaio...

Il Riccetto se n'era uscito presto di casa, tutto linto e pinto e con la saccoccia di dietro dei calzoni bella gonfia. Vide subito, in mezzo a un comizio di giovanotti, che stavano a discutere gridando davanti al portone delle Case Nòve, Rocco e Alvaro: vestiti da lavoro, perché ancora si dovevano lavare, con certe brache di tela gonfie sul cavallo e strette alla caviglia, che, dentro, le loro gambacce si muovevano come fiori nel vasetto, incrociate come quelle dei militari nelle fotografie: e con quelle due facce, lì sopra, che parevano due pezzi del museo criminale conservati sott'olio. Il Riccetto s'accostò a loro, lasciando perdere i pischelli dell'età sua, che davano calci un po' più sotto alla palla rubata a un ragazzino che piangeva. Vedendolo, Alvaro voltò verso di lui la faccia con gli ossi acciaccati a martellate, che quando sorrideva si smuovevano ognuno per conto suo, e gli fece, distratto: - La vita te soride, sì?

- Come no, - fece non meno paragulo il Riccetto.

Era così sicuro di sé e così allegro, che Alvaro lo riguardò con un certo interesse.

- Che fate oggi? - fece del resto il Riccetto stesso.

- Boh, - fece Alvaro, prendendo tempo, con espressione da una parte stanca, dall'altra allusiva e misteriosa.

- Che, se n'annamo a Ostia? - fece il Riccetto, - oggi sto ingranato.

- Eh! - fece spostando su e giù tutti gli ossacci della sua faccia Alvaro. -C'avrai du piotte, c'avrai!

Pure Rocco ascoltava con interesse il discorso.

- Sì, du piotte! - disse vibrando tutto il Riccetto.

- Tengo cinquanta sacchi, - disse dopo un po'. - Cin-quan-ta sac-chi! -ripeté, abbassando la voce e mettendosi una mano a imbuto sull'orlo della bocca.

Alvaro, imitato da Rocco, fu preso da uno scoppio di ilarità, che si dovette sedere sullo scalino sganassando e per poco non si rotolò per terra. Il Riccetto aspettò un poco, divertito, che gli passasse, poi lo prese con due dita per il colletto della camicia e gli fece: - Viè qqua -. Andarono dietro a un angolo, e il Riccetto gli mostrò i cinquanta bigliettoni. I due compari fecero: - Aòh, ce l'hai per davero! - e fecero un'espressione rassegnata che significava: «Beato te!»

- Che, ce venite a Ostia? - disse allora il Riccetto.

- E annamo a Ostia, - rispose Rocco.

- Però prima se dovemo lavà, cambià, - fece Alvaro. - Dàje, v'aspetto, -disse il Riccetto. Gli altri due si scambiarono un'occhiata. - Aòh, - fece dopo un po' esitando Alvaro, con l'ossame sgretolato di soddisfazione sotto la cotica, - a Riccè, che te sentiressi in caso de fatte na pelle, a Ostia? - Il Riccetto fu subito all'altezza della situazione: - Come no, - fece, - si rimediate 'a mecca! - 'A rimediamo, 'a rimediamo, - fece Rocco. - Alora fra na mezzoretta risemo qqua, - fece Alvaro. Se ne andarono dentro il cortile delle Case Nòve, ma invece di andare su casa, o andare a rimediare il mezzo sacco per il biglietto e la cabina, svoltarono per l'ingresso più piccolo a destra che dava in via Ozanam, e entrarono nella tabaccheria, dove c'era il telefono. Si portarono presso l'apparecchio con aria ufficiale: Alvaro fece il numero, e Rocco, cacciate le quindici lire, seguì la telefonata, pieno di partecipazione.

- Pronto, - fece Alvaro, - che pe gentilezza me chiama Nadia? Sì, Nadia, è n'amico suo -. Quello che aveva ricevuto la telefonata andò a chiamare Nadia e, nel frattempo, Alvaro diede un'occhiata a Rocco, appoggiandosi con una spalla, concentrato, alla parete scrostata.

- Pronto, - fece poi, da persona compita, - che sei te Nadia? Senti un po'... Ce sarebbe un affaretto... Che c'hai tempo oggi?... de venì a Ostia... a Ostia, sì... Che?... sì, aòh, che, so' un chiacchierone io?... Ma è ssicuro, è ssicuro!... C'aspetti ar Marechiaro, ha' ccapito, ar Marechiaro... Lì indovve ce sta 'a pista, lì davanti... Sì, sì, come 'artra vorta... A 'e tre tre e un quarto... Va bbè... te saluto, aaaa cosa! - Agganciò l'apparecchio, e seguito da Rocco, rossiccio di soddisfazione, uscì dal tabaccaro.